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Autore: Titinina    10/04/2012    2 recensioni
Eccoci qui! So che non mi sopportate più!
"Remind Me" è una fanfiction dai toni più cupi rispetto alle precedenti, è stato faticoso scriverla, ma mi ha dato la soddisfazione con la S maiuscola. Forse perché c'è tantissimo di me qui dentro! Spero davvero che vi piaccia!
La storia si svolge a conclusione del manga, ma vedremo che un episodio davvero tristissimo sconvolge la vita dei nostri eroi. p.s. Per chi ha visto il drama coreano basato su City Hunter noterete che ho utilizzato alcune location e nomi riferiti proprio al drama, erano lì ed era impossibile non sfruttarlo! A prestissimo! Titinina ^__________^
Genere: Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaori/Greta, Ryo Saeba/Hunter, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Due anni prima
Settembre stava finendo, il primo freddo era alle porte, le foglie cadevano dagli alberi, gialle e rosse, creando un’atmosfera, si autunnale, ma calda, suggestionando l’atmosfera.
Ryo camminava per Shinjuku, nella sua tranquillità, si dirigeva verso casa, il tramonto alle sue spalle. Un lieve sorriso campeggiava sul suo viso, impercettibile se lo si guardava distrattamente.
Nascosta nella sua tasca, stringeva il suo pegno, croce e delizia, ci aveva impiegato anni, ma ora ecco lì che premeva, che gli ricordava ciò che in fondo aveva sempre saputo: l’amava.
Inserì la chiave nella serratura, intorno a lui i rumori della città erano prepotenti, auto, sirene della polizia si lanciavano a tutto spiano, gente che parlava, le prime luci della sera si accendevano, ma, richiusa la porta alle sue spalle, la città non poteva più intromettersi nella sua vita, salì le scale lentamente, ogni passo, ogni respiro che faceva era un’ascesa verso il suo piccolo paradiso, verso il luogo che lo proteggeva dal male, anche da se stesso, verso la loro casa e mai questo nome era stato più vero. Casa, l’isola felice, dove il calore lo investiva senza chiedere permesso, dove lui poteva essere se stesso, con la sua moltitudine di difetti e pregi, dove i suoi silenzi erano accolti senza fare domande, dove se aveva bisogno di una rassicurazione il sorriso di lei lo avrebbe premiato.
Casa era Kaori.
Il salotto era in penombra, gli ultimi raggi di sole lo stavano scaldando, infine vide Kaori vicino alla finestra che gli sorrideva. Ryo si avvicinò a lei salutandola con un casto bacio sulle labbra e l’abbracciò.

“Ciao”
“Ciao”
“Tutto apposto?”
“Si certo. Vieni con me ora.”

Ryo si diresse verso le scale della terrazza, prendendo con sé una bottiglia di vino e due bicchieri, Kaori lo seguì senza dire una parola, ad un certo punto si fermò sulla scala allungando la mano verso di lei, Kaori la prese, quella scintilla si accese, lui era lì per proteggerla, o forse era il contrario, lei proteggeva Ryo, ma comunque il messaggio era chiaro: niente poteva separarli, solo insieme erano completi.
Arrivati in terrazza, Ryo posò la bottiglia e i bicchieri per terra, strinse Kaori tra le sue braccia. Cominciò a ballare un lento senza musica, stringendola per la vita.

“Cosa ci facciamo qui?”
“E’ semplice, balliamo.”

Continuò quel movimento accarezzando la schiena di Kaori, che lo stringeva di rimando facendosi cullare da lui.
Ryo appoggiò le sue labbra sulla fronte di Kaori in un bacio gentile, poi le prese il viso tra le mani, con una calda carezza, e la guardò negli occhi. Non era mai stata più bella ai suoi occhi, era felice, e sapere che era lui l’artefice della sua felicità lo faceva sentire vivo.
Kaori scrutò gli occhi di Ryo, il suo uomo sorrideva, i suoi occhi neri la stavano studiando, scandagliando, come ad imprimere quel momento nella sua memoria e non poté far altro che sorridergli, perché lui la doveva ricordare per sempre come in quel momento: con il cuore pieno di amore e di gioia, pieno di lui. Qualsiasi cosa fosse successa, lui doveva ricordarsi di lei in quel preciso istante.
Ryo, vedendo quel sorriso accendersi sulle labbra di Kaori, accarezzò il suo viso con il pollice, imprimendo per sempre il suo volto nella sua memoria.

Le labbra di Ryo toccarono finalmente quelle di Kaori, un bacio, un bacio che valeva più di tutto, come se l’ossigeno per l’esistenza di entrambi passasse solo attraverso quel bacio.
Un bacio per sconfiggere la morte che li circondava tutti i giorni.
Un bacio per onorare il loro amore.
Un bacio per onorare la loro vita, che mai era stata più viva e densa come in quel momento.
Si guardarono di nuovo negli occhi.

“Tornerò sempre a casa, tornerò sempre da te, Kaori. Ogni volta che mi vedi uscire da quella porta, voglio che tu ricordi che io tornerò sempre da te.”

Estrasse dalla scatola una catenina semplice, per ciondolo un proiettile della sua python, niente poteva rappresentarlo meglio.

“Questa è una promessa, quando lo guarderai, ritroverai me.”
Kaori spalancò gli occhi, il suo cuore batteva follemente nel suo petto.
“Dovrai sempre tornare da me, per me. Non rompere per nessun motivo questa promessa.”
“Non lo farò mai.”

Fece girare Kaori di spalle, con il viso rivolto verso Shinjuku, le allacciò la catenina al collo accarezzandola.
Davanti a lui la città per cui sopravviveva e, sempre davanti a lui, la donna per cui viveva.

“Averti qui con me è quello che ho sempre voluto.”
“Ti amo, Ryo”.

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Presente
Il mal di testa era prepotente, si sentiva confusa, ricordava a sprazzi quello che era successo. La gomma che si bucava e lei che perdeva il controllo dell’auto, infine il buio.
Ancora con gli occhi chiusi, Kaori sapeva di essere su un letto, possibilmente era in ospedale, non sapeva da quanto tempo era lì.
Riuscì ad aprire a fatica gli occhi, al braccio una flebo attaccata, qualche ammaccatura e poi si portò la mano sulla fronte fasciata, si decisamente aveva preso proprio una bella botta. Toccò il campanello per chiamare un’infermiera, la quale si recò subito nella sua stanza.

- Signorina vedo che si è svegliata.
- Si, grazie. Da quanto tempo sono qui?
- Oh è stata portata qui stanotte, sono solo le dieci del mattino, solo qualche ora. Le sue condizioni sono buone, solo che la teniamo sotto osservazione per il trauma cranico.
- Ah capisco, quando potrò uscire?
- Domani mattina se gli esami saranno nella norma e se passerà la notte tranquilla.

Kaori si alzò in piedi, cercando di cercare almeno la sua borsa, sarebbe stato il caso di avvertire Mick, che sicuramente stava impazzendo non trovandola, di lì a poco, come minimo, si sarebbe trovata i servizi segreti giapponesi mandati da Mick a cercarla!
Un capogiro la sorprese che la costrinse a risedersi.

- Signorina, non si agiti, mi dica di cosa ha bisogno.
- Ecco vorrei avere la mia borsa, forse l’hanno presa, dovrei chiamare i miei amici a dirgli che sto bene.
- Ah certo abbiamo noi i suoi effetti personali, infatti abbiamo trovato sulla sua agenda il numero di casa, abbiamo telefonato ma non risponde nessuno.
- Nessuno può rispondere.

Quelle ultime parole di Kaori erano soffocate, nessuno, se non lei, poteva rispondere in quella casa vuota.
L’infermiera le allungò la borsa e il cellulare. Kaori compose il numero di Mick, aspettandosi una grossa lavata di capo.

- Ciao Mick, sono Kaori.
- Che diavolo è successo? Perché il tuo telefono era spento? Dove sei? Con chi sei? Sei ferita? Stai male?
- Paparino, ti tranquillizzi? Sto bene, ho avuto un piccolo incidente e sono in ospedale, ma sto bene.
- Tranquillo un corno! Avevo già avvisato Saeko della tua scomparsa e mezza polizia è in giro a cercarti chissà dove! Ma aspetta, hai detto ospedale? Kazue! Perché non abbiamo chiamato gli ospedali!
- Paparino hai pensato che mi ero cacciata nei guai e l’ospedale era l’ultimo posto dove potessi trovarmi?! Certo che hai fiducia cieca in me!
- Non puoi capire che spavento mi sono preso! Accidenti! Ma stiamo arrivando, non muoverti da lì!
- Ho capito, stai tranquillo non mi muovo. Avverti tu gli altri, non agitarti.

E la comunicazione si interruppe senza un saluto da parte dell’americano, Kaori pensò che era davvero arrabbiato, di certo non poteva biasimarlo, dopo tutto con il lavoro che facevano era normale. Di certo sarebbe stato un bravo papino premuroso, chissà se si sarebbe deciso a sposare Kazue e creare una famiglia?!
Ma ancora Mick non aveva avanzato nessuna ipotesi in quel senso, in fondo sapeva il perché, lui si sentiva un po’ in colpa nei suoi riguardi, come se lui non avesse il diritto di rendere, sia lui che Kazue, felici, come meritavano, perché lei era sola.

Sola.
Sola.
Sola.

Quella parola rimbombava nella testa. Poi si ricordò improvvisamente cosa le mancasse: il suo ciondolo. La sera prima non lo aveva addosso, lo cercò con agitazione nella sua borsa, facendo uscire di tutto ma senza trovarlo, una punta di panico le prese lo stomaco, quello era il loro legame indissolubile, non se la sarebbe perdonata se lo avesse perso.

L’infermiera, mentre rifaceva il letto, la vide girovagare cercando qualcosa.

- Le serve qualcosa?
- Ehm si effettivamente non trovo una cosa personale, un ciondolo particolare, lo porto sempre con me non vorrei averlo perso, è molto importante.
- Oh ma si certo, glielo messo nel cassetto del comodino.

L’infermiera aprì subito il cassetto e prese la catenina dandola tra le mani di Kaori; vedendo il suo gioiello prezioso scivolargli nelle mani, tirò un sospiro di sollievo e gli occhi le si inumidirono.

- Vedo che ci tiene molto, è un regalo del suo fidanzato?

Kaori annuì stringendo sul cuore il bossolo, ora non era più sola.

- Che strano ciondolo però, il suo fidanzato non se ne intende di gusti femminili.
- E’ rustico, ma vale più di mille anelli.
- Lo vedo!

Kaori riguardò la scritta incisa sopra il bossolo:
“C.H. Insieme.”

Un’unica parola, nel suo stile, sempre troppo spiccio e di poche parole, ma a che servivano quando c’era racchiuso tutto il necessario?!
No, lui lo aveva promesso, lui in qualche modo sarebbe tornato a casa da lei, una piccola speranza, dopo tanto tempo, si riaccese nel suo animo quella mattina.

- Mi scusi infermiera.
- Mi dica
- Chi mi ha portato qui all’ospedale? L’ambulanza?
- Ah no, la mia collega mi ha detto che l’ha portata un uomo qui.
- Un uomo?
- Si, alto e moro, muscoloso e aveva la barba. So tutti questi particolari perché la mia collega mi ha detto che era un uomo molto affascinante.

Kaori rimase sorpresa da quella descrizione, poi si disse che era sicuramente una coincidenza, era una descrizione decisamente sommaria.

- Ah si infatti il ciondolo lo ha lasciato lui, dicendo di darglielo immediatamente perché sicuramente lo avrebbe cercato. Si è molto curato di questa cosa.

Kaori spalancò gli occhi, come era possibile che un estraneo si prendesse cura di una cosa del genere?

- Non ha lasciato un nome o un numero di telefono? Vorrei ringraziarlo.
- No, non ha lasciato niente, dicendo che sicuramente vi sareste incontrati presto.
- Che peccato.
- La lascio riposare.
- Grazie mille.

Kaori rimuginò su quelle parole dette dall’infermiera, una strana inquietudine si impossessò di lei, non poté farne a meno, però non sentì il pericolo, forse perché l’aveva salvata? Ma si distrasse, uno strano rumore si propagò per il corridoio, sembrava la cavalleria, e Kaori sapeva che tra poco quella cavalleria avrebbe invaso la sua stanza.
Infatti, nel momento in cui la porta si aprì una voce femminile riecheggiò sopra tutte.

- Kaori non fare mai più una cosa del genere!

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Casa Saeba – Makimura

Un’ombra si scrutava intorno , era stato facile entrare nonostante il sistema d’allarme, bastò digitare 2809, ovviamente si era premurato di non essere visto. Aveva aspettato pazientemente che il ragazzo biondo del palazzo di fronte uscisse e si allontanasse per entrare dentro quella casa. Lo aveva visto schizzare sulla sua auto con un gruppo di persone che erano agitate.

Appena superato il sistema d’allarme, per prima cosa, si diresse nel sotterraneo, li trovò il poligono, accese le luci e sembrava un posto usato e frequentato di recente, tutto in ordine e pulito. Poi notò una sagoma di cartone con due fori, uno sulla testa e un altro al petto. Non male.

Chiuse la porta e si diresse verso l’appartamento del sesto piano. Aprendo la porta la luce del sole lo invase illuminando tutto intorno a lui, perfettamente in ordine, ma così poco vivo quell’appartamento, svoltò in cucina notando che lo stesso ordine certosino era anche lì.

Lasciò la cucina sfiorando non curante il tavolo, per tornare di nuovo in soggiorno, si avvicinò al mobile bar e si versò un bicchiere di scotch che bevve a piccoli sorsi, gli serviva per schiarirsi le idee dopo la notte insonne, con il bicchiere in mano girò ancora fino ad arrivare alle camere, andò verso l’ultima dove un odore di talco era più forte, spalancando la porta trovò la stanza al buio, il letto disfatto, una maglietta da donna buttata su una sedia, una maglietta rossa da uomo su un cuscino, e poi due cornici con delle foto sul comodino.
Prendendo la foto tra le mani, con intenzione, l’ombra, accarezzò il viso della donna di quella foto sorridente, non poté far altro che sorridere di rimando.
Rifece il percorso al contrario, lasciando il bicchiere nel lavabo, e richiuse la porta alle sue spalle.
Steve Lee lasciò la casa soddisfatto, sapendo di essere vicino al suo obiettivo, facendosi inghiottire dal traffico di Tokyo.

Sul comodino, nascosto dalla foto di Ryo e Kaori, brillava un proiettile. Un proiettile di una Python 357 Magnum, lasciato lì forse per essere trovato.

   
 
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