Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Exelle    08/04/2012    1 recensioni
Pensava a casa, mentre s’incamminava, lasciando dietro di sé il sempre più lontano complesso del Barth’s. Cominciò a guardarsi in giro, cambiando la spalla della tracolla, chiedendosi perché mai quell’euforia non accennasse a svanire.
Genere: Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Lestrade , Molly Hooper, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Capitolo quinto
The alabaster woman


Non sarebbe mai riuscita a farci l’abitudine. Non quando  non erano suoi, non quando non era sua sala delle autopsie al Barth’s. All’ospedale, nella sua sala, quando lei era di turno, li svestiva, li studiava… imparava a conoscerli come si conoscono i morti, in silenzio, cercando i segni su pelle, ossa e tessuti. Era un linguaggio così difficile, fatto di lettere che avevano forme di lividi e pupille vuote, ma lei sapeva leggerlo. Aveva studiato e si era impegnava ogni volta per parlare con loro, ogni volta che il bisturi preciso disegnava linee fredde sul tessuto morbido. Dall’inizio alla fine lei li rispettava e non li avrebbe traditi. Traduceva solo i loro segni di morte e permetteva loro di dire ancora qualcosa prima di scomparire sotto terra o in nuvole di cenere. Erano persone e Molly pensava a loro. Persone che lei doveva tradurre e capire e questo, la faceva sentire importante. Molly non aveva paura dei morti. A prima vista, sarebbe stata la persona meno indicata. Che credibilità aveva, come anatomopatologa? L’aveva letto negli occhi di tutti, all’inizio dell’università. Era una domanda non poi così silenziosa. A confronto delle parole dei morti, era una domanda chiassosa. Preferiva che non la pronunciassero, ma era inevitabile. Le sue All Star scricchiolavano sul pavimento lucido e disinfettato e lei li sentiva ridere. Poi era stata presa al Barth’s e non li aveva sentiti più. 
Faceva il suo lavoro Molly e lo faceva bene. E tutto questo le passò nella mente, mente il telo verde della Lavanderia Toward scivolava lungo la metà superiore del corpo della donna e veniva ritirato dall’infermiere. Mark, recitava il cartellino appeso alla casacca bianca. Le lanciò un’occhiata rapida.
“Tutta?”
Molly annuì, quasi solenne. Era strano, essere dall’altra parte. Era quasi come… essere più vulnerabile. Il telo finì ammucchiato ai piedi di lei.
“… Mi spiace che il dottor Mercer non sia ancora arrivato, ma le lascerò il suo recapito telefonico. Sarebbe seccante avere… ancora, sai i posti non sono tanti, non so come te la passi tu….”
Molly si avvicinò al tavolo, fingendo di non notare il passaggio dal lei al tu. Lo aveva fatto nel momento in cui si era accorto dell’elastico giallo acceso, ma a Molly non dava fastidio quello. Guardò di sfuggita Mark, infermiere del Breton Royal Hospital e si chiese in cosa fosse diverso da lei. Non sembrava antipatico, pensò Molly. Aveva un bracciale di pietre azzurre e acciaio al polso, lo intravedeva sotto il lattice dei guanti che indossava. Le dava solo fastidio che parlasse così. Si chiese se dovesse chiedergli qualcosa, ma sentiva il peso della copia del referto che Greg le aveva lasciato in borsa e si disse che se voleva delle risposte erano lì e nel corpo della donna davanti a lei, sul tavolo d’acciaio. Era un po’ un tradimento che fosse toccato a lui e non a lei scoprirla. Non era stata lei a svelare il mistero. Di solito era Molly a gestire il trucco da prestigiatore. Ecco il corpo. E’ lei? E si sentiva responsabile. Ora non riusciva a provare niente, solo freddo. Quella donna non aveva legami con lei e non aveva legami con nessuno, secondo la targhetta attaccata al piede destro. Come aveva detto Greg, non aveva nome, nessuna identità.
Marc si portò dall‘altra parte del tavolo, come se fosse al bancone di un negozio. “Bassina, eh?”
Una linea sottile si disegnò sulla fronte di Molly. Stando a quello che vedeva e alle misure sul referto la donna era poco più bassa di lei. Si avvicinò al volto, scrutandone le palpebre violacee. Non sembrava addormentata. Sembrava morta morta, pensò Molly con un vago disagio, scrutando le ciocche biondo miele che le incorniciavano flosce il bel viso. Il  livido circolare a metà dello zigomo era ancora lì ed era più scuro che nella foto del referto. Aveva dai trentacinque ai trentasei anni. Ne dimostrava di meno, ma aveva delle piccole rughe attorno agli occhi e alla bocca che dimostravano il passare del tempo. Unghie leggermente ingiallite, sotto la french manicure ben fatta. Fumatrice, pubbliche relazioni… Le parole galleggiarono nella mente di Molly e poi scivolarono via, mentre il suo sguardo si spostava, cercando. La cicatrice di un piercing, tolto da qualche tempo, all’ombelico. Unghie curate anche per i piedi. Sicuramente le piacevano i sandali, scarpe aperte… Viaggiava. Molto tempo per sé stessa. L’arco dei piedi era un po’ troppo accentuato, il pollice un po’ più curvo. Abituata a portare tacchi alti, da molto e per molto tempo. Ore al giorno. Il tipo di scarpe che Molly guardava sulle riviste, di cui s’innamorava ma che rinunciava a comprare perché non le avrebbe mai portate. Perché non immaginava a chi potesse interessare, una Molly solo un poco più alta… 
Aggirò il tavolo, mettendosi al lato del tavolo dove c’era Marc, ristabilendo la situazione di parità. 
“E’ stata trascinata” disse il ragazzo, fissando la direzione dello sguardo di Molly. Il livido lungo e scuro correva sul lato esterno della coscia sinistra e lei era tentata di seguirne il disegno con il dito. Aveva delle abrasioni sul  ginocchio sinistro.
“…In un vicolo. Assurdo. Sembra che certe cose succedano continuamente…”
Molly non rispose. Prese la mano della donna nella sua. Erano ben fatte, con le dita affusolate, ma erano mai sproporzionate. Troppo piccole.
“E’ stata solo strangolata?”
Molly avrebbe voluto mordersi la lingua. La domanda risuonò brutale sugli sportelli di metallo delle celle, rimbalzò sui neon e sulle pareti asettiche e le risuonò nelle orecchie, sbagliata. Ricordò perché fosse lì, che quella donna non era nella sua sala e che Marc l’infermiere era lì solo per scoprire il corpo. 
Stava facendo un’indagine, provò a dire a sé stessa, ma quello non era il suo compito. Non ci era tagliata, non aveva il talento per fare le domande giuste.
Marc alzò le spalle. 
“Con le mani.”
Sollevandosi dal tavolo, Molly lo squadrò.
“L’assassino indossava dei guanti. Era in un cassonetto e questo  l’ha protetta dalla pioggia ma niente impronte. Scoprirete chi è, vero?”
Aveva cambiato tono, più leggero. Molly raddrizzò la schiena, cacciandosi una ciocca dietro l’orecchio. Cercò di nascondere l’imbarazzo.
“Sì… Cioè, io non…”
Marc non sembrò notare le sue parole tentennati, perché continuò:
“E’ abbastanza difficile qui. Non abbiamo posti infiniti.”
Lo sguardo di entrambi scivolò sulle file di loculi incassati nella parete. Molly lo vide rabbrividire. 
“Tutti pieni.”
“Certo.”
Molly si aggiustò la tracolla. Non riusciva a concentrarsi. Non sapeva cosa dire. Non le piaceva affatto il modo in cui le stava parlando…
“...Perché lo fai?”
Lo sentì chiedere ad un certo punto.
“Perché mi piace” disse Molly con semplicità e lo sguardo di Marc si fece più freddo, le labbra atteggiate ad un accenno di derisione.
“Macabro.”
Molly non si demoralizzò. Non le importava più di tanto quello che gli altri potevano dire riguardo al suo lavoro. Qualcuno le aveva insegnato che se c’era qualcosa di cui doveva andare fiera era proprio quello.
“E tu?” chiese Molly, sorridendo con gentilezza. “Tu perché lo fai?”
Fu il turno di Mark sorridere.
“Io? Sono solo un’infermiere. Non faccio… Questo.”
Molly alzò le sopracciglia, fingendo una smorfia di comprensione.
Solo un’assistente. Fantastico. Si chiese se anche Mark avesse un sapore acido  in bocca per la piega che quella conversazione stava perdendo. Qualunque fosse.
Molly si tolse un guanto e aprì la borsa, sfilando il reperto e una biro che si cacciò tra i capelli. Forse il gesto risultò un po’ troppo sciocco, perché sentì ancora la voce di Marc.
“Non sei troppo giovane per lavorare per Scotland Yard?”
Molly arrossì. Non lavorava per Scotland Yard, non lavorava nemmeno a… Qualunque cosa stesse facendo adesso. Sono una consulente, avrebbe voluto dire, ma le parole le rimasero impigliate tra i denti. Ripensò a Greg e pensò che gli stava solo facendo un favore, non doveva montarsi la testa. Lo stesso favore che ora era salvato ala sicuro nel suo computer.
Forse non era solo per Greg.
Un bip ritmico la salvò dal rispondere. Marc sganciò in fretta il suo cercapersone dalla cintura, alzando vistosamente le sopracciglia quando vide il display.
“Passa dalla reception quando hai finito” disse. “Passerò a chiudere io qui.”
Molly mosse appena il capo, ma era già lontana e concentrata e non sentì la porta chiudersi e i passi di lui sparire. Scrutava il referto, poi i suoi occhi percorrevano il corpo della donna, ripercorrendo un puzzle già tracciato. Ci mise poco. Era tutto regolare. Sfogliò ancora le pagine, compilate in fretta ma con precisione e semplici, graffianti tratti di penna. Lesione, lividi, graffi. Trachea. schiacciata. Strangolamento. Si fermò sulle note di pagina quattro. Non c’erano tracce di violenza sessuale. La biro tra le dita di Molly tamburellò sul piano di metallo del tavolo. Non c’erano tracce di…
Molly alzò gli occhi dal referto, poi strinse il plico di fogli a sé. Era così chiaro. Capiva cosa voleva che notasse Greg.
Le era sembrato così stupido, quando le aveva detto al telefono di andarla a vedere. Perché, si era chiesta.
L’autopsia era già stata fatta, vedeva la cucitura a ipsilon sul suo addome, un geroglifico semplice… Il referto era corretto, in tutto e per tutto…
Ma la soluzione era lì, non doveva nemmeno leggerla. La vedeva.
Quella donna era bella. Il suo corpo bianco e scintillante sotto ai neon era stato il corpo di una donna desiderabile. Ora era congelata così, sul tavolo di metallo; non rimaneva che lei, con la sua pelle fredda e brillante. 
La immaginò, vestita e sorridente e Molly si stupiva di quanto ogni volta le risultasse facile. Quella donna era bella, era stata aggredita in una rapina in un quartiere malfamato, o almeno così s‘insinuava sul rapporto... Ma non combaciava affatto. Poteva essere andata così, certo. Ma non c’era nessuna prova in quel senso e se non c’era una prova certa, Molly aveva imparato bene, non c’erano conferme. 
E c’era altro, riflettè ancora Molly. L’assassino era stato così impersonale da ucciderla senza toccarla, provocandole solo lesioni post mortem…
La odiava. 
Molly si accorse di averlo mormorato, ma il suono non era andato più in là di lei, più in là della donna che giaceva sul metallo. Era stata uccisa da qualcuno che conosceva. Molly scosse la testa. Non poteva farsi contagiare da una supposizione, sarebbe stato poco professionale… Ma ne era certa.
Era rimasta nascosta una notte intera in un cassonetto, in vicolo buio, trascinata e spinta nell‘immondizia, privata della borsa, del cappotto e delle scarpe. E il resto delle etichette degli abiti era stato strappato via. Greg aveva pensato alla mancata violenza perché quella donna era bella, perché, secondo le statistiche che interessavano la polizia di Londra, la maggior parte delle donne uccise la notte in strada era soggetta a stupro. E l’occasione per l’assassino era stata favorevole… Un lunedì notte  a Seven Sisters… Era un pensiero un po’ troppo maschilista, certo. Un pensiero un po’ troppo debole… Ma quella donna di alabastro era bella davvero. Molly era tentata dallo sfiorarle la pelle lattea. Non aveva affatto quel colore grigiastro che assumevano i corpi col passare dei giorni. 
Non era stata una vera rapina né, tantomeno, era stato un caso. Molly chiuse gli occhi, cercando di riordinare  le idee. Si chiese quanto caso c’entrasse nel fatto che quella donna fosse stata in possesso di numerose  foto che ritraevano Sherlock Holmes, foto di chissà dove, scattate un mese prima. Forse era stata addirittura uccisa per quelle, ma chi l’aveva uccisa aveva considerato superfluo entrarne in possesso. Molly riaprì gli occhi.
Non meritava la fiducia di Greg, non era niente di speciale. Se ci fosse stato Sherlock, il caso sarebbe stato risolto, quella donna avrebbe avuto un nome…
Ma… Se ci fosse stato Sherlock forse non sarebbe nemmeno morta. E Molly non sarebbe mai stata lì. Però si concesse un momento di compiacimento, breve, giusto per quella piccola intuizione da cui cercava di non farsi condizionare. Riusciva a capire com’erano, meglio, com’erano stati.
Riusciva a vederli vivi, ecco perché, era per quello che lavorava bene coi morti.
 
_________________________________________________
 

Era ancora per strada ora, poi giù, per le scale bagnate. Scappando dal nevischio grigio e gelido che si posava per le strade. Le pareti della stazione della metro le rimbombavano attorno. C’era altra gente intorno a lei.
Scendevano o salivano lenti sulle scale mobili, guardando in alto, verso i frammenti di cielo grigio che ricopriva Londra.  Molly però guardava giù, verso l’ingresso scuro e le luci colorate al neon lungo le pareti piastrellate.
Pensava e la parola a cui pensava era ingenuo. Era un collegamento ingenuo e lo giudicava ancora così. Greg le aveva detto che il movente dovevano essere per forza le foto e lei era pronta a dirgli di sì. Lo era anche adesso. 
Si strinse nel giacchetto, inspirò. Era sulla banchina ora e il tunnel nero spariva dopo una curva. Faceva davvero freddo e Molly si sentì dispiaciuta che Greg non fosse venuto con lei. Avrebbero potuto discuterne subito. 
Cavia, era la parola che le veniva in mente. Spostava il peso da una gamba all’altra, la gente le passava accanto e lei aveva quasi paura di guardarli. Un gruppo di ragazze con le divise scolastiche stavano facendo gruppo su una delle panchine. Un ragazzo giovane con completo e ventiquattrore si avvicinò ad un espositore di giornali e seguendo le sue mosse con gli occhi, Molly si ritrovò a guardare la grande faccia stampata di Kitty Rider.
Girò in fretta lo sguardo. Era solo un manifesto, ma la rabbia nel vedere la faccia di quelle donna l’aveva invasa. Si accorse che gli occhi le bruciavano e di quanto fosse sciocco arrabbiarsi per un poster incollato su una parete sudicia. Ma il fotogenico sorriso di Kitty e i suoi occhi freddi le riportavano in testa brutti momenti. Molly non sapeva chi incolpare per tutto quello in cui Sherlock era stato coinvolto - o meglio, lo sapeva, ma quel colpevole ormai era morto davvero - ma Kitty Rider, nei mesi successivi al dopo Sherlock, con la lunga fila di articoli che prometteva scandali e lacrime e interviste esclusive che l’avevano fatta risalire, colonna dopo colonna, scheletro dopo scheletro, fino alle prime pagine del Sun, non poteva non esserne responsabile.  
Era stata lei inoltre, l’unica ragione valida a farli riunire per l’ultima volta…
Cercò di concentrarsi sulla locandina del Fantasma dell’Opera, poi il treno arrivò. Mentre le porte si aprivano, guardò Kitty Rider ancora una volta e nello scorgere ancora quel sorriso trionfante, si sentì sola e sconfitta. Ma non voleva sentirsi così, non doveva. Kitty Rider voleva distruggere quel poco che rimaneva a tutti loro, ma lei non l’avrebbe permesso. Corrugò appena la fronte e vincendo l’impulso di lanciarsi giù dal treno con un pennarello per andare a scrivere su quei denti innaturalmente bianchi che Sherlock, il suo caro Sherlock non sarebbe morto mai, sfilò il cellulare dalla tasca mentre le porte si chiudevano con un soffio.
 
________________________________
 

Message received from Molly Hooper:
Sono appena tornata. Non è stato per caso, vero? 
 
Greg Lestrade aprì una pagina per mandare un nuovo messaggio, ma si rese conto di non sapere cosa scrivere. Quel vero e quel punto di domanda erano del tutto superflui; Molly aveva capito e comunque, voleva solo che la vedesse. Voleva che vedesse per cosa dovevano unire le forze. Si era sentito triste quando aveva visto quel corpo. Non era vero che si faceva l’abitudine, non era vero che dopo un po’ tutto diventava routine. Forse agli altri lo poteva sembrare. Persino ai suoi colleghi doveva apparire così, ma per lui, no assolutamente no. Era per quello che voleva almeno un parere, un solo parere da Molly. Perché lei, nel suo modo di lavorare, era uguale a lui.
Aveva rispetto. Li trattava come persone e non come numeri o foto o puzzle a incastro da risolvere.
Greg confidava cha almeno Molly, fosse un po’ più brava di lui ad ascoltare quello che i morti avevano da dire. Era rimasto affascinato da quella donna e si era sentito triste e dispiaciuto per lei, per il suo essere fredda e senza vita. 
Più del solito. Si chiese, vergognandosi della propria superficialità, se era solo perché fosse una bella donna. O forse, perché legata al collo con quella lunga catenina d’argento che ora  Greg aveva sulla scrivania in una busta, portava con sé un brutto ricordo di un caro amico. Non sapeva cosa scrivere a Molly. Avrebbe voluto dirle che era felice che avesse capito, ma come poteva esserlo? Era solo un piccolo, primo passo e per quanto ne sapeva, finché non scoprivano chi era la donna, rimanevano bloccati nel buio. Quello sarebbe stato superficiale.
Si passò una mano tra i capelli, allungandosi sulla sedia. Il pomeriggio era ancora lungo e lo sarebbe stato ancora di più, pensò stancamente Greg, quando vide Anderson diretto verso di lui a passo di marcia con un sorrisetto gongolante, oltre le pareti a vetro dell’ufficio.
Sventolava un poster.


CONTINUA....




Scrivere un giallo a casaccio è sorprendentemente difficile! Scusate il ritardo di una settimana, spero che questo capitolo vi abbia divertito.
In caso abbiate critiche\commenti\ suggerimenti scrivete pure una recensione, sarò felice di rispondere. In caso contrario, al prossimo capitolo!

Exelle
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Exelle