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Autore: Saoirse    10/04/2012    3 recensioni
« La prima cosa che vidi varcando la soglia di casa Marshall fu un tornado dai capelli fiammeggianti [...] Avevo davanti una ragazzina. »
Si trattava dell'anno 2005, New York. Il protagonista, oramai adulto, ricorda il giorno in cui - appena ventenne - si trasferì assieme alla madre in una nuova casa.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa oneshot è un banco di prova per una futura serie. È la presentazione di Rose, protagonista assieme a Kameron.
La narrazione è affidata a un Kameron adulto, che ricorda del trasferimento a casa Marshall: sua madre è infatti compagna di Mr. Marshall, padre di Rose. Approfondirò e spiegherò poi tutto. Per ora mi metto alla prova con queste poche righe.
 


Rose



« Ciò che noi chiamiamo Rosa,
con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo 
» [0]




La prima cosa che vidi varcando la soglia di casa Marshall fu un tornado dai capelli fiammeggianti [1]. E subito dopo un paio di piedi scalzi, minuti, che dimostravano quanto fosse piccola la sua statura: due occhi nebulosi, infatti, mi guardavano dal basso. Avevo davanti una ragazzina. I lunghi capelli ramati erano lasciati confusamente cadere sulle spalle, lungo la schiena, sul petto esiguo. Accarezzavano una scollatura troppo poco maliziosa per essere realmente presa in considerazione e l’abitino bianco era troppo pudico. Una ragazzina.


È stato amore a prima vista.[2]

Le labbra sottili e nude, senza alcuna traccia di belletto, si curvarono agli angoli alla mia vista; gli zigomi si arrotondarono rosei e un lampo giocoso attraversò lo sguardo mentre mi sorrideva. 
« Papà! » Voltando il capo verso l’interno della casa la sua voce si propagò da quella gola bianca, squillante, interrompendo così il contatto visivo instauratosi tra noi. Immediatamente dopo si avvicinò a mia madre, che si trovava alle mie spalle, intenta a litigare con i bagagli. Mi passò accanto, sfiorandomi con i capelli, facendomi assaggiare per un istante un sapore di primavera.

Non mi rivolse la parola, né in quel momento, né per il resto del giorno. Salutò mia madre e la accolse in casa, si occupò di mostrarle la stanza da letto, la cucina, il piccolo terrazzo pieno di edere, piante, fiori. Poi si eclissò in camera sua, non dandomi nemmeno il tempo di dire, fare qualcosa che non fosse guardarla con aria stralunata. 

Suo padre si occupò di accogliermi. E di informarmi che, paradossalmente, una casa così ben strutturata non disponeva, nell’immediato, di una stanza da letto pronta per me: questione di pochi giorni, aggiunse, e avrei avuto la mia stanza. Intanto potevo dormire sul divano o, nel caso non avessi gradito, nella camera di sua figlia, dove vi era un altro letto. Qualcosa, però ( il suo sguardo tagliente, magari ) mi suggerì che avrei fatto bene a trovar comodo il divano.

Tanto non c'era nemmeno da sperare in un mio ritorno, quella notte. Così, facendo spallucce, mormorai un assenso.
Le ultime ore del pomeriggio passarono veloci, nel disfare i bagagli e nel prendere confidenza con la nuova casa. La cena, poi, fu tranquilla. Un iniziale imbarazzo fu sicuramente smorzato dalla ragazzina, che ci intrattenne con sagacia e sfacciato umorismo. Quando, dopo cena, dopo i convenevoli, dichiarai di uscire per « una boccata d’aria » nessuno ebbe da ridire. D’altronde avevo i miei bei vent’anni. E in quanto ventenne, giovane biondo troppo sicuro di sé per pensare a cose serie, racimolai qualche amico e ci demmo ad accurate ispezioni dei locali dalla New York bene.

E alla fine ci tornai, a casa. Notte inoltrata, silenzio tipico della famigliola felice. Una nausea indescrivibile ( un bicchiere di troppo, forse? ). Fatto sta che non fui propriamente padrone di me nei minuti a seguire: aprii quella porta che mi ero visto sbattere in faccia nel pomeriggio e riconobbi la sagoma puerile stesa, poggiata sul fianco e illuminato dalla luce sul comodino.

« Ti stavo aspettando » mi sentii dire, con voce impastata; quelle parole giunsero ovattate alle mie orecchie. Mi avvicinai lentamente, in stato semi confusionale. Le crollai al fianco, sul letto che cigolò sotto il mio imponente metro e novanta. Il profumo di quella pelle bianca inebriò ogni mio senso. Mi addormentai con le sue mani che mi liberavano dall’impaccio della maglia.

E dalle mie labbra, solo un sussurro: « Rose. »


 

 
Fu uno dei risvegli più improbabili e dolci che ricordassi. Negli anni a seguire ce ne furono di migliori, sicuramente, e sempre grazie a quella testolina di fuoco che giaceva così piccola, così bianca, così priva di cattive intenzioni al mio fianco; ma quello fu l’inizio del calvario.

Mi tirai a sedere contro la testiera del letto, a torso nudo, intorpidito dal sonno: Rose respirava piano, placidamente. Quella notte avevo fatto irruzione in uno stato così critico da non aver registrato nulla. Ad esempio, non avevo notato la sua t-shirt o il pantalone morbido e lungo fino al ginocchio che indossava. I piedi piccoli che sfioravano i miei polpacci. Le mani intrecciate sotto la guancia. O il modo in cui i capelli si distribuivano sul lenzuolo. Raccolsi una di quelle ciocche tra le dita e forse non fui così delicato, perché Rose si mosse appena, infastidita. Fece una piccola smorfia, arricciando il naso. Ne sorrisi, lasciando cadere i capelli ramati. Le carezzai la testa, la guancia e non disdegnai di tracciare col pollice il contorno del labbro inferiore.

Mi alzai, recuperai la mia maglia e uscii da quella stanza. La luce dell’alba cominciava a insinuarsi in casa e dedicai un ultimo sguardo a quella piccola donna che mi guardava ora con aria melliflua, ancora stesa sul fianco, ancora assonnata, ancora ingenua.




Note 

[0] citazione dal famosissimo Romeo e Giulietta di W. Shakespeare. Ci tengo a sottolineare che l'ho inserita per richiamare il tema del profumo, che ricorre più volte nel testo ( e nella mente di Kameron ) e, ovviamente, per l'analogia Rosa-Rose.


[1] la frase è tratta dalla trama del libro di Cecelia Ahern, " Se tu mi vedessi ora": « L’unica nuvola all’orizzonte è sua sorella minore Saoirse. Una specie di tornado dai capelli fiammeggianti, forse perché il suo nome significa “Libertà” ». Tra l’altro è proprio da questo libro che ho tratto il mio nickname, una sorta di alterego, Saoirse [ si legge Seersha ].

[2] questo è il racconto di un Kameron grande, quindi mi sono permessa di inserire questo sdolcinato commento, in quanto egli riconosce, con gli anni, di essersi innamorato della sua Rose quand’era ancora una ragazzina. 

  
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