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Autore: Ascherit    09/04/2012    1 recensioni
Una vacanza come un'altra, un viaggio verso una località fuori dal tempo. Può una sola settimana cancellare tutte le convinzioni e le certezze su cui si basa la vita quotidiana?
Cosa hanno in comune una vecchia villa nelle foreste dell'Oregon, un conte olandese vissuto nel XVI secolo e delle misteriose sparizioni di bambini? Per Leonard Christopher, ragazzo introverso e non poco complessato, l'estate dei suoi sedici anni segnerà un punto di rottura dalla monotonia di tutti i giorni.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di risvegli e ricordi poco piacevoli



Il drago volse la sua enorme testa verso di me, le fauci spalancate da cui scaturiva un permeante odore di zolfo .

Gli enormi occhi verdi mi scrutarono per un lungo istante in cui tutto parve restare sospeso in un limbo senza tempo, poi la creatura fece un passo, poi un altro e poi un altro ancora.

Il cuore mi batteva all'impazzata ed ogni muscolo era teso al massimo nel vano tentativo di scappare, correre il più lontano possibile da li, ma le gambe non volevano saperne di  muoversi.

L'enorme creatura coprì in poche falcate la distanza che ci separava fermandosi a meno di un metro, le ali racchiuse sopra le spalle, i muscoli guizzanti pronti allo scatto decisivo.

Una macchina da guerra perfetta, un’armonia di muscoli, tendini, scaglie  e zanne in un corpo lungo e flessuoso.

Per un lungo momento rimasi incantato, abbagliato dalla letale bellezza emanata dalla fiera, poi  mi voltai e iniziai a correre.

Il corpo del drago fremette mentre si sollevava sulle zampe posteriori e faceva scattare le fauci.

Mi svegliai  urlando, il corpo coperto di sudore freddo, il cuore che batteva all'impazzata.

Lo schermo del computer, ancora acceso, mostrava una schermata di gioco messa in pausa.

Il drago di "Twilight Brigade" mi fissava dal monitor e sotto di lui lampeggiava la scritta "Game Over".

Dopo essermi calmato guardai l'orologio, in basso a sinistra nello schermo. Segnava le 3:20 avevo dormito per un paio d'ore.

Lanciai un’ultima occhiata alla schermata di gioco, spensi il computer, e tornai a sdraiarmi ancora vestito sul letto, troppo stanco per spogliarmi e al contempo ancora troppo scosso dal sogno per ricadere nelle dolci braccia di Morfeo.

Da quando era uscito, circa un mese prima, "Twilight Brigade" aveva raggiunto le 500000 copie vendute, un boom pazzesco anche per il miglior rpg degli ultimi anni.

L’avevo comprato subito dopo la fine della scuola e finora ci avevo  passato sopra la maggior parte del tempo libero, esplorandolo in ogni sua parte e rimanendo sorpreso e affascinato dal modo in cui i personaggi virtuali si relazionavano tra loro a seconda delle azioni compiute dal mio personaggio.

Fra i diversi regali ricevuti per i miei sedici anni che, triste a dirsi, quell’anno erano caduti lo stesso giorno  della consegna delle pagelle, quello era sicuramente il mio preferito, mentre il meno gradito era indubbiamente quello della prozia Adinet.

La zia, che non si faceva viva  da almeno una decina d’anni, mi aveva regalato un vecchio orologio da taschino che, a giudicare dalla crosta di ruggine e sporcizia che lo ricopriva, doveva già essere vecchio quando lei era nata.

Nella lettera allegata al suddetto, la cara zia si era dilungata per una decina di pagine a raccontare la storia del vetusto orologio, dal giorno del suo acquisto ad opera del mio pro-pro-pro zio Silvester.

In un primo momento ero stato tentato di rispedirle il pacchetto adducendo come scusa il fatto che non potevo accettare regali da degli sconosciuti ma poi, dopo ore di discussioni sfinenti, mia madre mi aveva convinto a tenerlo e a scrivere una lettera di ringraziamento alla zia.

Lettera che si era inevitabilmente persa in quell’ ingranaggio contorto e perverso  che era il servizio postale nazionale, ma dato che la cara zia, alla veneranda età di novantacinque anni, non aveva mai lasciato il paesino natio e si rifiutava di usare qualsiasi apparecchio elettronico, compresi telefono e frigorifero, rimaneva l’unico modo per contattarla.

La zia naturalmente non sapeva, e per fortuna non sarebbe mai venuta a sapere, che il suo prezioso regalo era stato prontamente gettato in soffitta a tener compagnia alle cianfrusaglie ricevute negli anni precedenti.

L’orologio infatti non era stato che l’ultimo di una serie di improponibili regali che la vegliarda mi aveva fatto nel corso degli anni. Tra questi facevano la loro dubbia figura una vecchia bombetta rosa dalle tarme, una bottiglia di acqua di colonia risalente alla fine del secolo scorso e, dulcis in fundo, una dentiera appartenuta al suo defunto marito, il prozio Archibald.

Visti i gusti alquanto discutibili mostrati dai miei parenti nella scelta dei regali già da qualche hanno avevo iniziato a scegliermi da solo un regalo in grado di compensare gli altri, abbastanza deprimente, ma sicuramente efficace, come non faceva che ricordarmi mia madre. Stranamente non si era mostrata altrettanto entusiasta del regalo e non perdeva occasione di sottolineare come ormai non facessi altro che starmene incollato al computer e non dedicassi una parte del tempo ai compiti o a uscire con gli amici.

Quali fossero questi amici solo lei pareva saperlo, dato che fin dalle elementari ero stato un tipo solitario e si potevano contare sulle dita di una mano le volte in cui ero uscito con qualche  compagno di classe.

Non aiutava il fatto che la maggior parte dei ragazzi della mia età  avesse solo due chiodi fissi: lo sport e le ragazze.

Nulla da obbiettare sul primo, anche se non ero particolarmente sportivo me ne intendevo abbastanza, ma per quanto riguardava le ragazze non c’era niente da fare.

Non che non mi interessassero, anzi trovavo carine diverse compagne di classe, i problemi iniziavano nel momento in cui aprivano bocca. La cosa più intelligente a cui riuscivano a pensare era che smalto abbinare con i vestiti, al confronto le riflessioni di Heidegger diventavano quisquilie di facile soluzione.

Dopo un anno ad ascoltare le varie composizioni chimiche di una ventina di marche di rossetti, smalti,lucida labbra e via dicendo ero pronto per farmi assumere come consulente in un centro estetico o, assai più fattibile, essere ricoverato in psichiatria  per esaurimento nervoso.

 Fino a qualche mese prima non avrei mai creduto possibile che una persona riuscisse a parlare per due ore ininterrotte delle varie sfumature di blu presenti in una boccetta di smalto.

Quell’utopica illusione era stata brutalmente spazzata via un pomeriggio di aprile quando, dopo due ore di algebra a dir poco soporifere, Nellie McQueen, una ragazza carina con cui andavo abbastanza d’accordo, mi aveva rintronato con una riflessione mistico- filosofica sul perché il suo smalto avesse una gradazione cromatica diversa da quella della sua amica Marion.

 Riemergendo da quei brutti ricordi diedi un’ultima occhiata allo schermo nero del computer per poi distendermi  sul letto e cercare di recuperare un po’ di quel sonno perso negli ultimi giorni.
  
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