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Autore: Rota    04/04/2012    1 recensioni
Heine andò a cercarlo, dopo pranzo: Giovanni era abbastanza solito a sparire, di tanto in tanto, quando non era obbligato con la forza a restare assieme agli altri, in camerate grandissime e totalmente inespressive, bianche come quello che loro avevano da sempre definito “Morte”.
Aveva provato nella sua stanza ma non aveva trovato tracce dell'amico. Aveva provato in bagno, nei pressi delle sale d'addestramento, eppure nulla era riuscito a scovare, neppure guardando bene.
Entrando in cucina, dove lunghi tavoli piatti come quelli della mensa si allungavano da tutte le parti e niente, neppure una piccola briciola, intaccava un ordine quasi disumano, sentì subito dei leggeri lamenti provenire da un punto imprecisato.
Si chinò a terra e lo vide, raggomitolato in un angolo, che si teneva le gambe avvolte in un abbraccio serrato. Heine sospirò, non troppo forte, e a quattro zampe arrivò da lui.

[HeineGiovanni - childhood]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Giovanni Rammsteiner, Heine Rammsteiner
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: margherota
Titolo: Amore insano
Capitolo: Il senso dell'olfatto
Fandom: Dogs - Pallottole e Sangue
Personaggi: Heine Rammsteiner/Giovanni Rammsteiner
Generi: Introspettivo, Sentimentale, Angst
Avvertimenti: Shonen ai, One shot, Missing Moment
Rating: Giallo
Set: 1
Parole: 920
Prompt Syllables of Time: Le stanze hanno un vago sentore di amianto
Note: Altro capitolo per loro due da piccini ** Primo vero contatto amoroso tra i due, un bacio dato non troppo per caso (L) Resta anche più corto per via delle dinamiche descritte, che voglio che restino non altri che un'immagine istantanea, veloce (L)
Spero sia una buona lettura per tutti voi (L)



Acuire tutti i sensi, per rendere gli individui perfette macchine da guerra, rendeva capace tutti i “cani” non solo di una maggior percezione di quanto stava loro attorno ma aumentava anche la celerità di reazione – veloci come il pensiero, superavano ostacoli che l'umana mente imponeva al corpo per preservarlo nel tempo.
C'era però un passaggio, dalla Bestia all'Uomo, che pur assopendo la mente con la coscienza non privava di sensibilità il resto, tra occhi, tatto e udito. E l'odore di artificiale, di morte e di asetticità innaturale, era certo ciò che più forte colpiva il cervello di ogni “cane” e più lo rendeva pazzo, più lo rendeva furioso.

Giovanni si teneva la testa con entrambe le mani, barcollando verso di lui su piedi instabili; Heine non gli chiese neppure dove avesse dimenticato la propria pistola, perché era ricoperto tanto di sangue da far presupporre che l'aveva persa e da parecchio tempo, tanto da sentirsi obbligato ad usare le unghie per non venir barbaramente fatto a pezzi.
Era stata la prima cosa che avevano imparato, in quel mattatoio.
Lo notò quando fece un passo verso di lui, abbassò le braccia ai fianchi e semplicemente lo guardò in viso. Lui non aveva bisogno, come Lily, di parole decise come linee guida e neppure di gesti fermi che ne regolassero i movimenti: bastava a sé stesso per mantenere il controllo. La smorfia sulle sue labbra, tuttavia, indicava che qualcosa non andava. Puzza di sangue, forse – puzza di chiuso che, come un veleno, intaccava persino le carni fino a renderle putride.
Neppure Heine riusciva a sopportare quel lezzo che proveniva da ogni stanza e da ogni luogo in cui loro potessero camminare. Lo tollerava a stento.
Non ancora completamente rilassati per la battaglia appena svolta, con il sangue che pulsava nelle orecchie e gonfiava ogni parte del corpo di rosso vivo, i due ragazzi si avvicinarono piano, senza badare a macerie e a telecamere tutt'attorno.
Da lì, poterono sentire un odore diverso – la presenza dell'altro che da sola riusciva ad annullare tutto, perché tangibile, perché bella e concreta, fisica e calda.
Giovanni si aggrappò di slancio al suo petto, d'improvviso, tanto che la prima reazione di Heine fu quella di repulsione violenta. Si allontanò da lui di qualche passo e lo squadrò per intero, chiedendogli con lo sguardo “come avesse osato” e “perché mai aveva fatto una cosa del genere”. Giovanni non aveva le risposte che l'altro cercava, ma neanche la sottomissione del colpevole dipinta nei suoi occhi. Cercava solo un odore diverso con il quale distrarsi.
Heine si accorse di provare lo stesso desiderio.
Lo prese a sé, trattenendolo in un abbraccio serrato. Non si preoccupò del sangue rosso che macchiò la propria divisa e la sua, dei piccoli gemiti di dolore che Giovanni fece uscire dalla sua bocca per le brusche maniere con le quali lo stava trattando. Affondò il viso nell'incavo del suo collo per poi salire ai capelli, dove il suo odore era più intenso. Lo trovò familiare e non se ne stupì affatto: conosceva tanto Giovanni da ritenerlo una presenza costante, inseparabile.
Lo guardò in viso e desiderò spostare la frangia che aveva sugli occhi – lo fece, senza che l'altro riuscisse a fermare le sue mani. E prendendogli un polso con le dita lo fermò in un punto, abbastanza da chinarsi in avanti e baciarlo.
Trattenne il fiato, spaurito egli stesso da una cosa simile, dalla “passione” che in assenza della ragione lo aveva preso tutto e l'aveva spinto al primo atto che gli era balzato in testa. Chissà perché, pensò, non l'aveva fatto prima. Pensò alle circostanze, a Giovanni, a quell'odore persistenze che voleva cacciare via, al peso gravoso che gli schiacciava il petto, alla voglia di gridare che reprimeva come la Bestia tutta che gli divorava l'animo.
A Giovanni.
A Giovanni.
A Giovanni.
L'altro rispose, con la stessa urgenza che l'aveva spinto al gesto, e allora si concesse il lusso di spegnere davvero l'interruttore.
Scivolarono a terra, in un groviglio di gambe e braccia – e mai, neppure per un istante, la sua bocca lasciò quella dell'altro, arrivando anche a mordere pur di non separarsi e a succhiare per trattenere a sé, senza un'idea precisa su come si facesse cosa e l'indifferenza totale per certe regole amatorie.
Prima di definirlo bello, le loro menti lo definirono giusto e necessario.
Fu affannoso e vorace per diversi minuti, almeno fino a ché Heine non si ritrovò completamente disteso sul corpo dell'altro e lo schiacciò a terra, prigioniero. Quando invece aprì gli occhi e vide il suo viso contratto in un'espressione che non gli aveva mai visto in precedenza, decise di rallentare il ritmo e di sentire, per davvero, tutto quello che stavano facendo. Lingua, labbra, palato, gengive, guancia: diede un nome a ogni sapore, diede un nome ad ogni angolo.
Giovanni non si muoveva, restava invece a sua disposizione, analizzato come in un qualsiasi altro esperimento scientifico. Aveva nella sua figura una tale posa di arrendevolezza che era quasi tenero.
Con un ultimo, piccolo bacio, Heine si allontanò un poco dal suo viso e lo guardò. Giovanni, ripresosi dal suo stato apparentemente di trance, strofinò la punta del naso contro la sua, senza alcun imbarazzo e senza alcun sorriso. Negli occhi c'era la coscienza di un legame nuovo e unico – ed era la cosa che più faceva paura, ad entrambi.
Si alzarono senza dire una parola, sistemandosi le tute attillate lungo il corpo. Raggiunsero gli altri continuando in un silenzio ostinato, avendo ormai per tutte le narici non altro che quell'odore nuovo ancora più intossicante dell'amianto.
   
 
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