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Autore: Kary91    09/04/2012    21 recensioni
Sono trascorsi quasi trent'anni da quando abbiamo incontrato per la prima volta Elena Gilbert e i fratelli Salvatore.
A Mystic Falls molte cose sono cambiate da allora; i ragazzi sono cresciuti, gli adulti invecchiati. Nuove generazioni di adolescenti portano il cognome delle famiglie fondatrici, eppure certi dettagli hanno concluso per rimanere in circolazione nella vita di ogni giorno destinati a ripetersi all'infinito ; in un modo o nell'altro la storia si ripete e Caroline Forbes di questo è al corrente, nel momento in cui decide di tornare a Mystic Falls:questa volta per restare.
***
“…Hai presente quando eravamo piccoli e io cercavo di farti cagare sotto, raccontandoti storie di cadaveri sanguinolenti e orripilanti mostri succhia-sangue?”
Jeffrey assunse un’espressione perplessa.
“Me lo ricordo fin troppo bene, direi…”
“Ricordi anche quando cercavo di convincerti che mio padre fosse un lupo mannaro?”
“Per via di quella storia, avevo incominciato ad andare nel panico ogni volta che rimanevo da solo in una stanza con lui…”
“…E se ti dicessi che non tutte le stronzate che dicevo da bambino fossero effettivamente delle balle?”
“Ti risponderei che bevi troppo.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elena Gilbert, Jeremy Gilbert, Matt Donovan, Nuovo personaggio, Tyler Lockwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'It calls me home.'
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Chapter 7.

The Turning Point.

(part 2.)

 

 

La Terra è grande, talmente grande che ti illudi di poter sfuggire a tutto.

 Al destino, a Dio. Basta trovare un buon nascondiglio e inizi a correre verso i confini del mondo, dove siamo nuovamente al sicuro, al caldo e in silenzio.

 Il conforto dell'aria salmastra, il pericolo dietro le spalle, il privilegio del lutto e, forse, per un momento, pensi di essere riuscito a fuggire.

da Heroes, episodio 1x08.

 

“Come vai a casa?”

Chiese Oliver, occupando lo sgabello libero di fianco a Mason. Il Grill, quella sera, sembrava particolarmente affollato, probabilmente per la presenza degli invitati alla festa, oltre ai soliti clienti  abituali. Mason appoggiò il bicchiere sul bancone e si rivolse all’amico.

“Viene a prendermi mio padre.” spiegò, accennando poi a un sorrisetto. “Ha promesso che mi lascia guidare un po’. Sarebbe la prima volta dopo settimane, visto che quando non sono a scuola ha praticamente sempre da fare. Vuoi un passaggio?” aggiunse poi.

Oliver non rispose; aggrottò pensieroso le sopracciglia, focalizzando la sua attenzione verso qualcosa alle spalle dell’amico. Anna lo osservava con aria di rimprovero, poco distante dai tavoli da biliardo.  Mason rivolse all’amico un’occhiata perplessa.

“Che stai guardando?” domandò, voltandosi a sua volta. In quel momento la ragazza scosse il capo nella sua direzione e Oliver si decise finalmente a distogliere lo sguardo da lei.

“Grazie per il passaggio, ma credo che mi farò una passeggiata.” rispose infine all’amico, scivolando giù dallo sgabello. “Scusa un attimo, torno subito.” aggiunse, staccandosi dal bancone.

Mason aggrottò le sopracciglia un po’ interdetto, osservandolo allontanarsi. I suoi lineamenti, tuttavia, tornarono a rilassarsi quasi subito: era abituato alle stranezze di Oliver.  Fece fare il giro allo sgabello, voltandosi per darsi un’occhiata attorno. Riconobbe un paio di compagni di scuola ai tavoli da bigliardo e fece un cenno nella loro direzione. Sorrise, quando si accorse che dall’altro lato del salone Ricki aveva preso a indicargli una ragazza piuttosto carina che aveva appena fatto ingresso nel locale. Scosse  poi il capo con aria divertita, appoggiando il gomito al bancone. Quel sorriso svanì immediatamente, quando il ragazzo notò la persona che gli stava venendo incontro.

“Tu, stai alla larga da me.” borbottò recuperando all’istante il solito cipiglio scontroso. Autumn roteò gli occhi, spostando poi lo sguardo oltre il bancone. “Non puoi immaginare in che casino mi sia cacciato per colpa di quella cazzo di lattina.” continuò Mase.

“Fidati, potrei dire la stessa cosa.” si limitò a ribattere la ragazza, rivolgendogli poi un’occhiata di traverso. “Cercavo Vicki, l’hai vista?” aggiunse poi.

Mase diede una scrollata di spalle, riprendendo a guardarsi intorno.

“Per quanto ne so io, lei non viene sta sera.” obiettò, prima di aggrottare le sopracciglia, notando la ragazza che stava chiacchierando in quel momento con Ricki.

“Infatti non avrebbe dovuto  esserci, ma da me non è passata e come al solito avrà il cellulare scarico, perché non riesco a chiamarla. Pensavo che avesse cambiato idea e che avrei potuto trovarla qui…” proseguì la ragazza, tamburellando con nervosismo le dita sul bancone. Mason fece una smorfia, continuando a osservare la giovane che stava parlando con suo fratello: era di nuovo quella bionda, la conoscente dei suoi genitori.

“Fatti tuoi.” buttò lì, tornando ad appoggiare il gomito al bancone. Autumn lo guardò storto, ma la sua espressione cambiò, quando riconobbe la persona che aveva attirato l’attenzione del ragazzo.

“La conosci, quella?” domandò a quel punto, aggrottando appena le sopracciglia. Mase diede nuovamente una scrollata di spalle.

“Forse.” rispose, rivolgendole un’occhiata pensierosa. “E tu?”

Autumn analizzò la figura di Caroline con diffidenza e scosse il capo.

“Penso sia figlia di amici di famiglia.” spiegò, tirando poi fuori il cellulare per tentare di chiamare nuovamente Vicki. “Tu cosa sai?” aggiunse mentre componeva il numero: non era ancora riuscita a dimenticare la sensazione di inquietudine provocata dalla stretta di mano fra lei e la ragazza.

Mason sbuffò, recuperando il suo bicchiere dal bancone.

“’Figlia di amici di famiglia….” ripeté, distogliendo lo sguardo da Caroline e scoccando un’occhiata torva ad Autumn. “…è la stessa spiegazione che hanno rifilato i miei anche a me.”

“Beh, allora sarà vero.” sbottò in quel momento la ragazza, sbuffando, quando il cellulare di Vicki suonò a vuoto per l’ennesima volta. Mase aggrottò le sopracciglia.

“Non mi convince.” commentò con aria pensierosa, prima di tornare a girare lo sgabello verso il bancone.

“Vicki comunque non c’è.” concluse, tornando a rivolgersi alla ragazza. “Quindi puoi anche andartene.”

Autumn roteò gli occhi, cacciandosi malamente il cellulare in tasca.

“Con molto piacere.” ribatté piccata, prima di allontanarsi verso l’uscita.

Mase ghignò con aria soddisfatta, tornando poi a cercare suo fratello con lo sguardo; quando lo trovò, tuttavia, Ricki non stava già più parlando con Caroline. Scorse la ragazza poco distante, intenta a chiacchierare con qualcuno al cellulare. Per qualche strano motivo, quella ragazza non lo convinceva: tutto ciò che gli era stato raccontato su di lei sembrava plausibile, ma gli sguardi che i suoi genitori si erano scambiati mentre gli spiegavano la situazione dei Forbes e la reazione di suo padre il giorno della partita, continuavano a insospettirlo. Eppure, osservandola, non riusciva a trovare nulla di particolarmente insolito nel suo aspetto; sembrava una ragazza qualunque, dall’aria un po’ svampita, e un modo di sorridere ed esprimersi che tutto sommato, gli sembrava sincero. E familiare, in fondo, per quanto quest’ultimo dettaglio, lo facesse sentire ancora più dubbioso.

Finì ben presto per accantonare quei pensieri, distratto dal cipiglio malizioso di una ragazza che aveva appena preso posto accanto a lui; le rivolse un sorrisetto interessato, ma da un lato riuscì a fare a meno di domandarsi che fine potesse aver fatto quello schizzato del suo migliore amico.

***

 

Oliver raggiunse con andatura rilassata il bagno dei ragazzi. Notando due coetanei che chiacchieravano tra loro di fronte ai rubinetti, finse di doversi lavare le mani, fischiettando la melodia che stavano trasmettendo gli altoparlanti del Grill. Quando poi i due giovani se ne furono andati, allungò le braccia verso il getto caldo dell’asciuga mani, sorridendo, nel riconoscere attraverso lo specchio, la figura di Annabelle alle sue spalle.

“Stavo cercando di suggerirti di non pensarmi.” mormorò a quel punto la ragazza, mentre Oliver prendeva ad arrotolarsi le maniche della camicia.  “Perché sono di nuovo qui?”

“Pensavo che per riuscire a vederti, dovessimo ‘spingere’ o ‘tirare’ da entrambe le parti.” ammise pacatamente Oliver, appoggiandosi al lavandino.  “Ho delle domande.” aggiunse poi lentamente, sorridendo alla ragazza.

“Vorrei sapere da cosa stavi cercando di mettermi in guardia l’altra sera.” concluse.

Aveva un’aria serena, ma nel suo sguardo Anna riconobbe un barlume di decisione che contrastava i lineamenti gentili del suo volto. La ragazza sospirò.

“Non posso dirtelo con esattezza.” spiegò infine, avvicinandosi a Oliver . “Ma ho visto qualcosa.”

Oliver aggrottò le sopracciglia, voltandosi, per poter ricambiare il suo sguardo.

“Qualcosa?” ripeté, confuso.

La ragazza annuì.

“Noi fantasmi non vediamo nella stessa maniera in cui vedete voi. Viviamo qui, vi circondiamo, ma possiamo muoverci solo secondo determinate regole.” si fermò per riprendere fiato, sorridendo allo sguardo interessato di Oliver. “Camminiamo in parallelo alle persone che conservano un ricordo sufficientemente vivido di noi. Quello che posso vedere io, è legato a quello che puoi vedere tu, perché anche tu puoi vedermi. È legato a ciò che può vedere tuo padre; ma allo stesso tempo, i miei occhi possono vedere più a fondo, e notare cose che per voi sono difficili da notare. Dei dettagli che sfuggono.”

“Che cosa hai visto, Anna?” domandò a quel punto il ragazzo, squadrandola incuriosito. La giovane esitò.

“Ce ne sono altri, in città.” ammise infine, riducendo il tono di voce a un soffio. “Altri come me. Come mia madre.”

“Altri fantasmi?” domandò lentamente Oliver. La ragazza scosse il capo.

“Dovete fare attenzione.” proseguì, osservandolo con aria seria. “Se riesco a sentirli, è perché li ho conosciuti, in passato. E se sono legati a me, è perché sono già stati qui, a Mystic Falls, prima d’ora. E hanno seguito gli stessi percorsi che sto percorrendo io; sono stati in dei posti che tu e tuo padre conoscete. E non è una buona cosa, Oliver.”

“Non riesco a capire.” Oliver scosse il capo più volte, turbato. “Chi sono queste persone e che cosa cercano?”.

Anna esitò una seconda volta.

“Vorrei poterti dire di più.” ammise, sfiorando con la mano la spalla del ragazzo; Oliver aggrottò le sopracciglia, ancora una volta sorpreso da quel tocco reale, seppur impossibile da avvertire. “Ma non so altro.”

Oliver si appoggiò le mani in grembo, lo sguardo inespressivo puntato contro la parete.

“Pensi che vogliano fare del male a mio padre?” domandò infine, tornando a rivolgersi a lei. Annabelle esitò una seconda volta, prima di rispondergli.

“Penso di sì.” ammise infine, chinando appena lo sguardo. E in quel frangente, a Oliver sembrò più umana di quanto non gli fosse mai sembrata.

 Era più che un semplice riflesso, un fantasma o un’ allucinazione.

Anna era reale; forse non sentiva il freddo e il caldo, o la fame e il dolore fisico, ma provava qualcosa ; si preoccupava, amava. E quella sera, forse, aveva anche un po’ di paura. In quel momento, Oliver pensò che gli sarebbe piaciuto tenderle la mano e provare a rassicurarla; forse, un tempo, suo padre aveva fatto lo stesso. 

“Dovrai dirmi di più.” comunicò infine. L’espressione generalmente mite del ragazzo era smorzata dalle punte di decisione tratteggiate nel suo sguardo. “O provarci almeno. Se c’è qualcuno che vuole fare del male a mio padre, devo saperlo.”

Annabelle lo osservò a lungo, prima di annuire, rivolgendogli poi un sorriso malinconico.

“Hai uno sguardo diverso, adesso.” ammise, individuando a fianco alla decisione nei suoi occhi, anche un barlume di malinconia. “Gli somigli; gli somigli tanto.”

Oliver le sorrise dolcemente, pur non spazzando via l’aria nostalgica che era andata a intrufolarsi nel suo sguardo.

“Mi hai appena ricordato una delle poche cose che riesce a mettermi tristezza ” ammise, sollevando i palmi delle mani dal lavandino. Anna lo osservò con tenerezza.

“Sapere che tuo padre in pericolo?” domandò, osservandolo allontanarsi verso la porta. Oliver si infilò le mani in tasca, prima di rivolgerle un ultimo debole sorriso.

“Saperlo infelice.” ammise, prima di chiudersi la porta del bagno alle spalle.

 

 

 

 

***

Xander voltò pagina lentamente, continuando a leggere. Nel corso degli ultimi tre quarti d’ora aveva sgranato gli occhi più volte, in parte perplesso, in parte divertito dai resoconti di Jonathan Gilbert che riempivano il diario che aveva trovato; le pagine di quel volumetto erano piene di aneddoti assurdi e senza senso. Gilbert sosteneva che a Mystic Falls, un tempo, si erano stabiliti dei vampiri, creature soprannaturali mescolate alla gente comune, intenzionate a uccidere gente e a ferire per nutrirsi.  Jonathan Gilbert scriveva di esseri spietati, bestie , che stavano mettendo in pericolo la cittadina in cui viveva, ma anche di aggeggi complicati, strumenti che avrebbero potuto annientarli. Xander non riusciva più a distogliere la sua attenzione dal diario, tentennando tra l’ipotesi che il suo antenato fosse un pazzo con manie di persecuzione o, quella ben più piacevole, che fosse un novellista nato: più i resoconti si particolareggiavano, più optò di convincersi per la seconda opzione.

Ciò che più di tutto suscitava l’interesse  di Xander, era tuttavia il fatto che le vicende narrate fossero effettivamente ambientate a Mystic Falls; il posto in cui aveva vissuto Jonathan Gilbert. Il posto in cui viveva lo stesso Xander. Si parlava delle altre famiglie fondatrici; c’erano i Lockwood, i Fell, i Forbes. Si parlava di molte ricorrenze che erano ancora in attivo nella cittadina, come la festa dei Fondatori. Se non erano i resoconti di un pazzo, ma un racconto, Jonathan doveva essersi davvero impegnato per riuscire a far coincidere i fatti di sua invenzione alla realtà di cui era protagonista.

Ormai completamente assorbito da ciò che stava leggendo, Xander voltò pagina ancora una volta; aggrottò le sopracciglia, esaminando l’ennesimo disegno bizzarro che il suo antenato aveva tratteggiato sulla carta; sgranò gli occhi quasi subito, avvicinando poi la mano destra alla pagina. Esaminò con attenzione l’anello di famiglia che portava al dito, confrontandolo con quello raffigurato nel diario; sembrava lo stesso. Il suo anello risaliva dunque al 1800?

Un rumore secco di nocche che battono sul legno lo costrinse ad abbandonare quei pensieri; sobbalzò, prima di sorridere, nel sentir bussare una seconda volta alla porta.

“Siamo chiusi!” esclamò a quel punto, continuando a sorridere sotto i baffi. Si affrettò a nascondere il diario nello zaino; provava soggezione al pensiero di mostrarlo in giro. Era sicuro che le parole di Jonathan sarebbero sembrate a tutti le farneticazioni di un pazzo; e non voleva che le persone pensassero che discendesse da qualcuno con gravi problemi di testa.

“Ti ho portato la merenda!”

Il tono di voce esitante di Caroline contribuì a estendere il sorriso del ragazzo. “C’è tanta roba buonissima qui!”

“Yum… merenda!” Xander tornò a distendersi sul letto, intrecciando le dita dietro la nuca. “Va beh, dai, facciamo che siamo ‘semi-aperti’, allora.” concesse infine.

Caroline si intrufolò nella stanza, sorridendogli titubante, un pacchetto di merendine bello in mostra.

“Spuntino per il porcospino!” annunciò, sedendosi sul letto e gettandogli il pacchetto di merende. Xander esultò, afferrandolo al volo.

“Urca, le mie preferite!” commentò allegramente, prima di rivolgerle un sorrisetto canzonatorio. “Passata l’arrabbiatura?” domandò a quel punto, analizzandola con attenzione.

Caroline arrossì.

“Per niente.” ammise infine, portandosi le ginocchia al petto. “Ma mi annoiavo.”

Xander ridacchiò.

“Ah queste donne…” commentò, aprendo il pacchetto di merende per scartarne una. “Sentiamo, che devo fare per farmi perdonare?” aggiunse.

Caroline fece per dirgli qualcosa, ma poi cambiò idea e si limitò a dare una scrollata di spalle.

“Cresci.” commentò poco dopo in tono di voce asciutto, prima di fregargli una merendina. Xander arrossì appena, ma poi le sorrise  con ara malandrina.

“è per questo che mangio tanto, che ti credi?” obiettò, sventolandole la merendina sotto al naso. “Perché devo crescere!”

La ragazza roteò gli occhi, abbandonando la schiena contro la testiera del letto; Xander sospirò. Appallottolò la carta della merendina e la mise da parte, assieme alla scatola.

“Lo sai che ti voglio bene, vero?” domandò a quel punto, avvicinandosi alla ragazza. Caroline sbuffò, per nulla intenzionata a cedere.  “Tanto tanto.” aggiunse ancora Xander in tono di voce infantile; cercò di farle una carezza, ma la ragazza lo scansò, tornando a cingersi le ginocchia con le braccia. L’amico ridacchiò.

“Te ne voglio più che ai biscotti!” insistette, incominciando a punzecchiarle un fianco con le dita, per farle il solletico. “E se mi perdoni, ti regalo tutte le mie merendine. E anche quelle di scorta, che ho nascosto per evitare che qualcuno me le rubasse. E rinuncio ai biscotti per… una settimana intera! No, due! Eh, due non lo so se ce la faccio, però…”

Caroline sbuffò di nuovo, voltandosi da un’atra parte, impegnandosi per non cedere al bisogno impellente di sorridere; se prima era arrabbiata con lui, in quel momento avrebbe solo voluto prendere a calci sé stessa, per quanto si sentisse stupida. Stupida e patetica.

Perché le suppliche infantili di Alexander, erano una delle poche cose a cui non aveva mai trovato il modo di ribattere, e questo lui lo sapeva bene. Era l’arma a suo vantaggio in una relazione dove, spesso e volentieri, era Xander a fare l’arrendevole, lasciandosi mettere i piedi in testa da Caroline; le piaceva accontentarla, soprattutto se poi riusciva a farla ridere, e detestava vederla triste o in collera, specialmente se per colpa sua.

Per questo, i loro litigi non duravano mai più di una manciata d’ore o una mezza giornata al massimo, come quando erano bambini. Lui non sopportava di vederla arrabbiata e lei finiva sempre per arrendersi alle sue farse da buffone, che avevano come unico obiettivo quello di riuscire a farla tornare a sorridere.

All I want is to keep you safe from the cold
to give you all that your heart needs the most

“…e rinuncio anche al gel e alla lacca, per… beh, facciamo per mezza giornata… magari la metà che passo a dormire, se per te va bene. Ci dobbiamo un po’ venire incontro, no?”

Xander continuò a blaterare, fino a quando non riuscì a scorgere un accenno di sorriso divertito sul volto della ragazza.

“Ah ah!” esclamò a quel punto indicandola con aria esultante. “Mi hai perdonato, eh?” commentò allegramente. Caroline arrossì, furiosa e divertita al tempo stesso, cercando di nascondere il sorriso appena affiorato come meglio poteva.

“Ti odio!” annunciò alla fine, afferrando uno dei cuscini per colpirlo.

“No, i capelli!” si lamentò il ragazzo, riparandosi la testa con le mani. “Piuttosto la vita, ma i capelli no, eh?”

Caroline rise, sferzando una seconda cuscinata al ragazzo. Xander placò il colpo e si impossessò del cuscino, gettandolo poi sul pavimento.

“Vieni qui,scema!” esclamò infine attirando la ragazza a sé; Caroline lo lasciò fare,stringendosi a lui. Sospirando, ricacciò indietro la rabbia, l’imbarazzo e i sentimenti contrastati che si erano fatti vivi in lei quel pomeriggio. Istintivamente, si sentì sollevata; il braccio di Xander le circondava la vita e in quel contatto non c’era nulla di diverso rispetto al modo in cui si erano abbracciati quella mattina,appena arrivati alla casa sul lago.

A breve, tuttavia, si rese conto che c’era dell’altro a mitigare quel sollievo; si sentiva strana, rassicurata e delusa al tempo stesso; si rimproverò in silenzio, pensando alla possibilità che le cose avrebbero finito per andare diversamente, se solo fosse riuscita a far durare quel litigio un po’ più a lungo.

E invece, aveva preferito ripristinare la situazione di partenza; recuperare quel qualcosa a cui, in fondo, non era ancora in grado di rinunciare, nonostante ormai non le bastasse più.

“Xander?” domandò, interrompendo il silenzio che era andato a crearsi da una manciata di minuti.

“Mh?”

Xander aveva chiuso gli occhi e poltriva di fianco a lei con espressione rilassata, il braccio ancora stretto attorno alla sua vita.

“Posso dormire con te, questa notte?” chiese con titubanza  la ragazza. “ Come quando eravamo piccoli.”

Xander sorrise, pur continuando a tenere gli occhi chiusi; per un attimo, Caroline si trovò quasi a sperare che si addormentasse. Si sarebbe sentita meglio, avendolo accanto in quella maniera. Il sorriso canzonatorio dell’amico sarebbe scomparso; l’aria bonaria, serena, di chi non si aspetta nulla di più rispetto a quello che già stringe tra le mani, anche.

E avrebbe potuto abbracciarlo un po’ più a lungo.

May I hold you  as you fall to sleep
When the world is closing in
and you can't breathe

 

“Se non tiri calci e non mi butti per terra, diciamo che si può fare. Ti comporterai bene?” domandò a quel punto il ragazzo, decidendosi ad aprire gli occhi. Caroline finse di pensarci su.

“Non posso promettertelo” ammise poi, sorridendogli con aria furba. Xander roteò gli occhi.

“Va beh…” si arrese infine, allentando la presa sulla sua vita per farle una carezza. “Vorrà dire che correrò il rischio.”

Caroline approvò con un cenno del capo, stringendosi più saldamente al ragazzo. Xander le accarezzò i capelli una seconda volta, prima di domandare: “Allora siamo a posto così?”

Caroline sollevò appena la testa, per ricambiare il suo sguardo; l’amico le sorrise.

“Mi perdoni?” domandò a quel punto, estendendo il suo sorriso. Caroline sospirò, lasciandosi ricadere nuovamente sul materasso.

“Sì.” sussurrò infine voltando lo sguardo in direzione del soffitto, un accenno di rassegnazione a velare il suo volto. “Sì, ti perdono.”

 


So I will let go
all that I know
knowing that you're here with me.

May I? Trading Yesterday.

 

***

A Mase erano sempre piaciute le feste; non amava ballare, né era interessato ad attirare l’attenzione delle ragazze facendo il buffone, quelle erano più cose da Ricki. E neppure era in grado di chiacchierare con chiunque avesse un viso conosciuto come invece faceva Caroline; non era mai stato di grande compagnia.

Eppure le feste gli piacevano; per lo più, si limitava a sedersi per conto suo assieme a Oliver, un bicchiere di coca cola in mano e lo sguardo che frugava curioso tra i coetanei. Ogni tanto aveva piacere a darsi da fare con qualche bella ragazza, ma in generale trovava rilassante la confusione che gli regnava attorno; difficilmente gli capitava di mettersi nei guai a una festa, perché in mezzo a tutta quella gente, era facile per lui sfuggire agli sguardi dei coetanei, a meno che non fosse lui ad volersi rendere visibile. Gli piaceva nascondersi, ed era piuttosto abile; scomparire era sempre stato il modo in cui preferiva eludere i problemi, fin da quando era bambino. Da piccolo era in grado di rimanere nascosto per delle ore, prima che qualcuno riuscisse a scovare i suoi nascondigli. Crescendo, tuttavia, aveva incominciato a rendersi conto di aver perso un po’ di quel talento speciale che lo aveva caratterizzato in passato; provava ancora a nascondersi, lo faceva di continuo, ma lo scovavano subito, e non potendo fuggire, il più delle volte aveva paura.

E la paura, si trasformava in rabbia.

“Ehi, splendore!”

Quando Mase si rese conto che quelle parole erano state rivolte a lui, aggrottò le sopracciglia, perplesso; tuttavia, i suoi lineamenti si distesero subito, quando individuò nella calca di persone, il proprietario di quella voce. “Ti stai divertendo, fratellino?” domandò Ricki, dandogli una pacca per nulla amichevole sulla schiena e appoggiando poi un gomito sul bancone; Mase rise, analizzando le guance rosse e l’espressione fin troppo allegra del fratello.

“Sei già fuori come un balcone e non sono neanche le dieci e mezza.” constatò con un ghigno, scoccando una rapida occhiata all’orologio.

“Non sono ubriaco, fessetto.” lo contraddisse il maggiore, dandogli un pugnetto sulla spalla. “Ma lo sarò presto, quindi se vuoi tornare a casa in macchina, ti conviene andare alla ricerca di un passaggio. In queste condizioni non sfioro il volante nemmeno con un dito, per via di quella storia della ma…”

Interruppe la frase a metà, rivolgendogli una rapida occhiata apprensiva. Mase inarcò un sopracciglio con aria interrogativa, ma il fratello tornò a sorridere quasi subito.

 “Che cos’è quel musetto da gnorri?”  lo interrogò a quel punto, prima di mollargli un secondo pugno sulla spalla. Mase si massaggiò il braccio, sghignazzando.

“…comunque torno a casa con papà.” spiegò al fratello maggiore, che annuì. 

 “Dai, vieni a divertirti un po’ con me.”  propose poi Ricki, tornando ad appoggiarsi al bancone. “Sei stato incollato a quello sgabello per tutta la sera; va bene che devi comportarti bene o papà ti mette agli arresti domiciliari, però… almeno ti sei procurato qualche bella gnocca?” aggiunse, spostando con un piede lo sgabello di fianco a Mase e cercando di sedersi direttamente sul bancone.  Il minore dei due rise una seconda volta: checché ne dicesse Ricki, suo fratello gli sembrava a tutti gli effetti ubriaco.

“Nah, sono stato con Oliver.” spiegò, prima di afferrare Ricki per un braccio, cercando di farlo scendere dal bancone. “È andato via pochi minuti fa.”

Il maggiore dei due diede una scrollata di spalle, decidendosi finalmente a prendere posto sullo sgabello ancora libero.

“Beh, Oliver è carino, dai.”  valutò, appoggiando entrambi i gomiti al bancone.  “Però non ha le tette; questo è un gran bel guaio, eh…”

Il minore dei due scosse il capo con aria divertita, un sorriso allegro a rilassare i lineamenti generalmente tesi del suo volto; ubriaco o non, Ricki era una delle poche persone che riusciva a rasserenarlo con poco, e a Mase faceva sempre bene averlo nei paraggi.

“Però…” aggiunse a quel punto il maggiore dei due fratelli, sollevando una mano con aria solenne. “…sappi che caso mai tu decidessi di appartarti da qualche parte con Oliver, piuttosto che percorrere il glorioso cammino che porterebbe a un bel paio di tette, io ti appoggerò sempre e comunque!” annunciò serio, annuendo poi con fare pomposo. Mase appoggiò il capo sul bancone, ormai completamente piegato in due dalle risa.

“Perché sei il mio fratellino e io ti voglio bene. E perché abbiamo entrambi un bel culo… Mamma e papà sono stati generosi, con noi.”  aggiunse Ricki, arruffandogli i capelli. Mason continuò a sghignazzare, cercando di sfuggire alla presa del fratello.

“Va bene, me lo ricorderò.” comunicò con un ghigno, prima di scandagliare il salone con lo sguardo, alla ricerca di Jeff. “Con chi vai a casa?” aggiunse poi, sorridendo dei movimenti maldestri di Ricki, che stava cercando di recuperare il suo bicchiere di coca cola. Il maggiore dei due sbuffò.

“Con Jeff: ha fatto la persona seria per tutta la sera, quindi guida lui. Mi sa che gli toccherà caricarmi in macchina e trascinarmi di peso fino all’ingresso di casa nostra. Le scale, però, non le voglio salire. Mi fermerò a dormire nella cuccia di Silver…”

Interruppe la conversazione, per sorridere in direzione di una ragazza che aveva appena fatto ingresso nel locale.

“Gnocca a ore due!” annunciò a quel punto, scivolando giù dallo sgabello e dando di gomito a Mase. “Ed è pure bionda… vado a cazzeggiare un po’, tu continua a comportarti bene!” lo ammonì, prima di allontanarsi verso la parte opposta del grill.

Mason sorrise. Seguì il fratello con lo sguardo e lo osservò mentre si presentava alla nuova arrivata, fino a quando qualcuno non gli diede un colpetto sul gomito.

 “Ma allora ogni tanto sorridi anche tu!” costatò Caroline , occupando lo sgabello che aveva lasciato vuoto Ricki. “Ti stai divertendo?” aggiunge poi.

Mason non disse nulla; si limitò a scrutarla con aria diffidente, terminando la poca coca cola che il fratello gli aveva lasciato.

“Ti hanno invitato alla festa?” domandò dopo un po’, smorzando il sorriso sulle sue labbra. Caroline annuì.

“Mi ha invitato tuo fratello Ricki.” spiegò, prima di ordinare a sua volta qualcosa da bere. “L’ho conosciuto ieri sera dai Donovan; gli ho spiegato che ero nuova di qui, e Ricki mi ha proposto di fare un salto al Grill questa sera; è stato carino. La prossima domanda?” lo prese poi in giro, sorridendogli.

Mase si accigliò; allontanò il bicchiere vuoto verso il lato opposto del bancone, e rivolse alla ragazza una seconda occhiata diffidente.

“Hai seguito uno dei quei corsi di auto-difesa?” domandò dopo un po’, continuando a scrutarla con distacco. Caroline gli rivolse un’occhiata disorientata.

“Auto-difesa?” ripeté confusa, un luccichio divertito ancora vivo nel suo sguardo.

“L’altro giorno, alla partita; come hai fatto a trattenere sia me, sia l’altro tizio?  Ho pensato a una qualche arte marziale… e piantala di ridere sempre così.”  aggiunse con aria infastidita, quando la ragazza posò il bicchiere sul bancone di scatto, esordendo in un risolino.

“Scusami!” esclamò alla fine Caroline. Mase distolse lo sguardo da lei, leggermente rosso in viso.

“Arti marziali… beh, diciamo qualcosa del genere, sì.”  convenne infine la ragazza, senza riuscire a mascherare l’aria divertita che aveva fatto capolino sul suo volto.

Mason la osservò per qualche istante, pensieroso, prima di inarcare appena un sopracciglio.

“Sei strana…” buttò lì tranquillamente, incrociando le braccia al petto.  Caroline sorrise appena.

“Un po’.” si trovò costretta a concordare, recuperando il suo bicchiere.

“Hai continuato a tenermi d’occhio per l’intera serata…” aggiunse a quel punto Mase, in tono di voce infastidito. Caroline diede una scrollata di spalle.

 “In genere a quelli come a te piace essere tenuti d’occhio dalle ragazze…” obiettò, accennando a un sorrisetto. Anche le labbra di Mase si incresparono lievemente, diluendo l’espressione circospetta del ragazzo.

 “Sì, ma tu mi tieni d’occhio come se fossi mia madre…” obiettò a quel punto. “…non è che mio padre ti paga per farmi da balia?” aggiunse a quel punto, aggrottando le sopracciglia. Era una supposizione stupida, ma per lo meno avrebbe spiegato gli sguardi strani che si erano scambiati lei e suo padre il giorno della partita. 

Caroline gli rivolse un’occhiata stranita, prima di scoppiare a ridere una seconda volta.

“Ma devi sempre pensare che ci sia un secondo fine per tutto?” domandò, scuotendo il capo con aria incredula. “Non mi ha pagato nessuno: controllavo solo che non ci fossero altre scazzottate dalle tue parti.”

“Perché?” insistette ancora Mason, osservandola con ostinazione. Caroline diede una scrollata di spalle.

“Perché ho capito che sei parecchio attaccabrighe e mi sarebbe spiaciuto vederti nei guai un’altra volta; e poi non conosco ancora molta gente qui…” ammise a quel punto, tamburellando con le dita sul vetro del bicchiere. “…più che altro, questa sera, sbirciavo i volti delle persone che conosco.”

Mason annuì brevemente, appoggiando poi un gomito al bancone.

“Ha senso.” si trovò ad ammettere infine, rinunciando a un po’ della diffidenza che fino a quel momento aveva velato il suo volto. “Ma non ho bisogno di una baby-sitter, quindi puoi tranquillamente evitare di preoccuparti per me, d’ora in poi.” aggiunse, accennando a un sorrisetto sghembo.

Caroline gli rivolse un’occhiata divertita.

“Un angelo custode fa sempre comodo, però.” obiettò Caroline, prima di sorridergli con aria furba. “Diciamo che ti lascio stare se mi assicuri che non ti caccerai in altri guai.” commentò infine.

Mason estese il suo sorriso, passandosi una mano dietro al collo. Fece per risponderle, ma Caroline aveva spostato la sua attenzione verso il cellulare, capendo che stava squillando già da un po’: il nome di sua madre lampeggiò con insistenza sul display dell’apparecchio.

“Scusami!” esclamò rivolta a Mase, premendo il tasto di risposta alla chiamata. Il ragazzo diede una scrollata di spalle.

“La pianti di chiedermi sempre ‘scusa’?” borbottò, prendendo a giocherellare con il suo bicchiere. Caroline gli scoccò una rapida occhiata intenerita, prima di domandare a Liz di cosa avesse bisogno. La sua espressione da rilassata, si fece lentamente turbata e la ragazza scambiò un paio di parole con la madre, prima di chiudere la conversazione.

“Devo andare.” spiegò brevemente, alzandosi in piedi. “Mia… nonna, mi ha chiesto di tornare a casa.”

“È successo qualcosa?” le chiese Mase, aggrottando le sopracciglia. Caroline negò con il capo, infilandosi pensierosa il giubbotto.

“No, deve solo parlarmi, credo. Mason…”  lo richiamò a quel punto, esaminandolo con attenzione. “…allora  siamo d’accordo? Io ti lascio stare, e tu non ti cacci nei guai. Voglio andarmene da qui senza il pensiero che ti metterai a fare a botte con qualcuno non appena volto l’angolo.”

Mason si limitò ad esibire un sorrisetto sghembo, intrecciando le dita dietro la nuca. “Se avessi voluto fare a botte, lo avrei fatto anche con te qui, non è che mi crea problemi avere degli spettatori.” commentò, facendo girare lo sgabello per non darle le spalle. “Ma se proprio ci tieni… ti assicuro che non combinerò casini per il resto della serata. Tanto mio padre sta per passare a prendermi, comunque...”

Caroline gli sorrise; insolitamente, si sentì quasi sollevata. Era la prima volta, da quando si erano conosciuti, che, che Mason le sembrava genuinamente tranquillo.

“Allora, buonanotte!” lo salutò, analizzandolo con lo sguardo un’ultima volta.  Mase tornò a voltare lo sgabello verso il bancone, riprendendo a giocherellare con il bicchiere vuoto.

 “Dovresti sorridere più spesso, comunque.”

Caroline non riuscì a trattenersi dall’esclamare, prima di allontanarsi verso l’uscita.

 

***

Fell abbandonò in fretta la tenuta dei Lockwood; si spostò sul retro del giardino, mirando a raggiungere l’auto che aveva parcheggiato poco distante, ma decise di fermarsi poco prima, appoggiandosi al muretto per riprendere fiato. Un guizzo di soddisfazione affiorò nel suo sguardo, e l’espressione incuriosita dell’uomo venne ravvivata da un lieve sorriso compiaciuto: era stato tutto più facile, rispetto  a ciò che aveva previsto; passò con attenzione la mano sulla scatola che teneva fra le mani e la aprì, per analizzare l’insolito strumento contenuto al suo interno. A prima vista, il famoso congegno di Jonathan Gilbert si sarebbe potuto scambiare per un carillon, per via degli ingranaggi a rotella che ne sormontavano la parte superiore. Un solco dalla superficie irregolare era posizionato al centro del meccanismo, là dove occorreva inserire la chiave, per far funzionare l’arma.  Fell estese il suo sorriso, mentre si frugava in tasca per estrarre un piccolo cerchio di metallo dai contorni seghettati: i Lockwood non avevano avuto molta accortezza, nel decidere di nascondere la chiave del Congegno dentro la scatola stessa in cui l’aggeggio era custodito. Certo, non era per niente sicuro che quel pezzo di metallo fosse effettivamente il pezzo mancante dello strumento; ma tanto valeva fare un tentativo. Avrebbe portato il Congegno a Lester, il pomeriggio successivo. Insieme, loro e Leanne, avrebbero potuto intuire se avessero effettivamente tra le mani un’arma, oppure un semplice ammasso di legno e granaglie varie.

Fell fece scorrere il cerchietto di metallo fra il pollice e l’indice, prima di sovrapporlo a distanza sullo spazio vuoto all’interno del Congegno: le due forme sembravano coincidere.

In quel momento avvertì dei passi frettolosi alle sue spalle: uno dei Lockwood doveva essere rincasato prima. In silenzio Fell si maledì, pentendosi di non essersi allontanato a sufficienza, prima di recuperare l’oggetto rubato dalla scatola. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare a come fosse meglio comportarsi; spaventato e colto alla sprovvista, Fell fece scivolare il piccolo cerchio che teneva in mano nel congegno, facendone coincidere i bordi al profilo dentellato del solco.

Non accadde nulla.

“Scusi, lei che ci fa nel giardino dei Lockwood?”

Una voce decisa, decisamente femminile, lo convinse a voltarsi verso la tenuta. Riconobbe con aria d’un tratto più scocciata, che intimorita, il cipiglio ostinato della figlia dei Donovan.

Vicki lo teneva d’occhio con aria decisa, le braccia conserte e un’espressione visibilmente seccata. Fell si affrettò a nascondere il congegno nella scatola di legno e solo in quel momento si rese conto che gli ingranaggi dello strumento avevano incominciato a girare. Quel movimento, tuttavia, fu l’unica cosa che aveva ottenuto inserendo la chiave nel solco apposito; Fell era deluso. Se al posto di una ragazzina ficcanaso, si fosse trovato di fronte un licantropo adulto, probabilmente non sarebbe uscito vivo da quel giardino. 

“Quella scatola non l’avrà mica rubata?” domandò ancora Victoria, muovendosi rapida verso lo sceriffo. Fell scattò all’indietro, per allontanare la scatola dalla portata della ragazza, e nel farlo qualcosa scivolò fuori, smarrendosi sul terreno. Vicki notò appena il movimento di un oggetto che cadeva a terra, ma non fece in tempo a riconoscere il contenuto della scatola. Conoscendo i Lockwood, immaginò si trattasse di un qualche oggetto di valore; forse erano soldi. Fell li stava forse derubando?

“Ma che razza di sceriffo è lei?” 

Victoria scosse il capo con aria incredula, visibilmente disgustata. Fell si posizionò la  scatola sotto il braccio, per nulla turbato dalla reazione della giovane.

“Il perché sono qui, non è affar tuo, ragazzina; piuttosto, sei tu che faresti meglio a non ficcare il naso dove non ti riguarda, mettendo addirittura piede in una proprietà privata.” sbottò in tono di voce seccato, prima di farle cenno di allontanarsi verso il vialetto. Vicki rimase dov’era, un’ espressione cocciuta a velare i lineamenti del suo volto.

“Non ho paura, sceriffo.” commentò con tranquillità, inarcando appena un sopracciglio. “È lei a essere in torto, non io.”

“Ah, sì?” ribattè Fell, indirizzandole un’occhiata di scherno. “E a chi pensi che crederanno i Lockwood, quando andrai a tormentarli con le tue fandonie? A una ragazzina ficcanaso qualunque o allo Sceriffo?” concluse la frase, rivolgendole un’ultima occhiata divertita. Vicki sostenne il suo sguardo, sforzandosi di non battere ciglio.

In quel momento, il telefono di Fell incominciò a vibrare e l’uomo sembrò rendersi conto in quel momento di quanto tardi si fosse fatto.

“Adesso esci subito da questo giardino e tornatene a casa.”  ammonì secco la ragazza, prima di scoccare un’occhiata furtiva in direzione del vialetto. Si allontanò verso la sua auto, senza più degnare Vicki di uno sguardo  “…o ti assicurò che passerai la fine del tuo sabato sera dietro alle sbarre.”

Victoria non si mosse, fino a quando non fu sicura che l’auto di Fell si fosse dileguata. A quel punto, spostò di qualche centimetro il piede destro, e puntò lo sguardo verso il terreno, cercando con gli occhi il qualcosa che era caduto poco prima a Fell, dalle parti delle sue scarpe.

Recuperò un cerchietto di metallo dal bordo seghettato, ma non riuscì a comprendere di cosa potesse trattarsi. Se lo infilò in tasca con l’intenzione di portarlo ai Lockwood, ma una parte di lei si trovò ad esitare, smussando un po’ di quella decisione che era solita segnare il suo volto: le avrebbero creduto? In fondo non aveva in mano che quel cerchietto di ferro, un rottame qualsiasi.

Ma avrebbe parlato comunque, si disse, allontanandosi a sua volta in direzione del viale principale. Perché era giusto e perché Victoria era fatta così: diceva sempre quello che le andava di dire. E insisteva fino in fondo, anche nelle cose più stupide, se davvero era convinta che fosse giusto intervenire in qualcosa.

Quando finalmente si convinse a tirare fuori il cellulare dalla tasca, si morse un labbro notandolo spento. La batteria doveva averle dato il ben servito. Pensò ad Autumn e si diede della stupida in silenzio, accorgendosi di quanto fosse tardi. Fortunatamente, riuscì a riaccendere il cellulare. Mentre cercava di fare il numero dell’amica, il display incominciò a lampeggiare, riportandole proprio il nome di Autumn.

“Scusami!” esclamò immediatamente Victoria dopo aver premuto il tasto di accensione. Parlava in fretta, per paura che il telefono si spegnesse nuovamente. “Scusami, sono stata tremenda, lo so. Ma è successa una cosa e quando arrivo ti spiego, e poi il telefono…”

Interruppe il discorso, aggrottando appena le sopracciglia, nell’ascoltare le parole di Autumn. Vicki sgranò gli occhi, confusa.

“Perché, che è successo a Ricki? Ma no, no che non sono alla festa, tu invece perché sei lì?”

Si spostò sul marciapiede, attraversando il viale che costeggiava casa Lockwood sul davanti. Capì poco di quello che stava cercando di spiegagli l’amica, ma il bip del telefono la informò che non avrebbe resistito ancora a lungo, e decise di chiudere la chiamata.

“Ascolta, due minuti e sono da te, ma non riesco a capire bene quello che dici e il telefono si sta scaricando di nuovo. Sono di fronte a casa dei Lockwood, pochi minuti e sono lì, ma tu calmati, Autumn.”

Due bip più lunghi del precedente, e il telefono si spense del tutto.

Vicki sbuffò, cercando di affrettare il passo, improvvisamente nervosa. Aveva capito poco di quello che le aveva spiegato l’amica, perché c’era troppo rumore dall’altra parte del ricevitore. Da quel che era riuscita a comprendere, Autumn era andata alla festa per cercare lei. E poi, le aveva parlato di Ricki, ma non aveva capito nulla di quella parte.

Mentre attraversava la strada, il suono di un’ambulanza risuonò alle sue spalle, risvegliando il silenzio che aleggiava attorno alla tenuta dei Lockwood.

“Ma che cavolo sta succedendo?”

Esclamò a quel punto la ragazza, guardandosi indietro. Si morse un labbro con aria preoccupata e incominciò a correre in direzione opposta, per raggiungere casa di Autumn il prima possibile.

 

***

30 minuti prima.

 “Sono tornata!”

Caroline Forbes attraversò l’ingresso di casa sua, sfilandosi il giubbotto.

“Siamo in cucina, Caroline!”

La ragazza superò il corridoio con un accenno di nervosismo dipinto in viso, incuriosita da quel ‘siamo’ pronunciatole da Liz.

Tuttavia, i suoi lineamenti si distesero all’istante, nel riconoscere l’uomo che sedeva di fronte alla madre, un sorriso bonario a illuminare i tratti del suo viso.

“Ammettilo, l’hai fatto apposta a passare a salutare Elena proprio ieri sera…” la accolse scherzosamente Matt, sollevandosi in piedi. “…sapevi che avrei fatto la notte e non mi volevi tra i piedi!”

“Matt!”

Il sorriso di Caroline si estese, e la ragazza si avvicinò per abbracciarlo, piacevolmente sorpresa.

“Mi sei mancato!” ammise, lasciandosi stringere dall’amico.

 “È bello rivederti, Care!” ammise Matt con un sorriso, prima di separarsi dall’abbraccio. “In realtà, oltre che per salutare, sono passato anche per parlarti di qualcosa un po’ meno piacevole.” aggiunse, tornando a sedersi. Caroline prese posto sulla sedia di fianco a lui, rivolgendogli un’occhiata interrogativa.

 “Ti ricordi Leanne, la figlia di Steven?” domandò a quel punto l’uomo. La vampira annuì brevemente, facendo scorrere lo sguardo da Matt a Liz.

“Certo che me la ricordo; mio padre aveva insistito per farci uscire assieme un paio di volte, parecchio tempo fa: stavo ancora con te, l’hai conosciuta anche tu.”  gli ricordò, rimestando fra vecchi ricordi appartenenti alla sua adolescenza. Matt annuì brevemente.

“Matt dice di averla vista qui a Mystic Falls, più volte, sempre in compagnia dello sceriffo Fell.” spiegò Liz, rivolgendole un’occhiata seria.  “....pare che si sia trasferita qui a Mystic Falls, poco dopo il trasferimento in ospedale di tuo padre. L’ho incontrata molte volte, da allora, ma non avendola mai vista prima se non di sfuggita o in qualche foto, non avevo idea che fosse lei.”

“In realtà non l’avevo riconosciuta nemmeno io, all’inizio, per questo non vi ho detto nulla.” spiegò Matt, tornando a rivolgersi a Caroline. “Ma ieri ero al lavoro, e l’ho vista in reparto – penso facesse visita a qualcuno - Mi ha sentito chiamare per cognome da uno dei pazienti e mi ha riconosciuto. Ha chiesto di te, Caroline, e le ho spiegato che ti eri trasferita a New York. Ma ha vissuto per anni a casa di Bill e da quando si è spostata qui l’ho vista spesso in compagnia di Fell…”

“Io e Matt pensiamo che lei e Fell stiano cercando di rimettere in piedi il Consiglio…” spiegò Liz a quel punto. “E non è da escludere che Leanne sappia di te. Se davvero si è trasferita a Mystic Falls per entrare a far parte del Consiglio, non impiegherà molto a scoprire che vivi qui e che non è mia nipote, ma mia figlia ad essere tornata; soprattutto, perché Leanne potrebbe riconoscerti, vedendoti.”

Caroline sospirò, tirandosi indietro per appoggiarsi allo schienale della sedia.

“Proprio quando le cose sembravano essersi sistemate …” mormorò a bassa voce, avvertendo una fitta di malinconia stuzzicarla. Non le piaceva per niente, quella situazione; detestava essere costretta a guardarsi le spalle ogni volta che usciva, nervosa al pensiero che qualcuno riconoscesse in lei la figlia vivace e chiacchierona dello sceriffo Forbes: una ragazza che a quel punto della sua vita avrebbe dovuto dimostrare almeno quarant’anni, o giù di lì.

Detestava essere costretta a guardarsi le spalle nello stesso posto in cui era nata e cresciuta, quando avrebbe solo voluto limitarsi a passeggiare indisturbata per le vie di Mystic Falls, come una persona qualunque.

“Cercherò di fare attenzione.” assicurò alla madre, prima di alzarsi in piedi, colta da un improvviso giramento di testa; aggrottò le sopracciglia, tornando a sedere, domandandosi quando fosse stata l’ultima volta che si era nutrita.

E poi sentì un rumore.

“Caroline?” domandò Liz a quel punto, rivolgendole un’occhiata preoccupata: anche Matt la stava osservando perplesso.

Caroline si portò entrambe le mani sulla testa, gemendo per il dolore. Un rumore assordante le riempì le orecchie e le tempie le pulsarono con forza.

“Caroline!” gridò nuovamente sua madre, mentre Matt si affrettava a raggiungere la ragazza. La vampira urlò ancora, prima di accasciarsi sul pavimento.

“Caroline, Caroline, mi senti?”

Caroline ebbe un attacco di vertigini, e chiuse gli occhi, accorgendosi che qualcuno la stava prendendo in braccio. Avvertì sua madre chiamarla per nome un’ultima volta e poi più nulla.

***

 

“Avete sentito quel rumore?”

Ricki domandò ad alta voce, rivolgendosi un po’ a tutti quelli che erano abbastanza vicini da poterlo sentire. Si appoggiò al bancone del Grill, guardandosi attorno con aria stranita. Jeffrey, che se ne accorse, accennò a un sorrisetto e gli diede una pacca amichevole sulla spalla.

“No, l’hai sento solo tu.” comunicò a Ricki, prima di scoccare una rapida occhiata all’orologio.  “Fra un po’, mi sa che ce ne andiamo a casa…”   aggiunse, cambiando poi espressione, quando si accorse dell’aria preoccupata che aveva assunto l’amico.

Ricki inspirò con forza, appoggiandosi il palmo di una mano sulla fronte, digrignando poi i denti: un dolore insopportabile gli incuneò le tempie, lasciandolo senza fiato.

 

“Jeff!” ebbe appena le forze di gridare, accasciandosi contro il bancone. La testa gli bruciava come se gli avessero raschiato via le ossa del cranio e aveva male perfino a tenere gli occhi aperti. Si strinse le mani attorno alle tempie, come se con quel gesto potesse riuscire a scrollarsi via il dolore.

“Jeff!” ripeté più forte, lasciandosi scivolare a terra. Jeffrey lo afferrò con forza per le braccia, cercando di tenerlo in piedi, spaventato da quella reazione improvvisa.

“Ricki!” lo richiamò più volte, ignorando le occhiate incuriosite dei presenti; lo scrollò per le spalle, ma Ricki continuò a premersi le mani sulla testa, gemendo di dolore.

“Fallo smettere!” ringhiò a quel punto all’amico, minacciando nuovamente di scivolare a terra. “Fallo smettere, non ce la faccio più!”

“Andiamo via di qui.” esclamò a quel punto Jeffrey, sostenendolo per farlo camminare. Si fece strada attraverso la cerchia di curiosi e puntò deciso in direzione dell’uscita.

Solo quando raggiunsero l’ingresso del Grill, Ricki aprì di scatto gli occhi, avvertendo il dolore affievolirsi lentamente. Se in quel momento, Jeff si fosse chinato per controllare l’amico, avrebbe notato la venatura giallastra che per un attimo aveva catturato le pupille del ragazzo.

“Ti sei ripreso?” domandò a quel punto  a Ricki, accorgendosi che il ragazzo aveva preso a camminare da solo, senza più bisogno di essere sostenuto. Lo aiutò a sedersi e rimase ad osservarlo in silenzio, mentre il ragazzo riprendeva a respirare in maniera più regolare, massaggiandosi le tempie.

“Erano tipo aghi…” farfugliò a quel punto, ancora scosso da ciò che gli era appena successo. Sollevò il capo per ricambiare lo sguardo di Jeffrey e si accorse che lo stava fissando con aria preoccupata.   “Aghi conficcati nel cervello. Faceva malissimo...”

“Andiamo a casa.” ribattè l’amico in tono di voce fermo, aiutandolo poi ad alzarsi in piedi. Ricki annuì, acconsentendo a seguirlo, senza riuscire bene a comprendere che cosa gli stesse succedendo.

Aveva bevuto troppo, pensò fra sé più tardi, lasciandosi ricadere con stanchezza in macchina. Aveva bevuto troppo, e si era sentito male.

Eppure, un altro pensiero ben più allarmante continuava a tormentargli la testa, alimentando in lui la sensazione di nervosismo.

“Devo vedere papà.” farfugliò a quel punto, mentre Jeffrey controllava che avessero entrambi la cintura allacciata.

“Ti sto portando a casa.” cercò di rassicurarlo ancora una volta l’amico, mettendo in moto. La sua mano tremò appena sul volante, e il ragazzo sospirò nervosamente, prima di partire, guidando in direzione di casa dei Lockwood.

 

Puoi andare lontano.

 Puoi prendere tutte le tue piccole precauzioni, ma sei davvero partito?

 La fuga è possibile?

O sei tu che non hai la forza e l'astuzia di nasconderti al destino?

 

“Guidi tu?”

Domandò Tyler, lanciando al figlio le chiavi della macchina. Mase le afferrò al volo, non riuscendo a nascondere un sorrisetto.

Chiuse la portiera e si allacciò la cintura di sicurezza, mentre al suo fianco, il padre faceva altrettanto. Tyler aspettò che il figlio mettesse in moto, tenendo d’occhio con attenzione ogni singola manovra del ragazzo, prima di decidersi ad aprire bocca.

“Allora…” incominciò a quel punto, tornando a rilassarsi sul sedile. “Come è andata la festa?”

Mason annuì appena, le sopracciglia aggrottate e l’espressione completamente rapita da ciò che si trovava di fronte a lui; le mani del ragazzo erano ben salde sul volante.

“Bene.” rispose, senza distogliere lo sguardo dalla strada. “Mi sono divertito.”

Tyler annuì, decidendosi a spostare la sua attenzione verso il figlio, che dopo essere partito, aveva incominciato a guidare in maniera più disinvolta.

“Perché mi guardi?” domandò a quel punto Mase, arrischiandosi a scoccargli una rapida occhiata. Il cipiglio dell’uomo si fece d’un tratto più severo.

“Gli occhi fissi sulla strada.” lo rimproverò all’istante prima di ammorbidire la sua espressione. “Non lo so.” buttò lì poi, prima di rivolgergli un sorrisetto divertito. “Sei mio figlio, adesso non posso nemmeno più guardarti?”

Anche Mase sorrise, questa volta, senza distogliere lo sguardo dalla strada.

“Se cercavi labbra spaccate o sangue rimasto appeso da qualche parte, sono spiacente di informarti che rimarrai deluso.”  comunicò, accennando a un sorrisetto canzonatorio. Tyler ghignò, non riuscendo a trattenersi dal guardarlo una seconda volta.

In quel momento, l’attenzione di entrambi venne catturata da un rumore improvviso alla loro destra.

“Che cosa è stato?” domandò subito Mase, aggrappandosi istintivamente al volante. Tyler fece per rispondere qualcosa, quando uno spasmo acuto di dolore lo sorprese, costringendolo a portarsi le mani alla testa.

Mase gemette, digrignando i denti, avvertendo una morsa improvvisa serrarsi  attorno alle sue tempie. Fece virare pericolosamente il volante, perdendone il controllo per un attimo.

“Che mi succede?” ringhiò in preda al panico,quando venne colto da una seconda fitta di dolore, questa volta più forte. Tyler sferrò un pugno al cruscotto, imprecando, per via del dolore alla testa. Un fiotto di paura mista a rabbia riuscirono a ridestarlo in parte, spingendolo a reagire.

“Accosta!” gridò in quel momento, cercando di sfilarsi via la cintura di sicurezza. Una seconda fitta di dolore lo travolse in quel momento.

“Mase, spegni la macchina, spegni!”

“Non ci riesco!”  gridò in risposta il ragazzo, cercando di mantenere il controllo dell’auto. Ma il dolore era troppo forte, perché riuscisse anche solo a tenere gli occhi aperti. Gemette di nuovo, sforzandosi di rimanere aggrappato con le mani a volante.

“Lascia il volante. Lascialo!”  ringhiò il padre, trafficando con furia per sganciarsi la cintura, faticando per via del dolore.

Con la coda dell’occhio, individuò una figura che si stagliava di fronte a loro lungo la strada: Tyler ringhiò di nuovo, non riuscendo più a capire se si sentisse umano o lupo. Perché provava rabbia. Rabbia,paura e dolore, proprio come duranti le notti di luna piena.

Riuscì finalmente a liberarsi della cintura di sicurezza e allungò in fretta le mani verso il volante, ma i suoi movimenti vennero preceduti da uno schianto secco. Ricadde all’indietro, sbattendo la testa contro il sedile.

In quel momento cessò tutto. I movimenti dell’auto, quel rumore assordante, il dolore alle tempie.

Tyler si accasciò sul sedile e chiuse gli occhi, quasi sul punto di perdere i sensi. Rimase immobile in quella posizione, fino a quando non  riuscì a riscuotersi, avvertendo la consapevolezza di ciò che era appena capitato.

Cercò immediatamente il figlio con lo sguardo e la testa gli provocò una fitta di dolore, non appena volse il capo nella sua direzione. Mase aveva perso conoscenza, ed era ricaduto in avanti, le mani ancora aggrappate al volante.

“Mase!” ringhiò immediatamente il padre, affrettandosi ad avvicinarsi a lui; avvertì un lieve moto di sollievo, nel sentirlo respirare regolarmente. Sfondò la portiera della macchina con un calcio e si precipitò fuori, per poi crollare in basso, le gambe improvvisamente molli, le mani che gli tremavano.

“No...” fu appena in grado di mormorare, prima di perdere conoscenza a sua volta, lasciandosi ricadere contro l’auto.

Di fronte a Tyler, circondato da cocci di vetro e sangue, un uomo giaceva a terra incosciente, piegato in una posizione innaturale.

 

Ma non è il mondo che è piccolo:sei tu.

Il destino può trovarti ovunque.

da Heroes, episodio 1x08.

Nota dell’autrice.

… Uh uh. Non so come cominciare il polpettone, questa volta. Il punto è che ho appena terminato di scrivere e mi sento ancora un po’… in subbuglio! Che ansia XD

Va beh, ora la smetto e passo a cercare di aggiungere qualcosa di sensato. Vediamo di analizzare con calma questa seconda parte di capitolo; dunque, la prima cosa che mi viene da dire è che sono contenta di essere riuscita a inserire un pochetto di introspezione per Mase, e soprattutto, mi è piaciuto raccontarlo in un momento in cui era un pelino più tranquillo del solito (lettori pensano al finale del capitolo e tirano una scarpa dietro a Laura *\\*).

Per quanto riguarda Mason e Autumn che a quanto ho capito siete in tantissimi a shippare (sono tipo il Delena di HR D:), mi sento proprio in dovere di aggiungere che assieme quei due non finiranno mai XD Non ce la faccio, è più forte di me, dovevo sottolinearlo. Voglio tanto bene a tutti e due, e mi diverto da matti a scrivere le loro frecciatine, ma assieme non li vedo, Mase poi, avrà tutt’altro tipo di pensieri per la testa d’ora in poi (altre scarpe colpiscono Laura).

Passiamo a una delle parti che ho preferito scrivere più in assoluto; Anna e Casper Oliver. Se Mase l’abbiamo visto un po’ più sorridente, Olive a un certo punto lo è stato un po’ meno, e ci tenevo a mostrare qualcosa in più a proposito di lui. Che è un discorso di cui si tornerà a parlare più in là. E intanto Anna si lascia sfuggire qualche altra mezza informazione criptica.

Se questo capitolo si chiama ‘Turning Point’, è un po’ appunto anche per il fatto che molti dei nostri pargoletti stanno iniziando a venire spinti verso questo mondo sovrannaturale che ruota loro intorno. Abbiamo Oliver e Anna; abbiamo Xander, alle prese con uno dei diari di Jonathan Gilbert; abbiamo i Lockwood alle prese con le maledizione di famiglia, Julian che si appresta a immergersi un po’ più a fondo nel suo universo di maghetto, e infine Vicki, che per colpa della sua testardaggine, sta rischiando di rimanere incappata in qualcosa che è senz’altro più grossa di lei (Laura vede che le scarpe incominciano a volare verso lo sceriffo Fell, e lo mandano col sedere all’aria).

Parlando appunto del momento Vicki/Fell…Lo so, è completamente campato per aria, ma io avevo bisogno di far accadere certe cose, e questo è l’unico modo che mi è venuto in mente per riuscire  – restando in tema – innescare gli ingranaggi di questo racconto. *le arrivano altre scarpe in testa* E così, quel tontolone di Fell, ha attivato il congegno (lo stesso che nell’ultimo episodio della prima stagione attiva John Gilbert, alla festa dei fondatori). I tre maschietti Lockwood e Caroline F., reagiscono al dispositivo. So che quel congegno ha un raggio di azione di tot isolati, e non so mica, se il Grill, casa Lockwood e casa Forbes rientrino tutte in quel raggio d’azione, ma mi sono permessa di immaginare che fosse così. Tyler e Mase erano quasi arrivati a casa, quando hanno avuto l’incidente d’auto. Questo potrebbe forse aiutarvi a immaginare chi possa essere l’uomo che è stato investito (ç__ç). Nessuno dei personaggi, don’t worry. Ovviamente non vi dirò se questa persona è ancora viva o no, bisognerà attendere il capitolo successivo (che per la cronaca – preparate le scarpe – potrebbe arrivare molto tardi, visto che a maggio ho gli esami e devo darci sotto con lo studio).

Passando a Matt, visto quello che dice nel dialogo, mi sento in dovere di aggiungere che è diventato medico (sì, come il padre di Elena. Va beh XD). Il parallelismo tra l’incidente che hanno Mase e Tyler, con quello che ha sempre Tyler nella 1x22 sempre per colpa del congegno, è piuttosto voluto. E le citazioni di Heroes ci andavano, portate pazienza. Mi sono esaltata un sacco inserendole, perché  le trovavo azzeccatissime per questo capitolo, per Mase, per tutti. *parte la voce di Mohinder nella testa di Laura*

Che altro posso aggiungere? Tenetevi almeno un paio di scarpe da mettere ai piedi, non tiratele tutte a me ç___ç che questo pomeriggio ho battuto la testa due volte e sono pure scivolata D: *e poi prendo in giro ricki .-.*

Anticipazioni sul prossimo capitolo, per questa volta non le faccio. Mi arrischio a dire solo una cosa, che in realtà è uno spoilerone micidiale D: D: D: Porterà lo stesso titolo della storia vera e propria: History Repeating. Ma io vi consiglio di guardare al significato di quelle due parole nella maniera più letterale possibile :D Perché non si riferisce a quello che pensate voi. Forse.

Anyway, vi saluto, che ho ancora l’ansia. Vi spupazzo tutti quanti per bene e mi raccomando, siate gentili con i tre  maschi Lockwood, che hanno avuto davvero una serataccia u___u

 

Tanti abbracci a profusione!

 

Laura

 

   
 
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