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Autore: WendyAddams    06/04/2012    0 recensioni
Continuazione della serie "Formiche"
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                         Lucciole
Claudio sedeva su quella panchina da mezz’ora. Erano quasi le sette di sera e i giardinetti erano quasi deserti, eccezion fatta per un terzetto di bambine che si divertivano a costruire fatiscenti castelli nella sabbionaia. Più in fondo, i loro genitori sedevano attorno ad un tavolino fuori dal bar, intenti a fumare e a sorseggiare aperitivi alla frutta. Era fine ottobre ormai, ed erano pochi gli avventurieri a rimanere all’aperto anche a quell’ora. Iniziava a fare buio presto, e quell’autunno non prometteva certo temperature gradevoli. L’aria si stava facendo pungente; gli adulti richiamarono le bambine. Dovevano mettersi sciarpa e berretto, se volevano continuare a giocare. Ma le tre creaturine dimenticarono paletta e secchiello quando il cameriere portò le patatine fritte che i genitori avevano ordinato per loro. A quel punto, Claudio no poté fare altro che fermarsi e alzare gli occhi dal foglio. Per mezz’ora, senza sosta, la sua matita a carboncino aveva continuato a scivolare sul foglio, ora disegnando ampie, dolci curve, ora vibrando leggermente per punteggiare i più minuti particolari, ora correndo avanti indietro in rapidi e decisi movimenti, per ricreare sfondo e sfumature in chiaroscuro. E proprio mentre stava per terminare il ritratto, ecco spostarsi i suoi soggetti. Tutto sommato non le biasimava: era quasi ora di cena ormai, e l’odore untuoso delle patatine gli fece ricordare di avere una gran fame. Dopo avere dato un ultimo sguardo alla sua opera incompiuta, richiuse l’album e lo sistemò nella tracolla. Si avviò lentamente lungo il sentiero lastricato che portava verso l’uscita del parco, assorto nei suoi pensieri. Ad un certo punto, gli parve di udire qualcosa dietro di lui. Si voltò di scatto, ma non vide nessuno. Continuò a procedere, e questa volta sentì distintamente delle risate provenire da dietro. Due paia di gambe sottili e agili saettarono verso l’uscita, scuotendo di volta in volta tutti i roseti che costeggiavano il sentiero, e infilarono il cancello rapide come saette. Claudio sentì sganciare delle biciclette dal palo della luce, e un infuriare di pedalate, mentre il volume delle risate crebbe, cosicché Claudio poté rendersi conto, senza sorpresa, che quelle voci erano molto familiari. Si immobilizzò, con la tracolla che gli penzolava di lato in maniera teatrale; l’inizio della settimana sarebbe stato infausto.
 
Come da previsione, il mattino seguente, subito dopo aver superato la soglia della IIIC, le due risate esplosero di nuovo, questa volta più vicine, e più pericolose. Claudio cercò di non badarci, e proseguì verso il suo posto in fondo alla classe con gli occhi fissi al pavimento, per evitare gli sguardi canzonatori dei presenti. Prese posto sulla sedia, un po’ troppo piccola per il suo generoso fondoschiena, e non fece nemmeno in tempo ad aprire lo zaino che qualcosa di anomalo lo costrinse a rialzare lo sguardo: la scritta pedofilo, incisa a lettere cubitali, occupava tutta la larghezza del suo banco. Questa volta anche gli altri compagni già presenti in classe presero a sghignazzare a più non posso, e tutte le loro voci messe insieme sconquassarono la testa di Claudio come dei cicloni tropicali. Mentre uno dei due pedinatori raccontava ai compagni ciò di cui era stato testimone il giorno prima con il suo compare, quest’ultimo prese posto a cavalcioni sulla sedia davanti al banco di Claudio, incrociò le braccia sullo schienale e, con aria sfacciata, cominciò  –Allora ci siamo sbagliati, Claudiolo? Credevamo tutti che fossi un finocchio, e invece ti sei fatto beccare a disegnare ben tre bambine! Quale ti piaceva di più, Claudiolo? A me quella con le trecce, anche il mio socio ha detto la stessa cosa!- Nel frattempo, alla notizia Claudiolo non è un finocchio, tutta la classe, oramai al completo, si era radunata attorno al personaggio sotto inchiesta. Il secondo socio si era stravaccato di fianco a Claudio. –Pensandoci bene però forse preferisco quella coi capelli ricci, promette di venire su meglio. Quindi a te rimane quella grassa con gli occhiali!-
-E con la faccia da bulldog!- aggiunse l’altro, rallentato dal morso di ciambella alla crema che gli ostruiva la bocca.- Ne vuoi un pezzo?- Claudio fece segno di no con la testa e tentò di alzarsi, ma il ragazzetto stravaccato di fianco a lui si tirò in piedi con l’agilità di un ghepardo, lo afferrò per le spalle e lo spinse in giù, costringendolo a risedersi.- Hai rifiutato la sua ciambella perché ti sei accorto di essere grasso, vero Claudiolo?-
-Eh si, adesso che non sei più gay e hai una fidanzata devi metterti a dieta, se no non te la darà mai!- Uno scroscio di risa alimentato da venti bocche tuonò nell’aula come il suono di un gigantesco gong, ambasciatore dell’ora fatale. Claudio non tentò nemmeno di reagire. Rimase seduto ad occhi bassi, troppo avvezzo a quel tipo di derisioni per poter fare altro che lasciarsele piovere addosso e attendere con ansia la fine dell’acquazzone. Per sua fortuna, la professoressa entrò in classe con leggero anticipo rispetto alla campanella, e tutti, di malavoglia, arrancarono verso i loro posti. Solo la coppia di stalkers si trattenne qualche istante in più.
-E comunque ricordati che quelle bambine sono troppo piccole per te.-
-Già, sei di fronte ad una scelta: o finocchio, o pedofilo.-
-Russo, Spadari, ai vostri posti, subito- gracchiò la professoressa in tono scocciato. Insieme a lei era entrato anche un ragazzo mai visto, che rimase in piedi a qualche passo da lei, guardandosi intorno con sguardo un po’ spaesato ma risoluto. –Questo è il vostro nuovo compagno di classe, Fausto Bonelli. Cercate di non farlo spaventare subito, per favore. Siediti pure qui davanti, Bonelli, così se non hai ancora i libri potrai seguire con la tua vicina di banco.- Era un tipo alto, molto magro, con i capelli a spazzola. I suoi abiti erano semplici, sportivi, ma di ottima fattura, e i suoi movimenti lasciavano trasparire intelligenza e agilità. Ciononostante, Claudio riuscì solamente a pensare che da quel giorno ci sarebbe stata una persona in più pronta a schernirlo a scuola, e i suoi sospetti parvero venire confermati dall’affiatamento nato tra il nuovo arrivato e Russo e Spadari durante l’ora di ricreazione. Cercò di non pensarci, e decise di approfittare del trambusto per tirare fuori il blocco da disegno. Tutto sommato il suo lavoro al parco non era stato così inutile: il primo piano e lo sfondo li aveva impostati in maniera soddisfacente, le ombreggiature erano a posto. Alle rifiniture e ai dettagli del viso delle bambine avrebbe tranquillamente potuto mettere mano in un altro momento, così come al drappeggio dei vestiti, con quello ormai se la cavava egregiamente. Si guardò intorno con discrezione: tutti sembravano troppo impegnati a ciondolare o a fare la fila al bancone del pizzaro, un tizio sulla trentina con un piercing bovino al naso che arrivava ogni mattina alle undici con il suo rifornimento di pizze e focacce untuose, che veniva preso d’assalto soprattutto dalle prime classi della scuola media. Quella della focaccia non era soltanto una moda, ma anche un vero e proprio business: c’erano classi in cui veniva scelto un individuo a rotazione, solitamente maschio, che andasse a prendere ad ogni intervallo la merce per la classe intera, e che a fine mese riceveva una o più pizzette in omaggio, oppure gli era concesso di copiare i compiti dalla secchiona per una settimana intera. In genere le transazioni venivano svolte in maniera abbastanza regolare e  pulita, ma in alcuni casi c’era chi si indebitava, oppure quando era il momento di rendere il resto in moneta non tornavano i conti, e allora sì che nasceva un putiferio, e ovviamente chi ci rimetteva sempre era il facchino del mese. Russo e Spadari, come il più delle volte, si erano sistemati davanti al termosifone del corridoio, proprio di fronte al bancone, a scimmiottarne la clientela in fila come tante formichine in attesa della loro razione di cibo e a scommettere su quanti quel giorno avrebbero dovuto rientrare in classe senza il loro saporito spuntino. Russo stava parlottando con Bonelli in maniera piuttosto concitata; probabilmente si stava vantando di come, due anni prima, avesse scoperto insieme al suo compare una piccola panetteria vicino alla scuola che  offriva prelibatezze più gustose, variegate e a buon prezzo di quelle del pizzaro. Questo significava una decina di minuti di tranquillità, e Claudio si sentì libero di tirare fuori dall’astuccio matita e carboncino. Doveva muoversi a finire quel disegno, ne aveva mille altri in programma. Si sistemò in ginocchio per terra, di fianco alla colonna dietro alla scalinata. Durante la settimana precedente era sempre sceso al pianerottolo del piano terra per disegnare e, incredibilmente, nessuno lo aveva mai disturbato. Ma come ben sapeva la tranquillità era un dono fugace per uno come lui, e se voleva sperare in qualche minuto di pace almeno a metà mattina, doveva continuare a cambiare postazione. Si sistemò l’album sulle ginocchia e, dopo avere dato due rapide occhiate intorno, iniziò a temperare la matita. Stava facendo proprio quello quando, quasi un anno prima, Russo e Spadari lo avevano sorpreso ad esaminare un’immagine del David di Michelangelo mentre aspettava che suo padre lo venisse a prendere dopo le lezioni. Aveva tentato di spiegare loro cosa fosse il nudo artistico, ma i due non ne avevano voluto sapere: Claudiolo doveva assolutamente essere gay, e la notizia raggiunse ogni centimetro quadrato della scuola in meno di un giorno, e da allora non c’era più stato verso di cambiare la loro versione. Non che gliene importasse gran che, ma da quel giorno, aveva iniziato a stare sul chi va là mentre temperava la matita. Non tardò ad accorgersi, infatti, che il nuovo arrivato, Bonelli, si stava dirigendo a passo svelto verso di lui, tenendo una bottiglietta di plastica in una mano e dei tovaglioli appallottolati nell’altra. Si era seduto troppo vicino al cestino della spazzatura, quella postazione non andava bene, sarebbe stato troppo esposto a seccature. Bonelli non sembrava guardare nella sua direzione, ma Claudio, istintivamente, si voltò verso la parete, chinandosi il più possibile sopra al foglio. Solo in quel momento si accorse di una svista terribile: le proporzioni del volto della bambina riccia erano vistosamente esagerate rispetto al resto del corpo. Come diamine aveva fatto a non accorgersene prima? Era un orrore! La sua mano affondò nell’astuccio, estrasse la gomma e prese a cancellare rabbiosamente, il tutto con riflesso quasi incondizionato.
-Li hai fatti tu questi disegni?- La gomma si bloccò al’istante. Claudio sentì un tonfo di panico nel petto, proprio come quando si sogna di cadere nel vuoto o nelle profondità degli abissi, e gli parve di sentire la propria temperatura corporea svettare oltre la soglia dell’ ebollizione. Nella foga del momento, gli si ammucchiarono in mente diverse strategie per affrontare la scomoda domanda di Bonelli: avrebbe potuto dire di avere trovato l’album per terra o in un armadietto, e che lo stava sfogliando per cercare indizi sul proprietario; poteva semplicemente intimargli di farsi gli affari propri, scansandolo con una spallata; poteva tentare di comprare il suo disinteresse offrendogli le golose merendine al cioccolato che teneva sempre nello zaino, oppure la banconota da dieci euro che aveva in tasca. Erano veramente tanti gli espedienti di cui avrebbe potuto servirsi, eppure non ne mise in pratica nessuno: tutto ciò che riuscì a fare fu annuire, senza peraltro sollevare lo sguardo dal foglio e voltarsi verso il perturbatore. Con uno scatto fulmineo, Bonelli scattò in avanti, spinse Claudio a lato con un vigore insospettabile per un ragazzetto così smilzo, afferrò il disegno nelle proprie mani e si mise ad esaminarlo con molta attenzione. Claudio se ne restò piegato sul pavimento, senza muovere un muscolo, inerte davanti alla scenata alla quale già diverse altre volte aveva dovuto assistere e che presto si sarebbe ripresentata in un’altra delle sue possibili sfaccettature. Chissà in che modo Bonelli lo avrebbe preso in giro. Aveva le labbra sottili, gli occhi grandi e le sopracciglia curve come l’arcobaleno. Non avrebbe tardato a riscuotere successo tra le ragazze. E nemmeno ad urlargli un insulto perché, mentre lasciava cadere lungo i fianchi la mano che afferrava l'album emise un respiro profondo, arrotondò le labbra con impeto e si preparò ad urlare qualcosa. Ma all'ultimo si trattenne: guardò Claudio, poi il foglio, poi ancora Claudio, e infine si mise a voltare le pagine dell'album. Un gemito sfuggì dalla bocca di Claudio, che scattò in piedi e ghermì il polso di Bonelli, scongiurandolo di fermarsi. -Aspetta, lasciami sbirciare un po'...Claudio, vero?- La calma e la dolcezza della voce di Bonelli lo stordirono a tal punto che solo stento riuscì a rivolgergli un cenno di assenso. Gli lasciò il braccio, e lo guardò perlustrare il suo percorso artistico di quasi due anni. La campanella suonò la fine dell'intervallo, ma il nuovo, curioso compagno di classe non si distrasse. Dopo avere terminato di ispezionare l'album, Bonelli si voltò verso Claudio e arrotolò le labbra come poco prima, ma ormai era chiaro che l'autore dei disegni non sarebbe stato insultato. -Caspita, non avrei mai pensato che uno della mia età potesse disegnare come te! Chissà mio padre, quando lo saprà....Devi assolutamente venire a casa mia, facciamo domani pomeriggio, ok?-.
 
La bocca di Claudio era spalancata ormai da diversi minuti, ma lui non diede minimamente peso a quanto la sua espressione potesse apparire ridicola. Nulla gli era mai parso tanto sublime, incantevole e affascinante quanto lo studio del signor Bonelli. Fausto lo aveva avvertito dello spettacolo mozzafiato a cui avrebbe assistito, ma Claudio si fece comunque trovare altamente impreparato.
 
 Lo studio era spazioso, ma la quantità indicibile di oggetti che lo imbottiva lo rendeva simile ad una sorta di bazar magrebino. Sugli scaffali della parete di fondo erano accatastate almeno quattro o cinque centinaia tra fumetti e manga, e buona parte sembravano essere numeri molto vecchi, pezzi degni dei collezionisti più pretenziosi. Sul pavimento, davanti agli scaffali, erano appoggiate tele di varie dimensioni: tempere ad olio, acquerello, incisioni su vario materiale, china, stampe e diverse altre tecniche che Claudio non conosceva si alternavano all’interno delle cornici nelle creazioni più disparate, tutte da mozzare il fiato. E sulle pareti, sotto il finestrone che annaffiava di luce la stanza, una quantità infinita di schizzi e di bozze, per lo più studi anatomici, ma anche vignette, storyboards, caricature, ritratti, molti dei quali con relative didascalie. I fogli erano talmente numerosi che era stato necessario aggiungere un pannello di legno pendente dal soffitto e parallelo alla parete per poterceli incollare tutti, e anche su quella oramai lo spazio scarseggiava. –Guarda un po’ là- sussurrò Fausto con delicatezza,  quasi non volesse destare Claudio da un bel sogno. Alla loro sinistra c’era un esile, alto cavalletto in legno, di quelli piegabili a valigetta -Claudio aveva sempre desiderato possederne uno-  con un panno di stoffa che celava l’opera, in via di creazione o terminata, che accoglieva. A lato, sull’ampia scrivania fornita a tutto punto di materiale per disegno artistico e tecnico, era installato collegato un computer a schermo piatto con collegata la più grande tavola grafica che avesse mai visto.
–Porc…Porc..!!- Il balbettio dell’ospite fece singhiozzare Fausto di risate. –Scommetto che non avevi mai visto niente del genere, non è vero? Mio padre è un illustratore, ha lavorato anche come fumettista qualche anno fa, e quando ha tempo dipinge.-
-Davvero?!- fece Claudio eccitato, senza riuscire a staccare gli occhi dallo storyboard a matita che occupava gran parte della parete dietro al pc. –Adesso mio padre  sta lavorando ad un cortometraggio animato- spiegò Fausto, con una punta di orgoglio nella voce. -E’ la prima volta che lo fa, quindi sta prima gli servono un sacco di prove. E’ una settimana che sta sveglio fino a tardissimo per finire…E’ bravo, eh?-
Claudio annuì con trasporto, e si spinse al centro della stanza per una panoramica più ravvicinata dei suoi fantasmagorici contenuti. –Ah, e questi non sono mica tutti i suoi disegni eh! Alcuni sono ancora nella casa vecchia, non abbiamo ancora finito con il trasloco. Mio papà dice che probabilmente di alcuni dovrà sbarazzarsene, perché questa casa è più piccola e tutti non ci stanno-.
-NO!Pazzi!- urlò Claudio con tutto il fiato che aveva in gola. Fausto indietreggiò di qualche passo, appoggiò la schiena alla porta e si massaggiò le orecchie, stordito. –Io…Scusami, ti prego, non volevo gridare, non so che mi sia preso. Volevo solo dire che….-
-…Che ti piacerebbe diventare come lui, vero?- suggerì il nuovo amico, tornando a sorridere.  Claudio annuì debolmente, con un sospiro sconsolato.- Non potrà mai succedere. Io non sarò mai bravo come tuo papà- Claudio fece una pausa. –Senti- riprese timidamente- Perché mi hai invitato qui?-
Lo smilzo lo guardò con sorpresa. Prese un bel respiro e aprì la bocca come per iniziare un lungo, impegnativo discorso; ma poi cambiò idea, e gli fece cenno di seguirlo. In alto agli scaffali della “fumetteria”,si intravedeva un vecchio quaderno sgangherato, seminascosto da foto e trofei. –Uhm, la mamma è sempre così disordinata, chissà dove caspita avrà messo la scala…- mormorò Fausto, più a se stesso che a Claudio. Nel dire ciò, si voltò verso di lui, soffermandosi sulla sua complessione massiccia. –Ehi amico, ce la fai a tenermi sulle spalle, vero?- Il sentirsi rivolgere la parola “amico” in maniera schietta per la prima volta dopo chissà quanto tempo lo fece rimanere di stucco. Tuttavia annuì energicamente, e l’altro gli montò sul dorso con la rapidità di una lucertola. Ci mise un po’ a recuperare il quaderno, ostruito com’era dai preziosi soprammobili di suo padre. Molti di quei riconoscimenti -Claudio poteva leggere benissimo da quella posizione, con occhi traboccanti di invidia e ammirazione- erano premi a livello nazionale, e alcuni arrivavano addirittura dagli Stati Uniti. –Ecco fatto- esclamò Fausto, riatterrando con un’elegante capriola.
-Wow- fece Claudio, sbalordito. Lui non era mai stato portato per l’attività fisica. Lo smilzo parve leggergli nel pensiero. –A mio padre sarebbe tanto piaciuto che io fossi bravo a disegnare, anziché a correre o giocare a calcio- sospirò, sedendosi sulla scrivania e facendo segno a Claudio di prendere posto sulla sedia. –A me piace tanto il disegno, però sono veramente negato. Tu si che sei in gamba, cavoli! E dici che non potrai mai diventare bravo come mio papà? Guarda un po’ qui. Questi sono i disegni e gli schizzi che faceva quando aveva più o meno la nostra età-. I due aprirono il vecchio quaderno ingiallito e passarono un buon quarto d’ora a sfogliarlo, in silenzio. Claudio era rimasto di stucco. Le pose, i colori, le tecniche, le sfumature, non erano poi così diversi da quelli che utilizzava lui. Quei disegni, in definitiva, non erano “meglio” dei suoi.
-Hai mai provato a pubblicare in rete?- si incuriosì Fausto. –Oh, no- rispose Claudio. –E’ che…Io non sono molto bravo a usare il computer, non me ne intendo. E poi immagino che su quei siti pubblichi gente veramente forte. Non verrei minimamente considerato…- Fausto lo interruppe con uno scroscio di risa incontrollate. –Ma che idiozie stai dicendo? Sei proprio divertente, tu- aggiunse, asciugandosi le lacrime. –“Gente veramente forte”! Tu non hai idea delle schiappe che hanno il coraggio di mettere i loro sgorbi in rete. Tu sei mille volte più bravo di loro. Mio papà dice che sempre che ai nostri giorni siamo fortunati, perché quando era giovane lui c’era poca gente che aveva accesso al web per farsi conoscere. Tu devi usarlo! Ti faccio vedere io come si fa. Tira fuori l’album, al lavoro!-
 
Claudio aveva lo sguardo perso  oltre i vetri della finestra dell’aula, nel rosa dei peschi in fiore e nel bianco spumoso delle nuvole che correvano nel cielo di quel maggio frizzante. Ormai era già passato un mese da quando Fausto si era dovuto trasferire di nuovo. Suo padre aveva trovato finalmente un incarico stabile a Torino, e una casa dove avrebbe potuto accogliere con comodità tutti i suoi disegni e le sue raccolte. –Voglio avere presto qualcosa di tuo nella mia collezione- gli aveva detto il papà di Fausto, il signor Sergio, durante il loro ultimo incontro. Claudio aveva passato soltanto alcuni mesi insieme a Fausto, eppure, da quando l’aveva conosciuto, la sua vita era cambiata radicalmente. Il signor Bonelli gli aveva prestato un sacco di libri da leggere, gli aveva consigliato tutorial da seguire, e gli aveva dato personalmente delle lezioni durante il poco tempo libero che aveva. –Hai talento, ragazzo, molto talento- gli aveva ripetuto in diverse occasioni, -non lo sprecare come ho fatto io-. E i suoi disegni avevano destato sconcerto sui siti e nei forum ai quali si era iscritto. Fausto aveva ragione: buona parte della gente che pubblicava era piuttosto scarsa in effetti, e i suoi disegni  non erano poi così male, considerando che non aveva ancora compiuto quattordici anni. A scuola continuava a non legare molto con gli altri, ma nessuno aveva più osato chiamarlo “finocchio” , “pedofilo”o “trippone”. Russo e Spadari all’inizio avevano faticato a credere che un ragazzo scherzoso, sportivo e di compagnia come Bonelli potesse diventare amico di uno come Claudio, ma con il tempo di erano abituati all’idea, e avevano cessato di infastidirlo mentre disegnava, e persino dopo che Fausto se n’era andato, non gli avevano dato noie nemmeno una volta. Pareva che avessero iniziato addirittura a portargli un po’ di rispetto. Ma la cosa più importante, senza dubbio, era che Claudio aveva iniziato a credere in se stesso. Ora era motivato, intraprendente, non si vergognava più della propria “diversità”. E guardando fuori dalla finestra, in quella giornata di fine primavera, pensò alla propria esistenza, che fino ad allora era stata come una di quelle sere d’estate inoltrata, quando l’afa è talmente asfissiante da non lasciare respirare e l’aria è statica, immobile, insostenibile. In notti come quelle, in vite come quelle, l’arrivo di una lucciola può avere un effetto magico: compare come un puntino fosco che si confonde fra le foglie, poi si avvicina e diventa sempre più intensa, catturando l’attenzione come un potentissimo magnete e allietando il respiro come un fresco mazzolino di mughetti. Poi lentamente, con sulla sua traiettoria ciondolante, com’era giunta se ne va, lasciando dietro di sé un ricordo, una speranza, una scia di luce che svanisce presto nell’atmosfera, ma che si insedia nel cuore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
               
  
  
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