Mi Ricordo il Suono
di Quella Fisarmonica.
Se lo
ricordava bene, suo padre.
Era
alto. E aveva sempre una barbetta ispida a coprirgli la carnagione olivastra.
Gli occhi erano neri, e i capelli troppo lunghi. Li doveva tagliare spesso, gli
crescevano ad una velocità sorprendente.
Era
giovane, suo padre.
Sorrideva
sempre. Un sorriso triste. Lo vedeva dalle rughe agli angoli delle sue labbra,
che parevano invecchiarlo di cento anni.
Midorikawa
però se lo ricordava allegro e spensierato. Erano due bambini sperduti nelle
strade grandi delle città, loro due.
Suo
padre non aveva un lavoro. Gli ultimi soldi rimasti li aveva usati per comprare
un piccolo stereo a batterie e una cassa trasportabile.
Un
giorno gli si era presentato con una fisarmonica in mano e, con il solito
sorriso sghembo, aveva esclamato un “Andiamo a divertirci un po’, che dici?”. E
da quella volta le loro giornate le avevano passate in metro. Il tempo di
entrare in un vagone, accendere il piccolo stereo con la base e la cassa,
suonare un paio di pezzi con la fisarmonica. Lui, che era piccolo e non la
sapeva suonare, aveva il compito di girare per il vagone (a volte pieno, a
volte semivuoto) con un bicchiere e prendere quello che la gente offriva. Poi
uscivano, ed entravano da un’altra parte, a fare la stessa cosa.
A
Midorikawa piaceva. Erano i momenti più belli della sua giornata, perchè poteva
aiutarlo, e suo padre poteva essere davvero orgoglioso di lui.
Quando
la sera tornavano a casa, un enorme edificio pieno di gente simpatica, spesso
chiedeva a suo papà di suonargli qualcosa. Solo per lui.
Lui
gli sorrideva e, anche se era stanco, suonava qualche pezzo. Gli insegnava le
parole, gli faceva vedere quali tasti premere. Ridevano, assieme. E ogni sera,
poco dopo aver cominciato a suonare, attorno a suo padre si riuniva una piccola
folla di persone che ascoltava con un sorriso quelle melodie. I loro sorrisi
erano tutti diversi. Midorikawa li osservava spesso, e si riscopriva contento
di quei momenti d’intimità “allargati”.
Con
il tempo, il bambino aveva cominciato ad imparare qualcosina, ed ogni volta,
ogni giorno, ogni fermata, ogni vagone, aveva cominciato a canticchiare sopra
le melodie del padre, un sorriso che gli illuminava il viso.
Aveva
cinque anni ed amava la sua quotidianità.
-Facciamo
un gioco.- gli aveva detto una volta il padre, la fisarmonica in una mano e
l’indice alle labbra, strizzandogli l’occhio.
Midorikawa
aveva annuito con un sorriso. I giochi con suo padre erano sempre divertenti.
-E’
tipo… Guardie e ladri. E noi siamo i ladri. Io e te.- si era indicato e poi
aveva fatto lo stesso con il figlio, che entusiasta aveva allargato il sorriso
–Siamo complici, nessuno può dividerci. Giusto?- aveva continuato.
Midorikawa
aveva gonfiato il petto con orgoglio. Lui era la spalla di suo padre, lo
sarebbe sempre stato. E suo padre la sarebbe stata per lui.
-Allora.-
aveva gesticolato, poi si era guardato attorno circospetto, giocando –Prima o
poi le guardie dovranno venire a prenderci, perché siamo i ladri.-
Il
bimbo aveva annuito concorde.
-Ecco.
Quando succederà, io farò in modo di essere lontano da te.-
Quello
aveva storto le labbra in una smorfia. Dovevano stare insieme, no?
-Ragiona.-
aveva quindi continuato il padre –Se siamo divisi e mi prendono, poi tu puoi
venire a salvarmi, no?-
Midorikawa
aveva ritrovato il sorriso.
-Perfetto.
Quindi quando non mi vedrai, non dovrai spaventarti, perché sei un uomo, e sai
che dovrai venire a salvarmi.- gli aveva scompigliato i capelli, e poi
accarezzato una guancia.
Il
piccolo aveva annuito, attento. Sarebbe stato impassibile come un agente
segreto.
-Però
dovrai stare attento!- gli si era avvicinato, circospetto –Può essere che
qualche altra guardia venga a prendere anche te!-
Il
bimbo aveva sussultato.
-Se
mai succedesse, tu dovrai dire di non conoscermi, che non hai un padre e
nemmeno un compagno, ed inventarti un’altra identità. Così. Puff. Perché sennò
potrebbero incastrarti (sono intelligenti). E così non saresti più libero
nemmeno tu, e non potresti salvarmi.- aveva spiegato –Mi hai capito, Ryuuji?-
aveva aggiunto serio.
Midorikawa
aveva continuato ad annuire fino alla fine del discorso, entusiasta. Si
sarebbero divertiti un mondo.
Per
giorni però non era successo niente, e Midorikawa si era quasi rassegnato
all’idea che il gioco non si sarebbe più fatto.
Aveva
ormai perso la speranza quando prendendogli la mano, suo padre l’aveva portato
verso l’entrata della metro, come ogni giorno.
Erano
entrati in un vagone, che come al solito aveva scelto lui a caso, e suo padre
si era messo a suonare. Lui aveva cantato, poi aveva preso il solito bicchiere
e si era immerso nella gente del vagone, distribuendo sorrisi a destra e a
manca.
Quel giorno la metro era piena.
In
molti gli carezzavano i capelli, gli sorridevano comprensivi. Il bicchiere
rimaneva vuoto, ma loro sorridevano e gli davano buffetti sulle guance.
Era
successo tutto così in fretta.
Il
suono della fisarmonica si era confuso con quello del vociare della gente, e
quando Midorikawa era tornato indietro, davanti alla porta dov’erano entrati,
suo padre non c’era. Il bambino si era guardato attorno perplesso: suo padre
doveva essere nei dintorni, per forza. Lo aveva chiamato, mentre le porte del
vagone si aprivano per l’ennesima volta e la gente lo spintonava e sballottava
da tutte le parti, prima piano, poi a voce sempre più alta.
Lui
non c’era.
Lui
non c’era.
Era
uscito appena in tempo dalla metro e le porte si erano chiuse dietro di lui,
poi aveva corso come un matto ed era uscito in strada. Continuava a chiamarlo
come se da un momento all’altro fosse potuto sbucare dal nulla, ridendo come
suo solito e dicendogli con una scrollata di spalle che “Sono qui, dove
corri?”.
Non
c’era.
Non
era da nessuna parte.
E il
sole calava velocemente.
Piangendo,
alla sera, Midorikawa si era poggiato su una macchina, e aveva preso a
singhiozzare, mordendosi il labbro.
Dov’era
suo padre? A quell’ora di solito erano assieme e lui suonava la fisarmonica. In
quel momento, il suo papà sarebbe dovuto essere davanti a lui “Questo è il do,
Ryuuji.” Avrebbe dovuto dire indicando i tasto “Poi vai su, e c’è il re.”
Avrebbe suonato il re, e avrebbe riso di come lui non riuscisse a ricordare la
posizione della note.
-Bimbo,
ti sei perso?- era stata una voce bassa a riportarlo alla realtà. Il moccio al
naso e le labbra bagnate di lacrime, aveva alzato lo sguardo, riconoscendo la
divisa della polizia -… Ehi?- aveva ripetuto gentilmente quella voce,
allungando una mano verso di lui.
Midorikawa
si era scostato spaventato, poi aveva capito.
Ma
certo! Ma certo, era arrivato il momento! Il gioco era cominciato!
E lui
cos’era? Lui era un ladro, ed aveva un compagno. Il suo compagno era stato
preso dalle guardie, e ora toccava a lui.
Freddo
come un agente segreto. Doveva essere impassibile. Lui era un uomo.
Gliel’aveva
detto suo padre.
Si
era asciugato con rabbia le lacrime, alzando il mento. Annuì. Lui stava
benissimo.
-Dov’è
la tua mamma?- gli aveva chiesto la guardia.
Lui
aveva scosso la testa.
Non
ce l’aveva.
-E il
tuo papà?- l'adulto aveva aggrottato le sopracciglia.
Midorikawa
lo aveva guardato serio. Poi, stringendo i pugni, aveva scosso la testa
risoluto. No. Non avrebbero incastrato suo padre.
Non
ce l'aveva.
-...-
la guardia si era abbassta al suo livello -Vuoi venire con me, piccolo?- aveva
chiesto, allungando una mano. Lui era indietreggiato velocemente e aveva
tentato di scappare, ma l'uomo l'aveva ripreso subito -Non devi aver paura...-
aveva mormorato, guardandolo preoccupato.
Midorikawa
l'aveva guardato con odio. Non assomigliava per niente a suo padre. Non aveva
la barba ed era più basso. Aveva i capelli chiari, e gli occhi erano freddi.
Non sorrideva come il suo papà. Non era il suo papà. Il suo papà l'avevano
portato via. Lui doveva salvarlo.
Forse,
seguendo quella guardia l'avrebbe trovato.
Così
si fece portare via da una volante della polizia.
Ma il
posto dove lo avevano portato non era una prigione, nè un posto dove si
sarebbero potute trovare delle guardie.
Era
un edificio largo e basso. Era grande, e aveva un enorme cortile che lo
circondava.
Lo
avevano portato dentro, poi la guardia aveva parlato con una donna e quella gli
si era avvicinata.
-Ciao.-
gli aveva detto.
Midorikawa
si era morso il labbro.
-Non
hai una mamma?- aveva chiesto la signora, accucciandosi di fronte a lui, che
aveva scosso la testa -E nemmeno un papà?- aveva continuato la donna. Lui aveva
indugiato appena. Poi aveva nuovamente scosso il capo, come la prima volta.
Quella
aveva sospirato e si era alzata -E' un orfano.- aveva quindi detto.
Il
bimbo aveva sorriso appena. Ci era riuscito, non aveva smascherato suo padre.
Poteva essere orgoglioso di lui, era stato bravo. Come una spia.
-Che
indende fare?- la guardia aveva ripreso a parlare con la donna, che con un
cenno del capo aveva indicato il bimbo -Lo teniamo qui.- aveva detto.
-Il
Sun Garden è sempre aperto.- e, sorridendo, lo aveva portato in una stanza,
dove l'aveva lavato e rivestito in silenzio.
Midorikawa
non capiva. Se loro erano i cattivi, perchè lo trattavano a quel modo? Lo
facevano perchè intendevano fargli tradire suo padre? Oh, ma lui non l'avrebbe
mai fatto. Sarebbe rimasto lì fino a che non avesse trovato una pista da
seguire per ritrovare il suo papà.
-Piccolo,
come ti chiami?- aveva chiesto ad un certo punto la donna, tenendolo per mano e
portandolo su per delle scale.
Ryuuji
Midorikawa aveva alzato lo sguardo scuro.
Se mai succedesse, tu dovrai dire di non conoscermi, che non hai un padre e
nemmeno un compagno, ed inventarti un’altra identità. Così. Puff.
Si
era guardato attorno, poi era tornato a guardare la signora.
-Reize.-
aveva mormorato, la voce rauca per il troppo stare in silenzio -Mi chiamo
Reize.-
*
Ok.
Si, ecco.
Bhè,
ieri ero in metro. Ieri ero in metro ed ho visto un uomo suonare la
fisarmonica. Con lui c'era un bambino che canticchiava e che, alla fine, ha
girato per il vagone per prendere qualche spicciolo. Mi ha dato molto da
pensare. Così mi è venuta in mente questa fic, che avrà due capitoli,
incentrata su Midorikawa. L'ho visto come il più adatto a questo ruolo.
Mi
sono sempre chiesta come potesse essere la vita dei ragazzi del Sun Garden
prima di entrarci, e così è uscita questa piccola fic.
Spero
vi sia piaciuta *inchino*
Greta.