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Autore: pet    09/04/2012    3 recensioni
"Le lacrime, le ultime che vedrò...Marco Aurelio, imperatore di Roma...imperatore, un titolo che non vale niente in confronto a ciò che ho vissuto e a quello che ho perso. Possibile che debba morire soltanto con un vecchio servo?"
E' la prima storia che pubblico( e non l'avrei pubblicata se non fosse stato per una scommessa!), quindi se ne avete voglia, per favore, lasciatemi il vostro saggio parere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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MARCO AURELIO: LE ULTIME GESTA

“Mio signore? E’ ora della medicina...ce la fa ad alzarsi un po’?”
“Medicina...ma di cosa parli Simmaco? Come puoi pensare a me in questo momento...fuori c’è bisogno di te...o sarà la fine di Roma...”
Simmaco nega con la testa:
“Non posso lasciare solo il mio imperatore nel momento del bisogno, ho fatto una promessa molti anni fa... e poi fuori non c’è nessuna battaglia, lei sta delirando...”
“Tranquillo”, ruggisco, “come puoi dire una cosa simile in un momento del genere? Dovresti essere fuori a difendere il nostro esercito, la nostra terra, i nostri cari... e invece ti preoccupi per me ?”
“Ma, mio signore...la guerra è finita lo scorso anno.”
Disteso sul mio giaciglio tossisco fortemente per la peste che mi ha contagiato in questi giorni... la mia vita se ne sta andando, insieme al mio esercito, che sta per essere sconfitto... o forse no? Simmaco mi ha appena detto che... non riesco a capire, la  peste mi ha  tolto la lucidità.
Ho comunque un brutto presentimento. Dopo di me sarà il caos. Me lo sento; e poi...ma come? Ho messo al potere mio figlio Commodo? Non sono ancora sicuro delle sue doti come imperatore, eppure non c’era alcun altro adatto a ricoprire  quella carica...o forse sì?
Il mio vecchio e fidato servo mi guarda nuovamente:
“Forza, Marco...aiutami, alzati un poco, fai il bravo.”
Vecchio Simmaco! Chiamandomi con il mio vero nome e non con l’appellativo che tutti usavano nei miei confronti mi hai fatto venire in mente remoti e antichi ricordi. Mi hai cresciuto fin da quando ero piccolo insieme a mio fratello Lucio, che presto raggiungerò...non so dove, ma sento che lo rivedrò. Il mio servo più fidato, una delle persone più umili del mondo, del mio mondo, è l’unico che sia con me in questo difficile momento...e ora mi parla, come se fosse mio padre. Se avessi saputo prima cosa sarebbe successo, del mio abbandono, anche da parte di mio figlio Commodo, forse avrei gestito le cose diversamente... e ora, ormai alla fine della mia vita da imperatore di Roma, porto con me solo una moltitudine di rimpianti. Perché proprio sotto il mio regno dovevano invadere  il mio mondo, il nostro mondo?Perché dovevano rubarmi gli affetti? Potevano prendere la mia vita al posto di quella dei miei soldati...che fine ha fatto il mondo d’uguaglianza e amore che volevo creare? Cosa ho sbagliato?
Nello stato in qui mi trovo ora la malattia mi ha rubato la cosa a cui tengo di più...la mia mente!
 Se solo fossi stato più attento nei riguardi di mio fratello Lucio, forse sarebbe sopravvissuto più a lungo; nemmeno ora so cosa l’ha portato via...c’è chi parla di un male sconosciuto e chi, addirittura, di avvelenamento. Io non ho mai capito cosa fosse successo né lo capirò mai.
 Non riesco nemmeno ad alzarmi per guardare fuori, ma tanto so com’è la situazione all’esterno: povertà e rovine fuori dal mio decadente palazzo,  madri che piangono i figli, morti a causa della pestilenza o delle grandi battaglie contro i barbari invasori. Cosa ho fatto di buono durante gli anni del mio governo? L’unica cosa che mi ha soddisfatto pienamente è stata scrivere quel libro, dove mi pongo delle questioni sulla vita e sull’umanità...chissà, forse servirà ai posteri, ma dubito che molti di loro troveranno interessanti le questioni filosofiche, saranno certamente più interessati a diventare dei buoni soldati che degli affermati studiosi! Rimpiango ancora di non aver descritto i sintomi di ciò che mi ha colpito: sarebbe stato certamente più utile di stare ore e ore a meditare sulla mia vita, che è solo una piccola parte di Roma e dell’Impero, e a fissare il soffitto, che non può darti né il calore né l’affetto di cui mi ha privato molteplici volte la mia carica.
Mi alzo lentamente verso il mio amico servo e mi faccio aiutare; cingendomi con il braccio mi solleva come faceva quand’ ero bambino e, ammalato, rifiutavo di prendere il rimedio per la mia guarigione. Simmaco mi alza la testa e l’appoggia sulla sua spalla, come una madre che accosta a sé il proprio bimbo, con affetto materno e dolcezza. E’questo che rappresenta in questo momento per me Simmaco,una delle poche persone al mondo che sento ancora amica, figura di padre e di madre, scomparsi troppo presto per potere capire cosa fosse successo.
Sento appena le sue parole, come se stesse intuendo i miei pensieri:
“Aurelio, hai fatto molto, non è colpa tua...questa situazione si sta protendendo da anni, l’impero è vasto e la vita di Roma è stata lunga e come tutte le cose, un giorno, finirà.”
Poso il mio sguardo sul suo, mentre deglutisco la disgustosa medicina, uno sciroppo d’erbe mieloso e verdastro, che mi ha appena porto.
Con voce rauca sussurro appena:
“Sei preoccupato Simmaco, ma non temere: sarai risparmiato dalla peste e potrai raccontare queste cose ai tuoi nipotini. Io, invece?Ormai non ha più importanza...l’hai detto anche tu che tutte le cose hanno una fine.”
“Non sono preoccupato per questo, Aurelio.”, mi risponde con voce tremante Simmaco.
Cominciai a respirare più lentamente e compresi che cosa intendeva:
“No, hai ragione; ora capisco...ho dichiarato erede mio figlio...Commodo è sempre stato un ribelle, troppo arrogante, sicuro di sé e della sua posizione. Ma quando ho fatto la mia scelta?! Spero sia stato in un momento di scarsa lucidità! Chiedi scusa ai romani da parte mia, se quello che temo avverrà in seguito; se è così Roma cadrà anche per colpa mia, ma ora...è tempo che vada, amico mio.”
Lo vedo piangere. Lui che era stato anche mio insegnante e non aveva mai versato una lacrima nemmeno al funerale di mio fratello...solo ora che mi vede in punto di morte si dispera.
Simmaco bisbiglia:
“Roma perde un grande imperatore, un grande filosofo...e un grande uomo! Io ho avuto l’onore di conoscere tutti i lati della tua personalità, Marco.”
“Non disperarti... sii forte...Roma ha bisogno di te... io sono solo un uomo e l’Impero è grande Finché ci sarà anche un solo uomo pronto a difenderla, Roma non cadrà, ma sopravvivrà nei secoli. Simmaco...”
Tendo la mano verso di lui e gli asciugo le lacrime che gli rigano le guance, una sorta di ringraziamento per tutto quello che ha fatto per me.
 Le lacrime, le ultime che vedrò...Marco Aurelio, imperatore di Roma...imperatore, un titolo che non vale niente in confronto a ciò che ho vissuto e a quello che ho perso. Possibile che debba morire soltanto con un vecchio servo? Nemmeno un parente, i miei amici, quelli che un tempo consideravo tali, sono qui con me nell’ora più dura...neanche mio figlio Commodo, futuro imperatore, si è fatto vedere. Io, Marco Aurelio, l’imperatore-filosofo, morirei da solo se non ci fosse Simmaco.
Le mie labbra si stanno facendo più secche e, con le poche parole che mi sono rimaste sulle labbra, chiedo:
“Che giorno è oggi, Simmaco?”
Il mio amico, con voce rotta dal pianto, risponde:
“E’ il giorno sedicesimo prima delle calende di aprile, dell’anno 933 dalla fondazione di Roma*” Pronuncio le mie ultime parole:
“Ricordati e dillo ai tuoi nipoti...ripeto, finché ci sarà anche un solo uomo a difendere Roma...essa resisterà, ancora per secoli.”
Detto questo volgo lo sguardo verso il cielo, dove mi pare di scorgere l’immagine di mio fratello Lucio, che mi tende la mano...l’afferro. E raggiungo la pace tanto desiderata e l’affetto mancato.
Il mio nome era Marco Aurelio, imperatore di Roma; per mia fortuna non assistetti alla sua caduta, ma so di certo che l’ultimo difensore della città era uno dei nipoti del mio amico Simmaco, o forse era stato lui stesso.
 
 
* 17 marzo 180 d.C.





Note dell'autrice:
Questo racconto nasce da un compito per casa di storia, e sono stata costretta a pubblicarlo dopo aver perso una scommessa con mia sorella. Ho cercato di mantenere il punto di vista di Marco Aurelio e di attenermi agli eventi storici, ma non sono sicura di esserci riuscita... Per quanto riguarda la frase finale, tenete ovviamente presente che l'imperatore non può sapere quanto tempo passerà tra la sua morte e la caduta di Roma!
Visto che è la prima storia che pubblico, mi piacerebbe molto sapere che cosa ne pensate... vanno bene anche le critiche, purché siano costruttive! Grazie a chi è arrivato fino a questo punto!
  
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