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Autore: Sweetheart    10/04/2012    0 recensioni
Piccolo spaccato di vite. Persone tanto distanti tra loro per mentalità, condizione sociale e speranze, si trovano a condividere l'intera mattinata tra loro, a scuola. E ognuno, che lo voglia o no, porterà un piccolo "marchio" indelebile per ognuno dei suoi compagni, per sempre: sono tutti sulla stessa barca. Omaggio al sistema scolastico italiano, dove la "classe" è un organo stabile e duraturo negli anni, un embrione di società.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA FIGLIA DELLA PROSTITUTA
A volte mi chiedevo se mai avessi avuto una percentuale di colpa in tutto questo, o perlomeno qualcosa che lo potesse giustificare.
All’inizio i problemi non li avevo tanto con i miei coetanei, ma con i loro genitori: o mi evitavano o mi facevano dei penosi sorrisini, spinti da chissà quale moto di misericordia. I bambini, invece, erano ancora talmente piccoli da non aver ancora assorbito le superstizioni dei grandi: stavo insieme a loro senza nessuna discriminazione e,se si litigava, non c’era pietà che li astenesse dal fare a botte tutti contro tutti!
Come dice sempre la mamma, si nasce liberi e si diventa schiavi nel giro di breve. Così, già dalle elementari, adulti dalla mente sbagliata avevano già plagiato quasi tutti i ragazzini della mia classe. Ogni giorno che passava, uno sguardo in più che mi si appiccicava addosso.
Più andai avanti più le cose peggiorarono, ovviamente. La mamma mi ripeteva sempre:- Va’ a testa alta, tu non hai colpa! La colpa l’ho avuta io, ma sono riuscita a riscattarmi. Facile parlare, per gli altri: se hai fame davvero, o fai di tutto per campare o sei un santo, e voli in Paradiso.-
Aveva ragione, lei, che dal fondo era riuscita a risalire. Mi diceva sempre che ero stata io la scossa che l’aveva convinta a cambiare. Voleva un futuro degno della sua unica figlia, e si diede da fare per raggiungere questo scopo. Non fu facile, visti i precedenti; comunque, riuscì a ottenere un posto come commessa in un negozio, che le permetteva di guadagnarsi giusto l’indispensabile per due persone econome come noi. Non cercavamo la ricchezza, cercavamo la dignità. Ma è difficile sentirsi dignitosi quando hai tutta la classe che ti guarda di sottecchi.
Poi c’erano quelli come Gabriele, il figlio dell’avvocato. Se si limitava a parlarmi dietro, come facevano tutti gli altri, ero la ragazza più felice del mondo; ma la maggior parte delle volte fioccavano battutine, apprezzamenti volgari, scritte oscene sul mio banco e sul mio zaino, con accanto scritto: “Prestazioni alte a prezzi modici”. Non mancarono i deficienti che chiamarono davvero.
Una volta tentò addirittura di baciarmi, davanti a tutti gli altri, immobilizzandomi e dicendo: “Dai, che poi ti offro un caffè...”. Mi divincolai e corsi via, prima che potessi cedere al pianto. Liberi si nasce, schiavi si diventa. Ecco cosa mi era sempre stato detto. Secondo questo criterio, Gabriele doveva essere così per colpa del padre, uomo orribile. Ma ero sicura che sapesse che stava sbagliando. Tutti si rendono conto se stanno facendo qualcosa di veramente brutto, non c’è scusa che tenga. Mentre facevo queste considerazioni, caddi anche io nel peccato: odio, odio purissimo mai provato prima, mi spinse ad immaginare per lui ogni male. Così, consapevole di stare diventando anch’io una persona mediocre, non riuscii nemmeno ad approfondire il rapporto con le uniche due persone che, lì dentro, mi volevano bene: Giada e Lorenzo. Giada sapeva tante cose, ma non ne era consapevole. Lorenzo invece guardava ciò che è concesso conoscere alla gente comune con occhi diversi. Lui non vedeva in me una mela marcia a prescindere, vedeva una persona, in tutta la sua essenza. Avevo sempre immaginato così il mio uomo ideale, io che non ero mai stata con nessuno… Ma avevo paura di avvicinarmi troppo a lui, di contagiarlo con il mio odio. Non potevo correre questo rischio.

Poi il padre di Gabriele morì.
Un infarto lo portò via a quarantanove anni e dieci mesi: suo figlio sedicenne rimase nelle mani della sola madre, donna davvero incapace di prendere qualsiasi decisione importante. Cercai di provare di provare una qualche pietà, ma non ci riuscii. Non andai nemmeno al funerale. Per un attimo ci godetti. Schiava delle mie passioni, sfiorai addirittura il peccato più imperdonabile: continuare a sbagliare consapevolmente.

Poi arrivò la lettera. La mamma mi disse non me l’aveva mai raccontato perché non voleva che li odiassi ancora di più.
In poche parole, ero figlia illegittima dell’ Avvocato Ascanio Pedretti. Naturalmente lui sapeva di essere mio padre, ma non sarebbe mai stato così poco disumano da riconoscermi. Per lui ero solo uno sbaglio sopravvissuto più di nove mesi.
Poi, da bravo calcolatore, a un certo punto l’Avvocato deve aver sentito il bisogno di assicurarsi un posto in paradiso. Pensò alla via più facile: mi intestò più di metà eredità. Tanto, da morto, non avrebbe dovuto renderne conto a nessuno.
Durante la lettura del testamento, posso giurarlo, Gabriele pensò una maledizione così grave che mi giunse forte e chiara, anche senza parole; ma non era rivolta a me. L’unica cosa che suo padre avrebbe potuto lasciargli, ovvero i beni materiali, erano in gran parte in mano a sua sorella, figlia di una prostituta.
Gabriele non si è più fatto vedere. Si dice che abbia avuto dei problemi con la droga e con la giustizia, e che sua madre abbia lasciato parecchi debiti in giro, per potergli pagare un buon avvocato che, comunque, avendo una coscienza, non riuscì strapparlo da quelle accuse così pesanti.
Ciò che è rimasto a me è talmente tanto che non so ancora che farmene. Di sicuro servirà a garantire un futuro sereno a me e a mia madre, in fondo ce lo siamo meritate. Quello di cui sono sicura è che ora vengo vista in modo diverso, quasi con ossequio. Mi dispiace che ancora la gente mormori. Anche se su un’altra lunghezza d’onda. “Niente male, per essere la figlia di un puttaniere”.
  
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