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Autore: nadya94    05/04/2012    1 recensioni
Questa è la mia prima ff quindi sarei davvero felice se mi deste dei consigli su come migliorare. Ho deciso di scrivere riguardo a questa coppia magnifica, Robert e Kristen, con le dovute modifiche! Spero vi piaccia!
"Ma dove trovarla? In fin dei conti sapevo solo il suo nome. Ma perchè mi interessava tanto? L'avevo vista una sola volta e non sapevo nulla del suo carattere, nulla di nulla": ragionamento con il cervello.
"Devo trovarla": ragionamento con il cuore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kristen Stewart, Robert Pattinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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  Lo so, altro che in tempo! Ma sono  stata impegnatissima con la scuola e tutto il resto! Chiedo perdono! ;D
 Ad ogni modo, questo capitolo ha una particolarità: un flashback! Dovrebbe farvi venire in mente qualcosa!!!!
 Come sempre, non siate timidi e fatemi sapere quello che ne pensate, perchè siete voi che leggete la mia storia e la commente a darmi  coraggio e ispirazione! :) Un Bacio!



“Tutto ciò che viene fatto per amore accade al di là del bene e del male”
Friederich Nietzsche

 
 
Mia madre se n’era andata: il lavoro la richiamava ed io stavo abbastanza bene, quindi pensò che non avrei sentito molto la sua mancanza.
 
“Sei sicuro? Se vuoi resto qui”
 
“No, mamma, sto bene, non ti preoccupare per me. Piuttosto, quando mi dimettono?” domandai ansioso.
 
“Di preciso non saprei, ma il dottore mi ha detto che devono fare solo degli accertamenti: penso che per domani sarai già a casa!”
 
“Finalmente” bofonchiai. Non sopportavo più l’immobilità a cui mi costringevano tutti quegli aghi e tubicini di plastica. Avrei avuto voglia di strapparmeli di dosso con ferocia.
 
“Va bene, allora io vado. Torno stasera e ti porto qualche film Horror da vedere, che ne dici?” disse, facendomi l’occhiolino.
 
“Evvai! Così faremo scappare tutti i dottori”Non vedo l’ora!”.
 
Quel posto iniziava a darmi decisamente sui nervi.
 
“Ok, messaggio ricevuto! Mi raccomando, non fare cavolate e non stressarti troppo, lo sai che ti fa male” disse e mi salutò con un bacio sulla fronte. Aprì la porta e mi salutò ancora con la mano, per poi richiuderla e lasciarmi tutto solo a rigirarmi i pollici.
 
E adesso che faccio?! pensai tra me e me.
 
Presi in mano il telecomando del televisore che, a quanto sembrava, doveva aver visto giorni migliori per quanto era retrograda, e l’accesi. Alla fine, mi ritrovai a cambiare canale ad ogni millesimo di secondo: possibile mai che in TV mandassero in onda sempre le solite cazzate?! Non riuscivo davvero a capire come facessero quello stuolo di teenagers (che in comune con me dovevano avere solo l’età) a stare ore ed ore incollate allo schermo della TV a guardare quelle fiction smielose e prive di denso etico o pratico. Non si rendevano conto che la vita è diversa? Che non sono tutte rose e fiori, che la gente non è sempre pronta ad aiutarti…Che l’amore non è a portata di mano, non è mai scontato né banale. Non è mai come pensi che sia: ti prende e ti sconvolge la vita, come un uragano, illuminando ogni altro pensiero e stabilendosi nel tuo cervello per sempre.E non ci sono vie di scampo, scappatoie tramite le quali trovare un rifugio da quell’imperversare di emozioni. E’ tutta lì la sua forza: è una guerra interna tra razionalità e sensibilità, tra cervello e cuore. E potete scommetterci che il cuore non si arrenderà facilmente.
 
Preso dalle mie riflessioni e più nervoso che mai, spensi di botto quel dannato aggeggio infernale, non senza lanciare un paio di imprecazioni.
Diamine, ma che cavolo mi prende?!

Intanto, non avevo minimamente sentito che la porta della mia stanza si era aperta e che era entrato qualcuno. Me ne accorsi dal rumore di passi leggeri che si stavano pian piano avvicinando al mio letto. Credendo che fosse una delle solite infermiere, non mi girai e tenni fisso il viso alla finestra della stanza.
“C’è qualche problema?” dissi, mantenendo un tono di voce freddo e distaccato, sperando che capisse che non avevo voglia di fare conversazione con lei.
“Forse è meglio se ritorno un altro giorno, non mi sembri dell’umore giusto”
Ma…c’era qualcosa di strano in quella voce: non era di un’infermiera, no, affatto.
Mi riecheggiava ancora nella mente, la ricordavo, desideravo risentirla ancora. Diamine, era Kristen! Non feci in tempo a girarmi che lei già aveva messo le mani sulla maniglia della porta. col chiaro intento di andarsene. No, non andartene!
“Kris, fermati!” Okay, avevo quasi urlato come un assatanato, non so se rendo l’idea!
Si girò all’istante e si voltò a guardarmi.
“Sicuro che non disturbo?”e accennò ad un piccolo sorriso.
“Ma no, figurati… Ero un po’ nervoso, credevo che fossi una delle infermiere. Scusa per come mi sono comportato prima”
“Non ti preoccupare. ma si può sapere cosa diavolo ti è successo?”. Cercava di mantenere un aspetto rilassato, ma una piccola rughetta le si era formata sulla fronte.

Era preoccupata? Per me?

“Ehm, non mi ricordo molto in realtà. Sono tornato a casa dopo averti parlato e…” e mentre dicci ciò avrei giurato che fosse arrossita alle mie ultime parole “ho trovato la porta aperta: sono entrato e mi hanno aggredito alle spalle, per poi lasciarmi a terra, dove mi ha ritrovato mia madre. E adesso mi trovo qui ad annoiarmi a morte!”
“Mio Dio, non sai quanto mi dispiace” e sapevo che non era solo una di quelle tipiche frasi convenzionali, sfornate al momento e adatte a quella situazione. Sembrava davvero preoccupata…per me.
Dovevo ammetterlo, il buon umore stava ritornando a tutta velocità!
“E pensare che dovevo farti da giuda” sospirai sconsolato.
“Vero! Me n’ero dimenticata. Bhè, per quello si può sempre rimediare. Londra non scappa da nessuna parte!” scherzò.
“Magari quando mi dimettono, il che penso sarà domani”. Mi si illuminarono gli occhi all’idea di portarla nei miei luoghi preferiti, mostrarle dove passavo il tempo, a quali ricordi quei luoghi erano legati.
“Meno male! penso che l’aria che si respira qui non ti faccia tanto bene. Per quel poco che ti conosco, non pensavo che potessi diventare così elettrico!”
Arrossii da capo a piedi per quell’affermazione.
“Sc-scusa. Forse hai ragione, non mi fa bene. E’ che è stressante essere costretto all’immobilità e sapere che in realtà sto bene e potrei benissimamente muovermi senza difficoltà se non  fosse per questi aggeggi. E poi..”
“E poi?” mi chiese, aspettando che terminassi la frase.

E poi pensavo che tu non saresti venuta e non sai quanto sono felice di vederti, quanto vorrei stringerti tra le mie braccia e baciarti dolcemente.

“E poi odio ciò che si mangia in questo posto” scherzai. Che cretino!

E la frase che hai pensato dove è andata a finire? Perché non gliel’hai detta?

Perché ero così felice che fosse venuta che non volevo rischiare di rovinare quel momento, ecco perché.
Da quando mi ero svegliato, tutto quello a cui avevo pensato era stato al suo viso e ora me lo ritrovavo davanti: ero l’uomo più fortunato della terra. Fortunato e sfortunato al tempo stesso: fortunato perché è raro trovare una persona che sappia farti battere il cuore così velocemente, sfortunato perché mi stavo ormai convincendo che forse lei non ricambiava ciò che provavo per lei. Si, era venuta, si era preoccupata per me, ma tutto questo non lo fa anche una buona amica? E poi c’era ancora la questione irrisolta del suo passato: perché non voleva parlarmene? Perché continuava a tenersi chiusa a riccio?

“E se ordinassimo una pizza?” suggerì lei.
“Yep! E’ da anni che non ne mangio una! Certo che si!”
“Mmm, gusto preferito?”
“La mitica ortolana! Si, lo so, non è quella che si dice la più salutare, ma mi viene l’acquolina in bocca solo a pensarci. La tua?”
“Sembra inquietante ma..è anche la mia preferita!”
“Allora ordiniamo!”

Prese il cellulare dalla tasca dei jeans, che le fasciavano le gambe lunghe e snelle. Mi ritrovai a fare pensieri abbastanza censurabili su di lei: al solo pensiero arrossii improvvisamente e saprai solo che non se ne fosse accorta. Dopo una breve telefonata, disse che la pizza sarebbe arrivata una mezzora dopo.

“Che ne dici di una passeggiata fuori? Almeno non respiri più quest’aria pesante. Non so come fai a sopportarla”
Vidi le sue mani tremare e mi chiesi perché, all’improvviso, fosse diventata così ansiosa di uscire.
“Sei mai stata in un ospedale prima’” le chiesi.
“Si, da piccola per accertamenti: ogni mese avevo sempre qualcosa che non andava. Credo di essere stata la bambina più problematica della storia! E poi l’ultima volta un anno fa…”
“Ci sei stata per molto tempo?”
“Bhè, quasi un mese”
“Allora era grave”
“Ehm…più o meno…Allora ti va?” e con un gesto del capo mi indicò la porta.
“Ecco, c’è un piccolo problema” puntualizzai, rendendomi conto che sarei sembrato davvero ridicolo.
“Quale? Scusa, magari possiamo restare qui se non ti va di andare fuori”
“No, non è per questo. E’ che…sono in pigiama!”
“Ah, non ci avevo nemmeno pensato!” e detto questo scoppiò in una risata così argentina che mi era impossibile non seguirla a ruota.

Era ammaliante, non potevo esprimere il contrario neppure fingendo. Ma in fin dei conti, lei mi riteneva un amico e io non potevo cambiare la situazione, sarebbe stata una mancanza di rispetto nei suoi confronti. La capivo: mi era capitato un paio di volte di essere nella stessa situazione. per fare un esempio, pochi mesi prima avevo istaurato una conoscenza con una ragazza, Tanya, che viveva con alcuni miei parenti in Canada. Passavo sempre le vacanze estive lì e le visite si erano intensificate dopo la morte di mio padre: E lei… bhè, lei era stata un sollievo per me, mi aveva aiutato a scrollarmi almeno in parte delle zavorre che tentavano di farmi ricadere in basso, verso quel non-luogo privo di emozioni e vitalità e che costituiva l’oblio dei miei incubi. Passavamo giornate insieme, parlando del più e del meno, passeggiando tra i boschi di conifere e sempreverdi che attorniavano la piccola casa in montagna di mio zio, che aveva adottato Tanya quando era ancora piccola. Erano stati momenti preziosi per me, momenti in cui avevo avuto la possibilità di riscoprire me stesso: lo devo ammettere, il merito era tutto suo. Anche lei si era aperta con me. Mi aveva raccontato della sua infanzia travagliata; i genitori appartenevano entrambi ad una classe sociale medio-bassa, ma non era questo quello che costituiva un problema: erano tossicomani. Provavo ancora dei brividi lungo la schiena quando ripensavo a quel giorno in cui mi aveva raccontato tutto.
Ci trovavamo sulla collina situata proprio di fronte alla casetta e da lì potevamo assistere ad un tramonto stupendo, che accarezzava i nostri volti, quasi a testimoniarci che, anche se ci sentivamo dei derelitti a cui tutto era stato tolto, persino le lacrime, non eravamo soli, avevamo ancora una speranza.
“Avevo sei anni quando la mia vita si distrusse” esordì, senza che io le chiedessi nulla.
“Stavo giocando con una bambola di pezza che mio padre mi aveva regalato in uno dei suoi momenti sobri e, all’improvviso, le si ruppe un braccio. Incominciai a piangere, sperando di attirare l’attenzione dei miei genitori, ma sentivo solo silenzio. Corsi per tutta la casa, fino a quando non raggiunsi la loro camera da letto. Sembrava… sembrava che dormissero. Avevano entrambi una siringa appoggiata sul letto: ero abituata a vederle, ormai pensavo che fosse una cosa normale, una routine quotidiana. Quello che non riuscivo a capire era perché il loro petto non si alzasse e si abbassasse, come di solito facevano sotto il ritmo del loro cuore. Ma non lo facevano, non respiravano più, capisci?”

Si girò a guardarmi, gli occhi pieni di lacrime. Ero colpito, colpito dal suo racconto, dalla sua forza d’animo, dal suo coraggio che l’aveva portata ad andare avanti, a non arrendersi sotto i colpi infertele dal destino. Il resto della storia mi era noto grazie a ciò che mi aveva spiegato mio zio: era finita in un orfanotrofio ed era proprio lì che lui l’aveva trovata. Aveva deciso di prenderla con sé perché quella luce nei suoi occhi, quello scintillio di speranza era sempre stato presente in lei, nonostante tutto.
Col passare del tempo, però, sentivo che lei si stava avvicinando sempre di più ed io iniziavo a chiedermi se fosse giusto assecondare il sentimento che iniziava a provare, se fosse quello che davvero sentivo di fare. Ma più scavavo al mio interno, più capivo ciò che desideravo realmente, più mi rendevo conto che per me Tanya era una sorella; avrei fatto di tutto per renderla felice, non avrei mai voluto essere la causa di una sua lacrima, mai. Così, avevo preparato le valigie e, con una scusa abbastanza plausibile, l’avevo salutata sotto la pioggia, cercando di non far trasparire il mio tumulto interiore, di essere allegro e spensierato, così da lasciarle un lieto ricordo di me. Era il minimo che potessi fare.

Ma adesso? Se Kristen provava lo stesso sentimento che io stesso avevo provato per Tanya, cosa avrei mai potuto fare? Ci sarebbe mai stato un modo per riuscire a dimenticarla?

Intanto, arrivarono le pizze e, felici come bambini, l’addentammo con golosità, fino a quando scoppiammo entrambi a ridere per la nostra voracità. Ad un certo punto, mi imbambolai guardando le sue labbra: erano piccole e… perfette, non c’era altro modo per descriverle. Carnose, ma non troppo, semplicemente invidiabili. Mi ritenevo fortunato, dato che ero riuscito a carpirle ed accarezzarle almeno una volta: peccato che, una volta provate, non riuscivo più a farne a meno. Non so quanto tempo rimasi a fissarle, o meglio non mi resi conto di essermi imbambolato fino a quando lei, forse a disagio, mi chiese:
“Ho qualcosa tra i denti?”
Tipico di Kristen: invece di pensare di essere la più bella sulla faccia dell’universo, metteva in risalto solo quelli che a lei sembravano difetti, in realtà INESISTENTI. Quella che si dice” autostima zero”.
“No no, certo che no!”
“E perché mi fissavi?”
“No, non ti fissavo, stavo semplicemente pensando”
“A cosa?”
“Bhè, che sono felice di averti conosciuta ed eternamente grato a Jane Austen” dissi io, cercando di scherzare, ma cosa vieta che colui che scherza dica il vero?(cit. Orazio)
“Cavolo, la Austen! Oh no, non ho ancora finito di leggere il libro e domani ho il test! Mi sa che mi toccherà fare la notte”
“Ma no, ti aiuto io! Hai davanti a te la persona giusta al momento giusto: si dà il caso che io l’abbia letto tutto ( modestia uccidimi!) e che sono disposto a raccontarti come va a finire…ad una sola condizione”
“Quale?” chiese, incuriosita e titubante.
“Ci scambiamo i numeri di cellulare, altrimenti come posso farti sapere il giorno in cui avrai l’onore di avermi come guida a spasso per Londra?” Potevi inventarti una scusa migliore Robert!
“Ecco… non saprei… e va bene, affare fatto” sbottò, fingendo un’aria sostenuta.
Non le avevo neanche dato il tempo di accettare la mia proposta che già avevo afferrato al volo un post-it ed una penna e le avevo scritto il mio numero.
“tieni, questo è il mio numero. Magari poi mi mandi un messaggio per farmi sapere il tuo” le dissi, porgendole il foglietto.
“Certo. Ma ora che ho scontato il debito, tocca a te fare la parte dell’insegnante!”
“Non mi metta fretta, signorina Stewart. Allora, a che punto è arrivata  nella sua lettura?” replicai, entrando completamente nella parte dell’insegnante.
“Fammi pensare… Ah, giusto, ora ricordo: Lidya, la sorella di Elizabeth, era scappata e tutta la sua famiglia era preoccupata. Direi che sia una parte un po’ noiosa”
“No, invece è importantissima! Alla fine si scopre che Lidya è scappata con Wickham”
“Wickham?! Ma cosa diavolo le è preso?”
“Questa è quasi la stessa reazione che ho avuto io quando lo lessi. Era tipo TROLL FACE”
“Ah ah! Non l’avrei mai immaginato!”
“Si, e si sposano anche. Ma secondo te chi è che riesce a portare tutto alla normalità? Chi è che…ama così tanto una donna da cambiare per lei e far di tutto affinché sia felice?” dissi l’ultima parte così velocemente che temevo che non avesse sentito.
“Darcy..”
“Yep! Ed è lì che credo che Elizabeth si accorga di amarlo profondamente. Ma lo ammette a se stessa solo quando Lady Catherine le fa visita”
“Proprio quella! Non la sopporto: ammanta la sua ignoranza con una patina di superbia dovuta solo al suo titolo e non alla sua vera personalità”
“Già, ma la odierai di meno adesso: era andata a chiedere ad Elizabeth di lasciare stare Darcy perché lui era promesso sposo di sua figlia. Però, in realtà, in questo modo Elizabeth capisce che non può far nulla contro la parte di lei che la spinge contro Darcy. Perché l’amore è più forte di noi, più forte di qualunque altra passione. Alla fine Darcy ritorna dai Bennet e le chiede di nuovo di sposarlo: stavolta Elizabeth accetta ed entrambe le sorelle, Elizabeth e Jane, vivono insieme alle persone che amano”
“Che dire, è una bella storia; peccato che nella realtà sia tutto molto più difficile”
“Si, è vero. Però se in questa dannata vita c’è qualcosa che desideriamo, qualcosa a cui non vogliamo dire addio, dobbiamo cercare di raggiungerla. E chi ti dice che un giorno non ci riusciremo?”
“La fai troppo semplice. In questadannata vita quello che desideriamo scappa via. E’ il destino crudele di chi nella vita ama, cerca, spera. Il suo destino è quello di vedere frantumarsi tutte le sue speranze”
“No, non è sempre così. Le speranze non vanno in frantumi, non se non smetti di amare, credere, sperare

Stava per replicare, quando la porta si aprì ed entrò mia madre, sorpresa di vedere una ragazza davanti a me.
“C-ciao mamma, questa è una mia compagna di classe” dissi, sperando di non sembrare un ebete con manifesti problemi di sanità mentale.
“Piacere di conoscerti!”
“Il piacere è tutto mio… Robert, io dovrei andare adesso. Sono contenta che adesso stai meglio: ci vediamo a scuola”
“Si, certo! E..Grazie”
Si girò, lasciandomi in dono uno dei suoi splendidi sorrisi e poi si dileguò come era venuta. Aveva una propensione a scappare unica nell’universo.Era per colpa mia?
Intanto mia madre, dopo avermi raccontato le solite cose riguardo al lavoro in ufficio, iniziò a farmi domande incalzanti, del tipo:Ma quanti anni ha? Com’è la sua famiglia? Che lavoro fanno i suoi genitori?
Domande a cui non sapevo rispondere: non ne sapevo niente e me ne rendevo conto solo in quel momento; non potevo far altro che rispondere a monosillabi e mezze parole.
Mentre mia madre si perdeva nei meandri di non so quale discorso, sentii il mio cellulare vibrare sul mobiletto vicino al letto. Allungai stancamente una mano, convinto che fosse uno di quei soliti messaggi promozionali.
Era un numero che non conoscevo.
Battiti, forti, sempre più veloci, i miei.
Lessi avidamente.
 
 
Anche io sono felice di averti conosciuto,
Kris
 
In quel momento, sarei andato all’inferno solo per poterla rivedere ancora.

   
 
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