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Autore: ViolaNera    05/04/2012    3 recensioni
«Digli addio anche tu. È al limite.»
Non vorrebbe darlo a vedere, ma sussulta a quelle parole.
Addio.
Dire addio.
Non vuole dire addio. Non può farlo. Non è... pronto.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Islanda, Norvegia, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Apre gli occhi di soprassalto e si porta immediatamente la mano tra i capelli sparsi sul cuscino. Ha il cuore nelle tempie, impazzito, ed il respiro accelerato dall'incubo appena concluso. Un incubo tremendo, il solito, che dichiarare “finito” è quanto di più erroneo possa fare.

Perché si può definire incubo qualcosa che è realmente accaduto? O vale solo per le paure più nascoste? Che cosa importa, quando al risveglio non cambia niente?

Per lui, che in quell'incubo continua a viverci, non conta dare una definizione al termine, ma sa che ci sono molte ossessioni in quello che sogna e che non è un semplice e cronico rivivere l'evento.

Perché non è andata proprio così.

Non ha detto a Danimarca di amarlo nemmeno dopo che se n'è andato, nemmeno dopo essere rimasto a fissare il suo corpo senza più anima. Non l'ha sussurrato neanche al letto vuoto, vero? Non ne è stato capace. Ha il dubbio di non aver fatto assolutamente nulla di quanto continua a sognare; dirglielo fino allo sfinimento, nei sogni, non serve a nulla.

Sono passati così tanti anni che non è nemmeno sicuro di averglielo sentito dire. La sua debole mente potrebbe aver costruito quel ricordo a regola d'arte, infarcendolo di speranze e desideri mai dichiarati. Essere nel cuore di Danimarca, essere il suo ultimo pensiero, essere amato al punto tale da tenerlo in vita finché non gli avesse detto addio. Chi può dire cos'è vero e cosa frutto di un cuore spezzato e una mente devastata, alleati per continuare a torturare la sua esistenza.

Lancia un'occhiata obliqua alla sveglia e apprende che sono le tre del mattino. Molto tardi o molto presto. Ha importanza?

Accende la luce senza la voglia di rispondersi, si alza e ciondola per casa fino alla cucina per prepararsi un caffè, chiedendosi oziosamente se debba considerarlo l'ultimo del giorno passato o il primo di quello appena iniziato.

Nuovo giorno.

Un altro senza Danimarca e le sue mani invadenti, sempre pronte a toccarlo e ad appiccicarsi a lui, ghermendolo per la manica e stritolandolo.

Non si rende conto di essere immobile con un'espressione assurda dipinta in faccia, un misto tra cordoglio e felicità. Il viso non sa se sorridere o piangere, semplicemente, è indeciso e bloccato davanti a quel ricordo, quella sensazione ancora tanto potente come fosse appena accaduto. Un suo caldo abbraccio.

Torna inflessibile e scuote appena il capo, accendendo la macchinetta e prendendo la sua tazza con gesti automatici. Si domanda se quel vuoto, un giorno, si chiuderà anche solo parzialmente. Se Danimarca è destinato a mancargli per sempre con la stessa intensità del primo momento in cui gli è morto sotto gli occhi, rimpiangerà per tutto il resto della vita di non averglielo mai confessato?

Sì, anche senza la premessa. Il grande segreto è sepolto assieme ai suoi capelli biondi.

Ah, quei capelli. Quanto gli piaceva passarci le dita per ore, mentre gli dormiva con la testa sulle gambe. Si lamentava che erano ossute, ma chissà come non voleva mai un cuscino, lo scemo. Erano le uniche occasioni in cui si permetteva di toccarlo in quel modo, protetto dal suo sonno profondo e quindi libero di lasciarsi andare. Gli piaceva vegliare il suo riposo.

E le mani. Quelle maledette mani, quanto gli mancano.

Di nuovo, non per la prima volta in quei lunghi anni, sale a posarsela al centro della testa lasciandola lì, ferma. Chiude gli occhi e finge che sia la sua. Ignora con tutto se stesso la consapevolezza di avere un braccio alzato, anche quando il muscolo comincia a tirare.

Immagina che sia in piedi, ritto dietro di lui, entrato in cucina poco dopo. Costruisce mentalmente il suo pigiama abbottonato male e i capelli sparati di lato, schiacciati sulla tempia. È così reale da far male.

Buongiorno, Nor! Siediti, ci penso io! Però ne bevi un po' troppo, sai?

Apre la bocca per rispondere a tono, qualcosa di acido del tipo che il caffè può prepararselo benissimo da solo, che c'è da premere un dannato bottone e che non sono affari suoi di quanti ne beve, che badi alle birre che infestano il frigorifero ogni volta che disgraziatamente lo ospita.

Apre e chiude la bocca, senza che un singolo suono faccia la sua comparsa.

Si ritrova il viso bagnato di pigre lacrime che filtrano attraverso le palpebre abbassate. Le labbra continuano a muoversi, lasciando sfuggire deboli soffi d'aria.

«Sì, ti prego. Preparamelo», sussurra infine con voce spezzata, prima di chinare la testa e riabbassare la mano per aggrapparsi al ripiano, contrastando la vertigine. «Hai voglia di cucinare, per caso? So che è notte fonda, ma i tuoi biscotti non sarebbero... non sarebbero male... è tanto che non li fai, Dan.»

I miei biscotti? Ma se ti sei sempre lamentato di tutto il burro che ci metto! Sei strano, Nor! Non ammetti mai che ti piacciono!

«Hai ragione, ma sono davvero buoni. Non lo ripeterò una seconda volta, quindi non esaltarti. Dan, puoi farli per me? È troppo tempo che li aspetto.»

Se ci tieni tanto mi metto subito all'opera! Sono contento, Nor! Hey, vuoi aiutarmi?

«Lo sai che non sono capace.»

Non importa, ci divertiamo lo stesso!

«Non lo dirai quando faranno schifo», esala stringendo più forte il bancone vuoto.

Sì, invece. Mi fa piacere che tu me li abbia chiesti. Grazie, Nor.


È patetico.

Patetico parlare da solo con una voce fantasma che si origina senza controllo, patetico stare male perché sa che quelle frasi sarebbero esattamente quelle pronunciate da Danimarca ed illudersi, proprio a causa di quella capacità di evocarlo, di avere ancora un contatto con lui.

Non c'è.

Potrebbe immergersi nell'oceano, andare al centro della Terra, prendere uno shuttle diretto alla Luna: Danimarca non esiste in alcun luogo, tranne nel proprio cuore. Sono sempre insieme, così? No, errore. È ancora più solo, lasciato ad immaginare dialoghi a senso unico e a bramare una mano che non può né sfiorarlo né preparargli alcunché. Non più.

E poi, già, ci sono i video. Gli stramaledetti video.

Video di tutte le occasioni che Sealand ha sempre voluto filmare quando si ritrovavano a festeggiare qualcosa con Finlandia e Svezia, oppure andavano tutti insieme da qualche parte. Se c'era Sealand c'era sicuramente un video, dopo, anche di una semplice gita al lago. Il bambino ha sempre fatto delle copie per loro e una parte di Norvegia vorrebbe non l'avesse mai fatto.

La prima volta che si è ricordato dei video è stato a causa di Islanda.

Non avrebbe voluto che il fratello indugiasse in quelle scene irripetibili di loro felici, ubriachi ed imbarazzanti. Con Danimarca, soprattutto. Non gli sembrava giusto spiare un passato morto.

Islanda non aveva detto niente quando si era avvicinato durante la visione di uno di questi; si era semplicemente spostato di qualche centimetro per fargli posto davanti allo schermo. Norvegia si era seduto accanto a lui, sul tappeto, ed insieme avevano guardato il video del Natale dell'anno precedente e poi altri, altri, altri, sempre in religioso silenzio.

In seguito, aveva iniziato a guardarli anche da solo. Il dolore era lì, sempre pungente, sempre pronto a spaccarsi in migliaia di schegge e a riformarsi in un unico blocco di pietra pulsante, che si rispezzava con la stessa intensità del primo giorno ad ogni crudele, bellissimo fotogramma.

Aveva scoperto con pacata meraviglia l'utilità del tasto pausa e del rallentatore. Aveva speso ore intere a guardarlo ridere, dire cose senza senso, ballare su un tavolo con Finlandia e far ondeggiare il sedere sotto lo sguardo tremendo di Svezia, il quale cercava di recuperare il più ubriaco affinché non si facesse male.

Da solo, senza rischio di essere visto, aveva commentato, insultato, disapprovato, pianto in silenzio, sfiorato lo schermo in corrispondenza della sua guancia o della fronte. Gli sembrava che ricambiasse gli sguardi e si dimenticava anche di mangiare e bere pur di stargli accanto in quel modo e farsi guardare.

Improvvisamente poteva rivederlo ogni qualvolta avesse voluto farlo, poteva sentire la sua voce e rispondergli togliendo il volume subito dopo una sua frase, in modo da simulare un vero scambio in tempo reale. Aveva finito per imparare tutto a memoria.

Non poteva toccarlo né sentire in cambio il calore del suo tocco. Non poteva sistemargli un ciuffo afflosciatosi davanti ai suoi occhi comicamente incrociati, come il Norvegia nello schermo stava giusto facendo, anche se poteva ricordare nettamente la sensazione del gesto.

Col tempo si era reso conto che quella non era una soluzione né una cura o un balsamo.

Era uno straziante tormento, ma era tutto ciò che gli restava.

   
 
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