Dormivo beatamente, in un letto
dalle lenzuola fresche e
dal materasso comodissimo. Mi beavo della sensazione di benessere e del
calore
di un corpo accanto al mio che contrastava con la frescura del letto.
Un
momento?
Un corpo accanto al mio?
Cosa?
Spalanco gli occhi.
Ma dove cavolo sono ?
Non riconosco la stanza e per poco
non mi viene un
infarto. Grazie al cielo, a poco a poco, rimetto a posto i tasselli
della
memoria e ricordo la serata precedente.
E comprendo anche chi è il corpo attaccato al mio. Mi rilasso e arrossisco un
po’ al pensiero
dell’altra sera. Non volevo girarmi, né far vedere
che ero sveglia. Per ora
volevo stare solo così e non pensare a niente. Sento che lui
è sveglio e lo
sento respirare tranquillo, regolare, mentre passa dolcemente la sua
mano sulla
mia schiena. Ne segue i contorni fino a raggiungere i fianchi. Mi
accarezza
piano, premuroso, dolce. Mi
bacia una
spalla e sorride contro la mia pelle. Non riesco a trattenere un
sorriso. Mi fa
tenerezza.
-Ti amo.- lo bisbiglia, come se
non volesse farsi sentire
sul serio. Come se non volesse renderlo vero e tenerlo per
sé, sicuro nel suo
cuore.
Sgrano un po’ gli occhi.
Poi mi rilasso. Lo sapevo. Non
c’erano dubbi. Sorrido. Entrambi sappiamo che lo amo anche
io, che il nostro
amore, in qualche modo è lì.. non del tutto come
prima, ma mai perduto.
Ripenso a ieri e a quando
l’ho rivisto. Ripenso a tutto
quello che ha vissuto e un po’ mi rattristo. In fondo al mio
cuore sento che
qualcosa non va. Qualcosa di minuscolo, quasi impercettibile. Una
piccola
vocina che mi dice di pensare bene e di riflettere se davvero tutto
è così
perfetto come sembra. E di colpo, realizzo di cosa sta parlando quella
vocina.
Di Enea. Suo figlio.
Un figlio. Cazzo, un figlio. Avuto
da un'altra . L’avrei
mai sopportato? Accettato?
C’eravamo detti
così tante cose, ci eravamo promessi così
troppe cose. Mentre sentivo il suo tocco leggero sulla schiena,
cominciavo a
voler andar via. Mi veniva da piangere. C’eravamo lasciati in
un modo così
ingiusto, così doloroso. E adesso era tutto dimenticato? No.
Di certo, no. Non
ancora. Ripensavo alle sue promesse
di
restare con me per sempre e ai suoi discorsi di una vita insieme. E poi
tutto
era andato perso. Perché lui non si era fidato di me.
Sentivo le lacrime
cominciare a inondarmi gli occhi. Mi alzo di scatto. Non mi deve vedere
cosi.
Chiudo gli occhi e prendo fiato. Lui si alza con me.
–Buongiorno.- la sua voce
è dolce. Mentre mi abbraccia da dietro. Lo lascio fare, ma
ci metto un po’
prima di rispondere. –Buongiorno. Che ore sono ?- -Quasi le nove.- mi da un
bacio leggero sul
collo. Sorride contro la mia pelle nuda. –Credo che sia
meglio che io vada.-
-E’ sabato, Sere. Puoi restare se vuoi. – Il suo
tono e carico di speranze. No.
Non potevo restare. Mi ero svegliata dal verso sbagliato, o forse dal
verso
giusto ma nel letto sbagliato, e
ora
tutti i nostri bei discorsi mi martellavano il cervello. Mi alzo e raccolgo i
vestiti. Mi rivesto
un po’ in fretta. –No, Fede. Devo
andare, ho promesso ai miei di sistemare un paio di cose e ho da fare.- mi infilo i jeans e lo guardo. Sospira
abbattuto. Annuisce.
–Capisco. Vai allora.- Si alza e si veste solo con un paio di
boxer. –Immagino
che tu non voglia neanche fermarti
a colazione.- si ferma sulla soglia della stanza. Si volta e mi fissa
con gli
occhi un po’ più scuri. Lo guardo. Sono
dispiaciuta e spero che nei miei occhi
lo riesca a vedere, però non posso. Non posso. Dannazione! E
poi lui cosa
voleva? Come potevo essere certa che mi amasse ancora? Certo,
l’ha detto e ieri
sera era stato bellissimo, ma non bastava. C’erano troppe
cose in sospeso. E
poi il bambino.. lui doveva occuparsene e io, forse, avrei incasinato
le cose.
Le incasino sempre. Non riesco mai a semplificarle, nemmeno per me
stessa,
figuriamoci per un padre con un figlio a carico. No, no, non era
fattibile. E
poi la mia casa a Londra? Il mio lavoro? No. Era stato bellissimo, ma
io non
avevo certezze qua. In lui non vedevo sicurezze. Non più.
Tutto era stato
sgretolato in un addio non detto. In un saluto appena accennato. In uno
sguardo
di ribrezzo. Mi ricordo all’aeroporto come mi guardava, come
se fossi sporca ,
come se non lo meritassi. E
forse era
così, forse non lo meritavo.
Si. Dovevo
andar via. Era la cosa migliore.
-Ti ringrazio, ma no. Vado a casa.
– Sospira ed esce
dalla stanza. Mi rivesto completamente e scendo in salone dove ritrovo
la mia
giacca e la mia borsa. Lui è in cucina, armeggia con la
caffettiera. Cade un
silenzio tombale e io non so cosa dire. Mi fermo
sull’ingresso della cucina.
Lui è di spalle e la sua pelle, perfetta, è
rischiarata dai raggi di sole che
entrano ,flebili, dalla finestra. –Bè, allora io
vado.- Lui non si
volta. Accende il fuoco e mette la
caffettiera sul fornello. Si ferma. Sembra, quasi , che non mi abbia
sentito. –Ci
possiamo sentire quando
vuoi. – prendo un foglietto e gli scrivo il mio numero di
telefono. Lo metto
sul tavolo. –Questo è
il mio nuovo
numero. Se ti va chiamami. – Non dice niente. Mi sto
incazzando. –Vado allora.-
Mi sto per girare e uscire, quando lui si volta e mi fissa, dritto
negl’occhi.
Mi guarda come se non capisse con due occhi confusi e un po’
arrabbiati.
–Quindi ?- lo
guardo perplessa: -Quindi
cosa?- Mi si avvicina lento. –Quindi te ne vai
così?- Lo
guardo seria –E come me ne devo
andare?- Mi guarda
e contrae i muscoli
del volto. Lo so che lo sto irritando. Ma lui irrita me. –La
domanda è perché
te ne vuoi andare.. - Sbuffo.
–Me ne
vado perché ho da fare, Fede. Non posso restare.- Silenzio.
Lo guardo, senza
lasciare altri dubbi. Lo guardo con sfida, con orgoglio. Non ammetto
repliche.
–Lo sai che non posso restare.- Lui
mi
guarda. Lo sa. Ci
sono mille ragioni per
cui non posso. Nessuna di queste sarebbe sufficiente se lui mi dicesse
di
restare, perché io resterei. Solo se lo dicesse. Ma non lo
dirà. Lo so che non
lo dirà. Sospira. –Si, hai ragione.- Ecco.
Appunto. Sorrido, con un sapore
amaro in bocca. Mi dirigo verso la porta e lui mi segue. Me la apre.
–Salutami
Enea.- Annuisce senza guardarmi negli occhi. Sospiro. Il nostro gioco
del
silenzio mi ha stancato. –Buona giornata.- Lo guardo ancora
un ultima volta. Mi
sorride, educato. –Anche a te.- Esco e sento
l’umido del mattino che
mi avvolge. Mi stringo nella mia giacca e
non mi volto, mentre sento i suoi occhi puntati sulla mia
schiena… Se devi
dirmi qualcosa, fermami e dimmela. Non
sono
mai riuscita a capirlo completamente, mi è sempre sfuggito
qualcosa .. o magari
ero io che me lo lasciavo sfuggire, troppo intenta ad essere innamorata. Troppo intenta ad amare
l’amore.
Corro giù per le scale
e non mi volto. Sento la porta
chiudersi a chiave dietro di me. Sospiro
triste pensando che, forse, non riusciremo a rivederci, che forse non
riusciremo a superare le divergenze, i problemi e le mille cose
lasciate in
sospeso. Percorro
Piazza Duomo mentre
tutti questi pensieri mi frullano in testa e senza nemmeno rifletterci
troppo
estraggo il mio telefono dalla borsa e chiamo il numero che so a
memoria. Uno, due,
tre squilli.. –Pronto?!- Una Elena
con la voce impastata dal sonno mi risponde dall’altro capo.
–Pronto, Ele sono
io, Sere.- -Ehi, Ciao. Mattiniera eh?- Guardo l’orologio. Le
nove e dieci. –Bè dai,
è un orario decente. -
-Si, bè non per
me che ancora dormivo.- Sbuffo –Pigrona!- La prendo in giro,
ma mi diverto. –Sese..allora?-
-Allora cosa?- -Perché mi hai chiamato ?- -Così.
Volevo sentirti.- Silenzio. Lo
sa che devo dirle qualcosa. Lo sa sempre. –Si .. e immagino
non potevi
aspettare un paio d’ore..-
Silenzio. Non
so bene da che parte cominciare. –Ho visto Fede. –
Silenzio. Nessuna delle due
sa cosa dire. –Ci sono andata a letto.- Silenzio. E ora mi
sento scema. –Ha un
figlio.- -Merda!.- è l’unica cosa che dice, ma
è perfetta per descrivere il
momento. –Già.- è
l’unica cosa che mi viene in mente. –Non so
proprio cosa dire- Silenzio. Nemmeno io lo sapevo. –Ma come
è possibile? Cioè io
non sapevo avesse un’altra. E poi, scusa, ci sei andata a
letto che lui ha un
figlio? E sua moglie?- -Non è sposato. Non
c’è nessuna donna. È troppo lunga da
spiegare.- Raggiungo la macchina. –Ci vediamo stasera?- le
chiedo. –Ti racconto
e ho bisogno di sfogarmi.- -Certo! Assolutamente.- -Perfetto.
Ci sentiamo dopo, che adesso vado a
casa.- -Va bene.. Un bacio, tesoro. Non farti troppe pare mentali.-
Sorrido. Ci
azzecca sempre! –Ci provo, amo. Bacio.- Ripongo il telefono
in borsa e mi siedo
in macchina. Rimango in silenzio per un attimo e rifletto a tutto
quello che è
successo ieri. È un caos nella mia testa. Ma soprattutto nel
mio cuore. I
sentimenti per Fede sono lì, esattamente dove li avevo
lasciati. Pensavo di averli
sepolti in qualche parte oscura di me e averli abbandonati al corso
inarrestabile della memoria. E invece.. si sono ripresentati,
chiedendomi il
conto, in sospeso, da pagare .. con anche gli interessi.
Poi…Quel bambino!
Adoro i bambini, ne ho sempre voluti. E quanti progetti avevamo fatto
insieme! Quante
volte ci eravamo detti che ne avremmo avuti minimo due e massimo
quattro.
Avevamo anche deciso i nomi, nel caso. Sorrido. Una lacrima sfugge alla
presa
tremolante delle mie ciglia. Mi mancava. Lui e le sue promesse. Lui e
il suo
amore candido. Lui e le sue labbra rosse e morbide. Lui e tutto quello
che c’era
stato e che, forse, da qualche parte, per entrambi, c’era
ancora. Scuoto la
testa e metto in moto. In meno di mezz’ora sono a casa e i
miei sono usciti. Meno
male. Sospiro e butto la borsa sul tappeto. Mi spoglio e mi infilo
sotto le
coperte.
Poco dopo e sono sprofondata in un
sonno agitato.