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Autore: SAranel    07/04/2012    12 recensioni
Sherlock si sveglia, un sabato mattina come tanti altri, e scopre qualcosa che decisamente non si aspettava. Cosa sarà mai?
“John, mi sta guardando” disse, apprensivo.
John buttò gli occhi al cielo, scuotendo la testa come se avesse a che fare con un bambino impaurito dai mostri sotto il letto. Una cosa però era certa, non si annoiava davvero mai con lui, nemmeno in una tranquilla mattinata di un sabato qualunque.
“E tu lascia che ti guardi, Sherlock” rispose, con voce calma e pacata.
“Ha una strana espressione, John”.[...]
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un ciao enorme all’intero fandom!
Mi ero detta che dopo cinque fan-fiction di fila, avrei sicuramente lasciato intercorrere un po’ di tempo prima di pubblicare nuovamente… e naturalmente non ce l’ho fatta!
Questa storia non contiene slash, l’ho lasciato un po’ da parte per questa storia, (ma non l’ho abbandonato! Giammai!) ma spero la troviate ugualmente di vostro gradimento!
Sperando di non aver fatto troppo male, vi auguro come sempre buona lettura!

S.



Un ospite inatteso
*



“John! Vieni subito qui!” sbottò Sherlock con un tono di voce sconcertato, nonostante John non lo avesse mai sentito abbastanza sconvolto da poter dare quell’aggettivo a quel determinato suono.

Si precipitò giù per le scale e arrivato alla soglia del salotto si guardò intorno, teso, per cercare il suo coinquilino e soprattutto per comprendere il motivo di tanta agitazione.
Trovò Sherlock accanto alla sua poltrona, in piedi e ancora in vestaglia, mentre guardava con visibile apprensione qualcosa accanto al divano. Quando sentì il rumore dei passi di John avvicinarsi, si voltò verso di lui puntandogli contro il dito, accusatorio.
“Tu” disse, con voce dura. “Spiegami”.
John non comprese, all’inizio. Si sporse dalla soglia, fino ad avere una buona visuale di tutto il salotto e all’improvviso intravide il motivo dell’agitazione del detective.
“Sherlock, non ti sembra una reazione esagerata?” domandò al coinquilino, paziente.
Sherlock lo guardò come se gli avesse appena rivolto un pesante insulto.
“Cos’è quel coso?” domandò ancora, formulando la stessa domanda in un’altra maniera. Il suo dito cambiò obiettivo e puntò la gabbietta ai piedi del divano.
John si sforzò con tutte le sue forze di reprimere una risata, ma stava diventando sempre più difficile mantenere una certa dignità di fronte a certe uscite di Sherlock.
“E’ un coniglietto, Sherlock. Un innocuo, piccolo, tenero coniglietto” rispose, con tutta la semplicità del mondo. Incrociò le braccia puntando i piedi sul pavimento e aspettando con ansia la replica del coinquilino. Come previsto, Sherlock chiuse gli occhi, sospirando profondamente, come se dovesse sbollire un’incommensurabile quantità di rabbia.
“E cosa ci fa un… coniglietto” pronunciò la parola come se gli costasse chissà quanto sforzo. “in casa nostra?” sospirò nuovamente, sistemandosi la vestaglia e mettendo le mani sui fianchi.
John ridacchiò, cercando ancora di darsi un contegno nonostante l’unica cosa che desiderasse in quel momento fosse gettarsi sul divano a rotolarsi dal ridere.
“Una piccola paziente è andata fuori città per Pasqua, sai” cominciò John, cercando di modulare la voce per darle un tono serio. “Ha detto che non aveva nessuno a cui poterlo lasciare e mi ha fatto così tanta tenerezza che non ho potuto dirle di no”.

Sherlock rise, sarcastico, alzando le mani e applaudendo, in tono ironico.
“Oh certo! Il buon, dolce dottor Watson! Se un paziente ti chiedesse con gentilezza di far fuori la moglie tu lo faresti di buon grado, non è così?”.
John perse un po’ del suo buon umore a quell’affermazione, ma non abbastanza da non portarsi ad un passo dello scoppiare a ridergli in faccia. Era incredibile a volte scoprire quanto Sherlock non possedesse mezze misure.
“Sherlock, è un coniglio” disse, esasperato. “Non ti sembra di esagerare?”.

Sherlock camminò verso di lui a passo rapido, straordinariamente veloce, tanto che John quasi si spaventò a trovarselo davanti in un battito di ciglia. Quando il suo respirò tornò normale, Sherlock mosse le labbra piano, in un sussurro, come se ci fosse qualcuno all’ascolto che il detective non aveva alcuna voglia di rendere partecipe.
“Non posso tenere un coniglietto in casa, John. Perderei credibilità”.

“Che… che cosa?” John era allibito. Quell’affermazione non stava né in cielo né in terra.
“Hai capito, John. Una questione è un cane, un bel bestione che fa la sua figura, persino un… un pesce rosso. Ma una tenera, dolce… pallina di pelo mi rovinerebbe”.

John non riuscì più a trattenersi. Pensò all’eventualità che potesse aver frainteso, capito male, mal interpretato. Ma quando ripensò all’intera frase, ricordandola parola per parola, oltretutto accompagnata dall’espressione seria e terribilmente preoccupata di Sherlock scoppiò a ridere come se non ci fosse stato un domani.
“John, tu non mi prendi sul serio” Sherlock diede una palese dimostrazione dell’ovvio. John si buttò sulla poltrona in preda a risa convulse, tendosi la pancia.
“Oh mio Dio, Sherlock, sei grandioso” riuscì a dire, tra una risata e l’altra.
“Prova a pensarci, John! Ho ragione!”.
John lo guardò, con le lacrime agli occhi, e si sedette sulla poltrona, cercando di recuperare un minimo di decoro.
“Oh si, ne sono convinto, Sherlock” disse, divertito. “Chi mai si affiderebbe ad un detective che tiene in casa un coniglietto? Insomma, come puoi dare la caccia ad un pericoloso criminale quando hai un coniglio a carico?” si fermò per un attimo, placando un secondo moto di risatine.
“John…”
“Già immagino le chiacchiere della gente! ‘Come può mantenere la sua lucidità, le sue capacità deduttive, la sua fredda intelligenza con in casa una palla di pelo? Inconcepibile!’” sussurrò. “Oppure ‘Sherlock Holmes ormai è un rammollito senza arte né parte! Hai sentito che tiene in casa un coniglietto?’ Già li vedo, si” John concluse il suo monologo godendosi l’impagabile espressione sul volto di Sherlock.

“Ho idea che tu ti stia prendendo uno spietato gioco di me”.
“Ti sei fatto un’idea giusta, Sherlock. Piantala, non starà con noi per sempre” rispose John, scuotendo la testa e scomparendo in cucina, senza aspettare la replica del detective. Cercò qualcosa da fare per distrarsi da quel folle discorso, ma mentre riponeva nel lavello le stoviglie della colazione, sentì nuovamente la voce di Sherlock.
“John, mi sta guardando” disse, apprensivo.

John buttò gli occhi al cielo, scuotendo la testa come se avesse a che fare con un bambino impaurito dai mostri sotto il letto. Una cosa però era certa, non si annoiava davvero mai con lui, nemmeno in una tranquilla mattinata di un sabato qualunque.

“E tu lascia che ti guardi, Sherlock” rispose, con voce calma e pacata.
“Ha una strana espressione, John”.
Oh, Dio. Un coniglio con una strana espressione era qualcosa che non aveva davvero mai visto.

“Sherlock, è la sua espressione. Ha sempre la stessa espressione. Come tutti i conigli”.
“Si ma… non lo so, ha un che di…famelico”.
John afferrò al volo una tazza che aveva rischiato di sfuggirgli di mano al movimento rapido e involontario della sua mano. John poggiò la testa sul ripiano della credenza e affogò il suo convulso ridacchiare nel canovaccio per i piatti.

“Magari ha fame” buttò lì il dottore, azzardando. Dopotutto non le dava da mangiare dalla sera prima, quando era tornato. Tornò in salotto e cercò di non guardare Sherlock che osservava la gabbietta con apprensione, misto al solito sguardo indagatore che lo contraddistingueva.

Si avvicinò alla gabbietta e la aprì con delicatezza. Il coniglietto rimase fermo, muovendo appena il nasino rosa e guardandolo con curiosità. Mosse piano la coda e John non riuscì a trattenere un sorriso di tenerezza mentre lo prendeva in mano con attenzione, stringendolo al petto per non farli male.
“John fai attenzione” mugolò Sherlock, afferrando i cuscini del divano, come se temesse un agguato e cercasse un’arma di fortuna.
“Terrò calma la belva, Sherlock, tranquillo” lo prese in girò il medico, guardandolo allibito. Portò il coniglietto in cucina e prese una foglia di lattuga dal frigo, sventolandola sotto il nasino del suo nuovo amico. Dopo un tentennamento iniziale, il coniglietto fu più che entusiasta del pasto offerto e prese a rosicchiare la foglia con gusto.
“Pericolo scampato, Sherlock. La belva ha placato la sua fame. Sei salvo”.

“Molto divertente, John”.

Prima che John potesse aggiungere qualcosa, qualcuno bussò alla porta. La Signora Hudson, nella sua vestaglia da camera rossa, rivolse loro un sorriso raggiante.
“Buongiorno, ragazzi!” squillò, arzilla. Quando volse lo sguardo verso la cucina e intravide John non riuscì a trattenere un mugolio estasiato.
“Oh mio Dio, che dolcezza!” squittì, con voce intenerita. Si avvicinò a John e prese ad accarezzare la testolina del cucciolo. Giocherellò col pelo del musetto e con le zampette rosa, sospese sotto il palmo di John che lo sorreggeva. “E’ davvero carino, ragazzi. Sherlock, non è adorabile? Chi lo ha preso?”.
“E’ un idea di John. Non guardate me, Signora Hudson” sbottò Sherlock, scrollandosi di dosso ogni responsabilità e cercando di guardare da un’altra parte, come se la padrona di casa l’avesse offeso in qualche modo. Lei, abituata ai modi di lui, sospirò esasperata.
“E’ qui temporaneamente. E’ di una bambina, mia paziente” spiegò il medico e la Signora Hudson gli sorrise, accarezzando anche il viso di lui, con l’altra mano.
“Che pensiero gentile, John. Se solo Sherlock imparasse qualcosa da te” il tono divenne più duro, come a voler redarguire Sherlock, sottilmente. “E’ talmente adorabile… e poi in periodo di Pasqua!” batté le mani, vivace.

“Eh già. Peccato che Sherlock ne sia spaventato a morte e voglia cacciarlo” alzò volutamente il tono di voce così che il detective potesse sentirlo. Ovviamente, sentendosi punzecchiare in quel modo, oltretutto di fronte alla Signora Hudson, Sherlock lo guardò ad occhi socchiusi, con la tipica espressione da ‘avresti fatto meglio a tenere la bocca chiusa’. John si morse la lingua per non ridere per l’ennesima volta.
La signora sembrava allibita, nonostante avesse imparato ad aspettarsi di tutto da uno come lui, ma mise le mani sui fianchi come una mamma arrabbiata con il suo figlioletto capriccioso e scosse la testa con disappunto.
“Sherlock! Ma come è possibile che tu voglia mandar via una creaturina tanto dolce?” chiese, con tono di rimprovero.
Sherlock sbuffò, come se gli servisse anche la predica della padrona di casa oltre a quella di John.
“Non voglio mica abbandonarla sul ciglio della strada. Potrebbe prenderla qualcun altro… che ne so, Molly Hooper”.
John lo guardò con aria severa.
“Emma l’ha affidato a me, non a Molly”
“Emma deve imparare a non chiedere favori al suo dottore”.

La Signora Hudson bloccò il battibecco prima che cominciasse a volare la solita sfilza interminabile di frecciatine varie. Quei due non litigavano mai, ma quelle volte in cui il bisticcio superava la soglia massima, il tutto diventava un caos indefinibile, dove Sherlock riusciva sempre ad avere l’ultima parola e John, di conseguenza, teneva il broncio tutto il giorno.

“E poi non mi fa paura” specificò. Odiava essere definito un fifone. “Solo che è…inquietante a volte”.

John si morse nuovamente la lingua, ma stavolta per evitare un commento sarcastico e tagliente.
“Ma caro… perché non provi a tenerlo un po’ in braccio?” propose la Signora Hudson con voce nuovamente accomodante. “Se è vero che non hai paura…” lo punse nel vivo.
Sherlock puntò gli occhi verso i due, gelido. Borbottò qualcosa, ma né la donna né il dottore riuscirono a comprendere qualche parola. Probabilmente stava combattendo con sé stesso sull’accettare o meno, su dare prova del suo ‘coraggio’ o in caso contrario della sua ‘paura’. Alla fine si scompigliò i capelli con entrambe le mani, come faceva quando era nervoso, e si alzò, avanzando verso i due.
“Va bene. Ok. Poi però la pianterete con tutte quelle moine”.
La Signora Hudson guardò John ed entrambi si rivolsero un cenno d’intesa, ridacchiando.
“Promesso” disse John.
“Idem” aggiunse la donna anziana.
Sherlock sospirò, come se sfiorare quella creaturina fosse cento volte più impegnativo e pericoloso di una corsa dietro un criminale, disarmato, per le strade di Londra. John aveva rinunciato a cercare di capire la logica di alcune delle azioni di Sherlock. Di come trovasse stimolanti situazioni di estremo pericolo e di come invece giudicasse noiose, inutili, difficili azioni semplici e quotidiane.
Allungò una mano verso il coniglietto, e John allentò la presa per permettere al detective di prenderlo.
“Non stringere” si assicurò John, e Sherlock lo afferrò da sotto la pancia morbida, imitando John e tenendo la presa salda ma delicata contro il suo petto.
L’espressione di Sherlock era indecifrabile. Il medico non riuscì ad interpretare quasi nessuna delle mille emozioni che si stavano rincorrendo sul suo viso, se non sorpresa, curiosità, nervosismo. Ma c’era dell’altro, qualcosa di più forte, qualcosa che Sherlock non si era aspettato, qualcosa che non conosceva.

Accarezzò con innata sensibilità la testolina del coniglietto, scompigliandoli un po’ il pelo fra le orecchie rosee. Poi gli accarezzò piano le zampette più piccole, stringendole tra le dita con un tatto che John non si aspettava minimamente da lui, e la strinse ancora di più a sé, come a volerla meglio sostenere. Quelle dita lunghe, da abile violinista, l’accarezzarono sul dorso, pettinandole il pelo arruffato e sfiorarono il nasino sensibile e le lunghe orecchie. Il coniglietto fremette, come se Sherlock gli avesse fatto il solletico.
Adesso, l’espressione del detective era totalmente mutata. Era quasi concentrato in quel lento accarezzare, in quel metodico e piacevole movimento delle dita. Si mordeva il labbro come se fosse rapito da quella vista e il suo sguardo, John e la Signora Hudson erano decisamente sconvolti da quella scoperta, era decisamente dolce, intenerito. Affettuoso, era il termine perfetto.

John lottò con se stesso per non precipitarsi di sopra a prendere la macchina fotografica ed imprimere quel momento su carta, indelebilmente.

Il coniglietto sembrò estremamente gradire le cure di Sherlock e strofinò dolcemente il musetto contro le dita del detective, solleticandolo con i baffi e le orecchie, come se gli fosse riconoscente.

John guardò nuovamente la Signora Hudson, che sembrava rapita dalla scena come se stesse guardando un film d’amore particolarmente strappalacrime. John sorrise con immensa tenerezza, mentre tornava anche lui a guardare Sherlock prendersi cura di quella creaturina. Gli si scaldò il cuore alla palese e innegabile dimostrazione di come anche Sherlock Holmes, in fondo, possedesse un cuore e dei sentimenti, anche per quelle piccole ma ugualmente significative azioni.

Poi il detective, all’improvviso, sembrò destarsi dalla trance in cui sembrava essere caduto e alzò lo sguardo verso i due che ancora lo osservavano con immenso interesse. Li guardò attentamente, come a voler interpretare le loro espressioni, poi tossicchiò e guardò altrove, come imbarazzato. Cercò di ritrovare un po’ di contegno e compostezza e si sistemò la vestaglia, con la mano libera.
“Credo che in fondo… in fondo possa rimanere, per qualche giorno. Sembra innocuo, in effetti” fu il suo giudizio, alla fine.
John non trattenne un sorriso ancora più ampio, e la Signora Hudson, deliziata, strinse affettuosamente a sè un braccio del dottore, incrociando i suoi occhi, intendendosi con lui all’istante.

Entrambi ridacchiarono quando videro Sherlock arrossire, mentre lasciava frettolosamente la cucina, con ancora in braccio il coniglietto.






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