Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: ermete    08/04/2012    6 recensioni
Al primo anniversario della morte di Sherlock, John si presentò davanti alla tomba del suo migliore amico: non andava spesso al cimitero, non occorreva andare lì per ricordarlo ed omaggiarlo, nè tantomeno serviva a lenire la sofferenza e la solitudine che provava. Tuttavia, una volta presentatosi davanti alla lapide nera, passarono pochi istanti prima che allungasse la mano destra sopra di essa: accarezzò la scritta dorata con la punta dell'indice in un gesto spontaneo più che simbolico e bisbigliò poche parole. "Torno in Afghanistan. Goodbye, Sherlock".
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
***Ciao ragazze :D ho detto ma siii facciamo un regalino di pasqua alle mie tesore che continuano a seguirmi dandomi tante soddisfazioni e pubblichiamo un capitolo che a differenza dell'altro è veramente importante! bon, come al solito spero vi piaccia! non so se il prossimo lo pubblicherò altrettanto velocemente perchè dovrò descrivere un po' di azioni guerreggianti(credo, spero, l'idea è quella XD)e spero di non impanicarmi e di riuscire a fare qualcosa di coerente e sensato XD buona lettura e buone feste pupe! PS: ragazze non so perchè ma dopo la battuta(verso la fine) "“Quindi lei non si è veramente buttato giù dal tetto di un palazzo?”" non ci andrebbe lo spazio tra una riga e l'altra, dovrebbe essere un a capo normale -.- lo dico visto che siccome come metodo di "spaziare da una scena all'altra" ho usato una riga di intermezzo non volevo disorientarvi, la risposta di sherlock arriva subito dopo, ecco °_° baciii!***

Punti di vista

“Forza! Lo sapevamo che con i pezzi grossi avremmo avuto più difficoltà, ma riusciremo a trovare anche loro!” Sherlock stava incoraggiando i membri dei Servizi Segreti che, dopo aver rintracciato tutti i pesci piccoli dell’organizzazione, si dedicava alla cattura dei professionisti, più difficili da reperire.
Sherlock uscì dallo stanzino con la sigaretta accesa: avrebbe tanto voluto prendersi un’altra boccata d’aria, ma doveva resistere ancora un po’, ancora pochi arresti e sarebbe potuto volare in Afghanistan: erano passati altri tre mesi e il detective iniziava ad innervosirsi seriamente.
Proprio quando stava per scoppiare in uno sfogo rabbioso contro un muro che fino a quel momento s’era salvato dai proiettili della pistola che aveva con sè, fu raggiunto da Mycroft, che lo invitò a seguirlo “Vieni Sherlock, ho due cose per te. Ti piaceranno molto!”
Corsero come due liceali nei corridoi della scuola. Si guardarono negli occhi e corsero in quel palazzo così elegante e rispettabile, diretti verso i piani inferiori, riservati alle stanze degli interrogatori.
Arrivarono davanti ad una di quelle stanze con gli specchi unidirezionali: dentro c’era seduto ed ammanettato un ragazzo sulla trentina, capelli corti e castani, mascella quadrata, sicuramente non di origine inglese.
“Lui è il primo regalo. E’ uno dei membri più importanti nell’organizzazione di Moriarty. Convincilo tu a parlare.” ghignò Mycroft, con un sorriso sadico.
Sherlock non capiva: alternò lo sguardo tra Mycroft e il giovane ammanettato, non trovando il nesso “Non mi hai mai fatto interrogare nessuno degli uomini di Moriarty. Perchè questo dovrebbe essere speciale?”
“Perchè è il cecchino che si sarebbe dovuto occupare di John.” bastarono quelle poche, semplici parole per far disegnare sul volto di Sherlock un’espressione fin troppo tranquilla, era l’occhio del ciclone prima della tempesta violenta che avrebbe investito l’uomo di Moriarty.
“Sì fratello, hai ragione. Devo proprio occuparmene io. Spegni le telecamere, grazie.” ma fu fermato da Mycroft quando si mosse per entrare nella stanza.
“Il secondo regalo è più bello.”
“Non ho bisogno di strumenti di tortura, preferisco usare le mani.”
“No Sherlock, il secondo regalo è questo. E’ arrivato solo oggi, ma sembrerebbe risalire a poco dopo Natale.” Mycroft porse una busta a Sherlock: era impolverata e ingiallita, ma soprattutto era da parte di John.
Sherlock rimase in silenzio per qualche secondo prima di prendere la busta dalle mani: estrasse il foglio su cui erano scritte poche righe.


“Carissimo” Mycroft.
Nonostante sia molto impegnato in affari internazionali ho trovato il tempo di scriverti questo biglietto a mano.
Ti scrivo solo per farti sapere che sto bene, il campo di battaglia dell’Afghanistan si è rivelato molto più terapeutico delle psicoanaliste londinesi e del Governo Inglese.
Quindi non ho cambiato idea, rimarrò qui finchè combattere mi farà sentire vivo.
Ah, a proposito, se non mi hai trovato è perchè mi sono nascosto bene, non perchè non mi hai cercato. Ci scommetto un occhio della testa.
Grazie per il the, era molto buono.
JW



Sherlock avvicinò il foglio al volto e si accorse che sapeva di the e di miele, lo stesso the che stava bevendo John mentre stava scrivendo quello stesso biglietto.
“Sta bene. Meno male...” sospirò, accarezzando con lo sguardo la calligrafia inconfondibile del suo amico: ripiegò il foglio e dopo averlo sistemato nella sua busta, se lo mise in tasca, al sicuro “Non mi avevi detto che gli avevi scritto.”
“Ho mandato un centinaio di pacchetti sperando che almeno uno arrivasse a destinazione, quindi non ero sicuro che rispondesse. Ho evitato di dirtelo proprio perchè non ero sicuro di avere sue notizie.” Mycroft spostò lo sguardo fino a tornare sul volto del fratello “Sherlock, ho sentito che gli scontri si stanno intensificando in Afghanistan. Prima concludiamo questa faccenda di Moriarty e prima possiamo andare a cercare John.”
Sherlock intrecciò tra loro le dita delle mani fino a farle scricchiolare, senza degnare il fratello di uno sguardo “Ci penso io.”
Mycroft non fece in tempo a ribattere che vide il fratello entrare nella stanza degli interrogatori: si accorse dello sguardo stupito e terrorizzato del cecchino nel constatare che Sherlock fosse vivo “Tu eri morto, ti ho visto spiaccicato al suolo! E’ impossibile!”
“Una volta eliminato l’impossibile tutto ciò che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità.”(1) rispose Sherlock mentre si avvicinava alla sedia del ragazzo: lo liberò dalle manette, spintonandolo poi per farlo alzare “Non vorrei mai si dicesse che le hai prese solo perchè eri legato.”
Mycroft chiamò a sè due guardie, alle quali indicò Sherlock che stava menando il ragazzo come una furia cieca “Fermatelo quando vi accorgete che quell’altro è in pericolo di vita. Attenti a non prenderle anche voi.” quindi passò oltre, entrando in un’altra delle stanzine del corridoio.

Da quando i Mastini furono rientrati dai tre mesi di vacanza, le missioni si fecero più pericolose, proprio come aveva pronosticato il capo dei Camaleonti: si trovarono molte volte in difficoltà e spesso dovevano uscire insieme ad un’altra squadra per poter ottenere maggiori possibilità di rientrare senza alcuna perdita.
“Temo che se andrà avanti così questo progetto delle squadre segrete verrà annullato.” sospirò John mentre si faceva ricucire una ferita al braccio da Zach: non era neanche lontanamente un medico, ma in tempo di guerra ci si deve accontentare, e poi al giovane era capitato di assistere John nei tre mesi in cui erano gli unici Mastini al campo, quindi gli era capitato di imparare le cose più essenziali, come ricucire un taglio.
C’era anche Matt in infermeria: osservava il lavoro di Zach storcendo il naso “Bleah...” tirò fuori la lingua, strofinandosi la gamba destra, ferita in modo lieve in battaglia “Non so, Capo, siamo messi male. Ci sono sempre più soldati che tornano in patria dopo che sono stati feriti... questa cosa delle squadre sta diventando troppo pericolosa. Gli Eagles sono volati tutti a casa, letteralmente.”
“Già. Credo che dovremmo abbandonare quel progetto e unirci alle normali squadre di esploratori.” sospirò Zach, esitando un istante sul punto finale da ricucire ”Se poi i nemici avanzeranno di nuovo allora ce ne occuperemo.”
John vide Matt annuire stancamente: amava fare il cecchino, gli piaceva giocare con le armi, ma quella vita stava diventando davvero dura, e sapere di avere Zach al fianco, che rischiava quanto lui, lo spossava anche a livello psicologico “Ragazzi... io vi devo chiedere una cosa.”
Vide i due giovani alzare lo sguardo su di lui: Zach intanto tagliò il filo di sutura e iniziava a fasciarlo “Congedatevi. Tutti e due. Siete giovani e avete molte esperienze da vivere, lontani dal campo di battaglia.” alternò lo sguardo tra i due giovani che sembravano palesemente indecisi sul da farsi.
“John non possiamo mollare i Mastini.” iniziò Zach, mentre concluse la fasciatura.
“Soprattutto proprio ora che la situazione è più critica.” seguì Matt “Metti che al posto nostro vi mandano due cecchini con la mira di una talpa...”
John scosse il capo, socchiudendo gli occhi “Siete ammirevoli ragazzi, ma vi prego, giurate di pensarci.” deglutì con fatica: all’improvviso lo sfiorò l’idea di dover nuovamente dire addio a degli amici. Quella era una parte del tornare in guerra che non aveva calcolato.
Zach e Matt allargarono le braccia per poi stringerle attorno a quelle di John, il primo più dolcemente, il secondo con più energia, ma non per questo con meno affetto.

Sherlock uscì dallo stanzino degli interrogatori con un’aria quanto mai soddisfatta: alzò il pugno chiuso verso il proprio viso, leccandosi le nocche scorticate “Perchè sento l’irrefrenabile bisogno di fumare una sigaretta?” chiese a Mycroft, il quale lo stava aspettando fuori, nel corridoio.
“Per lo stesso motivo per cui si sente il bisogno di fumarne una dopo il sesso.” piegò l’angolo destro della bocca in un sorrisetto malizioso: porse poi un asciugamano pulito al fratello, che lo prese e che usò per asciugarsi la fronte.
“Mh.” fece spallucce “Forse un giorno lo scoprirò.”
“Magari di ritorno dall’Afghanistan.” lo canzonò Mycroft mentre estraeva un pacchetto dalla tasca.
“Non approfittare del mio buon umore.” replicò Sherlock, accettando la sigaretta che il fratello gli offrì: l’accese avidamente, aspirando diverse boccate ad occhi socchiusi.
“Allora, hai scoperto qualcosa di utile?”
“Cinque nomi importanti, che spero ci porteranno a chiudere il cerchio.” aspirò ancora la sigaretta che ormai era già fumata per metà “La miglior sigaretta della mia vita.”

I Servizi Segreti di Mycroft si mossero rapidamente una volta ottenute le nuove informazioni estorte al cecchino malmenato da Sherlock. Dopo un altro mese dalle ultime scoperte, secondo i calcoli di Sherlock e Mycroft si sarebbe dunque conclusa la vicenda di Moriarty: per ulteriore precauzione, decisero di mettere degli uomini in incognito a protezione di Mrs Hudson e Lestrade.
“Rimane da riabilitare il tuo nome e spiegare come tu possa rispuntare fuori da un momento all’altro dopo due anni e mezzo dalla tua presunta morte.” constatò Mycroft, seduto dietro la sua scrivania.
“Occupati tu di queste faccende burocratiche, lo sai che io peggiorerei solo le cose.” Sherlock fece svolazzare la mano destra, come a voler scaricare il problema: fremeva su quella sedia “Mycroft, senti. Questi mesi di convivenza forzata con te sono stati meno peggio di quanto pensassi, lo ammetto. Ma ora io andrò in Afghanistan, puoi aiutarmi o devo fare da solo? Non nascondo che col tuo aiuto farei prima.”
Mycroft non potè fare altro che accontentarlo: non avrebbe in alcun modo fermato Sherlock, e forse, nel suo intimo, non avrebbe voluto farlo. Desiderava che il fratello si ricongiungesse con John prima che fosse troppo tardi “Vai, ti dò degli uomini e alcuni documenti firmati che potrebbero tornarti utili.”
Sherlock si alzò in piedi di fronte al fratello che lo imitò: gli porse la mano destra, tenendo la sinistra dietro la schiena, il piede già pronto a scattare fuori dalla porta.
Mycroft strinse la mano di Sherlock, trattenendolo per qualche istante “Stai attento. E riporta indietro John o non sei più mio fratello.”
Sherlock sorrise al fratello per poi correre, letteralmente, a preparare la propria roba e ad incontrare gli uomini con cui sarebbe partito.

John si svegliò di soprassalto in un caldo pomeriggio di maggio, in cui aveva deciso di riposarsi dopo l’ultima sfiancante nottata a rattoppare i commilitoni rientrati da una missione particolarmente violenta. Sbuffò spazientito: avrebbe voluto concedersi un sogno tranquillo e invece gli era toccato sognare Mycroft e le sue parole che da un po’ di tempo a quella parte gli bombardavano il cervello.
“Ma che cazzo allora!” si grattò i pantaloni all’altezza del gluteo destro mentre entrava nella sala comune: si versò una tazza di caffè per poi raggiungere David, seduto pochi tavoli più in là, che stava armeggiando con il suo computer “Disturbo? Stai parlando con Georgia?”
“No no! Siediti pure Doc!” sorrise con il suo solito entusiasmo mentre gli offriva la sedia di fronte alla propria “Non volevi riposarti? Cosa ti ha svegliato? Altre emergenze?”
John grugnì qualche parolaccia mentre si sedeva “Pensieri... stupide parole insignificanti, dette dalla persona più rompiballe del mondo.”
“Tua madre?” ipotizzò David ad alta voce, con una punta di ironia.
“Seh... peggio.” John poggiò la tazza sul tavolo, iniziando a giocherellare con una matita con cui David stava scarabocchiando su un foglio “Continuano a tornarmi in mente le parole di Mycroft. Perchè ha detto che non era necessario che partissi? O meglio, perchè ci ha tenuto a ribadirlo?” il logorroico David era stranamente senza parole: conosceva la storia di John, ed era anche molto intelligente, ma per quanto riguardava i rapporti umani aveva un modo tutto suo per interpretarli. Era una fortuna per lui che Georgia fosse altrettanto nerd, parlavano lo stesso linguaggio e capivano le lacune reciproche.
“Ribadirlo? Ah sì, la lettera. Me la faresti leggere? Se non ti dà fastidio, ovviamente.” chiese il soldato, scostando momentaneamente il pc di lato.
John annuì, prendendo dalla tasca posteriore dei pantaloni la busta ormai stropicciata, consegnandola poi a David.
“Curioso che la porti sempre con te.”commentò atono, mentre estraeva la lettera dalla busta e iniziava a leggerla.
“Sì? Boh, non so perchè me la porto dietro. Ogni tanto la rileggo e...”
John venne interrotto da una nota in falsetto di David che assottigliò lo sguardo sul foglio di carta.
“Cosa? Hai trovato qualcosa?” chiese il medico militare sporgendosi un po’ in avanti.
“Ehhh... non hai notato che alcune cose sono scritte in corsivo?” domandò David, quindi poggiò il foglio sul tavolo, indicando con la punta del dito le diverse parole, leggendole a voce alta “Livello internazionale... significato di questa lettera... questione di punti di vista...”
John scosse il capo, alternando lo sguardo tra David e la lettera “E allora? Cosa cambia se sono scritte in corsivo?” sembrava stranito nel domandarlo, non trovando nessuna spiegazione a quel particolare.
“Beh John, magari in questo caso non vuol dire niente eh... ma devi sapere che, soprattutto negli ultimi anni da quando è scoppiata la moda nei blogger accaniti, è scoppiata la moda che quando si scrive qualcosa a computer e si vuole sottolineare velatamente una parola importante, un significato particolare... beh si usa il corsivo in modo che risalti tra tutto il contenuto. Il grassetto invece è riservato alla manualistica, ma questo è un altro discorso.”
“Cos...? Davvero? Io tenevo un blog ma...”
“Tu non conti... tu e la tecnologia non siete neanche lontani parenti.” David stava sventolando in aria la mano “Oh, senza offesa eh.”
John arricciò le labbra, tornando a leggere il testo “Quindi secondo te Mycroft ha voluto sottintendere un messaggio velato? E cosa avrebbe voluto dire?”
“E io che ne so. Io ti ho dato il codice, ora sta a te decifrarlo.” David fece spallucce, ripetendo quelle parole “Dunque vediamo, qua dice che è occupato a livello internazionale, che la lettera ha un significato particolare... e che è una questione di punti di vista...” arricciò il naso, provando a mettere quelle parole nel motore di ricerca sul pc, ma non ottenne alcun risultato utile.
“E poi ha ribadito la questione che non era necessario che partissi... nel senso che...? Secondo lui il motivo per cui sono partito non aveva senso di esistere? Certo, la fa facile lui!” sbottò scontrando il tavolo con il braccio: in quel movimento la matita presente sul tavolo rotolò verso il limite opposto cadendo verso il pavimento. E avrebbe toccato il pavimento se David non avesse prontamente allungato la mano per prenderla in un movimento che John potè intuire ma non vedere. Fu la scintilla definitiva.
“Cazzo.” John spalancò la bocca che all’improvvisò diventò secca, asciutta, più arida del deserto.
“Cosa?” domandò David, che intanto riappoggiò la matita sul tavolo.
“Questione... di punti di vista...” ripetè John in un sussurro che David potè cogliere solo grazie alla loro vicinanza.
“John che succede?” David iniziò a preoccuparsi quando vide il medico sbiancare e muovere la bocca rapidamente, anche se nessuna parola stava uscendo dalle sue labbra.
John stava ripetendo le parole di Mycroft all’infinito, chiudendo poi gli occhi per rivivere la caduta di Sherlock dal tetto del Bart’s “David. Hai un modo per vedere le strade di Londra, i palazzi di una determinata via col pc?”
“Certo, c’è Google Earth, posso anche vedere il portone di casa tua una volta saputo l’indirizzo.(2)” David digitò in fretta l’url che l’avrebbe portato sulle strade di Londra “Vieni, ti faccio vedere.”
John traballò alzandosi, rischiando di inciampare tra le gambe delle sedie, ma riuscì a raggiungere la sedia al fianco di David “C’è un’immagine del Bart’s Hospital?” chiese con la bocca sempre più asciutta, faceva quasi fatica a parlare.
David eseguì, portando l’omino di Google Earth sul marciapiede del Bart’s “Dunque?”
“No, non qui.”John scosse il capo, quindi alzò la mano verso lo schermo “Senti, devi andare più indietro, io quando ho visto Sherlock cadere ero più indietro. Anzi. All’inizio ero più vicino ma mi ha detto chiaramente di indietreggiare in un preciso punto.” il respiro di John accellerava, così come il battito cardiaco: fece un enorme sforzo per rimanere lucido in quel frangente.
David allargò l’inquadratura dell’immagine che raffigurava la facciata del Bart’s e le vie più prossime, a quel punto consegnò il mouse a John “Ecco, ora clicca il punto preciso in cui eri.”
John spostò un poco l’angolatura della strada, quindi cliccò nel punto preciso in cui si trovava quel maledetto giorno “Ecco... ero qui.” si bloccò, portandosi poi la mano destra davanti al viso “Lo noto solo ora...” scosse il capo più volte, sospirando debolmente.
“C’è un palazzo che copre parzialmente la traiettoria della caduta. Ma certo! Questione di punti di vista! Geniale!” David si unì all’intuizione di John, verso il quale alzò lo sguardo “John, non vorrei mai farti del male facendotelo notare ma... ma tu hai detto di averlo visto per terra, pieno di sangue, hai detto che era morto.”
John annuì, provando a ricordare il maggior numero di dettagli possibili riguardanti quel giorno “Allora, io l’ho visto cadere, poi quel ciclista mi ha investito...”
“Un ciclista ti ha investito?” domandò David che continuava a fissare lo schermo del pc “Strano, non c’è neanche una pista ciclabile lì...” borbottò tornando su John “Come te lo spieghi che gli hai preso il polso e lui era... insomma lo sai.”
“Che stupido che sono! Sono un medico! Lui stava giocando con una pallina di gomma!”
“Strano feticcio...” osò David che venne trafitto dallo sguardo tagliente di John.
“Se ti metti una pallina sotto l’ascella, puoi fare abbassare il tuo battito cardiaco!”(3)
“Ah! Come in “The Mentalist”! Hanno fatto una puntata dove Patrick Jane fa una cosa del genere per dimostrare che...”
“David!” sbraitò John scuotendolo per farlo smettere di parlare “Il punto è che Sherlock potrebbe essere vivo!” John ansimò, come se dire quelle parole gli fossero costate notevoli energie, come se scandirle una ad una alleviasse quel tumulto si sensazioni che stava provando. L’espressione disegnata sul viso di John era un misto tra felicità e sconcerto, sollievo e rabbia: David sembrò divertito da quei repentini cambi d’umore, ma questa volta decise di tenere per sè qualsiasi commento.
“Quel figlio di...” John scosse il capo, chiudendo con un gesto rapido la schermata del pc “Perchè ha dovuto inscenare il suo suicidio? E perchè se è vivo non mi ha detto niente? Sono passati due anni e mezzo, David, 2 anni e mezzo.”
“Non lo so Doc... credimi vorrei darti una risposta che ti faccia sentire meglio, ma proprio non lo so. Mi viene da pensare che se abbia fatto una cosa del genere... beh c’era di sicuro un motivo serio.” David provò a sorridergli, abbassando il capo per cercare lo sguardo di John che in quel momento era fisso sul tavolo.
“Colpa di Moriarty, sicuramente. Ma diamine... due anni e mezzo.” deglutì il pesante groppone che aveva in gola: John pensò principalmente a svariate cause che avrebbero potuto portare Sherlock a quel gesto così estremo. Poi, e forse John lo riteneva ancora più grave, come aveva potuto non dirgli niente? E così Sherlock era riuscito a superare la lontananza dal suo migliore amico senza problemi? Due anni e mezzo?
Poi scrollò la testa: se era vero che Sherlock si era salvato allora la cosa più importante era che fosse vivo. Eppure i dubbi rispuntavano fuori. Perchè quella totale mancanza di fiducia nei suoi confronti?
Ritornò a parlare dopo mezzora di pensieri, scoprendo con piacere il proprio amico ancora accanto a sè “David, hai un cellulare con te?”
Il soldato annuì, ma proprio quando stava per consegnargli il proprio telefono, Christopher entrò di corsa nella sala: aveva il fiatone ed il volto bianco e contratto dalla preoccupazione “Ragazzi, preparatevi subito per uscire. I Lions sono nella merda, hanno subito un attacco e uno dei loro orologi... beh, forse uno di loro è morto.”
“I Lions?!” John e David scattarono in piedi ed in particolare sul volto di John si disegnò il terrore “I Lions non erano quelli a corto di cecchini?” chiese John, temendo la risposta.
“Sì John, Matt e Zach sono fuori con loro.” rispose rapidamente Christopher, per poi entrare nell’armeria dove gli altri Mastini erano già pronti.
John non disse nulla, poichè nulla avrebbe potuto spiegare quello che stava provando: aveva di nuovo due amici in guai seri e di nuovo si sentiva impotente di fronte agli eventi. Si preparò in silenzio, uscendo in missione insieme agli altri Mastini e ai pochi Camaleonti rimasti.

Quando Sherlock atterrò all’aereoporto militare di Kandahar, si fece subito notare.
Seguito da due uomini in completo nero, fermava qualsiasi soldato incontrasse per l’hangar ponendo due domande precise.
“Ehi tu, soldato, conosci un uomo chiamato John Watson?” domandò all’ennesimo cadetto che dopo aver negato con un cenno del capo si sentì domandare “Puoi portarmi da chi comanda?”
Il soldato di turno, così come tutti altri, ignorarono la seconda domanda, quindi Sherlock, stufo di aspettare e di avere rapporti sociali con “emeriti imbecilli”, decise di attirare l’attenzione a modo suo: estrasse la pistola e sparò tre colpi in aria, cogliendo di sorpresa anche i due agenti che aveva con sè.
Sherlock sorrise nel vedersi arrivare incontro quattro soldati di grado più alto al cadetto: consegnò la pistola al primo, per poi farsi immobilizzare dagli altri “E ora portatemi da chi comanda.”

Il Generale Lightman sentì bussare alla porta mentre stava leggendo gli ultimi rapporti ricevuti dalle squadre segrete “Avanti.”
Il cadetto Parker entrò trafelato nell’ufficio “Signore! Buongiorno Signore! Scusi il disturbo Signore!”
“Cosa succede cadetto Parker? Cos’è questa confusione?” chiese il Generale mentre di versava dell’acqua nel bicchiere che aveva sulla scrivania.
“C’è qui fuori un certo signor Holmes, dice che vuole parlare con chi comanda. E’ accompagnato da due guardie private.”
“Holmes? Se Mycroft Holmes è venuto di nuovo a chiedere di John Watson, giuro che stavolta lo mando via a calci...”
“Non è Mycroft Holmes, Signore. Dice di chiamarsi Sherlock Holmes.”
Il Generale alzò lo sguardo verso il cadetto, fulminandolo “Cadetto non dica baggianate. Sherlock Holmes è morto.”
“Mi creda Signore, è più vivo di me.” rispose timidamente il cadetto, abbassando subito lo sguardo, imbarazzato per aver contraddetto il suo superiore.
“Lo faccia entrare cadetto.” ordinò il Generale, alzandosi dalla sedia.
Quando Sherlock entrò nell’ufficio del Generale accompagnato da due soldati, scrollò le braccia liberandosi dalla presa dei due cadetti “Appiccicosi...” mormorò, per poi rivolgere le proprie attenzioni a Lightman.
“Buongiorno Generale, mi hanno detto che è lei a comandare qui.”
“Chi diavolo è lei e come ha fatto ad atterrare nel nostro hangar.” domandò Lightman, saltando direttamente i convenevoli.
“L’ho detto ai suoi uomini, sono Sherlock Holmes e sono qui per vedere John Watson.” fece qualche passo in avanti, sbirciando sulla scrivania e sugli scaffali dietro il Generale, provando ad intuire qualcosa sulla vita dell’Ufficiale.
“Io so che Sherlock Holmes è morto.” tagliò corto Lightman, sedendosi nuovamente al proprio posto.
“Oh, beh. Lei sa quello che tutto il mondo saprà ancora per qualche giorno, ovvero che io sono morto suicida, buttatomi giù dal tetto di un ospedale.” annuì Sherlock, come se raccontasse la cosa più banale del mondo.
“Quindi lei non si è veramente buttato giù dal tetto di un palazzo?” “Oh sì, l’ho fatto. Ma l’esito non è stato quello da tutti pensato.”
“E come mai John Watson, il suo migliore amico, la pensava come tutto il resto del mondo?”
Sherlock sorrise: John gli aveva parlato di lui, ma soprattutto questo voleva dire che quell’uomo sapeva dove poterlo trovare “Questa è una storia molto lunga, Generale, ora vorrei ritrovare il mio amico.”
Quando il Generale Lightman stava per rispondere, il cadetto Parker spalancò la porta del suo ufficio, ancor più trafelato di prima.
“Cadetto! Le sembra questo il modo di entrare?!” lo redarguì l’alto Ufficiale.
“Signor no, Signore! Mi perdoni ma è importante! Dal campo numero 7 hanno annunciato che uno degli orologi dei Lions non dà più segni di battito cardiaco!”
Sherlock alternò lo sguardo tra il cadetto e il Generale che ora risultava visibilmente preoccupato: al detective non ci volle molto prima di intuire cosa potesse significare, ma non intervenne.
“Sono uscite due squadre per i recuperi signore, i Chameleons e gli Hounds!” concluse il cadetto.
“Hounds...” pronunciò Sherlock con un fil di voce, quasi che la fine di un sospiro si ricollegasse direttamente all’inizio di quella parola. Si voltò di scatto verso Lightman con un’espressione ed un tono che rasentavano la minaccia “Hounds?! Hounds Generale?! John è negli Hounds?” suonava come una domanda, ma era chiaro che ne fosse sicuro.
“Come diavolo fa a sapere che John è negli Hounds? E’ un’informazione segreta.”
“Perchè è un particolare termine in disuso che solo John può aver tirato fuori perchè riguardava un nostro vecchio caso.” digrignò a denti stretti, quasi sul punto di salire sulla scrivania “Ora mi dica subito come posso raggiungere il campo 7, devo andare a salvare il mio amico.”
Lightman non potè che arrendersi: quell’uomo era veramente Sherlock Holmes, e se era intelligente almeno la metà di quanto John aveva decantato, allora avrebbe potuto essere d’aiuto per riportare a casa gli altri soldati.
“Mi segua, Sherlock Holmes.”


___

(1) Non potevo non quotare quella particolare citazione di Sir Arthur Conan Doyle <3 sapevo che prima o poi ce l'avrei infilata <3
(2) Sono sicura che lo sapete tutte, ma per quelli che non lo sapessero se andate su http://maps.google.it/ digitate un indirizzo e cliccate sull'omino arancione, avrete come visuale il punto di vista di voi sul marciapiede :D provate ad andare a Baker Street *_*
(3) Mi sono basata totalmente su questa spiegazione di come potrebbe essere andata la caduta di reichenbach http://allineedislol.tumblr.com/post/16516379602/finalproblem-hey-sherlockians-want-to-play-a 
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: ermete