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Autore: _joy    04/04/2012    1 recensioni
E – diciamocelo – cosa sarà mai una mail importante nell’ordine delle priorità dell’universo?
Ordine che ha fatto sì che oggi Ben Barnes – BEN BARNES – sia seduto a pochi metri da me?
Gin/Ben
[Serie "Forever" - Capitolo I]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
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Io adoro la colazione.
È uno dei momenti migliori della giornata. Certo, se muori di sonno, fuori piove e stai per andare al lavoro senza sapere a che ora uscirai la sera e in quali condizioni… no, non è molto bella.
Ma se sei in una villa sui colli toscani, su una terrazza baciata dal sole del mattino, con una tavola imbandita nemmeno fosse una mensa reale, con un venticello che ti accarezza i capelli e – ciliegina sulla torta – Ben Barnes che ti sta imburrando una fetta di pane?
Allora è la perfezione. Il massimo. Il paradiso.
Sospiro felice e raccolgo le gambe sotto di me. Sono seduta sul dondolo e mi schermo gli occhi con la mano, mentre guardo il panorama.
«Tieni» dice una voce – la sua voce – alle mie spalle.
Mi volto e sorrido a Ben, mentre gli prendo di mano il piatto con il toast che mi ha preparato.
«Grazie!»
Mi guardo attorno e vedo Francesca, ancora timida e sulle sue, che sta tagliando una fetta di crostata, mentre Tommaso le versa un the. Lui le bisbiglia qualcosa e lei ridacchia. E arrossisce.
Ah, che giornata interessante che si prospetta. Li guardo socchiudendo gli occhi. Poi guardo Ben: anche lui li sta fissando con un sorrisino. Si volta verso di me, i nostri occhi si incontrano, e credo di aver trovato un Cupido alleato. Bene, molto bene.
«Ginevra, ti va un the?» mi chiede Tommaso.
«Non chiamarla Ginevra: la chiama così solo il capo. O io o le sue amiche se siamo arrabbiate con lei. E lei vuole un succo, la mattina. ACE, se c’è» Francesca lo corregge, scherzosa, e mi fa l’occhiolino.
«Ginny, ti va un bicchiere di succo ACE?» ride Tommaso.
«Grazie, sì» ma sto troppo comoda seduta qui.
Guardo Ben implorante.
«Ben, per favore, mi prendi il bicchiere con il succo?»
Lui sorride.
«Ti ho imburrato già il toast…»
Lo guardo con i miei migliori occhi da panda supplichevole.
«Ben, tipregotipregotiprego, mi prendi il bicchiere con il succo? Ti prego? Per favore?»
Lui sbuffa, scherzosamente. Ma io non demordo e gli faccio un sorriso.
«Tipregotiprego…?»
E Ben cede e si avvicina al tavolo. Tommaso scoppia a ridere.
«Brava Ginny, fallo correre. Il signorino è abituato a essere servito e riverito dalle donne. È ora che cambi atteggiamento»
Ah sì?
«Non è vero» dice subito Ben.
«Tzè. Il coccolatissimo Ben Barnes» Tommaso lo prende in giro. «Coccolato dalle assistenti sul set, dalle giornaliste, dalle partner attrici… »
Francesca interviene, probabilmente preoccupata che la sottoscritta esploda come una bomba atomica nel bel mezzo del terrazzo.
«Davvero, Ben? E tu…ti fai coccolare?» domanda.
«No, per niente» le risponde Ben.
«Dai un po’ sì…» attacca Tommaso, ma Ben lo guarda male e lui si interrompe.
«Ehm… dai sto scherzando, Ben. Ginny, scherzo, davvero»
Perché guarda me? Sono rimasta a bocca aperta? Mi affretto ad abbassare gli occhi sul toast.
«Non è vero che mi faccio coccolare, ma me lo meriterei. Soprattutto oggi» dice Ben «Visto che qualcuno mi ha svegliato… » mi porge il bicchiere e mi sorride.
«Lo hai svegliato, Ginny? »
«Tecnicamente, lo ha svegliato mia mamma, che mi ha telefonato»
«Ah» dice Francesca, allegra «Come sta tua mamma?»
«Bene. Voleva sapere se ero viva, visto che non la chiamavo da due giorni. Fatto impensabile per noi, come ben sai» le strizzo l’occhio. «Grazie» dico poi a Ben, prendendo il bicchiere. Lui resta in piedi accanto al dondolo.
Francesca ride.
«Davvero! Mai vista una coppia di amiche come te e tua mamma. Però…» si mordicchia un labbro, pensierosa. Poi mi rivolge un ghigno da Stregatto. Oddio, cosa sta tramando?
«Non è giusto che tu te ne stai lì seduta tutta comoda, servita e riverita dopo che hai svegliato Ben, poverino.» gli strizza l’occhio.
«Meno male che qualcuno mi dà ragione» si lamenta scherzosamente lui. «Vedi, ascolta Francesca – mi dice – e fammi le coccole: ora tocca a te»
«Cosa? No! Mi hai solo imburrato un panino» ribatto, facendo la superiore. Ma dentro fremo.
«Ingrata!»
«Pigrone!»
«Bambini, smettetela» fa Tommaso.
Io mi raddrizzo sul dondolo e mi guardo attorno.
«Ma Luca non era davanti alla tv?»
Ben scoppia a ridere e si lascia cadere seduto vicino a me.
«Guarda che diceva a noi due…»
«Ah…Bè? Perché ti sei seduto?» gli do una spintarella scherzosa. «Io ho ancora fame. Mi tagli una fetta di torta?»
«Nemmeno per sogno. Hai ancora il toast. Che ti ho preparato io.» fa il broncio «E anche io ho fame…»
«Poverino» dico, sorridendo, e stacco un pezzetto del mio toast. «Tieni»
Lui non fa nessun gesto per prenderlo, ma apre la bocca. Lo imbocco e lui mi dice subito:
«Ancora»
Scoppio a ridere.
«Ben, sei peggio di Luca»
«No, è che ho fatto un toast buonissimo»
Lo imbocco ancora. Oddio, potrei facilmente farci l’abitudine.
«Mmmm…se lo dici tu» lo prendo in giro.
«Apprezza i suoi sforzi, Ginny. Lui in cucina è un disastro» mi dice Tommaso.
«Ma imburrare un panino mica è cucinare!»
«Invece sì!» esclama Ben, scandalizzato.
Rido ancora: si può essere più felici di me ora?
«Quindi, se ti chiedo di prepararmi, che ne so… un tiramisù, una pizza…»
Ben mi guarda smarrito.
«…un petto di pollo alla griglia, un risotto…un piatto di pasta in bianco?»
Lui resta zitto. Francesca e Tommaso ridono.
«Ma Ben!» gli dico, incredula «Un piatto di pasta in bianco! Dai, sa prepararlo chiunque!»
«Non è vero!» fa lui, testardo. «Io sono inglese, e noi la pasta non ce l’abbiamo. Una volta ho provato, ma faceva schifo! Si vede che non era buona!»
«Ma ti credo» ride Tommaso «L’hai tenuta nella pentola per venti minuti almeno! Era colla!»
Io gemo.
«Non c’è niente di più schifoso della pasta scotta»
«Brava» approva Tommaso.
«Ginny è bravissima in cucina» mi appoggia Francesca.
«Non è vero» dico subito io «So fare solo i dolci. E qualche primo»
«Mmmm, dolci!» fa Tommaso «Allora, devi cucinare per noi! »
«Ok. Fra però mi aiuta» ribatto io e, visto che lei mi guarda male temendo un mio doppio fine “cupidesco”, io aggiungo precipitosamente: «Con i secondi se la cava benissimo»
«Bene» dice Ben «Intanto, mi dai ancora un po’ di toast?»
Sospiro, fintamente esausta, e riprendo a imboccarlo. Lui mi si avvicina un po’. Quasi ci tocchiamo. Io sono in apnea, praticamente.
«Dobbiamo organizzare a Milano, mi sa» dice Francesca, tenendo gli occhi bassi, come se non fosse importante. La amo. La voglio sposare. «Noi domani ripartiamo… Intanto, Gin: stai trascurando Ben» e mi fa la linguaccia.
Ben borbotta qualcosa in approvazione.
Ah sì?
Mi sposto verso di lui e annullo la minima distanza rimasta tra noi. I nostri corpi, fianco a fianco, combaciano e io sono quel tanto più bassa di lui che mi permette di poggiargli la testa proprio tra spalla e collo. Lui inarca un sopracciglio, ma non dice niente. Avvicino quel che resta del toast alle sue labbra e lui china la testa e lo mangia.
A me è passata la fame: se potessi stare così ad ogni pasto, diventerei magrissima nel giro di un mese. Ho trovato la mia dieta ideale! Non mangiare, per imboccare Ben Barnes. Perfetto.
Peccato che lui si sia spazzolato tutto quel che rimaneva del toast in un morso solo. Bevo un sorso di succo e poi gli avvicino il bicchiere alle labbra. Beve anche lui.
E adesso?
«Non è che ti alzi tu per prendere la torta, vero?» chiedo.
«Non ci penso proprio!» ribatte.
«Lo sapevo» sospiro. «Pazienza. Finita la colazione»
«No Gin dai! Ho fame! Dai, alzati. Per favore.» stavolta me li fa lui, gli occhi da cucciolo. E sono micidiali. Mi sto quasi alzando. No, no no! Ferma!!! Orgoglio, innanzitutto. Coccolato dalle donne, eh? Io, di norma, mi alzerei. Stavolta, piuttosto tagliatemi le gambe.
Mi stringo un po’ più a lui. La sua guancia poggia sulla mia testa.
«Inutile. Sto troppo comoda.»
E chiudo gli occhi. E sento il suo braccio attorno alle spalle.
«Dai Gin, per favore» mi sussurra all’orecchio.
Oddio, ma si rende conto che potrei morire?
Mi rifiuto di aprire gli occhi perché di sicuro farei qualcosa di estremamente stupido, tipo fissarlo come un pesce lesso. O saltargli addosso davanti a tutti, in alternativa.
La sua mano si posa sui miei capelli e lui comincia ad accarezzarmeli. Oh, mamma mia.
«Fra, ci porti una fetta di torta? Anzi, due? Per favore?»
Scoppio a ridere.
«Ma sei tremendo!»
Apro gli occhi e mi allontano un po’, a malincuore. Lui però non toglie la mano e mi guarda perplesso.
Gli sorrido.
«Ora torno. Solo la torta?»
«Anche un altro toast, del the e un uovo, grazie» mi fa un sorriso micidiale.
«Oddio, colazione continentale? No, niente da fare. Solo dolci» gli strizzo l’occhio.
Mi alzo e arraffo dal tavolo quanta più roba posso: io da quel dondolo non mi alzo più! Riempio due piatti al volo, buttandoci dentro di tutto. Tommaso, che si è alzato per riempire il piatto di Francesca, mi guarda basito.
Mi rifiondo sul divano, mettendo i piatti accanto a me. Scelgo una fetta di crostata e la porgo a Ben. Lui dà un morso e, intanto, mi circonda con il braccio. Io mi appoggio a lui. Mentre Ben mangia, butto un’occhiata veloce a Francesca e Tommaso. Lei è seduta su una sedia, dritta come se avesse ingoiato una scopa, e guarda fisso il suo piatto. Testona. Lui, invece, sta comodamente seduto in poltrona, ma, palesemente, vorrebbe emulare me e Ben e dividere la colazione con lei, solo che non sa come fare. Per sua fortuna, ha un angelo custode. Anzi, due. I suoi nipotini fanno capolino in terrazza e si avventano sul tavolo della colazione.
In un attimo, sembra passato un terremoto. Tommaso e Francesca accorrono per salvare piatti e tazze. Anche Ben fa per alzarsi, ma io gli metto una mano sulla spalla e lo spingo giù.
«Lascia fare a loro due» gli strizzo l’occhio.
Lui sorride.
«Giusto. Che ragazza intelligente.»
Si allunga sopra di me per raggiungere il piatto, sceglie un biscotto e me lo avvicina alle labbra.
Ussignùr.
La mattinata si fa interessante. Molto interessante.
Do un morso e lo guardo negli occhi. Anche lui mi guarda.
È … non lo so.
Non so cosa dire. Vedo solo i suoi occhi. Io pensavo di avere gli occhi scuri, ma in confronto ai suoi sono niente. Quasi non si distingue la pupilla. Ecco cosa si intende per occhi neri. Ho sempre pensato che fosse un’esagerazione, prima di guardare negli occhi di Ben.
Ho lo stomaco annodato. Vorrei alzarmi e ballare il can can, il waka waka, qualunque cosa.
Ma ovviamente non è il caso.
Opto per un altro morso al biscotto. Ben mi passa un dito sulle labbra.
Io tremo – letteralmente, tremo - e lui se ne accorge. Fa un mezzo sorriso.
Io vorrei reagire con uno scatto del tipo “Questo sorrisetto cosa vorrebbe dire? Non penserai che io muoia per te solo perché sei il ragazzo più bello del mondo?” , ma siccome io letteralmente muoio e sono sicura, assolutamente sicura, che lui sia il ragazzo più bello del mondo, non mi sembra il caso. Non mi fido a parlare, inoltre. Direi sicuramente una qualche cavolata di cui mi vergognerei per il resto della vita.
Per la prima volta in quasi 28 anni di vita, non sento il bisogno di esternare le mie emozioni parlando. E io non sto mai zitta, mai.
Capite che è una rivelazione, una cosa di una portata indicibile.
Uno tsunami.
E non mi sembra nemmeno il caso di stare troppo a pensarci: cavalca l’onda Gin!
Mi accoccolo vicino a lui e gli circondo la vita con un braccio. Lui si stringe subito a me.
«Vuoi mangiare qualcos’altro?» mi sussurra.
Io annuisco.
Non ci posso credere. Non posso credere che tutto questo stia capitando a me.
A me, Ginevra Morelli.
Cos’ho fatto per meritare una dono del genere?
Va bè, ci penserò dopo. O magari domani.
Ben mi accosta alle labbra una fetta di torta Margherita.
«Chi cucina, in questa casa?» gli chiedo sorridendo prima di addentarla. Buonissima.
«Un po’ Tommaso e un po’ Livia. Questa però è del fornaio. E poi ci sono io» scherza.
«Ah, bè, allora…» lui mi tira una ciocca di capelli.
«Ehi. Guarda che non ti do più niente da mangiare»
Lui fa per protestare e muove la mano con la quale tiene ancora la torta. E così facendo mi copre di zucchero al velo.
«Ah!!!»
«Oh, scusa!» scoppia a ridere.
Ecco, vedi. Ecco la compensazione universale all’attimo di beatitudine di poco fa.
Quanto sembrerò scema, da uno a dieci? Undici, scommetto.
Ma Ben posa il resto della torta e mi passa una mano tra i capelli. Peggio: zucchero ovunque. Io me lo tolgo dal viso e lui mi passa una mano sulla maglietta.
Ehm.
Questo non doveva farlo. Era una carezza, più che un tentativo di togliere lo zucchero.
Lui esita un attimo e poi posa di nuovo la mano, delicatamente, sulla mia spalla. Con il pollice mi fa una carezza sulla pelle, tra la spalla e il collo.
Oddio. Oddio, oddio, oddio!!!!!!!
Lascio perdere il tentativo di sistemarmi i capelli (mezzi bagnati, con lo zucchero…voglio vedere che casino avrò in testa!) e lo guardo con gli occhi sgranati.
Lui sembra voler dire qualcosa, poi ci ripensa.
Io chiudo gli occhi per un attimo.
«Ben…»
«Sì?»
«Io…»
«Tu?»
Ma perché ho aperto la bocca? Cosa voglio dire? Cosa sto per dire? Accidenti a me, non lo so. Non ne ho proprio idea.
«Ehm… ti lavo la maglietta, dopo, così te la ridò pulita»
Geniale, a dir poco.
Lui sorride e mi posa il palmo della mano sulla  guancia.
«No, tienila. Sta meglio a te che a me.»
Non direi proprio. Ma penso anche che non me la toglierò più. La metterò anche al mio matrimonio. Con lui, chiaramente.
Io…non so cosa fare.
L’ho già detto?
L’ho già detto, sì.
Comunque, non riesco a stare ferma per cui agisco d’istinto: mi sporgo in avanti e lo abbraccio. Gli poso la testa sulla spalla e gli stringo le braccia al collo. Lui mi circonda la vita con le braccia e mi stringe. E mi culla piano.
«Penso che potrei passare la giornata ad accarezzarti i capelli» mi sussurra.
Io certo non te lo impedirei.
Faccio correre una mano sulla sua schiena. Sono quasi in venerazione. Non mi sembra possibile.
Ora mi sveglio. Mi sveglio e mi trovo nel mio letto.
 
Ma pare di no.
Ben  è sempre qui.
 
Sento che mi scosta leggermente da sé. Alzo gli occhi e lo vedo fissarmi con un’espressione da infarto. Dolce, dolcissima.
«Chi l’avrebbe mai detto, che in questo posto avrei trovato te»
Eh?
EH????
Ah, lui lo dice? E cosa dovrei dire io??
Accenderò ceri e candele in chiesa da qui al giorno del giudizio.
Quel che temo è di avere un’espressione da beota stampata in faccia. Ma non so come fare a togliermela. Insomma, queste cose non succedono nel mondo reale.
A me, poi.
Ma la mano che stringo nella mia è vera, calda. Reale.
Intonerei l’Inno alla Gioia, non fosse che sono stonata come una campana. E che l’Inno alla Gioia è senza parole.
Ben mi sfiora la fronte con le labbra e mi fa appoggiare con la schiena allo schienale del dondolo. Poi gli dà una spinta per farlo muovere e mi accarezza il viso.
«Hai ancora fame?» sorride.
No, veramente sono impegnata a capire se il mondo si è capovolto o è solo il mio stomaco che fa le capriole. Ma tant’è.
Gli passo una mano tra i capelli.
«Sì» bisbiglio, piano.
E continuiamo a imboccarci a vicenda, abbracciati, finché non finiamo tutto quello che avevo messo nei piatti (alla faccia!). Io mangio persino un toast con la marmellata di albicocche, che proprio è una cosa che non mi piace. E mi sembra ambrosia. Il che la dice lunga sullo stato di beatitudine del momento.
Poi ci guardiamo attorno e scopriamo solo in questo momento che ci hanno lasciati soli.
Ci sdraiamo vicini sul dondolo e restiamo abbracciati e immersi nella luce del sole. Io gli accarezzo piano l’avambraccio, con la punta delle dita, e lui mi nasconde il viso nell’incavo del collo.
Occhio, che mi fai stramazzare per terra.
In tutto ciò, io sono sempre muta. Per chi mi conosce è impensabile. È il record mondiale del silenzio di Ginevra Morelli.
Ben sembra leggermi nella mente e dopo un po’ mi dice:
«Sei silenziosa»
«No» sorrido, accarezzandogli una guancia «sono incredula»
«Perché?»
No, Gin, no. NO.
Sono tassativamente vietate frasi tipo:
“Oh, bè, perché tu sei Ben Barnes” ;
“Oh, perché io fino all’altro giorno baciavo le tue fotografie che prendevo su internet, sai com’è…”;
“Oh, come cazzo è possibile tutto questo???”
 
Pensa. Per una volta nella vita, prima di parlare pensa.
«Perché…anche io in questo posto ho trovato…te» dico, esitante «E pensare che non volevo venirci, in trasferta»
Lui ride.
«Per fortuna hai cambiato idea»
«Per fortuna il capo mi ha obbligata, vuoi dire»
«Ah. Stai dicendo che devo offrirgli un caffè, come minimo?»
«Una cena! Almeno, voglio dire»
Scoppiamo a ridere e Ben mi bacia di nuovo la fronte, sussurrando piano un “già”.
Dopo pochi minuti, o forse è un’ora, o un attimo solo (non lo so, non ci capisco più niente), sentiamo una voce alterata che si avvicina.
«…Assolutamente irresponsabile. Cosa pensavi che avrei detto? Torno e mi dici una cosa del genere! Perché, perché non ci hai chiamati?»
Ben si alza a sedere di scatto. Io lo imito, ma siamo sempre mezzi intrecciati sul dondolo quando Livia e Tommaso passano davanti alla portafinestra. Lei è arrabbiatissima.
Ci vede e per un secondo la sua espressione è incredula. Poi torna a concentrarsi sul fratello e si acciglia di nuovo. Poi un’ombra passa loro accanto e viene verso di noi.
È Colin Firth. Ammazza, se è alto.
Fa anche un po’ paura, a dirla tutta, con quel cipiglio.
Si rivolge a Ben in inglese e io non capisco mezza parola, se non il nome di Matteo (nel frattempo ci siamo messi seduti, se non altro: non è molto bello che ci trovino aggrovigliati sul loro dondolo, oltretutto dopo aver scoperto che il figlio ieri notte è finito all’ospedale).
Ben gli risponde calmo e dopo un po’ il suo tono tranquillo sembra fare effetto. Colin allenta i pugni serrati e si passa una mano sugli occhi. Ben gli mette una mano sulla spalla. Mi fa una carezza al volo e spinge Colin verso l’interno della casa.
Io resto sul dondolo. Cerco di sporgermi per guardare all’interno, ma sento le voci sempre più lontane. Dopo un po’, il viso di Francesca fa capolino dietro le tende.
«Ah, eccoti»
«Fra» bisbiglio «Dove sono tutti?»
«Di sopra, credo. La mamma e il papà di Matteo e Luca sembrano parecchio incazzati»
E ti credo, che bel rientro a casa.
Ma siccome noi sappiamo che è andato tutto bene, per fortuna, ci dedichiamo alla nobile arte del pettegolezzo.
«Ma tu e Ben…» mi fa lei, gli occhi scintillanti.
«Sìììììììì!!! Fra, io non lo so, non so come sia possibile, non ci credo ancora, ma…ma…cioè, io…. Oddio, sto impazzendo. Com’è possibile, come, che proprio io nel mondo sia così fortunata?»
«Ma Gin! Che vuol dire? Perché non dovresti essere tu? Insomma, siete così belli insieme. E sembravate così dolci prima… ad un certo punto ci siamo sentiti – come dire – di troppo» poi ride «Luca continuava a chiedere dello zio e della zia, perchè stavano sul dondolo di fuori e non dentro casa con noi»
Rido, felice come mai nella vita.
«Fra, mi ha detto che gli sembra incredibile aver incontrato…me. Cioè, ma ti rendi conto?? Tre giorni fa me lo sognavo la notte, l’altro giorno l’ho chiamato coglione… sono due giorni che balbetto come un’idiota appena ce l’ho davanti…com’è possibile che gli piaccio?!»
«Io te lo avevo detto! Hai visto? Anche Tommaso lo pensa, ne sono sicura: hai sentito quando lo prendeva in giro perché si fa “coccolare” e poi ha smesso dicendo a te che scherzava?» Francesca è talmente orgogliosa, che mi sembra di aver compiuto un’impresa tipo scalare l’Everest a mani nude. Con la differenza che di scalare l’Everest non me ne frega niente, mentre di Ben…
Ridiamo insieme, spensierate.
Francesca mi sta chiedendo per la centesima volta se la colazione mi ha soddisfatta e se ho ancora fame (è proprio maliziosa, quando ci si mette), quando appare Livia.
Ci zittiamo al volo e ci alziamo per salutarla. Lei è un po’ pallida e sembra nervosa, ma ci sorride e ci dice:
«Ah, ecco le due ragazze per cui mio fratello e Ben continuano a venire in quel paesello sperduto a sentire conferenze di filosofia»
E riesce persino a dirlo scherzosamente, anche se si vede che è ancora tesa.
Noi arrossiamo, ma mentre io faccio un sorriso idiota, Francesca balbetta qualcosa di incomprensibile.
«Mi dispiace che ieri abbiate passato una serata non troppo piacevole»
Non si dispiaccia: non sa che bel risveglio ho avuto io oggi!
Non lo dico, ovviamente.
Le diciamo che ci mancherebbe, eravamo solo preoccupate per Matteo, ma lui per fortuna sta bene. E che ha due figli meravigliosi. E che Tommaso e Ben sono due bravissimi zii (il secondo è acquisito, ma è bravo lo stesso), sai mai fosse inferocita con loro.
Lei sorride, dice che lo sa (meno male) e ci offre un caffè. Io sono già abbastanza iperattiva, ma accettiamo.
Ci sediamo in terrazza e iniziamo a chiacchierare quando squilla il cellulare di Francesca. Lei impallidisce.
«È Arnaldo» mi bisbiglia.
No!!!
Francesca risponde al telefono, dopo poco lo copre con la mano e mi chiede qualcosa su una mail che ho scritto ieri.
«Sì, sì…no, certo, sì, stai tranquillo. Sì. Ginevra mi dice di sì. Davvero, tutto ok. Va bene, ne parliamo tra poco. Sì…»
I ragazzi escono sul terrazzo con Colin, che ha Luca in braccio. Matteo corre dalla mamma. Mi fa un gran sorriso mentre le si arrampica sulle ginocchia e io gli faccio una carezza sulla fronte. Ha un cerotto che gli copre i punti. Coline Livia si guardano e…accidenti, se sono una coppia innamorata. Si vede solo a guardarli. Lei gli sorride e lui si rasserena e… sembra un’altra persona. Le si avvicina per poggiarle una mano sulla spalla e si gira verso di me.
«Non ci siamo presentati. Sono Colin» mi dice piano, per non disturbare Francesca, sempre al telefono.
Mi alzo per stringergli la mano.
«Ginevra, piacere»
«Tommaso mi stava giusto parlando di te» scherza lui, ma sembra così serio che per un attimo non capisco se è una cosa positiva o no.
Tommaso sghignazza.
«No, è Ben che ti parlava di lei»
Sia Ben che Livia allungano una mano per dargli uno scappellotto ma lui si sposta verso Francesca e la prende per i fianchi per usarla come scudo. Lei, però, si agita talmente – anche perché ha addosso gli occhi di tutti - che commette un errore madornale.
La sentiamo dire al cellulare:
«Ehm…sì. Cioè, no. No…perché non siamo in paese. Cioè…»
«No, Fra!!!» le faccio un cenno, ma la frittata è fatta.
«COSA???» sento il ruggito di Arnaldo da qui. «Cosa vuol dire che non siete in paese? Dove cazzo siete, si può sapere? Voi non potete andarvene in giro, voi qui state lavorando!!!»
Francesca è impallidita e non sa cosa dire. Stavolta siamo veramente nei guai. Tommaso le toglie il cellulare di mano e cerca di calmare Arnaldo. Che però è talmente incazzato che non sente ragioni. La telefonata finisce con la minaccia che se non siamo lì entro mezz’ora, possiamo anche fare direttamente la valigia. E che ce la ricorderemo, questa giornata.
Ben mi mette una mano sulla spalla. Io quasi non me ne accorgo.
Merda, che brutto modo di scendere dalle nuvole.
Mi alzo e inizio a scusarmi con Livia e Colin. Luca mi tende le braccia e dice al padre:
«Voglio andare da zia»
«Da…zia?»
Oddio. Abbiamo lasciato Colin Firth di stucco.
Luca mi indica, Ben e io siamo rossi come due peperoni. Ma c’è di peggio.
All’improvviso sentiamo un urlo selvaggio. Francesca strappa il cellulare dalle mani di Tommaso e gli grida che lei è perfettamente in grado di cavarsela da sola, che lui non è la sua balia, né sua madre, né suo padre e che diavolo credeva di fare mettendosi in mezzo con il capo?
Oddio, Fra, zitta.
Tommaso è senza parole. Noi non sappiamo dove guardare. Lei marcia in casa e sparisce.
Guardano tutti me. Io non oso guardare Tommaso, che sembra un cane bastonato.
«Ginny» mi dice «Scusa. Io… volevo solo dare una mano…»
«Ma che dici, non ti devi scusare! Lo so che volevi dare una mano. Lo apprezzo, davvero. Anche Fra. Solo che – ehm – non se ne rendo conto, al momento»
Poi aggiungo:
«Magari vado a cercarla. Così poi andiamo. Scusate»
Ben annuisce e mi dice che ci riaccompagnano loro. Tommaso fa sì con la testa.
Coraggioso, però, il ragazzo.
 
Trovo Francesca nel bagno dove ci siamo lavate prima, in lacrime. Chiudo la porta e mi siedo vicino a lei. Le passo una mano sui capelli.
Lei singhiozza.
«Sono stata coooosì… stronza»
Mi mordo un labbro per non ridere.
«Bè, in effetti sì. Ti voleva solo aiutare. Perché hai reagito così?»
«Non lo so…non ci ho capito più niente! Arnaldo gridava, io ho detto una cazzata, i genitori di Matteo e Luca penseranno che siamo matte… oddio, c’era Colin Firth in terrazza!» dice d’un fiato.
Rido. Non riesco a trattenermi.
«Ah, ecco. Tutto si spiega. Colin Firth ti ha mandata in palla. Bè, è sposato. Però suo cognato è single e sembra interessato… scherzo, scherzo!!!!»
È capace che mi tira un pugno, per come sta questa mattina.
Ci metto un po’ a convincerla a uscire dal bagno (dice che si vergogna troppo), ma quando le ricordo che dobbiamo presentarci al lavoro o sono guai (più grossi di quelli in cui siamo al momento, cioè), schizza in piedi come un razzo.
Ben e Tommaso ci aspettano fuori, vicino all’auto. Francesca rifiuta di guardare Tommaso e mi si appiccica addosso, come a dire di non lasciarla sola.
Scusa, Fra, lo faccio per te (e per me, anche).
Vado da Ben, gli circondo la vita con le braccia e gli do un bacio su una guancia. Lui mi stringe e per un attimo ci siamo solo noi due e nessun altro.
«Se volete, scappiamo» dice Tommaso, e scherza solo in parte.
«Non è una cattiva idea» mi bisbiglia Ben.
Sorrido e ci avviciniamo alla macchina abbracciati. Io salgo e c’è un braccio di ferro di sguardi tra Francesca e Ben per chi può sedersi vicino a me.
Ma il mio principe azzurro, inutile dirlo, vince.
La guarda e le dice: «Mi siedo io vicino a Gin, ti dispiace?»
Francesca non può dire di no e si siede davanti, vicino a Tommaso. Io e Ben ci abbracciamo. Lui mi accarezza i capelli e io riesco persino a rilassarmi. Peccato il tragitto sia così breve.
Quando arriviamo, i ragazzi insistono per accompagnarci. Noi non vorremmo, soprattutto per evitare l’imbarazzo di farli assistere a una delle celebri scenate di Arnaldo. Loro sono irremovibili.
Tra parentesi, sono le 9. Nemmeno fosse mezzogiorno. Orario di lavoro perfetto.
Peccato che questo non plachi la belva.
Appena ci vede, ruggisce: «Rassegna stampa sul mio tavolo in due minuti. Filate.» poi guarda i ragazzi e scandisce: «E voi due, fuori dai piedi. Non voglio vedervi qui attorno per nessuna ragione»
I ragazzi immediatamente si irrigidiscono.
«Scusi, ma questo è un posto pubblico» dice Tommaso. «Noi stiamo dove ci pare e piace. Lei, piuttosto, stia attento a quello che fa con le ragazze, o ne risponde a noi»
«Io me ne frego di attori famosi e quant’altro. Voi avete fatto abbastanza danni distraendo le ragazze. Sparite di qui, è meglio»
Dovrei stare zitta per non inasprirlo, lo so. Già il fatto che parli così a Ben, mentre ieri avrebbe baciato la terra su cui cammina, è segnale chiaro del fatto che l’allarme incazzatura è sul rosso fisso.
Ma non ci riesco.
«Stai passando il limite» gli dico, e il tono della mia voce è talmente freddo che quasi non lo riconosco. «Io e Francesca siamo due persone e, come tali, frequentiamo chi ci pare, dormiamo dove ci pare e con chi ci pare e la nostra vita privata non ti riguarda, a patto che non interferisca con il lavoro. E non lo fa.»
C’è un attimo di silenzio in cui Arnaldo mi fissa con uno sguardo di puro odio.
Ben mi si avvicina e mi mette un braccio attorno alle spalle.
«Tu qui non ci rimani» scandisce, con la mascella contratta.
«Ben…»
«No. Gin. Tu qui non ci rimani.»
Guardo Francesca, pallida e silenziosa. Tommaso è nervoso quanto Ben e ha i pugni serrati. Oddio, non è che arrivano a mettersi le mani addosso?
Fra pensa la stessa cosa, credo, perché mi sussurra:
«Ginny, andiamo, non mettiamoli in questa situazione»
Lo so che ha ragione. Ci manca solo che faccio finire Ben sui giornali. “Attore famoso picchia capo rompicoglioni e lo manda in ospedale”
Anche se…
Sospiro, e poso la mano sulla spalla di Ben. Lo faccio voltare verso di me, ma lui, testardo, evita il mio sguardo, perché sa già cosa sto per dirgli.
Mi allontano con lui di qualche passo e gli poso le mani sulle guance.
Oddio, quant’è bello.
«So cosa stai per dirmi. Sono scema»
«No, ma non capisco come fai a sopportare una persona così maleducata e prepotente. Insomma, non esiste che per lavorare una persona si faccia trattare così»
È un discorso che ho sentito mille volte. Dai miei, dagli amici.
«Ben. Lo so. Ma cosa posso farci? È il mio lavoro. E lui è compreso nel pacchetto.»
«Ginevra, non è per forza così. A me non sta bene che tu faccia un lavoro in cui consideri normale che ti trattino con maleducazione. Come quella giornalista il giorno in cui ci siamo conosciuti. Ma che tu resti qui, con un tizio del genere per me è inconcepibile!»
Ahia. Fa più male di uno schiaffo.
Ma perché non capisce? Mica tutti siamo attori famosi trattati con i guanti. O viviamo in ville megagalattiche con piscina. La maggior parte di noi ha un lavoro di merda, non ha una casa o fa una vita di merda.
Almeno, a me tocca solo la prima di queste tre opzioni. Sono molto più fortunata di tanti altri.
Però lo so che, nel profondo, Ben ha ragione. E so anche che non sono felice. Inutile negarlo.
Ma io detesto mollare, mi sembra un’ammissione di debolezza. Non ci riesco, è più forte di me.
La mia indecisione mi si legge in faccia, credo. Mi mordo un labbro per non mettermi a piangere come una scema, davanti a tutti. Ma lui se ne accorge e, immediatamente, i suoi occhi si addolciscono.
Mi stringe tra le braccia e mi accarezza la schiena, finché non sente che mi rilasso.
«Se avete finito…» il tono di Arnaldo gronda sarcasmo.
Io inizio a contare fino a dieci (ma penso che dovrei arrivare almeno a cento), ma Ben mi dice ad alta voce:
«Io resto qui, Gin. Per qualunque cosa chiamami. Non mi muovo di qui.»
Ragazzi, ho trovato il principe azzurro.
Ben si china verso di me e mi bacia sulla guancia, vicino alla bocca.
Ehm. Mi dimentico persino di Arnaldo.
Stavamo quasi – quasi – per darci il primo bacio. Davanti al capo. Hugh.
 
Ma, mentre raggiungo Francesca e ci incamminiamo, ecco la goccia che fa traboccare il vaso.
«Oh, che bello, ecco il grande eroe» sta dicendo il capo. «Bello e coraggioso. Cosa credi, che essere un attore famoso ti renda migliore di noi comuni mortali?»
Cosa? Io e Francesca ci giriamo di scatto, giusto in tempo per vedere Tommaso che centra in pieno Arnaldo con un pugno e lo stende.
Ma non è finita qui.
Io prendo fiato, mi giro e marcio verso i ragazzi. Guardo Arnaldo, ridicolamente accucciato a terra, e scandisco:
«Sai che ti dico? Ben ha ragione. Nessun lavoro vale la mia dignità. Questo lavoro, fatto con te, tantomeno»
«Ginevra…»
«Vaffanculo» gli dico.
E poi lo lasciamo lì, per terra, a guardarci mentre ce ne andiamo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

   
 
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