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Autore: ermete    04/04/2012    5 recensioni
Al primo anniversario della morte di Sherlock, John si presentò davanti alla tomba del suo migliore amico: non andava spesso al cimitero, non occorreva andare lì per ricordarlo ed omaggiarlo, nè tantomeno serviva a lenire la sofferenza e la solitudine che provava. Tuttavia, una volta presentatosi davanti alla lapide nera, passarono pochi istanti prima che allungasse la mano destra sopra di essa: accarezzò la scritta dorata con la punta dell'indice in un gesto spontaneo più che simbolico e bisbigliò poche parole. "Torno in Afghanistan. Goodbye, Sherlock".
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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***Ciao ragazze! Dunque questo capitolo mi è venuto più lungo degli altri perchè ho raccontato dei fatti avvenuti nella stesso lasso di tempo, quindi mi sembrava più giusto raccogliere tutto in un capitolo piuttosto che fare parte1 e parte2 :) spero non vi risulti noioso da leggere! Abbiamo anche una descrizione più ampia di 2 membri dei mastini, Zach e Matt :D buona lettura e grazie a coloro che mi stanno seguendo, incoraggiandomi a continuare questa storia *____* ***

Anche i Mastini hanno un cuore

Dopo i primi sei mesi i Mastini erano più affiatati che mai: John si ambientò subito e assimilò facilmente le dinamiche della squadra che portò a termine molte missioni senza subire alcune perdite. Sembravano fatti per combattere insieme, nati per formare una squadra imbattibile che funzionava dentro e fuori il campo di battaglia.
Altri sei mesi dopo, di rientro dall'ultima missione, erano particolarmente euforici: molti di loro infatti sarebbero rientrati in patria per una visita alle famiglie nel periodo delle feste natalizie.
Matt in particolare sembrava molto eccitato "Avete visto come li ho asfaltati? Me ne sono fatti 5 di fila! Bang, bang, bang, bang..."
"Maaatt!" lo interruppe John che stava ricucendo una ferita sul braccio di Zach.
"...bang! Tutti a nanna!" concluse il giovane spilungone per poi evitare agilmente un gomitolo di garza che il dottore gli aveva lanciato.
"Dottore non preoccuparti, non mi dà fastidio." sorrise Zach, mentre con uno sguardo un po' stanco osservava il lavoro di John: era stato ferito superficialmente al braccio e alla fronte da un energumeno che, grazie alla sua stazza considerevole, era risultato particolarmente resistente al sonnifero che gli aveva sparato.
"Dà fastidio a me! Voglio ricucirti e vorrei farlo bene, senza trasalire a causa di quel pazzo che mi saltella attorno!" infilò l'ago nella carne del braccio del giovane, continuando a rammendarlo, approfittando di un momento di quiete da parte di Matt.
"Ma dai Capo! Zach è stato ferito, deve stare allegro! Se dessimo retta a te dovremmo stare col muso tutto il giorno! Mastini grrr!" il giovane Matt fece il verso a John, provando a imitare la sua faccia seria, per poi liberarsi nel ringhio di incoraggiamento tipico degli Hounds.
Di fronte a quelle smorfie sia Zach che John scoppiarono a ridere e a loro si unì anche Matt che si sedette affianco al proprio coetaneo, lasciando finalmente lavorare il dottore che in quel momento alzò lo sguardo sui due giovani. Capì che Matt stava esagerando particolarmente i propri abituali scherzi sia per far sorridere Zach che per nascondere la preoccupazione provata nei suoi confronti: Zach dal canto suo sembrava sopportare qualsiasi buffonata con un sorriso, che stesse bene o male, che fosse piacevole o imbarazzante. Si chiese se i due provassero dei sentimenti l'uno per l'altro, se i silenzi improvvisi di Zach fossero dovuti ad una malinconia emotiva, al dubbio sulla possibilità di un amore o alla certezza del rifiuto.
Poi Matt fece qualcosa di inaspettato: alzò la mano destra verso la fronte di Zach, carezzando delicatamente la pelle attorno alla ferita già ricucita da John, indugiando per qualche istante con lo sguardo sugli occhi del giovane, per poi ritirare velocemente la mano, alzarsi e dileguarsi rapidamente dalla stanza, senza dire una parola. John aveva osservato attentamente il fare di Matt: la dolcezza disarmante di quella carezza, l'affetto carico di preoccupazione impresso nel suo sguardo ed infine quelle azioni veloci e dettate da radicata e inconfondibile negazione. John non potè fare a meno che riconoscersi in Matt, in quell'imbarazzo, in quella profonda indecisione, ma soprattutto si accorse dei sentimenti che provava e della tristezza impressa sul volto di Zach, che in quel momento si sentiva la seconda scelta a favore di un'irrinunciabile virilità e del timore del giudizio altrui.
Dato che John si chiuse per diversi minuti in uno strano silenzio accompagnato dall'interruzione della medicazione, Zach tossicchiò, provando ad attirare la sua attenzione "Dottore, tutto bene?"
John ristabilì il contatto con la realtà, annuì al giovane e riprese a cucire in silenzio.
Zach insistette "Dottore... John, tutto bene?" era la prima volta che lo chiamava per nome, poichè solitamente preferiva mantenere una certa reverenza in segno di rispetto "Ti sei intristito all'improvviso. Se è per Matt non devi offenderti se ha lasciato la stanza senza salutarti, lo sai che è un po'... diciamo pazzerello."
John alzò lo sguardo, dalla ferita agli occhi di Zach, che scoprì languidi, oltre che stanchi per lo sforzo della missione e per le ferite subite "Non è per quello. E’..." si bloccò, invertendo la gerarchia tra i due, risultando ora il più timido, ferito, insicuro.
Zach, che era di gran lunga il più empatico e sensibile del gruppo, il cucciolo di cui prendersi cura e che John spesso si trovava a difendere ed accudire, aveva sempre notato un velo di tristezza negli occhi del medico militare, ma non aveva mai osato chiedere nulla, forse per timidezza, probabilmente per rispetto nei suoi confronti: ora però il suo Capitano sembrava in difficoltà, e mosso dalla sua consueta bontà, non potè fare a meno di offrirgli il suo aiuto.
“Ho capito di provare qualcosa per Matt nel primo momento in cui l’ho visto, sai quando si parla di colpo di fulmine?” Zach decise di aprirsi, di svelare i propri sentimenti a John, sperando che in quel modo anche il dottore capisse che poteva fidarsi di lui “Insomma lo conosci, è esplosivo, simpatico, un chiacchierone, ha sempre la battuta pronta, e dietro a quell’abito da buffone e a quella maschera di spavalderia si nasconde anche un cuore tenero e a tratti insicuro.”
John fermò ancora una volta il proprio lavoro, stupendosi di fronte a quella confessione: perchè per Zach era così facile ammettere i propri sentimenti, mentre per lui era sempre stato un problema? Lo ammirò segretamente, regalandogli un sorriso mentre tagliava il filo di sutura in esubero.
“Lui d’altro canto...” riprese Zach, osservandosi il taglio sul braccio, ormai ricucito: esitò a trovare la giusta parola, giacchè anche a distanza non voleva offendere Matt in alcun modo “...esita? Non è sicuro? Ha paura? O forse, semplicemente, non prova niente.”
“Il suo sguardo, poco fa’, suggeriva il contrario.” sorrise John, interrompendo finalmente il silenzio: qualcosa turbava ancora il dottore che nel frattempo recuperò delle garze pulite con cui iniziò a fasciare il braccio del giovane soldato.
“Tu sei il primo ad aver capito che tra me e Matt c’è..., mh, qualcosa?” virgolettò l’ultima parola, sia col tono che con l’unica mano libera che si ritrovava “Ma perchè ti ha turbato? Sei troppo intelligente per essere omofobico, John, quindi non è per quello.” sorrise, sciogliendosi via via che si confessava al dottore.
John tagliò le bende, legando l’estremità con dello scotch di carta “E’ che mi dispiace.” alzò lo sguardo su Zach che in quel momento non capiva le parole del dottore, quindi rimase in silenzio in attesa di un’eventuale spiegazione.
“Mi dispiace che i ragazzi come te possano soffrire per colpa di uomini come me. Che poi, si finisce col rimetterci entrambi, per un motivo o per l’altro.” il discorso risultò molto criptico alle orecchie di Zach che si guardò bene dall’interrompere John, limitandosi a guardarlo col proprio sguardo pulito, semplice e per nulla avido di curiosità: avrebbe ascoltato solo quello che il dottore gli avrebbe voluto dire, senza forzarlo.
“Avevo un amico...” si interruppe John, alzando lo sguardo verso l’alto, sbuffando tutta l’aria che aveva nei polmoni “...e lui... beh penso che provasse qualcosa per me. Ma io ero così cieco, così fissato a ripetermi che...” si interruppe, vergognandosi di quello che stava per dire, mortificato per l’ignoranza di cui si sentì colpevole “...che non potevo provare veramente qualcosa per un uomo, che alla fine l’ho perso. E lui non ha mai saputo quello che provavo, che provo...” smise di parlare, portando le mani ancora guantate in faccia, stropicciandosi il viso pesantemente “Dio, quanto mi manca.”
Zach rimase allibito, non aspettandosi neanche lontanamente una confessione del genere: aprì più volte la bocca, ma ancora non aveva trovato le parole giuste da rivolgere al medico. Alzò il braccio appena rammendato verso la spalla di John, regalandogli prima un tocco leggero, poi uno più intenso, che andò a spostarsi fin sopra ai suoi capelli color cenere.
“John, se quest’uomo di cui parli provava realmente qualcosa per te, ti accetterà anche con un po’ di... ritardo e...” ma John scosse il capo, spostando lo sguardo su Zach: aveva gli occhi lucidi e la mano sinistra tremò qualche istante, nervosamente.
“E’ morto.” gli si strinse il cuore nel dirlo e si alzò in uno scatto improvviso che fece cadere la sedia per terra.
Zach capì tutto nello stesso istante in cui John pronunciò quelle due singole parole: capì il ritorno in Afghanistan nonostante il congedo con onore, capì l’accenno di tristezza perennemente dipinto sul suo volto, capì il suo infinito bisogno di aiutare gli altri, come se dovesse compensare qualche propria, passata, mancanza. Seguì il medico per la stanza, provando ad abbracciarlo nonostante i tentativi dell’altro di fermarlo, ma quando il dottore finalmente si arrese, lo strinse, lasciandosi fasciare a sua volta con le braccia forti ma tremanti.
A John servì qualche minuto prima di riprendersi da quelle emozioni che non aveva sfogato per troppi mesi, staccandosi da Zach che si dimostrò assai comprensivo e per nulla invadente. Riordinarono con calma la piccola infermeria, quindi, dopo essersi ringraziati a vicenda con un tacito sorriso, lasciarono la stanza, diretti verso la sala comune.

Sherlock si svegliò di soprassalto, scattando in avanti fino a finire seduto su quel divano che era ormai diventato il suo letto: si passò la mano destra sulla fronte, strofinando via il sudore che gli imperlava la pelle. Aveva il fiatone, si era appena risvegliato da un incubo che lo aveva scosso a tal punto da farlo scuotere con violenza: scacciò via la coperta che lo scaldava fastidiosamente e si alzò, diretto verso la scrivania dalla quale raccolse una sigaretta e l’accendino che gli aveva lasciato Mycroft.
Dopo essersi acceso la sigaretta si avvicinò alla parete sulla quale aveva incollato le foto di John: non si preoccupava più di nascondere quel collage dietro al quadro, non ce n’era bisogno ed inoltre voleva avere il volto del suo amico sempre in vista, almeno in foto.
Sbuffò il fumo della seconda boccata sulla foto in cui John era ritratto in mimetica, come se fosse arrabbiato con lui: era passato un anno ed ancora non c’era traccia di lui, ma almeno, come aveva detto Mycroft, finchè non se ne reperivano notizie ufficiali voleva dire che non gli era successo nulla di grave.
Ripensò al suo incubo: rivisse il suo finto suicidio, in particolare la telefonata che ricordava a memoria, ma ancor di più, nelle sue orecchie, nel suo cuore, nella sua mente era impresso l’urlo di John che chiamava il suo nome con tutta la disperazione possibile, un dolore tangibile, che fece rabbrividire Sherlock. Riaprì gli occhi con uno sguardo che andava ben oltre la determinazione: in lui, come in John dodici mesi prima, era scattato qualcosa che lo fece reagire. Decise che non ne poteva più, che John sarebbe stato deluso nel vederlo autocommiserarsi in quel modo e che doveva muoversi in prima persona per poterlo ritrovare.
Si fece una doccia bollente, mangiò -stranamente- una lauta colazione e sbattè la porta nell’entrare nell’ufficio di Mycroft, che in quel momento stava ricevendo l’entourage delle più alte cariche cinesi, i quali si indignarono per l’ingresso maleducato del giovane Holmes.
Mycroft si scusò con reverenza, assicurando agli ospiti che non si sarebbe ripetuto un altro inconveniente del genere, quindi, dopo averli invitati a prendersi una piccola pausa da quell’incontro diplomatico suggerendo loro di partecipare ad un elegantissimo brunch, chiuse la porta dell’ufficio, voltandosi verso il fratello minore.
Sherlock era vestito di tutto punto, indossando uno dei suoi completi classici, la camicia viola e le scarpe appena lucidate, mancavano il cappotto e la sciarpa -e John- ma sarebbero stati inopportuni, dato che non poteva comunque uscire da quel palazzo.
Mycroft allacciò le mani dietro la schiena, in una postura piuttosto rigida, e l’espressione sul viso mantenuta seria durante le scuse rivolte ai cinesi permase per qualche istante: ma se Sherlock si aspettava di ricevere un’inutile ramanzina, il fratello lo sorprese, sorridendogli soddisfatto.
“Sei tornato, finalmente.” si congratulò Mycroft, che finalmente lesse negli occhi del fratello la grinta e l’arroganza che lo contraddistinguevano “Cosa posso fare per te, Sherlock?”
“No fratello, cosa posso fare io per te.” precisò Sherlock, arcuando gli angoli delle labbra in un sorriso sfacciato.
Mycroft piegò la testa di lato, quindi gli fece un cenno, suggerendogli di continuare il proprio discorso.
“Ti aiuterò a trovare gli ultimi uomini di Moriarty, così quando Mrs Hudson e Lestrade saranno al sicuro io potrò smettere di nascondermi e potrò andare in Afghanistan a cercare John.” l’aveva detto rapidamente, una parola attaccata all’altra, com’era solito fare quando spiegava l’ovvio.
“Intanto cominciamo col trovare tutti gli uomini di Moriarty.” Mycroft congiunse le mani, polpastrello su polpastrello, in quel gesto tipico degli Holmes “Per quanto riguarda l’Afghanistan...”
“Andrò in Afghanistan, Mycroft, che tu sia d’accordo o meno.” l’interruppe Sherlock, irremovibile “Quindi tanto vale che tu mi dia una mano.” concluse il giovane Holmes, dando tutto per scontato, senza chiedere “per favore”, pretendendo che la sua mente superiore venisse accontentata.
Mycroft sorrise, alzando uno solo dei due angoli della bocca: Sherlock era davvero tornato, ed ora che era in grado di ragionare come al suo solito, poteva aiutarlo sul serio e sfruttare le sue capacità per trovare John, insieme “Lavorerai fianco a fianco con la squadra dei Servizi Segreti che si sta occupando di questa faccenda. Vai, ti aspettano di sopra, ti spiegheranno loro a che punto sono e come muoversi con le ricerche.”
Sherlock annuì, incamminandosi velocemente verso la porta, ma prima di aprire si voltò verso il fratello al quale regalò un piccolo e sincero sorriso: per Mycroft era il gesto di gratitudine più grande che potesse ricevere da suo fratello.

A Kandahar, intanto, era giunto il momento dei saluti: sei degli otto membri dei Mastini sarebbero rientrati per tre mesi di ferie e riposo. John e Zach invece, sarebbero rimasti al campo come supporto e per eventuali sostituzioni di altre squadre, favorendo il ritorno dei soldati a cui stava a cuore trascorrere il periodo natalizio con le proprie famiglie.
Alec, che solitamente era chiuso nel suo burbero silenzio, era ben felice di poter rientrare, ansioso di riabbracciare la moglie e i tre figli: John comprese appieno il motivo del suo arruolamento solo quando scoprì che la loro famiglia era povera, e lo stipendio di un soldato in guerra era di gran lunga superiore a quello di un precario. Rischiava la vita per poterne donare una migliore alla propria famiglia: quanto mai come in quel momento John pensò con rabbia a coloro che li chiamavano “mercenari” in senso dispregiativo.
Anche Christopher aveva una famiglia da riabbracciare, una moglie adorabile e un figlio che avrebbe voluto seguire le sue stesse orme: avrebbero passato il Natale dalla famiglia di lei, in montagna, lontani dal chiasso con cui si riempiva Londra nel periodo natalizio.
David, l’unico soldato nerd in circolazione, aveva conosciuto una ragazza in rete in uno di quei pochi momenti in cui non era troppo stanco per poter fare un saluto in webcam alla famiglia. Aprì per sbaglio una chat room in cui conobbe Georgia, una giovane studentessa di informatica che si appassionò subito alla sua storia, alle sue invenzioni e al suo essere terribilmente affascinante in divisa. Anche David, dunque, aveva un valido motivo per rientrare, giacchè avevano concordato di conoscersi ad una fiera di informatica che approfittava del periodo natalizio per proporre offerte vantaggiose agli appassionati del campo.
A Logan e Bruce, invece, non importava molto del Natale, quindi decisero di usufruire delle ferie per occuparsi ciascuno del proprio hobby preferito oltre a quello comune delle belle donne: il primo la pesca, il secondo gli sport estremi. Avrebbero passato il primo mese separati, dedicandosi al gentil sesso, per poi incontrarsi in Norvegia, dove entrambi i loro differenti e secondari passatempi erano attuabili e conciliabili.
Infine Matt, che era troppo giovane per avere una famiglia, fremeva per tornare a casa e riabbracciare le due sorelline minori che spesso piangevano per la lontananza del fratellone che era “in un posto lontano e pericolosissimo”. Prima di congedarsi e recuperare il borsone da terra, John gli si avvicinò, chiedendogli di seguirlo per qualche istante. Zach li seguì con lo sguardo, ma non disse nulla, rinnovando gli auguri al resto del gruppo.
“Dove mi porti Capo? Hai deciso, finalmente, di accettare la mia sfida? Vuoi farmi un regalo di Natale con la tua sonora sconfitta? Ehhhn?” propose Matt per l’ennesima volta e a quel punto John annuì, dirigendosi verso la sala comune.
“Vada per la sfida, seguimi.” aprì la porta della sala comune dove, a lato, c’era un piccolo angolo dedicato allo svago, in cui spiccavano un calcio balilla, mazzi di carte, scacchiere, bersaglio e freccette. John si avvicinò proprio a quel tabellone, da cui staccò i dardi che si erano salvati dai numerosi lanci dei soldati.
“Capo! Mi stai forse prendendo in giro?” esclamò Matt sgomento, che già aveva preso in mano la pistola “Ehi io voglio batterti col ferro o con il fucile!”
“Innanzitutto non dare per scontato che mi batteresti anche con le armi da fuoco. E poi per quello che dobbiamo fare vanno meglio le freccette: è questione di mira anche qui, mira, tocco, precisione. E poi non ho intenzione di sprecare proiettili, si pagano coi soldi dei contribuenti, sai?” lo redarguì John, che cedette la metà dei dardi al giovane soldato.
Matt sbuffò, principalmente deluso dalla sfida, ma poi sorrise, divertito comunque dall’idea di fronteggiarlo: per lui era tutto un gioco “Tanto ti batto anche qui!”
“Si, si, certo, come no.” sbuffò noncurate “Allora, sei contento di rivedere la tua famiglia? Immagino non siano contenti che tu sia qui, sei così giovane...” John la prese alla lontana, testando la reazione di Matt di fronte ad una domanda personale.
“Sono molto felice! Soprattutto di riabbracciare le mie piccole Rose e Amelia, che mi mancano più di tutti! Beh, certo anche mamma e papà! E anche il mio cagnone Goofy!”
“Goofy? Sei serio?” lo interruppe John.
Matt fece spallucce, iniziando a muovere il braccio destro avanti e indietro, prendendo la mira in direzione del tabellone “Ehi, era il mio cartone animato preferito da piccolo!” lanciò la prima freccetta, ma non diede abbastanza forza al tiro, così il dardo finì miseramente per terra “Mh, questa era di prova eh!” si giustificò, raccogliendolo velocemente.
“Prima e ultima prova.” ammiccò John, che invece, col primo tiro, ottenne un punteggio accettabile, a metà tra il centro e il limite del bersaglio.
“Tu invece perchè non parti? Non hai tipo, che so, qualche parente? Non avevi una sorella?” Matt tirò fuori la lingua, sbilanciandosi avanti e indietro per prender meglio la mira.
“Io e mia sorella non andiamo molto d’accordo, preferisco rimanere qui. A Londra ormai non ho più nessuno.” e mentre Matt si stava ancora ciondolando, tirò la seconda freccetta che si avvicinò un poco di più al centro “E poi qui c’è anche Zach, mi spiacerebbe se rimanesse qui da solo.”
Matt si bloccò di fronte al nuovo tiro di John che in quel momento era in vantaggio su di lui “Eh sì, è cresciuto in un orfanotrofio, anche lui non ha nessuno.”
“Ma potrebbe averlo.” John ne approfittò per introdurre il discorso: mise a segno il terzo tiro, per poi alzare lo sguardo su Matt che bloccò per qualche istante i propri movimenti, per poi lanciare con irruenza la freccetta che toccò in modo scorretto il tabellone, finendo a terra.
“Mannaggia!” imprecò mentre si avvicinava a raccoglierla “Beh, Capo, saranno cavoli suoi, no?” glissò, non sicuro di che cosa John fosse al corrente.
“Sai Matt, io ero un maledetto idiota che pur di non ammettere l’idea di avere una relazione con un altro uomo, vuoi perchè ho avuto un’educazione rigida, vuoi perchè temevo l’opinione degli altri, vuoi perchè avevo paura, ho finito col perdere la persona più importante della mia vita. E no, non posso rimediare alla situazione perchè lui è morto.” disse John molto chiaramente, senza alcuna esitazione. Tirò con molta forza la quarta freccetta, conficcandola quasi interamente nel tabellone “Noi facciamo un lavoraccio, Matt, noi rischiamo la vita tutti i fottutissimi giorni, quindi il mio consiglio è di mandare a quel paese tutti gli stupidi dubbi che affollano la tua buffa testolina e lanciarti. Vivi più che puoi, perchè se dovesse capitarti di perdere la persona più importante che hai senza avergli confessato che lo era, e magari facendolo avresti potuto cambiare il corso degli eventi, beh, credimi, a quel punto ti punirai per tutto il resto della tua vita.” strinse la quinta freccetta con una forza tale da ferirsi appena la mano con la punta del dardo.
Non appena ebbe finito il discorso inspirò profondamente, per poi spostare lo sguardo dal tabellone al viso di Matt che non aveva osato aprire bocca, se non per manifestare il proprio stupore. Non riuscì a replicare neanche quando John concluse, completamente interdetto, sia dalla confessione del dottore che dal suo non troppo velato consiglio.
L’espressione di John si sciolse quando notò l’evidente imbarazzo di Matt: gli si avvicinò, consegnandogli la quinta freccetta “Facciamo che questa volta non era valida, la prossima però non ti concederò sconti, va bene?” posò la mano sulla spalla del giovane, stringendogliela appena “Passa un buon Natale, Matt. Divertiti con le tue sorelline.” e si allontanò, come per uscire dalla stanza.
“Dottore, aspetta.” chiamò Matt, che finalmente aveva sciolto il nodo che gli attorcigliava la lingua. John si fermò, attendendo il giovane soldato che lo fiancheggiò ben presto, dato il suo lungo passo.
“Prenditi... prenditi cura di Zach mentre sarò via.” chiese a bassa voce, nascondendo le mani in tasca e lo sguardo sul pavimento. Quindi aggiunse, con un tono di voce che non aveva mai sentito uscire dalla bocca di quel giovane mattacchione: era un sussurro, ma raggiunse prepotentemente il cuore e la mente di John, poichè era carico di commozione, dolcezza e gravità “Mi dispiace per la tua perdita.”
John gli sorrise con affetto: aveva ragione Zach, era impossibile non affezionarsi a quel ragazzone spontaneo e giocoso.
“Sù, forza, ora torna a dire qualcuna delle tue cavolate o gli altri Mastini pensaranno che ti ho preso a calci nel sedere. Anche se, beh, tecnicamente a freccette ti ho preso a calci nel sedere.” ridacchiò mentre, uscendo dalla sala comune, si riavvicinava al gruppo in partenza.
“No, no! Non hai voluto finire la partita quindi, tecnicamente, la partita è nulla, ecco!” si impettì prima di esplodere nel ringhio dei Mastini quandò si riunì fisicamente agli altri, spuntando alle spalle di Zach il quale lo accolse con un sorriso, contagiato dall’allegria di Matt.

I Mastini iniziarono a salire sull’aereo militare che li avrebbe riportati in patria e John sorrise nel vedere Matt trattenere Zach in un lungo abbraccio che sciolse solo perchè richiamato all’ordine.
John e Zach osservarono l’aereo partire, agitando appena il braccio fintanto che i volti rimasero in vista al di là dei finestrini, quindi, quando il velivolo fu in cielo, il giovane soldato sgomitò il medico.
“L’hai minacciato di morte?” chiese sottovoce.
“Gli ho solo spiegato il significato della parola priorità.” borbottò mestamente.
John e Zach risero assieme per poi rientrare insieme nella sala comune del campo.



   
 
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