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Autore: Darik    09/04/2012    4 recensioni
Dopo l'arrivo del nuovo pilota, giungeranno molti cambiamenti per i piloti di Evangelion.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Rewriting of Evangelion'
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5° CAPITOLO

Misato, con un tutore al braccio e alcuni cerotti sul viso, contemplava la zona dove era avvenuta la battaglia tra lo 01 e lo 04.

I tecnici della Nerv erano stati molto rapidi a portare via la maggior parte dei resti dell’Eva annientato, che sarebbero stati distrutti in seguito, salvo qualche campione da studiare in laboratorio.

Nonostante ciò, alcuni pezzi erano ancora orrendamente in bella vista, ovvero la testa e un avambraccio, che emergeva dal fiume vicino. Poi il terreno, le colline, la vegetazione circostanti erano ricoperti di sangue raggrumato color rosso scuro.

Sembrava che lì ci fosse stata una tempesta di sangue, e Misato lo sentiva, ancora appiccicaticcio, sotto i suoi stivaletti, rabbrividendo all’idea.

Scorse la figura della dottoressa Akagi, che stava osservando quella che un tempo era stata la testa dello 04: era rimasta intatta solo la base del cranio, la parte superiore era ridotta a una poltiglia in cui si mescolavano carne, ossa, lamiere e materia cerebrale.

Era davvero un mistero come facesse Ritsuko a non vomitare davanti a quella cosa maciullata.

Comunque anche Misato, quando la affiancò, non si mostrò da meno.

“E’ proprio un disastro”, esordì il maggiore.

“Già, ed è la dimostrazione che per quante precauzioni si possano prendere, la realtà si mostra sempre imprevedibile”, rispose freddamente la dottoressa.

“Quali sono le condizioni di Mana?”

“E’ ancora sotto esame medico. La sua mente è probabilmente entrata in contatto con l’angelo invasore, ed è uscita fisicamente piuttosto malconcia da questo macello. Dobbiamo già ritenerci fortunati che non abbia subito qualche mutilazione”.

“Capisco”.

Misato, cupamente, si guardò intorno.

“Invece come sta Shinji?”, domandò Ritsuko.

“Poco fa ho telefonato ad Asuka: è sempre uguale, sta chiuso nella sua stanza, seduto sul letto, a capo chino, perso in chissà quali pensieri. E cosa puoi dirmi di Rei?”.

“Tornata a casa. Tra due giorni si sarà ripresa completamente”.

Calò un lungo attimo di silenzio.

Lo sguardo di Misato si concentrò su qualcosa.

“Voglio vedere subito i filmati registrati alla base su quanto è avvenuto qui”, ordinò andandosene sotto lo sguardo di Ritsuko.


Poche ore dopo, Misato era nel suo ufficio a visionare su un PC portatile i dati della battaglia, senza poter nascondere delle espressioni di ribrezzo davanti al massacro compiuto dall’Eva-01 comandato dal Dummy System.

Infine ebbe un sussulto quando vide lo 01 stritolare l’Entry Plug dello 04 e lanciarlo lontano.

La capsula si schiantò su una cascina abbandonata che si trovava nelle vicinanze, e con quelle immagini il filmato terminò.

Uno spettacolo terribile ma anche verosimile e coerente: lo 04 era impazzito, aveva attaccato lo 01, Shinji non era riuscito a controbattere efficacemente e si era fatto ricorso al Dummy System, ancora da perfezionare ma mostruosamente efficace.

Eppure un pensiero continuava a tormentarla.

Tirò fuori il cellulare e digitò un numero della rubrica.

“Il numero da lei chiamato non è raggiungibile al momento”, dichiarò un’atona voce femminile.

“Dannato Kaji. Prima mette pulci nell’orecchio e poi sparisce senza fornire dettagli!”, sbottò la donna.

Non di meno, se aveva agito così, voleva dire che lei aveva già i mezzi per scoprire la verità.

Doveva solo saperli sfruttare, e quando sentì alcuni membri del personale Nerv parlottare tra di loro nel corridoio davanti al suo ufficio, capì a chi rivolgersi.

Lo avrebbe fatto il giorno dopo, il tempo di far calmare un po’ le acque.


Il giorno successivo Maya Ibuki si stava lavando le mani e dando una rinfrescata in faccia nei bagni del personale.

Il suo viso bello e giovane aveva però delle leggere occhiaie, una cosa prevedibile, vista la mole di lavoro extra degli ultimi due giorni.

Misato entrò nel bagno e andò anche lei al lavandino, aprendo il rubinetto al massimo.

Maya le fece un cenno di saluto prima di chiudere il suo rubinetto per andarsene.

“Non chiuderlo e resta affianco a me, senza guardarmi”, le sussurrò Misato continuando a tenere lo sguardo in avanti.

L’altra, lievemente turbata, obbedì.

“Maya, lo so che sei una persona coscienziosa. Ti prego, dimmi cosa è successo veramente durante lo scontro con il 13° Angelo”.

“Non so a cosa si riferisce”, rispose con voce tenue l’operatrice. “Le assicuro che il filmato della battaglia non è stato assolutamente ritoccato”.

Misato, tramite il riflesso dello specchio che stava sopra il lavandino, la fissò cupamente. “Io però non ho mai parlato di filmati ritoccati”.

Maya sembrò ammutolire e abbassò lo sguardo.

“Maya, capisco che vuoi essere fedele alla dottoressa Akagi, ma so bene che non approvi tutto quello che fa. Se ha nascosto la verità, e se questo riguarda la vita innocente di Mana, ha sbagliato. Dimmelo. D’altronde non stai parlando a un’estranea, ma al direttore operativo della sezione strategica della Nerv”.

Maya chiuse il rubinetto, l’acqua abbastanza calda aveva creato un po’ di condensa sullo specchio, l’operatrice sembrò col dito scribacchiare qualcosa sul vetro e se ne andò.

Passato qualche minuto, Misato chiuse l’acqua e uscì anche lei.


Due ore dopo, il maggiore della Nerv era di nuovo nel bagno.

Così diceva ciò che aveva scritto Maya sullo specchio: "Qui due ore".

Non c’era nessuno e non sarebbe stato prudente chiamare o cominciare ad aprire le porte dei wc una per una.

Sarebbero stati troppi rumori per una sola persona, capaci di allertare orecchie indiscrete.

“Andiamo, Ibuki. Devi avermi lasciato un segnale”.

Scrutando le porte, Misato vide che una non era chiusa del tutto, al contrario delle altre.

Andò in quel wc, esaminò la porta e si accorse che sul bordo sinistro di quest’ultima, in basso, era stato messo un batuffolo di cotone.

“Bingo!”

Il maggiore si guardò intorno e non vide niente.

Però c’era la tazza del water.

Lo spazio ai lati del water era troppo stretto per guardare direttamente, quindi si chinò, cercando tentoni dietro di esso con la mano, e trovò cosa voleva, strappandolo: un cd attaccato con del nastro adesivo.

Soddisfatta, la donna andò al rubinetto per lavarsi le mani e lasciò la toilette.


Misato rincasò abbastanza tardi.

L’appartamento era deserto, sul tavolo della cucina c’erano delle confezioni di ramen precotto, insomma una cena alla Asuka.

Il maggiore della Nerv sbirciò nella stanza di Shinji aprendo lievemente la porta, e lo vide a letto, girato dall’altra parte.

Incupendosi, Misato fece per bussare alla porta di Asuka, si fermò un attimo quando la sentì borbottare un "Sono stata sconfitta", poi bussò e aprì la porta.

“Ciao”, la salutò, senza entusiasmo, Asuka, che era seduta alla sua scrivania.

“Ciao. Dimmi, ci sono stati miglioramenti?”

“Macché. Meno male che almeno si è mosso per mangiare qualcosa, altrimenti sarebbe stato come avere in casa uno zombie”.

“Capisco. Senti, a proposito di quello che è successo con lo 04…”

“Le notizie sulla novellina dille a stupi-Shinji!”

Misato non insisté e chiuse la porta.

“Sono stata battuta un’altra volta”, bofonchiò la Second Children.

Una volta dentro la sua stanza, il maggiore tirò fuori il suo PC portatile e il famoso dischetto, contemplandolo come se fosse un gioiello.

“Prima di coinvolgere i ragazzi, è meglio che mi chiarisca le idee”.

****

L’Eva-01 sollevò come se fosse un peso morto lo 04, tenuto per la testa maciullata.

Da quel corpo penzolante dondolavano anche i moncherini delle tante braccia che gli erano sbucate.

Lo 01 ansimò sempre più furiosamente, mentre un ruggito gutturale gli arrivava dalla gola.

Con un fremito l’Evangelion si girò su se stesso e sbatté il nemico a terra, gli saltò addosso e cominciò ad aprirlo.

Ecco il termine esatto: aprirlo.

Perché affondo le mani nella corazza pettorale, tirò fino a strapparla via insieme alle placche che coprivano il ventre.

Come se avesse tirato la linguetta di una scatola.

Poi affondò le mani negli organi interni: cascate di sangue si sollevarono dal ventre squartato dello 04, imbrattando il luogo, e il massacratore tirava fuori gli intestini mordendoli, ne strappava lunghi tratti, li masticava con foga scuotendo la bocca da lato a lato, e per ultimo li sputava lontano.

La stessa sorte toccò alle altre parti del corpo.

A un certo punto, dallo squarcio fu tirata fuori anche una grossa sfera rossa: lo 01 la prese tra le mani e premette fino a frantumarla in mille pezzi.

Con la corazza facciale rotta nella zona della bocca, l’Eva-01 dava l’impressione di sogghignare.

Un’impressione che aumentò quando il flagello color viola e verde passò agli arti del nemico.

Braccia e gambe vennero una dopo l’altra strappate di netto, fatte a pezzi, la copertura della corazza lacerata come se fosse in atto una scuoiatura.

Infine anche quei pezzi furono gettati lontano.

Per ultimo era rimasto l’Entry Plug, ancora ricoperto da quella strana sostanza di origine angelica.

La mano dello 01 tremò nell’atto di stritolare anche la capsula.

Si udì un grido disperato provenire da chissà dove.

E come per risposta, qualcosa saltò sulla mano dell’Evangelion.

Era una macchia scura, che si rivelò essere una persona vestita di nero, avvolta in una specie di saio, come di un monaco.

La figura nera afferrò da sotto, con le braccia, le dita chiuse dello 01.

E tentò di fare proprio quello che sembrava: stava cercando di aprire quell’enorme mano.

O più probabilmente voleva allentare un poco la presa di quelle dita colossali, riuscendoci pure, per qualche secondo, perché con un calcio tolse la capsula da quella mano.

La figura saltò via, prendendo al volo l’Entry Plug nonostante fosse molto più grande.

Ma l'Eva, come irritato da quell’interruzione, con una manata colpì lo sconosciuto e la capsula, facendoli volare dentro una cascina di cui sfondarono il tetto.

Fatto questo, il gigante si fermò.

****

Misato non realizzò per quanto tempo era rimasta con gli occhi sbarrati e la bocca aperta.

Sembrava caduta in trance, e ne uscì solo quando udì Asuka accendere la tv in soggiorno.

Scuotendo la testa, il maggiore aprì un piccolo file scritto che accompagnava il filmato: “E’ stato il comandante Ikari a ordinarci di alterare il filmato. Le scene alterate sono quello che devono vedere le nostre autorità superiori. Non sappiamo niente di quella misteriosa figura, ma sembra che il comandante le abbia teso una trappola, usando la povera Kirishima come esca. Spero che sappia fare buon uso dell’informazione”.

Misato non riusciva ancora a crederci, ma comunque doveva indagare.

Si vestì con abiti più pesanti, impugnò la sua pistola di ordinanza e uscì.

Asuka, davanti al televisore, non la degnò di uno sguardo.


L’interno della cascina era pieno di detriti e polvere.

La pila di Misato illuminò anche qualche topo che scappò squittendo.

La donna si aggirò dentro il rudere con cautela, pistola in pugno.

Dopo essersi guardata intorno, osservò il pavimento e uno strano riflesso attirò la sua attenzione.

C’era qualcosa sotto quello che una volta era un tavolo e adesso era sfondato.

Raccolse l’oggetto, tolse la polvere, lo osservò.

Impallidì.

Rapidamente lasciò il rudere.


La mattina presto del giorno dopo, Misato telefonò alla base dicendo che avrebbe fatto tardi a lavoro: raccontò che il braccio fasciato aveva cominciato a farle un male cane, e che doveva assolutamente andare subito in farmacia a prendere degli antidolorifici.

Fatto questo, diede un’occhiata a Shinji e Asuka, che dormivano ancora, prese la sua pistola nascondendola dietro la giacca e si avviò a piedi verso il suo obiettivo, mostrando una strana determinazione.

Arrivò infine a destinazione ed entrò decisa in quell’edificio, trovandolo deserto.

“C’è nessuno?”

La proprietaria del luogo entrò nella stanza, trascinando a fatica un solo barilotto.

“Ciao, Misato”, esordì quella persona.

“Ciao, Maaya”.

“Non è da te venire a fare colazione qui”.

“Oggi volevo sfidarti: vediamo se oltre a pranzi e cene, sei brava anche con le colazioni”.

Maaya fletté i bicipiti di un braccio, stavolta senza batterci sopra con la mano. “Sfida accettata!”, esclamò con sicurezza.

Riprese a portare il barilotto, trascinandolo lentamente e facendolo strisciare sul pavimento.

“Uff… fammi… fammi sistemare il barile per la birra alla spina e sono... anf… subito da te”.

“Fai con comodo”, la tranquillizzò Misato, e l’operazione fu completata in poco tempo.

“Ecco. Sono a tua disposizione”.

“Bene, allora preparami una colazione all’inglese”.

La ristoratrice mimò un saluto militare. “Detto fatto. Vuoi chiedere qualcos’altro?”

Misato parve non voler rispondere, poi sospirò: “Mi piacerebbe che dessi risposta a una domanda”.

“Ovvero?”

“Dove sono i tuoi occhiali?”

Maaya piegò di lato la testa. “Come dove sono? Li ho qui, non li vedi?”, rispose indicandosi gli occhiali che indossava.

“Sì. Ma io parlo di quelli con le alette da angelo affianco alle lenti”.

“Ah quelli? Purtroppo li ho persi. Sono cose che capitano”.

Misato annuì e prese un astuccio da una tasca. “Sono forse questi?”

L’altra scrutò quegli occhiali. “Certo, il modello è quello. Dove li hai trovati?”

“In una cascina abbandonata da chissà quanto tempo, e sono usati pochissimo, in pratica nuovi”.

Calò un lungo silenzio.

Poi entrambe sembrarono odorare qualcosa.

Misato cadde per terra, addormentata all’improvviso.

Maaya invece ebbe un lieve mancamento, barcollò ma si riprese subito.

“Merda”, borbottò.

Degli oggetti entrarono sfondando le finestre nel locale, riempiendolo subito di un fumo bianco.


Le truppe speciali della Nerv avevano circondato il locale.

Blindati, auto e furgoni bloccarono le strade, una marea di soldati con il logo dell’agenzia si riversò fuori dai furgoni disponendosi con le armi spianate davanti ad ogni possibile via di fuga.

Quando il ristorante fu pieno di fumo, uno dei soldati fece segno ad altri tre con le dita di farsi avanti.

Quelli ubbidirono, avanzando cautamente con le armi in avanti ed entrando uno per volta.

Dopo pochi secondi, qualcosa o qualcuno li lanciò fuori, i tre uomini atterrarono su un prato oltre la strada dopo un volo di dieci metri.

Un oggetto sbucò fuori dalla nuvola bianca: era un tavolo.

Cui ne seguì un altro e un altro ancora.

I tavoli costrinsero i soldati a ritirarsi dietro le auto.

Infine dal fumo, con un ampio balzo, venne fuori una persona: Maaya, che atterrò a quattro zampe in mezzo ai soldati, gli si gettò addosso e iniziò a stenderli; con semplici spinte delle mani li faceva volare all’indietro per diversi metri, con potenti calci circolari dati in faccia riusciva a stenderne anche tre o quattro in una volta e con i suoi pugni abbatteva quegli uomini grandi e grossi come birilli.

Con un nuovo salto, salì sul tetto di un furgone e alcuni soldati, ripresisi dalla sorpresa e troppo indietro per essere colpiti, fecero fuoco contro di lei.

Molti proiettili particolari, simili a delle freccette, la colpirono alla schiena.

Maaya barcollò nuovamente, saltò giù, e si mise alla guida del furgone, pigiando a tavoletta l’acceleratore.

Il furgone sgommò via, i soldati lo evitarono buttandosi di lato.

Mentre guidava, la giovane si tolse quei particolari proiettili dalla schiena. “Dardi soporiferi. Bastardi, tsk!”

Poi sentì un forte dolore alle braccia e le maniche della sua maglietta cominciarono a colorarsi di rosso. “Magnifico, si sono pure riaperte le ferite. Che altro c’è ancora?”

La risposta arrivò dai tre autoblindo che le stavano venendo incontro dalla direzione opposta.

Quegli autoblindo avevano delle mitragliatrici sul tetto, e aprirono il fuoco contro il furgone distruggendone le ruote.

A causa di questo e dell’alta velocità, il furgone si ribaltò rotolando su se stesso più volte, poi, dopo aver strisciato rumorosamente per qualche metro, si fermò in mezzo alla strada.

Maaya con un calcio sfondò il finestrino e uscì incolume.

La stavano nuovamente circondando, allora guardò in direzione della montagna che troneggiava dietro tutti loro a una certa distanza.

Avrebbe potuto nascondersi in quei boschi, poteva raggiungerli.

Purtroppo quelli degli autoblindo la pensavano diversamente e tutti e tre i mezzi spararono degli oggetti cilindrici, che si aprirono a mezz’aria con un piccolo botto: erano delle spesse reti metalliche.

Piombarono su Maaya ricoprendola totalmente.

La ragazza tentò ancora di liberarsi, cominciando a dilaniare le reti.

Purtroppo i soldati l’avevano ormai raggiunta, e spararono a raffica i loro dardi.

Come se non bastasse arrivarono dei soldati con dei piccoli oggetti simili a batterie d’auto e le disposero a terra sopra alcuni lembi delle reti.

Subito tali reti furono percorse da una fortissima corrente elettrica, sprizzando scintille e costringendo i soldati a indietreggiare.

Maaya urlò come una tigre ferita, tentò ancora di liberarsi.

Un’ultima razione di dardi le diede il colpo di grazia.

Cadde a terra, preda di convulsioni.

Infine restò immobile.

  
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