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Autore: anteros    09/04/2012    3 recensioni
Ho abbandonato il mio traguardo, mi sono addormentata e ho sognato il Paradiso.
Sorrento, quella città, è il mio Paradiso. Quel posto è il mio libro, quel posto è tutto il mio Mondo.
Come l'Ulisse di Dante, ero solo curiosa di vedere nuovi posti, nuove terre a me sconosciute. D'altro canto, non siamo nati per vivere come animali, ma per seguire le nostre virtù e le nostre conoscenze.
Ma alla fine, vieni travolto da un'onda perché non fai parte di quelle terre. E così come Ulisse, sono affondata.
Ma riuscendo a scappare dalle grinfie di Poseidone, naufrago su questa terra.
Potrebbe essere il Paradiso, magari sono morta.
In questo Paradiso nevica, fa freddo e ci sono trentaduemila abitanti.
E pure, si trova nel secondo stato più grande al Mondo.
In questo Paradiso la Penelope di una volta canta canzoni a squarciagola, le canta e non se ne frega se i vicini la sentono.
Perché Penelope, si sente finalmente in Paradiso.
Il sole ha finalmente fatto capolinea da dietro quelle montagne, ed è finalmente ricominciata la vita.
Genere: Comico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Sapete, essere adolescenti non è per niente facile. 

Dicono che quando sei un teenager sei spensierato e senza problemi. 
Certo, lo sei quando ogni mattina ti svegli nel tuo letto, vai nella scuola a cui sei sempre andato e vivi le bellissime esperienze adolescenziali con i tuoi migliori amici. 
Era così anche per me, fino ai quindici anni. Poi tua mamma viene promossa e viene spostata di qua e di là per i vari emisferi terrestri. 
Ogni volta che ci trasferiamo devo ambientarmi nella nuova casa, ricordarmi la strada per arrivarci (cosa difficile per me che ho una memoria come quella di un canarino), imparare nuove lingue e soprattutto fare nuove amicizie. 
La cosa più tragica è essere sempre "la nuova arrivata". Che inferno il liceo, soprattutto quelli americani. In Italia, nel mio bel paesino stavo così bene nel mio liceo linguistico: erano tutti simpatici, nessuna cheerleader, nessun giocatore di football, nessuna barbie. 
In Italia bastava dire una cosa divertente che tutti ti prendevano in simpatia, oppure facevi conoscenza con ragazzi accanto ai termosifoni nei corridoi. 
E le professoresse! Ti parlavano in dialetto, ogni tanto usciva la battuta simpatica e cercavano sempre di aiutarti nei tuoi problemi. Dio, quanto mi manca la professoressa di latino: l'adoravo. Per non parlare del professore di educazione fisica: ti ascoltava ogni qualvolta volevi parlargli dei tuoi problemi. 
Qui in America mi etichettano subito con "la novellina" o "la nuova arrivata", ma quello che odiavo di più era "Uragano Penelope". Una volta andai a sbattere contro il ragazzo più corteggiato della scuola, cadde a terra e gli ruppi un polso. Per fortuna non sporsero denuncia. Ma diciamo che quello sbruffone se lo meritava. Si credeva chissà chi e di bello aveva forse gli occhi. 
Ai professori se gli chiedi di andare in bagno è già troppo. Ti guardano da sopra gli occhiali con quell'aria strafottente, che solo un professore può assumere, e con un cenno del capo ti rispondono. Figuriamoci se chiedessi ad uno di loro di ascoltare i miei problemi. 
Dio, stavo così bene nella mia scuola, con i miei amici e nel mio piccolo paesino di sedicimila abitanti. 
Era così bello sentire il profumo dei fiori d'arancio mentre passeggiavi per le strade;
il sole napoletano che ti accarezzava il viso;
andare alla nutelleria ogni santissimo giorno d'estate;
conoscere tre quarti della popolazione. 
Sorrento era così bella, era così accogliente, era così... mia, ecco. 
E' da due anni che ci trasferiamo di qua e di là, ora come ora siamo stati in metà Mondo. Ora vi elenco i posti: 
Francia, due mesi. Non male Parigi, ma non fa per me tutta quella raffinatezza e l'r moscia non mi viene proprio. 
Spagna, quattro mesi. Adoravo la Spagna, assomigliava così tanto a Napoli.
New York, quattro mesi. Il liceo newyorkese è la così più terrificante che io abbia mai visto.
Grecia, due mesi. Il mare greco è la cosa più bella che io abbia mai visto. In fondo Omero aveva ragione. 
Germania, quattro mesi. Il tedesco è una delle lingue che odio di più. 
Inghilterra, tre mesi. Che dire! Londra era meravigliosa, l'unica pecca era il mal tempo. 
Australia, quattro mesi. Sydney: meravigliosa, mi ero quasi ambientata. 
Ed ora, ultimo trasferimento del 2011. Si spera. Dove?! Non ne ho la più pallida idea. 
So solo che sono infuriata con mia madre. 
Perché? Mi aveva promesso che nelle vacanze natalizie saremo tornate a Sorrento. Ma questa donna non sa cosa sono le promesse. 
«Dai amore, questa cittadina assomiglia moltissimo a Sorrento. Solo che farà un po' più freddo.» Ormai ripete questa frase da una settimana, come se a me importasse. 
Ma ehi, vi sto parlando da circa dieci minuti e come solita rimbambita col cervello da canarino mi sono dimenticata di presentarmi. 
Mi chiamo Penelope Pagnanelli. Non vi dico quanto tempo i professori impiegano a leggere il mio cognome, non v'immaginate neanche. Mi hanno sempre chiamato per nome. 
Come avete dedotto ho diciassette anni, compiuti già da un bel po'. Vengo da Napoli, e come ogni ragazza mediterranea che si rispetti ho occhi e capelli scuri. La carnagione lascia a desiderare, sembro un fantasma.
Sono riccia, e come disse Carosone : ogni riccio è un capriccio. Diciamo che capricciosa ci sono diventata dopo il quarto trasferimento. 
Preferisco un jeans e una maglietta non di marca anziché quei vestiti griffati che si ostina a comprare mia madre. Non so, non ho mai amato vestire firmato. Sembri soltanto un altro della massa. 
In Inghilterra erano tutti fissati con delle felpe dell'Adidas. Si sentivano così "fighi", quando poi sembravano tutti degli spot pubblicitari umani. Erano tutti orribilmente uguali. 
Ma sì, torniamo a noi. Ho una mamma rompipalle, una sorellina di quattro anni rompicoglioni e l'unico mio appiglio è il mio gatto. 
L'ho chiamato Jerry pensando che si chiamasse così il gatto di "Tom & Jerry", ma poi ho scoperto che il gatto è Tom. 
Ed ho scoperto, che avere diciassette anni non è bello come dicono. 
O come pensavo a quattordici anni.
 
  
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