Un
ciao enorme all’intero
fandom!
Mi ero detta che dopo
cinque fan-fiction di fila, avrei sicuramente lasciato intercorrere un
po’ di
tempo prima di pubblicare nuovamente… e naturalmente non ce
l’ho fatta!
Questa storia non contiene slash, l’ho lasciato un
po’ da parte per questa
storia, (ma non l’ho abbandonato! Giammai!) ma spero la
troviate ugualmente di
vostro gradimento!
Sperando di non aver fatto troppo male, vi auguro come sempre buona
lettura!
S.
Un ospite
inatteso
Si precipitò
giù per le
scale e arrivato alla soglia del salotto si guardò intorno,
teso, per cercare
il suo coinquilino e soprattutto per comprendere il motivo di tanta
agitazione.
Trovò Sherlock accanto alla sua poltrona, in piedi e ancora
in vestaglia,
mentre guardava con visibile apprensione qualcosa accanto al divano.
Quando
sentì il rumore dei passi di John avvicinarsi, si
voltò verso di lui puntandogli
contro il dito, accusatorio.
“Tu” disse, con voce dura.
“Spiegami”.
John non comprese, all’inizio. Si sporse dalla soglia, fino
ad avere una buona
visuale di tutto il salotto e all’improvviso intravide il
motivo
dell’agitazione del detective.
“Sherlock, non ti sembra una reazione esagerata?”
domandò al coinquilino,
paziente.
Sherlock lo guardò come se gli avesse appena rivolto un
pesante insulto.
“Cos’è quel coso?”
domandò ancora, formulando la stessa domanda in
un’altra
maniera. Il suo dito cambiò obiettivo e puntò la
gabbietta ai piedi del divano.
John si sforzò con tutte le sue forze di reprimere una
risata, ma stava
diventando sempre più difficile mantenere una certa
dignità di fronte a certe
uscite di Sherlock.
“E’ un coniglietto, Sherlock. Un innocuo, piccolo,
tenero coniglietto” rispose,
con tutta la semplicità del mondo. Incrociò le
braccia puntando i piedi sul
pavimento e aspettando con ansia la replica del coinquilino. Come
previsto,
Sherlock chiuse gli occhi, sospirando profondamente, come se dovesse
sbollire
un’incommensurabile quantità di rabbia.
“E cosa ci fa un… coniglietto”
pronunciò la parola come se gli costasse chissà
quanto sforzo. “in casa nostra?”
sospirò nuovamente, sistemandosi la vestaglia e mettendo le
mani sui fianchi.
John ridacchiò, cercando ancora di darsi un contegno
nonostante l’unica cosa
che desiderasse in quel momento fosse gettarsi sul divano a rotolarsi
dal
ridere.
“Una piccola paziente è andata fuori
città per Pasqua, sai” cominciò John,
cercando di modulare la voce per darle un tono serio. “Ha
detto che non aveva
nessuno a cui poterlo lasciare e mi ha fatto così tanta
tenerezza che non ho
potuto dirle di no”.
Sherlock rise, sarcastico,
alzando le mani e applaudendo, in tono ironico.
“Oh certo! Il buon, dolce dottor Watson! Se un paziente ti
chiedesse con gentilezza di far
fuori la moglie tu lo
faresti di buon grado, non è così?”.
John perse un po’ del suo buon umore a
quell’affermazione, ma non abbastanza da
non portarsi ad un passo dello scoppiare a ridergli in faccia. Era
incredibile
a volte scoprire quanto Sherlock non possedesse mezze misure.
“Sherlock, è un coniglio” disse,
esasperato. “Non ti sembra di esagerare?”.
Sherlock camminò
verso di
lui a passo rapido, straordinariamente veloce, tanto che John quasi si
spaventò
a trovarselo davanti in un battito di ciglia. Quando il suo
respirò tornò
normale, Sherlock mosse le labbra piano, in un sussurro, come se ci
fosse
qualcuno all’ascolto che il detective non aveva alcuna voglia
di rendere
partecipe.
“Non posso tenere un coniglietto in casa, John. Perderei
credibilità”.
“Che… che
cosa?” John era
allibito. Quell’affermazione non stava né in cielo
né in terra.
“Hai capito, John. Una questione è un cane, un bel
bestione che fa la sua
figura, persino un… un pesce rosso. Ma una tenera,
dolce… pallina di pelo
mi rovinerebbe”.
John non riuscì
più a
trattenersi. Pensò all’eventualità che
potesse aver frainteso, capito male, mal
interpretato. Ma quando ripensò all’intera frase,
ricordandola parola per
parola, oltretutto accompagnata dall’espressione seria e
terribilmente
preoccupata di Sherlock scoppiò a ridere come se non ci
fosse stato un domani.
“John, tu non mi prendi sul serio” Sherlock diede
una palese dimostrazione
dell’ovvio. John si buttò sulla poltrona in preda
a risa convulse, tendosi la
pancia.
“Oh mio Dio, Sherlock, sei grandioso”
riuscì a dire, tra una risata e l’altra.
“Prova a pensarci, John! Ho ragione!”.
John lo guardò, con le lacrime agli occhi, e si sedette
sulla poltrona,
cercando di recuperare un minimo di decoro.
“Oh si, ne sono convinto, Sherlock” disse,
divertito. “Chi mai si affiderebbe
ad un detective che tiene in casa un coniglietto? Insomma, come puoi
dare la
caccia ad un pericoloso criminale quando hai un coniglio a
carico?” si fermò
per un attimo, placando un secondo moto di risatine.
“John…”
“Già immagino le chiacchiere della gente!
‘Come può mantenere la sua lucidità,
le sue capacità deduttive, la sua fredda intelligenza con in
casa una palla di
pelo? Inconcepibile!’” sussurrò.
“Oppure ‘Sherlock Holmes ormai è un
rammollito
senza arte né parte! Hai sentito che tiene in casa un
coniglietto?’ Già li
vedo, si” John concluse il suo monologo godendosi
l’impagabile espressione sul
volto di Sherlock.
“Ho idea che tu ti
stia
prendendo uno spietato gioco di me”.
“Ti sei fatto un’idea giusta, Sherlock. Piantala,
non starà con noi per sempre”
rispose John, scuotendo la testa e scomparendo in cucina, senza
aspettare la
replica del detective. Cercò qualcosa da fare per distrarsi
da quel folle
discorso, ma mentre riponeva nel lavello le stoviglie della colazione,
sentì
nuovamente la voce di Sherlock.
“John, mi sta guardando” disse, apprensivo.
John buttò gli
occhi al
cielo, scuotendo la testa come se avesse a che fare con un bambino
impaurito
dai mostri sotto il letto. Una cosa però era certa, non si
annoiava davvero mai
con lui, nemmeno in una tranquilla mattinata di un sabato qualunque.
“E tu lascia che ti
guardi, Sherlock” rispose, con voce calma e pacata.
“Ha una strana espressione, John”.
Oh, Dio. Un coniglio con una strana
espressione era qualcosa che non aveva davvero mai visto.
“Sherlock,
è la sua
espressione. Ha sempre la stessa espressione. Come tutti i
conigli”.
“Si ma… non lo so, ha un che
di…famelico”.
John afferrò al volo una tazza che aveva rischiato di
sfuggirgli di mano al
movimento rapido e involontario della sua mano. John poggiò
la testa sul
ripiano della credenza e affogò il suo convulso ridacchiare
nel canovaccio per
i piatti.
“Magari ha
fame” buttò lì
il dottore, azzardando. Dopotutto non le dava da mangiare dalla sera
prima,
quando era tornato. Tornò in salotto e cercò di
non guardare Sherlock che
osservava la gabbietta con apprensione, misto al solito sguardo
indagatore che
lo contraddistingueva.
Si avvicinò alla
gabbietta
e la aprì con delicatezza. Il coniglietto rimase fermo,
muovendo appena il
nasino rosa e guardandolo con curiosità. Mosse piano la coda
e John non riuscì
a trattenere un sorriso di tenerezza mentre lo prendeva in mano con
attenzione,
stringendolo al petto per non farli male.
“John fai attenzione” mugolò Sherlock,
afferrando i cuscini del divano, come se
temesse un agguato e cercasse un’arma di fortuna.
“Terrò calma la belva, Sherlock,
tranquillo” lo prese in girò il medico,
guardandolo allibito. Portò il coniglietto in cucina e prese
una foglia di
lattuga dal frigo, sventolandola sotto il nasino del suo nuovo amico.
Dopo un
tentennamento iniziale, il coniglietto fu più che entusiasta
del pasto offerto
e prese a rosicchiare la foglia con gusto.
“Pericolo scampato, Sherlock. La belva ha placato la sua
fame. Sei salvo”.
“Molto divertente,
John”.
Prima che John potesse
aggiungere qualcosa, qualcuno bussò alla porta. La Signora
Hudson, nella sua
vestaglia da camera rossa, rivolse loro un sorriso raggiante.
“Buongiorno, ragazzi!” squillò, arzilla.
Quando volse lo sguardo verso la
cucina e intravide John non riuscì a trattenere un mugolio
estasiato.
“Oh mio Dio, che dolcezza!” squittì, con
voce intenerita. Si avvicinò a John e
prese ad accarezzare la testolina del cucciolo. Giocherellò
col pelo del
musetto e con le zampette rosa, sospese sotto il palmo di John che lo
sorreggeva. “E’ davvero carino, ragazzi. Sherlock,
non è adorabile? Chi lo ha
preso?”.
“E’ un idea di John. Non guardate me, Signora
Hudson” sbottò Sherlock,
scrollandosi di dosso ogni responsabilità e cercando di
guardare da un’altra
parte, come se la padrona di casa l’avesse offeso in qualche
modo. Lei, abituata
ai modi di lui, sospirò esasperata.
“E’ qui temporaneamente. E’ di una
bambina, mia paziente” spiegò il medico e la
Signora Hudson gli sorrise, accarezzando anche il viso di lui, con
l’altra
mano.
“Che pensiero gentile, John. Se solo Sherlock imparasse
qualcosa da te” il tono
divenne più duro, come a voler redarguire Sherlock,
sottilmente. “E’ talmente
adorabile… e poi in periodo di Pasqua!”
batté le mani, vivace.
“Eh già.
Peccato che
Sherlock ne sia spaventato a morte e voglia cacciarlo”
alzò volutamente il tono
di voce così che il detective potesse sentirlo. Ovviamente,
sentendosi
punzecchiare in quel modo, oltretutto di fronte alla Signora Hudson,
Sherlock
lo guardò ad occhi socchiusi, con la tipica espressione da
‘avresti fatto
meglio a tenere la bocca chiusa’. John si morse la lingua per
non ridere per
l’ennesima volta.
La signora sembrava allibita, nonostante avesse imparato ad aspettarsi
di tutto
da uno come lui, ma mise le mani sui fianchi come una mamma arrabbiata
con il
suo figlioletto capriccioso e scosse la testa con disappunto.
“Sherlock! Ma come è possibile che tu voglia
mandar via una creaturina tanto
dolce?” chiese, con tono di rimprovero.
Sherlock sbuffò, come se gli servisse anche la predica della
padrona di casa
oltre a quella di John.
“Non voglio mica abbandonarla sul ciglio della strada.
Potrebbe prenderla
qualcun altro… che ne so, Molly Hooper”.
John lo guardò con aria severa.
“Emma l’ha affidato a me, non a Molly”
“Emma deve imparare a non chiedere favori al suo
dottore”.
La Signora Hudson
bloccò
il battibecco prima che cominciasse a volare la solita sfilza
interminabile di
frecciatine varie. Quei due non litigavano mai, ma quelle volte in cui
il
bisticcio superava la soglia massima, il tutto diventava un caos
indefinibile,
dove Sherlock riusciva sempre ad avere l’ultima parola e
John, di conseguenza,
teneva il broncio tutto il giorno.
“E poi non mi fa paura” specificò.
Odiava essere definito
un fifone. “Solo che è…inquietante a
volte”.
John si morse nuovamente
la lingua, ma stavolta per evitare un commento sarcastico e tagliente.
“Ma caro… perché non provi a tenerlo un
po’ in braccio?” propose la Signora
Hudson con voce nuovamente accomodante. “Se è vero
che non hai paura…” lo punse
nel vivo.
Sherlock puntò gli occhi verso i due, gelido.
Borbottò qualcosa, ma né la donna
né il dottore riuscirono a comprendere qualche parola.
Probabilmente stava
combattendo con sé stesso sull’accettare o meno,
su dare prova del suo
‘coraggio’ o in caso contrario della sua
‘paura’. Alla fine si scompigliò i
capelli con entrambe le mani, come faceva quando era nervoso, e si
alzò,
avanzando verso i due.
“Va bene. Ok. Poi però la pianterete con tutte
quelle moine”.
La Signora Hudson guardò John ed entrambi si rivolsero un
cenno d’intesa,
ridacchiando.
“Promesso” disse John.
“Idem” aggiunse la donna anziana.
Sherlock sospirò, come se sfiorare quella creaturina fosse
cento volte più
impegnativo e pericoloso di una corsa dietro un criminale, disarmato, per le strade di Londra. John
aveva rinunciato a cercare
di capire la logica di alcune delle azioni di Sherlock. Di come
trovasse
stimolanti situazioni di estremo pericolo e di come invece giudicasse
noiose,
inutili, difficili azioni semplici
e
quotidiane.
Allungò una mano verso il coniglietto, e John
allentò la presa per permettere
al detective di prenderlo.
“Non stringere” si assicurò John, e
Sherlock lo afferrò da sotto la pancia
morbida, imitando John e tenendo la presa salda ma delicata contro il
suo
petto.
L’espressione di Sherlock era indecifrabile. Il medico non
riuscì ad
interpretare quasi nessuna delle mille emozioni che si stavano
rincorrendo sul
suo viso, se non sorpresa, curiosità, nervosismo. Ma
c’era dell’altro, qualcosa
di più forte, qualcosa che Sherlock non si era aspettato,
qualcosa che non
conosceva.
Accarezzò con
innata sensibilità
la testolina del coniglietto, scompigliandoli un po’ il pelo
fra le orecchie
rosee. Poi gli accarezzò piano le zampette più
piccole, stringendole tra le
dita con un tatto che John non si aspettava minimamente da lui, e la
strinse
ancora di più a sé, come a volerla meglio
sostenere. Quelle dita lunghe, da
abile violinista, l’accarezzarono sul dorso, pettinandole il
pelo arruffato e
sfiorarono il nasino sensibile e le lunghe orecchie. Il coniglietto
fremette,
come se Sherlock gli avesse fatto il solletico.
Adesso, l’espressione del detective era totalmente mutata.
Era quasi
concentrato in quel lento accarezzare, in quel metodico e piacevole
movimento
delle dita. Si mordeva il labbro come se fosse rapito da quella vista e
il suo
sguardo, John e la Signora Hudson erano decisamente sconvolti da quella
scoperta, era decisamente dolce, intenerito. Affettuoso,
era il termine perfetto.
John lottò con se
stesso
per non precipitarsi di sopra a prendere la macchina fotografica ed
imprimere
quel momento su carta, indelebilmente.
Il coniglietto
sembrò
estremamente gradire le cure di Sherlock e strofinò
dolcemente il musetto
contro le dita del detective, solleticandolo con i baffi e le orecchie,
come se
gli fosse riconoscente.
John guardò
nuovamente la
Signora Hudson, che sembrava rapita dalla scena come se stesse
guardando un
film d’amore particolarmente strappalacrime. John sorrise con
immensa
tenerezza, mentre tornava anche lui a guardare Sherlock prendersi cura
di
quella creaturina. Gli si scaldò il cuore alla palese e
innegabile
dimostrazione di come anche Sherlock Holmes, in fondo, possedesse un
cuore e
dei sentimenti, anche per quelle piccole ma ugualmente significative
azioni.
Poi il detective,
all’improvviso, sembrò destarsi dalla trance in
cui sembrava essere caduto e
alzò lo sguardo verso i due che ancora lo osservavano con
immenso interesse. Li
guardò attentamente, come a voler interpretare le loro
espressioni, poi
tossicchiò e guardò altrove, come imbarazzato.
Cercò di ritrovare un po’ di
contegno e compostezza e si sistemò la vestaglia, con la
mano libera.
“Credo che in fondo… in fondo possa rimanere, per
qualche giorno. Sembra
innocuo, in effetti” fu il suo giudizio, alla fine.
John non trattenne un sorriso ancora più ampio, e la Signora
Hudson, deliziata,
strinse affettuosamente a sè un braccio del dottore,
incrociando i suoi occhi,
intendendosi con lui all’istante.
Entrambi ridacchiarono
quando videro Sherlock arrossire, mentre lasciava frettolosamente la
cucina,
con ancora in braccio il coniglietto.