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Autore: ElizabethLovelace    02/11/2006    4 recensioni
I Malandrini rimasti e chi è ora al loro fianco dovranno fare i conti con i ricordi divertenti e tristi del passato... le loro vite torneranno a intrecciarsi per decidere cosa fare una volta per tutte di ciò che è stato. La chiave? Elizabeth Lovelace... sospesa fra un passato ed un presente che Harry &Co. trovano indecifrabili: chi è, da dove viene? Come può essere... ciò che è?
Inserita quasi esattamente nel 5° e 6° libro della rowling.
GRAZIE per seguirmi ancora così tanto, prometto che oltre alle revisioni dei primi capitoli posterò prestissimo anche i tre conclusivi!!! Ma GRAZIE
Genere: Romantico, Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Remus Lupin, Severus Piton, Sirius Black
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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San Mungo, 56.



151.
“Ho qualcosa tra i denti, non potresti controllare?
“Sirius, ma sei pazzo? Tutto questo è così carentemente romantico!!!
“Sì, ma è a te che diranno che ti sei trovata un ragazzo che va in giro con del prezzemolo tra i denti!
“Veramente dicono che ho un fidanzato tremendamente bello. Ma io non te lo rivelerò mai perché diventeresti ancora più insopportabilmente vanitoso di quanto non sia già.
“Quindi sono condannato ad una vita nell’ignoranza, donna fortunata?
“Oh, quello lo saresti comunque!
“Elizabeth?
“Dimmi, Sirius. Questo è un biglietto, non mi devi chiamare!
“Sei stata brava.
“A fare cosa?
“A tenermi con te. Ti ringrazio.

e poi, più sotto:
Scusa solo se non te lo dico sorridendo, ma temo che rovinerebbe tutto l’effetto, date le mie attuali condizioni orali.”



Bessie aveva ripiegato il bigliettino che teneva fra le mani, avendo cura di non spiegazzare il braccialettino di fiori di campo che vi si trovava all’interno. Sorrideva, affacciata alla finestra della sua stanza d’ospedale.
“Ho finito gli esami, sai Sirius? Questa mattina c’è stato l’ultimo. Non so perché siano stati così puntigliosi, neanche avessi chissà quale malattia!”




* * *




Bessie si sveglia con la luce del sole che filtra dalla finestra semiaperta. Le piace che i balconi esterni rimangano socchiusi; le piace svegliarsi con un raggio di luce ad accarezzarle il viso.
Si stiracchia senza fretta, oggi è giorno di vacanza.
Stranamente, quando allunga un braccio alla propria destra sente che Sirius non è più lì.
Raggiunge la cucina con gli occhi ancora confusi dal sonno, ed è per questo che ci mette qualche secondo a realizzare che la tavola è preparata e la colazione è già pronta, mentre Sirius ha addosso soltanto uno sciocco grembiule a fiocchetti rosa che le ha regalato una volta Tonks per scherzo e che lei non si è mai sognata di portare.
“Che significa questo?” domanda sbalordita. Sirius le si avvicina con un sorriso smagliante ed un mestolo in mano.
“Buongiorno anche a te, cara!” Le dà un bacio sulla fronte, e Bessie ne approfitta per sbirciare un po’ più giù della sua schiena, lì dove il grembiule non c’è.
“Allora” pronuncia infine, dirigendosi verso il tavolo “Dimmi Sirius, esattamente che cos’hai da farti perdonare?”
“Oh, diavolo! Tu sì che sai come mantenere un clima da sogno, Elizabeth!”
“Forse è perché parti domani per quella missione pericolosissima? O hai combinato qualcosa nel frattempo?” prosegue meditabonda.
“Guarda che se continui a sbirciare le mie chiappe mentre fingi di essere seria non ci fai una figura molto dignitosa!” borbotta lui. “E poi che vuol dire perché... ti ho chiesto di sposarmi l’altra notte. Ho pensato sarebbe stato carino coccolarti un po’!”
“Oh, quello!” lo liquida lei sedendo al tavolo ed addentando una focaccina. “Non era nemmeno una domanda!”
“Ah no?” si perplime lui, inclinando il capo.
“Stavi solo riflettendo a voce alta, Sirius... mi passeresti lo zucchero?”
“Sapevo di non averne messo abbastanza, maledizione!”
“No. Sapevi che io ne avrei voluto di più, il che è diverso, ed anche adorabile visto che avevi già preparato il barattolo pronto” specifica succhiandosi un dito coperto di zucchero.
Sirius siede al tavolo con lei, un po’ rincuorato. “Riflettevo a voce alta?”
“Sì, perché ti manca il filtro, qui nella testa!” spiega sporgendosi pericolosamente sopra il tavolo e toccandogli la fronte con un dito fino a formargli delle piccole rughe. Sirius osserva deliziato le sue forme sbucare dal completino leggero di cotone, la pelle rosea ed i capelli appena scarmigliati; i suoi occhi sono incredibilmente blu, sono già così incredibilmente blu!, pensa. Pensa che vorrebbe prenderla tra le braccia e riportarla su quel letto rimanendo con lei senza pensare al tempo che passa, all’ennesima separazione imminente; vorrebbe contare tutte le pieghe che le si formano sulla pelle quando si muove, ed accarezzarla e tenerla stretta a sé e ricordarle che è sua, che non importa se lui ha oppure no un filtro nella testa, perché lei è sua. Pensa anche che è incredibile come sia carina coi capelli scarmigliati e le occhiaie ed un completino chiaro di cotone che la fa sembrare un po’ una bambina, e che lui dev’essere diventato terribilmente stupido a perdersi in questo modo per un completino, ma non gli dispiace nemmeno un po’. Perché è sua. Vorrebbe dirglielo.
“Ah, è così eh?” risponde piccato. “Tu non mi prendi sul serio!”
“Perdonami Sirius” sghignazza lei solleticandogli un polpaccio con i piedi nudi. “Non prenderla sul personale, ma mi riesce un po’ difficile!”



Il mattino dopo quando si sveglia Bessie sente uno strano profumo deliziarle le narici. Apre gli occhi e la stanza è inondata di fiori, ci sono fiori di tutti i tipi, di tutti i colori. Fiori di campo, fiori di chissà quale incommensurabile campo! Si alza a sedere sul letto e per un po’ rimane a contemplarli, giocando a contarne una parte. Poi scuote la testa.
“E’ impossibile,” mormora. Raggiunge la cucina senza preoccuparsi di cercare le ciabatte e lì, ancora, è una distesa di fiori ancora più grande. “Sei andato a devastare i campi Elisi, Sirius?” domanda senza riuscire a vederlo. Lui sbuca da sotto il tavolo.
“Questa è la mia piccola vendetta prima di partire!”
“Tu... tu sei un pazzo! Perché fai questo?”
“Perché tu mi prenda sempre meno sul serio, ovviamente” si pavoneggia lui guidandola verso il tavolo. Bessie continua a guardarlo in silenzio, come aspettando qualcosa.
“Niente da fare” la canzona lui. “Non ho la minima intenzione di chiedertelo sol perché partirò stanotte!”
Lei ride, vede che sotto il bicchiere c’è qualcosa e allora lo solleva: prende delicatamente fra le mani un braccialettino di fiori di campo intrecciati. Lo rimira commossa, lasciando che lui glielo infili al polso.
“Sarà meglio per te che torni presto e tutto intero, Sirius Black!” intima appoggiandosi alla sua spalla e lasciando che lui l’avvolga con un braccio. “E nel frattempo vedi di mantenerti a distanza da quella tua collega dai capelli selvaggi!!!”




* * *




“Buongiorno, signorina” è il saluto del vecchio signore che un’ora prima avevano portato nella sua stanza. L’aveva già notato, Bessie, perché prima si trovava nella stanza accanto. Aveva dormito fino, evidentemente, a quel momento.
“Buongiorno a lei. È stato un bel risveglio?”
“Mi sono trovato davanti tanta bellezza e gioventù in un ospedale... quale risveglio migliore?” aveva risposto lui, galante. Bessie aveva sorriso.
“Che facevi di bello? Ti ho disturbata?”
“No, oh no” spiega Bessie. “Ho preso un uccellino, sa.”
“Un uccellino?”
“Sì, un fringuello. Si chiama Bitorzolo.”
Bitorzolo?”
“Mi rendo conto che non è proprio... uhm, sembrava gli piacesse” arrossisce lei.
“E così ora dov’è?”
“Lo stavo giusto aspettando. Viene spesso a trovarmi, posandosi su questo ramo di fronte.”
“Lo aspetti? Ma... non avevi detto che era tuo?”
“Forse è più esatto dire che è lui ad avere preso me!” aveva riso Bessie.
“Allora adesso so come passi il tempo qui. Ma perché sei qui?”
“Per cibare il mio uccellino, naturalmente.”
“Uhm...”
Bessie gli aveva sorriso.
“E tu, tu non mi chiedi perché sono qui?”
“Ci si perde, a cercare sempre i motivi per tutto. Si finisce per trovare solo delle buone scuse” aveva alzato le spalle lei.
“Allora non ti faccio pena?”
“E perché dovrebbe? Io non la conosco” aveva replicato, garbata.
“Sono vecchio e malato. Questo lo vedi da te.”
“Anch’io sono più vecchia di quello che pensa”, aveva sorriso lei.
“Significa che non sei malata.”
“No. Sono qui perché devo continuare a combattere.” Bessie aveva lasciato perdere la finestra, tornando verso il letto.
“E al tuo fidanzato va bene se lo fai?”
“Fidanzato?” era arrossita.
Lui aveva indicato la tasca in cui aveva riposto il vecchio biglietto. “Sì. Quella non era una sua lettera?”
“Beh, sì.”

In quel momento era entrata Mrs Mallow con una pila di libri tra le braccia. Li aveva appoggiati con un tonfo sordo accanto al letto del vecchio signore. “Ecco qui i suoi libri!”
“Oh, grazie... li lasci pure lì” aveva replicato lui con noncuranza.
“Non vuole che glieli sistemi nell’armadio?”
“No, no, non importa.”
“Ma...”
Grazie, infermiera Mallow.”
“Ha molti libri” aveva osservato Bessie.
“Già, ma così si rovineranno” aveva replicato a malincuore la signora Mallow.
“Cosa vuole che me ne importi, su!”
“Beh, dovrebbe.”
“L’unica cosa che mi importa, mia cara” aveva cominciato allora lui perdendo del tutto il sorriso bonario di poco prima “è morire. Ma questo non volete darmelo.”
“Non possiamo, signor Forster. Non possiamo.”
Bessie era rimasta immobile a fissargli i lineamenti, improvvisamente fattisi più duri e più pesanti. Non sembrava lo stesso, simpatico vecchietto di poco prima, completamente immerso nella sua personale sofferenza. Quell’uomo voleva morire.
“Allora mi lasci in pace!” aveva brontolato ruvidamente.
“Davvero non vuole che glieli sistemi?”
“Ho detto che non m’importa! Può anche bruciarli, se le pare! Tanto, se non lo farà lei ci penserà qualcun altro!”
“Non dovrebbe parlare così” aveva obiettato l’infermiera, rassettandogli le coperte. “Come farà a tornare ad insegnare, senza i suoi libri?”
“Sono in pensione, infermiera Mallow.”

Dopo un po’ che se n’era andata Bessie gli aveva rivolto la parola, turbata.
“Non vuole vivere?”
“Ho smesso da un pezzo, bambina. Allora com’è?” aveva improvvisamente stornato argomento indicando di nuovo il foglietto che teneva nella tasca. “E’ bello?”
Bessie non aveva dovuto pensarci. “Sì, è bello.”
“Come vi siete conosciuti?”
“A scuola. Io lo odiavo perché si comportava da bulletto, e lui non poteva soffrirmi perché ero la migliore amica della fidanzata del suo migliore amico.”
“Oooh, che complicato!” si era lamentato lui prendendosi la testa fra le mani. “Ma è un brvo ragazzo? Dovresti scegliere un bravo ragazzo, sai!”
Bessie gli aveva sorriso.
“Beh, deve esserlo per forza, guardandoti.”
“E’ pazzo, ma lo è.”
“Ti lascia anche combattere.”
“Perché lui combatte di più.”
“Una coppia agguerrita! Dove lo farai, ragazza mia?”
“Ovunque ce ne sia bisogno” aveva spiegato lei con tranquillità, lasciando scivolare le mani in grembo.
“E non hai paura?” aveva domandato lui fissandola con occhi penetranti.
“Sempre.”
“Di morire?”
“Che muoiano le persone cui voglio bene”, l’aveva corretto lei con un triste sorriso.
“Ma ti capiterà.”
“Già.”
Forse lui aveva percepito un tono strano, in quella risposta. Aveva alzato lo sguardo ad osservarla, e quando aveva parlato il suo tono era risultato un po’ tremolante. “Figliola, quella lettera...”
“Già”, aveva sorriso lei.


Non m’importa di tutto il resto. Non m’importa di quello che di buono ho guadagnato in questi mesi.
Non sei tu.
Non lo sarai mai.


“Cosa ti manca di là fuori?” aveva domandato il vecchio Forster mentre pranzavano. Bessie infatti era rimasta in camera, anche se poteva muoversi dove voleva, per fargli compagnia. Se n’era un po’ pentita quando aveva scoperto quanto poco stabile fosse il vassoio per il suo scarso senso dell’equilibrio, ma aveva cercato di non darlo a vedere e, soprattutto, di non rovesciarsi nulla addosso.
“Tante cose. I fiori, i miei amici. Le piccole abitudini quotidiane.”
“Ah, ma tu ci tornerai presto!” aveva commentato con decisione. “Vedrai che le ritroverai tutte.”
“E a lei signore, cosa manca?”
“A me? Niente.”
“Nemmeno l’insegnare?”
“Ho imparato una cosa in questi anni, ragazza” aveva replicato lui tossendo “non puoi davvero insegnare. Puoi condividere, e sperare che gli altri lo accettino.”
“Significa che lei ha trascorso la sua vita a condividere quello che sapeva. Non è altrettanto importante?”
Lui aveva scosso la testa. “Non so insegnare. Non so condividere. La malattia mi ha spiegato l’umilità che prima non vedevo, e adesso lo so.”
“Non dica così!” aveva protestato Bessie. “Chissà quanti ragazzi le sono grati dei suoi insegnamenti!”
Lui si era alzato faticosamente a sedere, tossendo a più non posso come se gli stessero scavando i polmoni. “Dì un po’ ragazzina, tu quanti ne hai visti in questi giorni che siano venuti a trovarmi?”



152.
“Bentornati in stanza. Avete avuto una piacevole passeggiata?” aveva domandato l’infermiera al ritorno di Bessie e del signor Forster nella stanza. Sembrava cortese.
“Dov’è l’infermiera Mallow?” aveva protestato il vecchio.
“In questo momento ha del lavoro da fare, la sostituisco io.”
Bessie, però, aveva studiato con attenzione la fisionomia di quella nuova assistente. Le era girata intorno senza parere, fino a quando non le si era aggrappata improvvisamente alla schiena. Il signor Forster le aveva fissate chiedendosi se la sua compagna fosse improvvisamente impazzita.
“Betsy, brutto animale che non sei altro! Scendi subito dalla mia schiena!” aveva strillato Tonks cercando di liberarsi dalla sua micidiale stretta sui capelli.
“E così credevi di farmela, eh? Credevi di potercela fare davvero?”

“Ma come... come hai...” aveva domandato più tardi la ragazza, dopo essersi ricomposta e presentata al secondo ospite; era tornata ad assumere le sue sembianze, e sedeva a gambe incrociate sul letto come la sua amica. Bessie aveva ridacchiato.
“Vuoi che ti sveli i miei trucchi?”
“E dai!”
“E va bene Dora. Hai un neo proprio qui, vedi? Tra la mano ed il polso... quello non se n’è mai andato, in nessuna tua trasformazione. Lo conosco troppo bene quel neo, con tutte le volte che mi sono svegliata trovandomelo sulla faccia!”
“Ehm ehm!” aveva tossicchiato Forster.
“Oh, mi scusi signore! Non pensi male!” aveva sorriso prontamente lei.
“La prossima volta metterò i guanti!” aveva invece borbottato Tonks.
“Come no, così ti riconoscerei perché li porti!”
“Allora lo nasconderò con del trucco!” aveva deciso, di cattivo umore.
“Dora, lo sai che ti riconoscerei lo stesso...” aveva spiegato Bessie socchiudendo le palpebre con affetto. Un attimo dopo, però, si era sentita a disagio proprio a causa di quell’affetto.
È come se dovessi operare una scelta. Tonks in questo momento è il mio ostacolo.
Come posso decidere quali sentimenti valgono di più?
“Ehi Bes, sei ancora tra noi?”
“Come?”
“Tutto a posto?”
“Oh... sì, certo!” si era riavuta lei.
Vorrei, nella mia vita, qualcosa di semplice.
“Bene! Sai com... ops!” aveva esclamato mentre lasciava cadere, con gran fracasso, tutta una serie di oggetti che aveva spostato dal letto. Si era chinata per raccoglierli, facendone precipitare anche un paio dal comodino con il secondo movimento. Forster la guardava costernato.
“Non dovrà combattere anche lei, vero?” aveva tentato sottovoce verso Bessie.
“Allora” aveva proseguito invece lei con nonchalance “ti stavo dicendo che sono venuta qui perché dovevo assolutamente annunciarti una cosa... e cioè COMPLIMENTI!!! Questa è l’ultima notte che passerai qui!!! Contenta, eh? Contenta???”
“Oh, wow!”
“Eh?” aveva strabuzzato gli occhi Tonks.
“Che cosa c’è?”
“Beh, sono io che te lo chiedo. Non sei contenta?”
“Ma certo che lo sono!”
“Davvero? Perché non sembrava proprio!”
“Ma smettila!” aveva replicato bruscamente Bessie. Il gesto della mano con cui aveva accompagnato quell’esclamazione era andato involontariamente a graffiare una guancia dell’amica. Tonks si era bloccata per un momento a fissarla, stupefatta da quella reazione.
“Oddio, scusami! Ti ho fatto male!”
“Lascia stare Bes.”
“Ma no aspetta, ho qui dei fazzolettini...”
“Ho detto lascia stare. Si può sapere cosa cavolo ti prende?”
“Ma niente, sei sempre così sospettosa!”
“Come sarebbe a dire? Sei tu che sei strana! Ti dico che puoi tornare a casa e invece di fare i salti di gioia incurvi le spalle! È successo qualcosa?”
“Ti dico di no!”
“Perché non vuoi dirmelo? Lo so che non...” il mento le era tremato leggermente, e così la voce “non sono brava come Lily, in queste cose. Però magari posso darti una mano. Lo vedo che non stai bene, sai.”
“Insomma Dora, piantala!!!” aveva esclamato Bessie. “Non... non sopporto questi tuoi continui tentativi di entrare nella mia testa, solo perché Lily ci riusciva!!!”
Non l’aveva guardata mentre si alzava senza dire una parola. Non ne aveva avuto il coraggio. Tonks era rimasta in piedi per qualche secondo, solo osservando Bessie con uno sguardo che l’avrebbe fatta sentire terribilmente sporca, molto più di quello che già si sentiva; poi aveva rivolto un cenno di saluto al vecchio signore ed era uscita dalla stanza. Sempre senza dire nulla.



“E così la combattente ha paura di tornare a casa perché dovrebbe affrontare quel piccolo spazio che troverà tra la sicurezza di questo posto e la sicurezza dell’azione che verrà poi.”
“...”
“Piccolo spazio che consiste nei suoi sentimenti e in quelli delle altre persone. Delle cose come stanno, perché sai che stanno diversamente.”
Bessie si era spostata verso la finestra, come per cercare la presenza confortante di Bitorzolo nel buio che sembrava contagiare pian piano la stanza.
“C’entra lei?”
“Anche.”
“Dovresti dirglielo.”
“...La ferirei.”
“Senti ragazzina, non conosco te e non conosco la situazione, ma mi sembra chiaro che questo l’hai già fatto. Anche se fossi tanto rimbambito da non essermene accorto, mi basterebbe guardare nei tuoi occhi per capirlo. Tu non sei abituata a ferire le persone, vero? Non a volerlo fare. Ma sei troppo onesta per mentire a te stessa su ciò che hai fatto ora.”
“Io... ferirei tutti.”
Forster nel tentativo di rispondere prontamente aveva tossito, non riuscendo a parlare per qualche minuto. Bessie gli aveva porto un bicchiere d’acqua, grazie al quale si era un po’ calmato. Aveva poi provato a scendere dal letto, ma l’alzarsi gli aveva procurato un secondo attacco, ancora più micidiale del primo. Gli ci era voluto del tempo per riaversi, ormai faticava anche nel pronunciare le parole slegate l’una dall’altra. Lo stesso respiro a volte somigliava ad una specie di rantolo.
“La prossima volta che mi guardi, ragazzina, non chiedermi perché non voglio più vivere” aveva commentato con una luce straordinariamente cupa negli occhi mentre con la mano cercava di premere lì dove si trovavano i polmoni. Bessie gli aveva stretto l’altra, non sapendo che dire.
“E’ tua amica” aveva ripreso poi. “Se non riesci a darle il tuo amore, non merita almeno la tua onestà?”



153.
“Non dovresti stare qui.”
Bessie, dal terrazzo ventoso nel quale si trovava, si era voltata a guardare Silente come se la sua presenza lì fosse stata perfettamente naturale. “E così... dove ci si aspetta che io stia?”
Lui ci aveva pensato. “Questo non ha semplicemente a che fare con l’ospedale, vero?”
Lei l’aveva guardato tristemente. “Ho ferito una persona. Continuerò a ferirne.”
Silente si era sporto a sua volta dal grande terrazzo, mentre l’aria gli scompigliava i lunghi capelli sotto il berretto da mago; solo la barba, stranamente, restava pressoché ferma al suo posto. Bessie lo guardava, e più gli studiava la schiena appoggiata alla ringhiera più doveva resistere all’istinto di abbracciarlo, di sentirsi rassicurata dal suo contatto.
Ti stai pentendo di avermi dato fiducia?
Continuerai a tremare, sapendomi là fuori?
Silente non rispondeva, lasciandola alle prese con se stessa. Si limitava ad esserci.
E come sempre, sai limitarti maledettamente bene!, si era riscoperta a pensare lei. Non sapeva perché. In fondo non aveva fatto nulla, ma lei si sentiva infinitamente grata della sua presenza lì.
“Il signor Forster, il mio compagno di stanza... dice che gli piaccio perché, a differenza delle altre persone, non voglio aiutarlo.”
“Sembra un tipo in gamba” aveva replicato lui con tranquillità.
“Ma io” aveva continuato Bessie, avvicinandoglisi un po’ sgomenta “l’ho sempre fatto, è quello che sono... Senza questo... non ho più niente.”
“Sei spaventata, Elizabeth?”
“Se ti dico la verità opporrai resistenza al mio voler partecipare?”
“Se mentirai pensi che potrò non scoprirlo?”
Bessie aveva sospirato.
“Il coraggio nasce dalla paura, Elizabeth. Ti fa bene averne. Limita l’incoscienza.”
Istintivamente lei gli si era affiancata, cercando cogli occhi il punto che lui doveva aver fissato fino a quel momento. Desiderava davvero aggrapparsi al suo braccio, ma qualcosa nel loro rapporto le aveva sempre impedito di farlo. Voleva bene a Silente come ad un padre, ma lo rispettava profondamente. Non avrebbe saputo andare oltre a questo.
Eppure, quando aveva parlato, Silente aveva saputo avvolgerla in un caldo abbraccio senza nemmeno sfiorarla.
“C’è una storia che ho incontrato nel mondo dei babbani, non so se tu la conosca... la protagonista è una bambina un po’ speciale, il suo nome è Anna, o qualcosa di simile. Lei... rende felici le persone.”
“Una sorta di potere magico?”
“Se vogliamo chiamarlo così” aveva sorriso lui. “Ma non serve una scuola di magia per imparare ad usarlo. Lei semplicemente riusciva a prestare il suo sorriso senza nemmeno rendersene conto. Aveva un gioco, il gioco della felicità lo chiamava, che insegnava alla gente. Funzionava perché non ci pensava. Non voleva davvero aiutare qualcuno, era semplicemente lei.”
Bessie lo guardava, attendendo ed intascandosi ogni parola, ogni virgola, ogni inflessione di voce.
“Ti conosco abbastanza. Tu non vuoi aiutare, tu aiuti. È per questo che funziona”




* * *




“Devo andare. Si sta facendo tardi. E si sta facendo freddo… per un povero vecchio come me.”
“D’accordo.”
“Tornerai nella tua stanza?”
“Fra un momento, te lo prometto.”
“Va bene allora. Ci vediamo domani.” Silente si era avviato verso l’interno dell’edificio, appoggiandosi un po’ faticosamente al suo bastone. Bessie gli aveva intravisto sotto la manica la mano ferita, nera.
“Albus... non sentirti in colpa.”
Il vecchio si era fermato a quelle parole, voltandosi a guardarla con degli occhi assolutamente indecifrabili, che sembravano raccoglierla e poi andare più in là, molto più in là.
“Non è stata colpa tua. James, Lily. Sirius. Quello che sto passando io. Il fatto che crediamo in te non è colpa tua.”
“Vedrò di ricordarmelo, signorina. Ti ringrazio” E, con grande sgomento di Bessie, le era sembrato che lui l’avesse pensato sinceramente.
“Tu ci hai salvati. Il fatto che siano morti non gli ha impedito di essere salvati da te.”
“Elizabeth... hai così paura di una mia debolezza?”
Lei aveva scosso il capo. “Non è per me.”
“No? E allora perché?”
Bessie aveva continuato a guardarlo: non gli aveva risposto. Dopo un po’ il mago era tornato a voltarsi sorridendo, per poi scomparire oltre l’uscio.
“Perché ti voglio bene”, aveva sussurrato lei.



154.
“E così te ne vai” aveva osservato il vecchio Forster mentre Bessie ficcava le sue cose nella borsa.
“Sì, tra poco passeranno a prendermi.”
“Salutiamoci adesso, allora. Così non sembrerà uno di quegli addii strappalacrime e senza senso.”
Lei l’aveva studiato per un momento, poi aveva sorriso e gli si era avvicinata.
“No eh, niente abbracci. Senti ragazzina... lo so che non sei una ragazzina: ti si vede dagli occhi. Però continua a non cercare mai scuse, d’accordo?”
“D’accordo.”
“Bene. Solo… cerca di capire in tempo.”
“Voglio smettere di capire. Voglio esserci.”
“Attenta, sa essere un alibi anche questo. Ho sentito quello che ti diceva quell’uomo che chiamavi zio... penso che una volta ci riuscissi.”
“Già, penso di sì.”
“E così ora non sai più avere i tuoi significati da sola soltanto perché hai cambiato uomo da amare?”
“Io non...” era arrossita “ho cambiato uomo da amare.”
“No? allora si vede che è ancora lo stesso.”
“Niente è lo stesso. È cambiato tutto. Ma c’è... ancora lui.”
“In qualche modo.”
“In qualche modo.”
“Forse dovrebbe lasciarti andare.”
“Perché, lei che vuole morire, mi spinge a vivere signore? È solo una mera questione di età?”
Lui aveva sistemato delle pieghe invisibili sul suo lenzuolo. “E’ questione di poter ancora dare qualcosa. Tu puoi... farlo.”
“Io non... non lo so...”
“Sì invece! Lo sai! Tu puoi! Devi!” aveva quasi urlato le ultime parole, con una luce disperata negli occhi. Bessie gli si era fatta vicino, preoccupata, e lui le aveva afferrato una mano prendendola tra le sue.
“Tu puoi... aiutarmi...” aveva mormorato con tono sofocato, ma gli occhi sempre straordinariamente penetranti. Bessie si era ritirata spaventata nel momento in cui aveva compreso cosa quegli occhi le stessero domandando.
“Io non... non posso!”
“Ti sto implorando, ragazza! Aiutami!”
“Mi... mi dispiace signor Forster” aveva replicato lei con un filo di voce mentre abbassava lo sguardo. Lui allora le aveva lasciato andare la mano.
“Sta bene”, aveva detto soltanto. E quelle erano state le ultime parole che si erano scambiati prima che lei uscisse dall’ospedale.





  
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