1 Settembre 1998.
Cammino per i corridoi di Hogwarts. Niente, o quasi, potrebbe far pensare a quello che è successo qui qualche mese fa.
Quattro mesi. Sono passati soltanto quattro mesi. Da soli quattro mesi la mia cicatrice ha smesso di bruciare. Da soli quattro mesi sono morte tantissime persone che amavo e tantissime altre che non conoscevo affatto. Da soli quattro mesi abbiamo salvato il mondo magico. Abbiamo sconfitto Lord Voldemort, insieme.
E, cosa più importante di tutte, ho scoperto la verità su una persona nobile, magari non di nascita, ma di spirito senz’altro. Ho capito perché il professor Silente si fidava incondizionatamente di lui. Ho capito perché allo stesso tempo mi odiava e mi amava. Odiava tutto di me. Amava i miei occhi. Ma in fondo quegli occhi non sono mai stati completamente miei. Per quegli occhi e per quello che rappresentano ha speso e sacrificato la sua vita.
Cammino per i corridoi di Hogwarts. La prima cosa che voglio fare è andare nel posto dove l’ho visto per l’ultima volta. Dove l’ho guardato per l’ultima volta. Dove ha esalato il suo ultimo respiro guardando gli occhi per i quali ha lottato.
Ho con me la fiala con i suoi ricordi. Ricordi che custodiva gelosamente. Ricordi che ora gli restituirò.
Stappo la boccetta e faccio scivolare quei fili argentei nell’acqua.
“Professore, nessuno entrerà più nella vostra testa” dico in un sussurro appena percepibile.
“Potter, da quando sei così rispettoso della privacy altrui?” una voce bassa e strisciante, che posso ricollegale solo ad una persona, ha pronunciato quelle parole.
Attribuendo tutto ad uno scherzo della mia mente, trasportato dai ricordi, cerco di allontanarmi da quel luogo.
Cerco. Perché mi ritrovo davanti Severus Piton in persona. O quasi.
Dall’essenza pura della sorpresa che poteva leggere nei miei occhi, dovette capire che avevo bisogno di una spiegazione.
“Sì, Potter, sono un fantasma. Non ho intenzione di dirti altro. Ho delle faccende in sospeso, ed ho bisogno… diciamo che avrei bisogno della tua… collaborazione a livello strettamente professionale” riuscì ad ammettere con non poche resistenze.
“Professor Piton, ma, io non capisco” dissi, se possibile più confuso di qualche momento prima.
“Non mi aspettavo di certo che capissi all’istante. Sono morto, non stupido” disse con il tono gelido che ricordavo. Non lo avrò lodato un po’ troppo? È pur sempre Piton!