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Autore: _joy    06/04/2012    2 recensioni
E – diciamocelo – cosa sarà mai una mail importante nell’ordine delle priorità dell’universo?
Ordine che ha fatto sì che oggi Ben Barnes – BEN BARNES – sia seduto a pochi metri da me?
Gin/Ben
[Serie "Forever" - Capitolo I]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
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Che strana sensazione.
Come se fosse la più bella giornata della mia vita e, insieme, la più brutta.
Sono seduta a un tavolino dell’ormai solito bar in piazza, l’unico del paese. Ho davanti un cappuccino, come se non avessi lo stomaco annodato dall’ansia e la pancia piena per la colazione pantagruelica di nemmeno due ore fa.
Alla mia sinistra c’è Francesca, ancora pallida per lo shock. Quando me ne sono andata (mi sono licenziata! Io!!), lei non ha esitato nemmeno un attimo e mi ha seguita (senza il vaffanculo finale al capo, però. Cioè, ex capo). Ma penso che solo ora stia davvero razionalizzando il passo che ha fatto. Ha le labbra strette e sta facendo a pezzetti un tovagliolino di carta. Il suo caffè, davanti a lei, è ormai freddo: non ha nemmeno preso in mano la tazzina.
Le stringo una mano.
«Tutto ok, Fra?»
Lei mi fa un pallido sorriso e annuisce.
«Ma certo che è ok!»
Tommaso, davanti a me, sta brindando a suon di crodini ed è tutto felice, nemmeno fossi io quella che rischia di prendersi una denuncia. Francesca la pensa come me, a quanto pare.
«Tommaso, non è ok per niente. E se Arnaldo ti denuncia? Lo hai steso!»
«Macchè! Figurati se uno così mi denuncia. A parte che lo vado a cercare, ma poi lo sa che ho amici “belli e famosi” che mi proteggono» fa il verso a Ben, che è seduto alla mia destra, e gli dà un pugno scherzoso sul braccio.
Ben sorride, ma gli dice:
«Dai, le ragazze non hanno voglia di sentirne parlare. Piuttosto, pensiamo a cosa fare oggi. Io voto mare»
Francesca lo guarda scandalizzata.
«Ma noi non possiamo venire al mare! Stiamo lavorando…» la voce le sfuma. Arrossisce. «Scusate, che scema.»
C’è un attimo di silenzio rotto dalla suoneria del mio cellulare. Guardo il display. Sara. È la mia coinquilina. Sospiro. Non ho proprio voglia di parlare, ora. Avrei da raccontarle milioni di cose: “Ciao tesoro! Come stai? Io bene: qui accanto a me c’è Ben Barnes che mi tiene la mano. Sì, quel Ben Barnes. Ah, ti ho detto che mi sono licenziata un quarto d’ora fa?”
Non mi sembra il caso. Al momento, non ho forze.
«Sara, ciao» rispondo «Scusa, ma non posso parlare. Ti richiamo io, va bene?»
«Non riattaccare!!!!» mi grida.
Sospiro ancora.
«Ok, spara. Ma veloce.»
«Abbiamo un problema.» pausa drammatica. Sì, quale? Le si sarà rotta la piastra.
Va bene, sono odiosa. Le voglio bene, è che a volte fa drammi per cose stupidissime. E poi non lavora, quindi non si rende conto di cosa significa non poter stare al telefono una mattina a lamentarsi di come l’estetista le ha fatto la manicure.
Detto  questo, è una brava ragazza. Viviamo insieme da due anni e siamo diventate amiche.
«Che problema?» tento di armarmi di pazienza.
«Ehm… non abbiamo più una casa.»
Cosa?
«Cosa?»
«È passata quella stronza della proprietaria e ha fatto un casino sulla storia del tavolo. Di nuovo.»
La nostra terza coinquilina, Anna, sta traslocando in questi giorni perché non sopporta la padrona di casa, che in effetti è una pazza maleducata che non so dove abbiamo trovato, ma la casa è decente e non costa troppo, per cui ce la facciamo andare bene. Tranne che quando entra in casa nostra senza avvertirci con la scusa che deve annaffiare i suoi gerani. Maledetti gerani.
Insomma, per farla breve, Anna ci ha litigato per l’ennesima volta quando ha rotto uno dei vasi di quegli stupidissimi fiori e ha deciso che se ne va. Ma, per nostra disgrazia, una settimana fa ha bruciato il tavolo della cucina poggiandoci sopra una pentola bollente e, da quel giorno, è finita la pace tra noi e la signora dei gerani.
Ero quasi felice di partire per venire a lavorare.
«Va bene, lo sappiamo che è pallosa» tento di calmare le acque, come faccio sempre.
«Non è solo pallosa, Gin. È matta. È cattiva. Mi ha gridato di tutto e allora io ho perso la pazienza»
Sapete quante volte ho sentito queste parole? Che sono vere, lo so. Ma perché sono sempre io quella che deve raccomandare di portare pazienza?
Mi guardo attorno distrattamente. Mi sta venendo sonno. Sarà l’adrenalina che scende. Ben mi sorride e io gli stringo la mano sotto il tavolo. Lui mi accarezza il dorso della mano con il pollice.
Mmmm. Che beatitudine. Mi lascio distrarre così tanto che ci metto un paio di secondi a realizzare cosa mi sta dicendo Sara.
«… E quindi le ho lanciato contro uno dei suoi stupidi vasi di fiori!»
«COSA?» strillo, facendo sobbalzare tutti. «Sara, ma sei matta? Quella ci manda via di casa!»
«Gin, non hai capito. Quella ci ha mandate via di casa.»
«Oh, no, cazzo Sara! Ma come ti viene in mente? E quando dovremmo andarcene?»
«Ehm…» chiaramente non si aspettava questa reazione. «Oggi.»
«OGGI?» probabilmente mi hanno sentita fino a Roma. Tommaso fa una smorfia. Io me ne frego.
«Che cazzo vuol dire “oggi”? Io non ci sono nemmeno! Ho tutte le mie cose in casa!»
«Tranquilla, te le porto via io!»
«Ma come me le porti via tu? Ma via dove? Ma dove pensi di metterle? Oh, ma perché a me?» gemo.
«Senti, non preoccuparti, sto mettendo tutto in macchina di Marco» Marco è il suo ragazzo. «Porto le cose da lui e poi, con calma, te le riportiamo.»
«Ma ti rendi conto di quello che dici? Tu vai da Marco e io che faccio? Cosa dovrei fare? Torno a Milano e vado a dormire sotto un ponte?»
«Ma no, che ponte!» fa lei, serena «Ci metteremo un po’ ma qualcosa troviamo, vedrai.»
Altro pensiero.
«Sara. Le caparre. Te le ha ridate, almeno. Vero?»
«Ehm…»
Oh, no.
Sono talmente incavolata che non parlo e Sara, che mi conosce, sa che non è un buon segno.
«Tesoro, dai, non facciamone un dramma…»
Non facciamone un dramma? Io vengo sfrattata in absentia, tutte le mie cose (i miei vestiti! Le borse! Le scarpe!! Oddio!) sono affidate a quella tonta di Sara e al suo ragazzo più tonto di lei, non abbiamo le caparre in mano e io non ho più un tetto sopra la testa.
Certo, perché mai dovrei agitarmi? Facciamoci una risata sopra.
Di solito mi dispererei. Oggi, semplicemente, chi mi fa arrabbiare rischia che lo faccia a pezzi.
Mi torna persino il tono gelido che ho usato prima con Arnaldo, quando le dico:
«Sara, ascoltami, perché te lo dico una volta sola. Tu perdi una mia sola cosa, dimenticati anche solo uno spillo o rovina una sola cucitura della mia Vuitton nuova e sei nei guai. Grossi guai. Ti chiamo quando devi riportarmi le cose. Per il resto, vaffanculo.»
«Ma tesoro…» tenta.
Le attacco il telefono in faccia.
«Vaffanculo sta diventando la parola del giorno» commenta Tommaso, allegro.
«Tutto bene?» mi chiede invece Ben.
«No, per niente. Quella scema della mia coinquilina si è fatta sfrattare di casa. Anzi, ci ha fatte sfrattare. Ora sta caricando nella macchina di quello sfigato del suo ragazzo le mie cose e, semplicemente, se ne va. E io dove vado, quando torniamo a Milano? Ah, giusto, secondo voi ha recuperato almeno le caparre? Ovviamente no.»
«Hum. Intelligente.» commenta Tommaso.
«Ma che idiota!» dice Francesca «Ma no Gin, chiama la proprietaria e dille…»
«No, Fra. Niente proprietaria, lo sai che è matta. Chiamo la cavalleria.»
Ben mi guarda perplesso. Francesca comincia a raccontare a lui e a Tommaso dei vasi di gerani, mentre io digito velocemente un numero che so a memoria.
«Studio legale Morelli, buongiorno»
«Ciao Carla, sono Ginevra. Devo parlare con papà. Subito, per favore.»
«C’è un cliente, tesoro…»
«Carla, passamelo per favore. O lo chiamo al cellulare.»
Mi mette in attesa e dopo due secondi sento la voce di papà.
«Tesoro, sono in riunione. Ti richiamo tra poco. Tutto bene?»
«Papà, scusa, lo so che non puoi parlare. In breve: non ho più un lavoro e non ho più una casa. Ma sto bene. Solo che…ho bisogno di parlarti.»
C’è una pausa di silenzio. So cosa sta pensando.
«Sto bene, papà, davvero»
Non per niente, mio papà è il migliore degli avvocati e come tale resta impassibile e dice solo:
«Bene allora. Ti richiamo tra poco.»
Non vorrei essere nei panni di chi gli sta seduto davanti ora, se commetterà l’imprudenza di farlo anche solo alterare.
Tempo due minuti e suona il cellulare. Mamma.
«Amore, cosa succede? Papà dice che non hai più il lavoro»
«Mi sono licenziata. Anzi, per essere precisi, ho detto ad Arnaldo di andare… a quel paese»
«Champagne, stasera!»
«Mamma!» scoppio a ridere.
La aggiorno sui recenti avvenimenti e lei, dopo aver insultato un po’ Arnaldo e un po’ Sara, mi dice di non preoccuparmi, che ci pensano loro.
Meno male.
«I tuoi sono arrabbiati?» mi chiede Francesca.
«Credo che mia mamma sia appena andata a festeggiare» le dico, sorridendo. E poi aggiungo:  «Basta, non ci voglio più pensare. Per favore. Non stiamo tutto il giorno qui a parlare di Arnaldo e della mia ex casa, vi prego.»
E così ci alziamo e facciamo una passeggiata. Con calma, come chi ha tutto il tempo del mondo. Un lusso, per me.
Relego in fondo alla mente ogni pensiero su cosa farò domani e mi concentro sul presente. Prendo la mano di Ben. Lui mi tira vicino a sé e, quando Tommaso porta Francesca a vedere “gli interessanti scavi nella cripta del Duomo” (sì, certo), noi restiamo fuori e andiamo a sederci su una panchina.
Io mi siedo tra le gambe di Ben, di profilo: mi accoccolo contro di lui e chiudo gli occhi. Lui gioca con i miei capelli e tra noi c’è un silenzio perfetto.
Non posso proprio dire che, malgrado tutto, vorrei cancellare questa giornata dal calendario. Anzi.
Sì, il lavoro mi piaceva. Ma è solo un lavoro.
Sì, la mia casa mi andava bene. Ma è solo una casa.
Ma lui…
Apro gli occhi per guardarlo e sorrido. Con un dito seguo il profilo dello zigomo e poi gli sfioro le labbra.
Lui sorride e mi bacia la punta del dito.
Ci guardiamo per un attimo e io sento che è il momento.
Oddio, ora mi bacia.
Non c’è niente come quell’improvviso vuoto allo stomaco, quando capisci che la persona che hai davanti sta per baciarti.
Le mie amiche mi prendono in giro e lo chiamano “il radar di Ginny”, perché sostengono che non si possa “sentire” un bacio che arriva. Si capisce, a volte, questo sì. Ma non si “sente”.
Ma non è vero, io lo sento sempre.
E stavolta, non è una persona qualsiasi.
Mi scappa un sospiro mentre Ben mi prende il viso tra le mani, con delicatezza, e mi guarda negli occhi.
«Ragazzi! Andiamo?»
Ucciderò Tommaso. Adesso.
Ben fa una smorfia e poi mi bacia la punta del naso.
«Sei sicura che stai bene?» mi chiede. «Vuoi che…non so… che parliamo, che ti compro un gelato, che andiamo a dare un altro pugno al tuo capo…»
Mi metto a ridere.
«Che stiamo soli, io e te?»
Mi sorride.
«Mi sembra un’ottima idea» risponde, e si alza per dire qualcosa a Tommaso.
Io mi avvicino a Francesca e le bisbiglio:
«Se scappo via con Ben…a te va bene? Cioè, non per molto. Solo… un po’. Da soli. Ti dispiace?»
«No…» guarda Tommaso di sfuggita.
«Dai Fra, non è un orco! E poi, devi farti perdonare per come lo hai trattato stamattina»
«Lo so» sospira.
E così, io e Ben siamo finalmente soli. Facciamo un giro per il centro mano nella mano, poi andiamo a sdraiarci sotto un albero, nella minuscola pineta del paese. Che pace.
Restiamo abbracciati e parliamo, parliamo tantissimo.
Lui mi racconta di quando ha deciso di fare l’attore, delle difficoltà, della reazione della sua famiglia. Del successo improvviso e della svolta che Narnia ha rappresentato. Di quello che significa girare sempre per il mondo, essere lontano da casa.
Io gli racconto dell’università, di casa mia, di quello che sognavo di diventare e di quello che invece faccio. Del lavoro. Di come per me sia difficile ammettere di aver fatto un errore nella mia scelta lavorativa, non tanto per l’errore in sé, quanto per il fatto che sento il peso delle decisioni prese, delle scelte fatte. Contro il parere della mia famiglia.
«Sai quante volte me ne sarei voluta andare?» gli dico «Però poi pensavo: ci sono voluta venire io, qui. Contro il parere di tutti. E allora non è più la singola arrabbiatura che mi prendo. È tutto insieme. È troppo facile dire semplicemente “Oh, basta, il capo è stronzo e io non ci sto. Il lavoro è faticoso e quindi me ne torno a casa”. Se tutti facessimo basta subito non arriveremmo da nessuna parte»
«Hum, non so. Cioè, in teoria sì. Senza esagerare, però. Ma tu, dove vuoi arrivare?»
«…Non lo so»
«Ma vuoi fare questo lavoro?»
«Di nuovo, non lo so. Non era quello che sognavo. Ma mi piace abbastanza»
«”Abbastanza” non è … abbastanza, alla tua età» mi sorride.
Sorrido anche io.
«Lo so. È solo che … che io non so cosa voglio fare. Non so dove sto andando. E quindi mi limito a…andare, in qualche modo. Faccio e …  non lo so. Aspetto.» giocherello con il bottone della sua maglietta.
Mi accarezza i capelli.
«Non è da te. Voglio dire: sei indipendente, fai le tue scelte, sei abbastanza coraggiosa da portarle avanti… ma non è detto che il primo lavoro che fai sia giusto. E se fosse giusto, comunque quel posto lì non andava bene per te. Arrivare a dire che va bene anche una situazione così pur di non dire “ho sbagliato” è troppo. Sbagliare non vuol dire fallire. Non sempre, almeno. Per te, no. Vuol dire che devi – come si dice – correggere il tiro.»
«È che non so in che direzione puntare.»
«Da piccola cosa volevi fare?»
«L’astronauta»
Scoppia a ridere.
«Dico davvero!»
«Va bene, niente. Da grande, cosa vuoi fare?»
«Ben, non lo so! Davvero! Anzi, no, guarda: non voglio fare niente. Voglio stare sul divano tutto il giorno!»
«No, non sei il tipo.»
«Sì, invece. Ozio e shopping tutti i giorni.»
«No, bocciato. Odio lo shopping»
«Cosa? E io che volevo chiederti di farmi compagnia…» scherzo.
«Odio persino comprarmi i vestiti! Me li faccio lasciare dai servizi fotografici, se posso!»
«Ma smettila!»
Ridiamo e ci prendiamo in giro e poi lui si mette a farmi il solletico e io mi contorco e rido fino alle lacrime.
Rotoliamo per terra e, in un attimo, lui è sopra di me. Mi bacia una guancia, la fronte, e mi asciuga gli occhi con il pollice.
Io mi sciolgo.
Mi sfiora le labbra con le sue, leggermente.
Sento la sua barba appena accennata che mi solletica la pelle.
Probabilmente, la beatitudine è questa.
Lui gioca con le mie labbra e io stringo la presa sulla sua schiena.
E, proprio quando posa con decisione le labbra sulle mie e schiude la bocca per baciarmi seriamente, mi suona il cellulare.
Ma che cazzo!!!!
Ma chi è?
Ben si ferma e sbuffa, ma lascia le labbra quasi a contatto con le mie.
«Chi cavolo è? Guarda che te lo sequestro, quel cellulare.»
Sorrido e gli do un bacio veloce sulle labbra, mentre mi contorco per sfilare il cellulare dalla tasca dei jeans con una mano, mentre con l’altra continuo a stringerlo.
Mamma.
«Ciao, mami»
Ben alza gli occhi al cielo. Mia mamma inizia a parlarmi della proprietaria di casa e della caparra e io faccio uno sforzo per non scoppiare a ridere.
Accarezzo la nuca a Ben, che mi mordicchia un lobo dell’orecchio.
Ah, muoio!
Lui ridacchia nel vedere la mia espressione.
«Gin, tutto bene? Mi ascolti?» chiede mia mamma.
«Sì, certo» ma ho quasi l’affanno.
Spingo Ben di lato e gli rotolo sopra, invertendo le nostre posizioni.
E faccio un errore, perché lui inizia a baciarmi il collo. Di quello che mi dice mia mamma, a questo punto, capisco una parola su venti.
«Mamma, scusa, ti posso richiamare io?»
«Perché? Cosa stai facendo?»
Mmmm. Direi che non te lo dico.
«Niente. Ma…»
«Niente?» fa Ben, offeso.
«Gin! Ma sei con qualcuno?»
«No. Sì. Ehm. Con Francesca. Mamma, scusa, ti richiamo tra un attimo….ho una chiamata sotto!»
E attacco. Finalmente.
«Dispettoso» gli dico, scherzando.
Ben mi sorride e mi tira verso di lui.
Alleluja. Dove eravamo rimasti?
«Signorina! Mi scusi! Signorina!»
Mi sento tirare per la maglietta. Chi è?
È un signore anziano, a spasso con il cane. Ci guarda male e ci dice:
«Non potete stare così, per terra. Questo è un posto pubblico. Ci vengono i bambini»
Pure. Ci manca solo la denuncia, oggi. Ci scusiamo e ci alziamo tra i borbottii del vecchietto, che però si allontana veloce quando vede l’occhiataccia che gli rivolge Ben.
«A Londra non succedono, queste cose» mi dice.
«Allora vengo a trovarti a Londra» rispondo allegra «E stiamo una giornata intera distesi per terra, in un parco.»
Torniamo in piazza. Io ho una mezza idea di iniziare a urlare “Scappate tutti, c’è una bomba!!!!!” così restiamo soli e finalmente può baciarmi senza che veniamo interrotti dal mondo, quando lui si ferma di botto e mi tira per il braccio. Lo guardo e mi dice:
«A quanto pare, anche se stiamo da soli non ci lasciano in pace, quindi…»
Quindi mi bacia. Lì, in piedi, davanti a tutti.
E giuro, credevo che di baci del genere si leggesse solo nei libri.
Di baci che ti fanno piegare le ginocchia e girare la testa.
Io gli stringo le braccia al collo e il tempo si ferma. Non sento più il caldo, le voci delle persone. Sento solo il suo profumo, le sue mani, il suo calore. Ben si stacca dalle mie labbra per baciarmi la guancia e, da lì, il collo, e io boccheggio in cerca di aria. Infilo le dita tra i suoi capelli e reclino indietro la testa. Le sue labbra corrono sulla mia gola. Una mia mano scorre sulla sua maglietta: gli accarezzo il petto e l’addome. Lui geme piano e mi stringe più forte. Le nostre labbra si incontrano ancora.
Nessuno mi ha mai baciata così.
Io non ho mai baciato nessuno così.
Con una sintonia perfetta, come se non facessimo altro da una vita.
Con passione, ma anche con una dolcezza infinita.
Quando ci stacchiamo, restiamo vicinissimi. Io ho ancora gli occhi chiusi e Ben mi bacia la fronte, per poi poggiarci la guancia.
E poi lo sento irrigidirsi. Apro gli occhi e butto uno sguardo sopra la sua spalla e faccio un salto dallo spavento.
Abbiamo un pubblico schierato in fila.
E non un pubblico qualsiasi.
C’è Francesca, felicissima. C’è Tommaso che ride. Ci sono Colin e Livia, lui abbastanza sconcertato e lei sorridente. E ci sono Luca e Matteo, perplessi.
Merda.
Voglio emigrare.
Ma non possiamo restare da soli per un’ora, cazzarola?
 
Andiamo tutti a pranzo insieme – ovviamente, figuriamoci se potevamo stare in pace – e, quando ci sediamo, ci stanno ancora prendendo in giro. Ben è tormentato da Colin e Tommaso e, per farli smettere, afferra Luca e lo porta in bagno a lavarsi le mani.
A me va meglio, perché Francesca e Livia sono più discrete. Fra gongola, però. Livia mi bisbiglia che, da quando lo conosce, non ha mai visto Ben esporsi così con una ragazza.
«Sai, alla fine che fa questo mestiere spesso è molto solo. Sempre in viaggio, in giro per il mondo…. Costruire un rapporto è molto difficile. Affezionarsi a qualcuno spesso fa più male che bene… Tu, evidentemente, gli piaci davvero molto. Si vede da come ti guarda.»
Io scoppio di felicità. Racconto a Livia di quando l’ho incontrato, il primo giorno, e lei si mette a ridere. Francesca le dice che non riuscivo a dire due parole in fila perché c’era lui e, tempo una decina di minuti, siamo grandi amiche.
Incrocio lo sguardo di Ben sopra la tavola e gli sorrido. Lui sembra sui carboni ardenti.
Livia se ne accorge e ridistribuisce i posti a tavola. Rimbrotta il marito e si siede vicino a lui, mentre Ben corre a sedersi accanto a me, con Luca, e Matteo e Tommaso si mettono ai lati di Francesca.
Tra l’altro, l’atmosfera tra lei e Tommaso sembra più serena. Tommaso continua a lanciare frecciate a Ben, che da quando ci siamo seduti è rosso come un peperone e passa la maggio parte del tempo a guardare la tovaglia, e Francesca gli dà uno scappellotto in testa.
«Basta!» gli dice, sorridendo. «Sei peggio dei bambini»
Io stringo la mano di Ben sotto il tavolo e poi gli passo un menu.
Ordiniamo e ci mettiamo a parlare del nuovo progetto di Livia, quello in cui vorrebbe coinvolgere Ben.
E io non ci posso credere. Stanno parlando del film tratto dalla serie “Vampire Academy”.
Io salto di gioia sulla sedia e dico a Livia che ho letto tutti i libri usciti in Italia (in America la serie è già completa) e che avevo letto che erano stati venduti i diritti per il film.
Sul web acclamano Ben quasi universalmente come Dimitri Belikov, il protagonista maschile della serie.
«Ti ci vedo tantissimo» gli dico «Anche se Dimitri è alto più di due metri»
«Sì» dice Livia «Ed è muscolosissimo. Mi sa che dobbiamo mandarti in palestra…» scherza.
Ben geme e io rido.
«Non ho ancora accettato» dice.
«Ma devi!!!» io sono scandalizzata «È una serie bellissima! Altro che Twilight! È avvincente, i personaggi sono interessanti, Dimitri è favoloso! Dai, ti prego! Ti prego, Ben!!!»
Livia si mette a ridere.
«Sono giorni che provo a convincerlo. Aiutami, per favore, Ginevra»
«Se posso» le sorrido. «A patto che poi mi racconti tutto del progetto»
«Ma sì, lascia che ci pensi la ragazza di Ben» interloquisce Tommaso.
Lei annuisce, ma Luca reclama la sua attenzione perché vorrebbe chiedere al cameriere una pizza e due gelati per pranzo.
Mangiamo e poi Livia e Colin tornano a casa con i bambini, con la promessa di tornare la sera: la manifestazione chiude ed è previsto un concerto. Viene Jovanotti e, anche se non lavoriamo più qui, non me lo perderei per niente al mondo.
Restiamo in quattro – i fantastici quattro – seduti al tavolo. Il cellulare di Francesca squilla e lei risponde.
Subito fa una faccia costernata…seguita da un’espressione birichina.
«Ah, salve…sì, mi dica…no, certo…»
E poi mette in vivavoce. A me scappa una risatina.
È un giornalista che scrive per un quotidiano ed è una persona a dir poco imbarazzante. Infatti inizia subito a bersagliare Francesca: potete prenotarmi una stanza d’albergo? Sì, so che non mi sono accreditato, ma sono molto impegnato e ho deciso all’ultimo di venire. C’è un rimborso spese previsto? Anzi, meglio, pagate tutto voi? C’è una cena prevista per stasera? Ma qualcuno mi viene a prendere in stazione?
Ben e Tommaso sono senza parole.
E il meglio deve ancora arrivare. Quando Francesca riesce finalmente a liquidarlo, dandogli tra l’altro il numero di Arnaldo da chiamare (l’ex capo non dava mai il suo numero ai “comuni” giornalisti, ma solo ai “big”. Traduzione: le rotture tutte a noi, lui non ha mai mosso una mano nemmeno per chiamare un taxi. Ah! Voglio vedere come pensa di fare oggi, e da oggi in poi!), suona il mio telefono.
E stavolta è un giornalista odioso e viscido che ci prova con me e che fa finta di non capire i miei rifiuti, forte del fatto che non posso mandarlo a quel paese perché conosce il mio capo. Ovviamente, i viscidi sono tutti amici, tra loro. Francesca ci ha preso gusto e mi fa cenno di passarle il telefono.
«Pronto?» dice, tutta allegra.
«Ginevra, che piacere sentirti, cara» dice quello, con tono mellifluo (bleah!).
«Sono Francesca, la sua collega.»
«Ah, ciao.»
«Buongiorno, posso aiutarla io?»
«Eh…sì…no, è che volevo chiedere di quel progetto che seguite…quale…cosa…insomma, che state facendo?»
Io scoppio a ridere. A Fra manca poco e, mentre comincia a spiegargli, quello la interrompe:
«Sì, ok, bene, senti…la tua collega, Ginevra…non è che…ehm… »
«Che…?»
«Che magari…ti ha parlato di me?»
Cosa?
Stavolta è Francesca a ridergli in faccia. Lui borbotta qualcosa, offeso, ma lei gli dice:
«Sì, mi ha parlato di lei. Mi ha detto che è un vecchio e viscido porco e che le fa venire da vomitare. È contento? Addio.» e gli attacca il telefono in faccia.
Tommaso ride e le dà il cinque.
«Brava!»
«Grazie» dice lei. «Anche se forse potevo passarlo a Ben»
«Giusto, è un lavoro da fidanzato, non da amica»
Guardiamo tutti Ben, ma lui ha le labbra serrate e guarda il tavolo.
«Ben…tutto ok?» gli dico piano.
«Sì. Ma secondo me non fa ridere»
Tommaso ulula di gioia.
«Dai, non fare così! Non sapevo fossi così geloso!»
«Non sono geloso, è che penso che uno che si comporta così con una ragazza è proprio uno che va preso a calci»
Tommaso sghignazza ancora, ma io guardo Ben preoccupata. Gli faccio una carezza al volo sulla guancia, ma lui non mi guarda.
«Ben, dai. Mi dispiace. A volte succede ed è una cosa antipatica, ma…»
«Antipatica? Ginevra, aspetta un attimo. Per te è normale lavorare per uno che ti tratta come una schiava e sopportare gente che si comporta come questo qui? Per lavoro? Ma perché, tu di lavoro fai l’accompagnatrice, che deve andarti bene tutto?»
La…cosa? Cosa ha detto?
Mi zittisco, come se mi avesse dato uno schiaffo.
Incrocio lo sguardo di Francesca, che è interdetta. Persino Tommaso ammutolisce.
C’è un momento di silenzio davvero pesante. Io sono incredula. Mi salgono le lacrime agli occhi. Soprattutto perché lui non mi guarda nemmeno. Tamburella con le dita sul tavolo e guarda per terra.
Ma che cavolo succede?
«Ben, dai» gli dice Tommaso, esitando «Hai detto una cosa…cioè, insomma, so che non volevi dire questo, però…»
«No, io volevo dire proprio questo…»
Non sento la fine della frase perché mi alzo di scatto, quasi rovesciando la sedia, e mi precipito in bagno.
Mi chiudo dentro e mi guardo nel minuscolo specchio appeso al muro. Vedo una ragazza con gli occhi enormi e sperduti, i capelli in disordine (cos’è quella roba? Ah, lo zucchero al velo di stamattina) e le guance pallide. Mentre mi fisso, vedo una lacrima rotolarmi su una guancia.
Sento bussare piano alla porta del bagno. Ditemi che è lui.
Ma sento la voce di Francesca chiamarmi piano.
Apro la porta e lei entra e mi guarda dispiaciuta.
«Dai, non piangere. L’avrà detto per…per…»
Ma non sa nemmeno lei cosa dire. Io singhiozzo.
«Per gelosia!» finisce la frase e mi porge un fazzolettino.
«No Fra. Ma non hai visto che faccia? Non mi ha nemmeno guardata! Insomma, in teoria può aver ragione, ma con Arnaldo eravamo obbligate ad essere educate fino a questi estremi…»
«Esatto. E lui non lo sa»
«Ma ha ragione a dire che non è giusto. Solo che…me l’ha detto in un modo…»
Fra mi abbraccia e io verso qualche altra lacrima e poi mi sciacquo il viso, ma non ho proprio voglia di uscire di lì. Disgraziatamente, non possiamo passare tutto il pomeriggio chiuse in un bagno (tantomeno se è l’unico bagno dell’unico bar di tutto il paese).
Quindi mi lego i capelli, poi usciamo e troviamo i ragazzi fuori, che ci aspettano. Non si parlano. Ben guarda per terra e Tommaso sembra in imbarazzo. Dopo avermi gettato un’occhiata, lo sembra ancora di più: mi sa che si vede che ho pianto.
Ben non mi guarda. Tommaso propone a voce bassa un giro in pineta. Ci incamminiamo, ma la situazione non potrebbe essere più assurda.
Ben cammina con le mani in tasca e non dice mezza parola. Io nemmeno ci provo ad avvicinarmi a lui. Francesca e Tommaso cercano di tenere viva una conversazione inesistente.
Arrivati in pineta, la situazione non migliora. Ben sta sempre zitto e guarda per terra. Io fisso triste l’albero sotto il quale nemmeno tre ore fa ci siamo sdraiati abbracciandoci.
Tommaso, ad un certo punto, dice:
«Ragazze, voi cosa pensate di fare? Cioè, tornate a Milano, sì, ma quando?»
Ottima domanda. Per quanto mi riguarda, aggiungerei anche: se torno a Milano, dove cavolo vado a dormire?
Francesca mi legge nel pensiero e dice:
«Bè…non so, in teoria dovevamo tornare domani. Gin, tu puoi stare da me tutto il tempo che serve» lei sta in una casa che è di sua madre, non è in affitto. Le faccio un sorriso per ringraziarla e le stringo la mano.
«Vuoi che torniamo domani?» mi chiede.
«Io…» sbircio Ben, ma niente. Guarda sempre per terra. «…non so…»
«Magari…» esita Tommaso «Potreste fermarvi un paio di giorni da noi. Di spazio ce n’è. Andiamo un po’ in giro per la Toscana. Andiamo al mare, anche. Luca e Matteo ci resterebbero male a non vedervi più. E poi….bè, magari…insomma, forse potremmo accompagnarvi io e Ben a Milano. Io dovrei comunque andarci a breve e magari Livia per lavoro deve…»
Fa sfumare la voce. Ben sta zitto.
«Ben?» gli dice, dopo un attimo.
Lui alza gli occhi e a me prende un colpo per quanto è fredda e indifferente la sua espressione.
«Certo, come vuoi» dice, come se non potesse fregargliene di meno. «Per Milano non credo. Resto con Livia e Colin e poi, quando abbiamo deciso cosa fare per il film, torno a Londra.»
È ufficiale. Voglio morire.
Cosa gli è preso? Cosa gli ho fatto?
«Ma…» pure Tommaso è senza parole, quindi è una decisione che ha preso adesso.
Adesso, dopo che mi ha baciata e che stamattina ha detto tutte quelle cose…
Oddio, non metterti a piangere Gin. No, no, no e poi no.
«Cosa?» gli dice Ben, seccato «Non posso restare qui a tempo indeterminato. A casa mia non ci vado da mesi.»
«Sì, certo, però pensavo…»
Francesca copre la mia mano con la sua. La guardo e vedo Tommaso guardarmi dispiaciuto.
C’è di nuovo silenzio.
Io non o reggo più, bisbiglio una scusa e mi alzo.
Mentre mi allontano, sento delle voci concitate dietro di me:
«Ma insomma, cosa ti prende?» questa è Francesca, che parla nel momento esatto in cui Tommaso sbotta:
«Cosa c’è? Ti sei messo a fare lo stronzo all’improvviso?»
Non sento risposte.
Mi allontano un po’ e mi appoggio a un tronco.
Dopo un po’ sento una mano leggera che mi sfiora il braccio.
Mi volto, aspettandomi di vedere Francesca, e invece è Ben.
Mi asciugo gli occhi con rabbia, perché non voglio che mi veda piangere.
Lui resta in silenzio per un po’. Non mi abbraccia, non mi tocca nemmeno.
Sembra un’altra persona rispetto a quella che si è svegliata con me stamattina.
Poi sospira e dice:
«Gin, senti, mi dispiace. Io… volevo scusarmi per tutto. Per oggi.»
Per…oggi?
«Io…non dovevo. Insomma, non che sia niente di che, ma…»
Non che sia…che cosa? Ma cosa sta dicendo?
Evidentemente mi legge in faccia l’incredulità perché riprende a parlare e mi dice:
«Senti, sei davvero una bella ragazza…»
Oh, no. Vi prego, no.
«…ma io adesso non posso proprio impegnarmi in nessun modo con qualcuno…»
Oddio, no. Lo so come finisce questo discorso. Lo so a memoria.
«…e sì, oggi magari non dovevamo, ma comunque… insomma… bè, volevo dirti…questo»
Cosa voleva dirmi?
«Volevi dirmi…cosa?»
«Che noi…» esita, ma poi prende un bel respiro e mi dice: «Che non è come diceva Tommaso oggi. Il tuo ragazzo… ci pensa il tuo fidanzato. Non è così, Ginny. Le cose non stanno così, tra noi. È stato…solo un bacio.»
Solo un bacio? Solo un bacio?
No, scusa, ma stamattina? Le coccole, le cose che mi ha detto…
Non posso credere di aver trovato te…
Oddio, sto per scoppiare a piangere.
Per lui non significa…niente. Assolutamente niente.
Io, invece…non so cosa credevo, ma sinceramente tutto tranne questo.
«Fammi capire» dico, esitando «Ti sei spaventato perché Tommaso ti ha chiamato “il mio ragazzo”?»
«Non mi sono spaventato» dice con rabbia. «È che non è vero»
«Bene. Non è vero. Non te l’ho chiesto io, comunque. E quindi? Nel giro di quanto - due ore? - ti rotoli con me sotto un albero e poi? Non vuoi vedermi più?»
«Non è che non voglio vederti più. Se venite a casa di Tommaso per qualche giorno…»
Non ci credo.
«Non ti ho chiesto seTommaso vuole vedermi» gli dico, gelida. «Ti ho chiesto se tu vuoi vedermi»
Non mi risponde.
 
Vorrei dirgli una marea di cose. Vorrei insultarlo, prenderlo a schiaffi, dirgli che è un umorale, un coglione, un maleducato, un ignorante.
Che è un presuntuoso arrogante attore di merda che crede di essere chissà chi perché ha fatto due film al cinema e ha uno stuolo di ragazzine che gli corrono dietro da tutto il mondo.
Che è un superficiale, un idiota, uno stronzo peggiore del porco che mi ha telefonato prima. Almeno, le intenzioni di quel tipo erano chiare.
Ecco, è quello che mi merito. Cosa credevo, davvero?
Che fosse una favola? Che toccasse a me?
Ma chi sono io, per pensare che mi possa capitare una cosa del genere?
Non riesco a parlare. Ho la gola chiusa, mi sembra di non riuscire nemmeno a respirare.
Non mi perdonerei mai, se mi mettessi a piangere davanti a lui.
Giro le spalle e me ne vado.
 

   
 
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