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Autore: ermete    10/04/2012    8 recensioni
Al primo anniversario della morte di Sherlock, John si presentò davanti alla tomba del suo migliore amico: non andava spesso al cimitero, non occorreva andare lì per ricordarlo ed omaggiarlo, nè tantomeno serviva a lenire la sofferenza e la solitudine che provava. Tuttavia, una volta presentatosi davanti alla lapide nera, passarono pochi istanti prima che allungasse la mano destra sopra di essa: accarezzò la scritta dorata con la punta dell'indice in un gesto spontaneo più che simbolico e bisbigliò poche parole. "Torno in Afghanistan. Goodbye, Sherlock".
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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***Ciau ragazze! Ecco il nuovo (e sono quasi sicura penultimo) capitolo! Vi anticipo anche che il prossimo capitolo arriverà altrettanto presto perchè non vedo l'ora di scriverlo °_° sperando ovviamente di non deludervi visto che finora mi avete dato delle critiche positive e bellissime <3 dunque eccoci qui. Mi spiace che in questo capitolo non ci sono Matt e Zach che ormai sono diventato due personaggi che adoro ma rimedierò nel prossimo! Mi spiace anche che la mia descrizione guerreggiante si sia limitata ad un ignorantissimo lancio di bombe, non ho approfondito la mia conoscenza a riguardo perchè ho pensato che sarebbe comunque risultato noioso descrivere(e soprattutto leggere)uno scontro a fuoco! Ovviamente vi invito a scrivere critiche a riguardo se non siete d'accordo! ^^ bonci! buona lettura ragazze mie belle!***
Salvation
I Mastini ed i Camaleonti iniziarono a disperdersi in direzioni diverse, correndo verso quelli che sembravano poter essere dei promettenti rifugi naturali, scavati dal vento e dalla pioggia nel corso dei secoli.

Era un momento in cui le bombe calavano numerose sulla zona 4 del suolo afghano, alzando cumuli di sabbia, propagando onde d’urto che talvolta raggiungevano i soldati che si rialzavano subito dopo, tenuti aitanti e tempestivi dall’adrenalina che circolava nei loro corpi.
John fu fortunato nel ritrovarsi David come compagno di fuga, esperto della geografia territoriale della zona, così come di molte altre materie che risultarono molto utili in quella circostanza: approfittò per un momento in cui le bombe sembravano aver cessato di incombere su di loro per fermarsi a riposare dietro un enorme masso.
“John, controlla se piovono ancora chicchi di grandine, io devo fare una cosa. Intanto riprendi fiato.” ansimò stancamente mentre si chinava a riposarsi, lavandosi via dalla faccia il sudore e il sangue dovuto ad un piccolo taglio causato da una pietra che gli aveva raggiunto la faccia durante un’esplosione.
“Cosa fai?” sbuffò John mentre riprendeva fiato, sbirciando di tanto in tanto il cielo, tendendo l’orecchio per udire eventuali sibili.
David pigiò i tastini del proprio orologio ad una rapidità sovraumana “Funzionano ancora per comunicare tra di noi.” alzò lo sguardo osservando il territorio che li circondava, quindi riprese a digitare “Sto comunicando agli altri dei buoni posti per nascondersi.”
“Mf...” John era stupito, piacevolmente sorpreso dall’ingegno del plurilaureato che aveva affianco “Sei geniale David, davvero.”
David sorrise, rinfrancato dalle parole di John “Grazie. Compenso così la mia pessima mira.” ammiccò, quindi finì di armeggiare con l’orologio, riprendendo in mano il fucile “Noi andiamo verso quella parete rocciosa: ci sono diverse piccole grotte e la composizione di quelle rocce è veramente particolare, da una lato ha una sorta di elasticità adatta ad assorbire la potenza degli urti, dall’altra è abbastanza solida da non crollare sotto le bombe che ci stanno lanciando che, grazie al cielo, sono meno potenti di quanto pensassi.”
“Sì, ora vado là e li ringrazio per questo.” provò a sdrammatizzare John, imbracciando nuovamente il fucile.
“Oh, lascia stare, ho già mandato un messaggio io.” fece spallucce David, assecondando lo spirito di John.
Si guardarono, annuirono e uscirono nuovamente allo scoperto, diretti verso la parete rocciosa.

Sherlock si chiuse nei suoi pensieri durante il viaggio in elicottero: teneva lo sguardo incollato su una mappa cartacea che era riuscito a rimediare, provando a memorizzare tutti i particolari possibili, ma sebbene gli occhi puntassero su quel foglio, la mente era altrove.
Di tanto in tanto alzava lo sguardo sui soldati che viaggiavano con lui, ed in ciascuno riconosceva un particolare che gli ricordava John: chi aveva la fascia bianca con la croce rossa dei medici, chi i capelli color cenere, chi un tono di voce simile a quello di lui, tutto era un pretesto per pensare a John.
Più di ogni altra cosa l’aveva preoccupato la reazione di Matt e Zach all’idea che i Mastini, e quindi John, fossero in quella particolare zona, ed in effetti più si avvicinavano al check point e più il fragore delle bombe si intensificava.
Osservò l’orologio tirando un sospiro di sollievo nel constatare che tutti i puntini verdi erano ancora accesi: osservò i movimenti delle lucine annuendo nel vederli dividere e prendere direzioni diverse. Certo, sarebbe stato più facile ritrovare John se fossero rimasti uniti, ma mentre insieme erano un facile bersaglio, separati avrebbero avuto maggiori possibilità di sopravvivenza.
Sherlock chiuse gli occhi, passandosi le mani momentaneamente sgombre d’armi sul viso, imponendosi di calmarsi: era vicino a John, l’avrebbe rivisto dopo due anni e mezzo, quindi che reazione avrebbe avuto vedendolo? E John? Come avrebbe reagito? Tutto del John che gli aveva descritto Mycroft suggeriva un’enorme rabbia e forse era questa la cosa che temeva maggiormente. Se John non avesse più voluto vederlo? Se non avesse più voluto tornare a vivere con lui?
Jack, uno dei due agenti di Mycroft seduto di fronte a Sherlock, notò una sorta di malessere nella figura del Detective, quindi allungò una mano verso la sua spalla, stringendola appena “Non si preoccupi signor Holmes, riusciremo a trovare il dottor Watson e gli altri in tempo.”
Sherlock si ridestò appena, annuendo di circostanza a Jack, per poi sprofondare nuovamente nei propri pensieri: stava di nuovo sbagliando, stava pensando a se stesso, a se John se la sarebbe presa con lui quando la cosa più importante era riuscire a trovarlo vivo. Il detective si chiese se fosse davvero così egoista, così disumano. Doveva, voleva fare quel passo in più, voleva passare dal voler trovare John vivo per se stesso, perchè era l’unica persona che l’avrebbe sopportato, al volerlo trovare vivo perchè John è l’essere umano più gentile del mondo, l’uomo che più di tutti meritava la vita.
Ma perchè doveva essere sbagliato desiderare di trovarlo vivo anche per se stesso? Non voleva più vivere senza John, voleva di nuovo suonare il violino per lui, fare colazione con lui, rivedere la sua espressione quando gli faceva dei fastidiosi ma innocenti dispetti, voleva sentire la sua voce. Quella voce, che è stata la prima cosa che l’ha colpito di lui, ancor prima del suo aspetto: gli diede una sbirciata quando entrò nel laboratorio con Stanford, nulla di che, ma poi John parlò “molto diverso dai miei tempi” e solo dopo Sherlock ricordò di aver alzato nuovamente gli occhi su di lui, non per guardarlo ma per osservarlo bene. Occhi dal colore indecifrabile, capelli color cenere, zoppìa, portamento militare. E allora poi aveva voluto stupirlo, sciorinandogli gli ultimi mesi della sua vita ed invitandolo a casa sua, come suo coinquilino. E così era cominciato tutto, era entrato nella sua vita all’improvviso, perchè forse John avrebbe pensato di averlo fatto in punta dei piedi ma invece per Sherlock non era andata così. Per Sherlock era stato intenso come rinascere: era lì, chiuso nel tuo mondo ovattato e protetto da un guscio d’acqua e poi è stato catapultato nel mondo, dovendo imparare a respirare in modo diverso, muoversi in modo diverso, e urlare per attirare l’attenzione. John lo aveva fatto rinascere e gli aveva dato tutte le sue attenzioni: ora sarebbe toccato a Sherlock ricambiare.

Le bombe avevano ripreso a cadere sul deserto afghano con una certa frequenza, tanto che John e David trovarono non poca difficoltà a raggiungere la parete di roccia scelta come possibile nascondiglio: nel tragitto infatti erano stati sfiorati più volte dagli ordigni che sprigionavano la loro potenza investendoli con sonore onde d’urto e, quando il terreno offriva qualche irregolarità, anche con frammenti di roccia.
David, che era meno robusto di John, ad un certo punto si dovette fermare ansimante e dolorante: era stato colpito in pieno petto da una raffica di pietre mosse da un considerevole spostamento d’aria dovuto ad una delle bombe, e quelle percosse gli tolsero letteralmente il respiro. Fu raggiunto subito da John che lo fece sdraiare a terra, massaggiandogli l’addome all’altezza del diaframma.
“Forza amico, non è niente, dobbiamo toglierci da qui!” si sentì brutale nello sminuire il dolore di David, ma era necessario per poter mettere in salvo entrambi. Poi sentì l’ennesimo fischio: fu rapido nello sdraiarsi sopra all’altro soldato, proteggendolo dai detriti che questa volta colpirono lui, sul fianco sinistro. John soffocò un urlo di dolore poichè fu come se tanti piccoli proiettili l’avessero colpito penetrandogli la carne in più punti: si mise in ginocchio, osservando i danni di quelle che erano per lo più pietre, di svariate ma piuttosto piccole dimensioni. Ne aveva qualcuna appena sopra la cintura, poi sul braccio, avambraccio, spalla e una infida era riuscita anche a sfiorargli il collo. Sembrava che quelle pietre volessero ridisegnargli il profilo sinistro.
“Cristo, John!” si allarmò David preso dal panico: aveva tante lauree, possedeva un'intelligenza sopra la media, ma di fronte a delle ferite non sapeva proprio cosa fare.
“Stai. Calmo.” sillabò John che si rialzò in piedi prendendo David per un braccio in modo che anche lui seguisse i suoi movimenti “Sono superficiali, ora però andiamo. Ce la fai a respirare? Riesci a correre?”
David annuì silenziosamente, risparmiando il fiato per la corsa che avrebbe intrapreso al fianco di John: aspettarono di intuire il punto verso il quale, appossimativamente, la bomba sarebbe caduta, quindi scattarono in una direzione diversa ma pur sempre verso la parete, guidati dall’adrenalina, da quelle scariche emozionali che ti tengono in piedi fino alla fine, da quel desiderio di vivere che li accomunava. Sì, perchè John si ricordò che aveva di nuovo qualcuno da cui tornare, qualcuno da cui pretendeva spiegazioni, qualcuno da prendere a pugni, se necessario.
Arrivati di fronte alla parete alzarono lo sguardo verso l’alto: David individuò qualcuna di quelle piccole cavità che avrebbero potuto ospitarli in attesa dei rinforzi.
“John, ce ne sono due abbastanza basse, ce la fai ad arrampicarti un po’?”
“Sì.” ringhiò mentre, alla buona, estrasse una delle pietre che aveva su un fianco “Tu vai in quella più bassa, sei ancora col fiato corto, io mi butto su quell’altra.” alzò le mani, indicando prima un interstizio che non necessitava grandi scalate, e poi un buco alto più o meno due metri.
John fece per muoversi subito, ma venne fermato da David che ancora si toccava il petto “John...”
“Ce la faremo David.” intuì la preoccupazione del giovane soldato, quindi alzò le braccia e gliele poggiò sulle spalle strattonandolo leggermente “Avranno già fatto partire gli elicotteri dalla base. Stai nascosto lì dentro e stai tranquillo.”
“Voglio rivedere Georgia... lei è bellissima, ed è perfetta per me, e me la voglio sposare e fare tanti piccoli bambini...” bisbigliò David, mordendosi nervosamente l’interno del labbro inferiore.
“La rivedrai, la sposerai, e farete tutti i bambini che vorrete.”
“E tu devi rivedere il tuo amico.”
John annuì, quindi decise di accompagnare David fino all’ingresso di quell’insenatura che era abbastanza grande per una persona soltanto “Sta qui nascosto, esci solo quando senti i soccorsi.”
Una volta lasciato David al sicuro, John individuò delle sporgenze sulla parete che lo aiutarono ad arrampicarsi fino alla piccola grotta che si era prefissato di raggiungere: era una piccola caverna profonda tre metri e alta la metà, infatti John vi entrò dentro a carponi.
Accese la torcia che aveva con sè e si aprì la pesante camicia militare, alzò poi il bordo della maglietta, osservando la situazione. Sbuffò compiaciuto nel constatare che erano solo ferite superficiali e si augurò che anche gli altri soldati stessero bene.
“Beh... tanto vale ingannare il tempo...” estrasse una pinzetta e una bottiglia di disinfettante dal proprio equipaggiamento, iniziando a togliere le schegge che riusciva a  vedere, sperando così d’allontanare il più possibile una minaccia di infezione.
Poi si fermò. Era possibile che in tutta quella confusione si fosse dimenticato di quello che aveva scoperto poco prima di partire per la missione?
Sherlock era vivo. Lo era davvero, o la sua intuizione era solo una speranza? Un’illusione dettata dalla pazzia? Se solo si fosse fatto lasciare il telefono da David ora avrebbe potuto provare a chiamarlo.
Poggiò la testa sulla parete della caverna e chiuse gli occhi: come un’interruttore, non appena si fece buio si accese il volto di Sherlock nella sua mente. Cosa avrebbe fatto ora? Ammesso che fosse sopravvissuto alla missione, sarebbe dovuto tornare a Londra, sbattere la porta di Buckingham Palace e chiedere a Mycroft dove e perchè avesse nascosto Sherlock?
Ma se era veramente vivo, perchè diavolo dopo due anni e mezzo non si erano ancora visti? Questo era il pensiero che gli martellava in testa più di ogni altro.
Ad interrompere i suoi pensieri ci pensò l’ennesimo sibilo e poi un boato che colpì la parete rocciosa entro la quale era nascosto.

Sherlock, i due agenti governativi, i Rhinos e gli altri soldati erano pronti a lanciarsi dai tre diversi elicotteri coi quali avevano raggiunto il check point: furono muniti, oltre che di armi e di paracadute, anche di maschere antigas. Il piano infatti, era di lanciare dei lacrimogeni e dei gas narcotici a terra, in modo da neutralizzare eventuali truppe di fanteria, così che nel recuperare i Mastini e i Camaleonti avrebbero avuto
solo il problema dei bombardamenti.
“Non appena avrete trovato almeno uno dei vostri commilitoni, accendete la ricetrasmittente e dirigetevi nel punto stabilito. Lì vi aspetteremo con gli elicotteri e, se servirà, con l’artiglieria pesante.”
I soldati risposero all’unisono, mentre Sherlock e i due agenti si limitarono ad annuire ai piloti che subito dopo aprirono i portelloni dei velivoli, permettendo i lanci.
“Buona fortuna, soldati!”
Sherlock si lanciò per primo, guardandosi bene dall’avvisare gli altri che quello era il suo primo volo o non l’avrebbero mai lasciato andare: dopo aver aperto il paracadute osservò subito il territorio circostante e, sebbene la vista fosse parzialmente ridotta dalla maschera antigas, notò subito la parete rocciosa che aveva visto nelle cartine e che individuò come posto più sicuro in cui nascondersi in quel particolare frangente.
Una volta toccata terra che, a differenza di quando erano atterrati i Mastini era notevolmente più sconquassata e dissestata, si liberò del paracadute e osservò il proprio orologio: sorrise nel constatare che due puntini verdi spiccavano proprio nel punto in cui era situata la parete rocciosa, quindi iniziò a correre in quella stessa direzione, approfittando di un momento di tranquillità dai bombardamenti.
L’aria era rarefatta, opacizzata dai gas lanciati dagli elicotteri: Sherlock era felice di quella strategia, giacchè non aveva la minima voglia di ingaggiare un combattimento a fuoco con qualche afghano, anche se, per salvare John, avrebbe affrontato anche la reincarnazione di Osama Bin Laden.
Corse come un disperato, incosciente nel non aver aspettato nessun’altro soldato che l’accompagnasse in quella stessa direzione, impaziente di scoprire se uno di quei due puntini verdi fosse John, grato di veder alcun cadavere lungo il cammino.
Nello sperare che John fosse abbastanza intelligente per aver capito che quello verso il quale si stava dirigendo era il punto più sicuro della zona, si sgridò mentalmente: certo che John lo era, non avrebbe più dovuto sottovalutarlo! Era sparito per due anni e mezzo dalle spie di Mycroft, quindi era in grado di intuire questo ed altro.

In realtà John era stato molto fortunato ad avere l’esperto David come compagno di fuga, giacchè quelle rocce erano davvero particolari: infatti, nonostante la bomba avesse colpito la parte più alta di quella parete, la composizione elastica di quel minerale attutì il colpo, quindi le uniche conseguenze che John subì erano quelle di essere completamente impolverato e a dir poco impaurito, dato che il rimbombo, dentro la caverna, era stato davvero potente.
Il suo orologio emise un bip, era un messaggio da parte di David che recitava il testo “R U OK? Ah, sì, Are you ok?” John sorrise, quindi urlò fuori, verso l’ingresso della caverna “Si! Sto bene! E scrivi come parli, per Dio!” rise poi, chiedendosi se l’altro l’avesse sentito. La risposta arrivò qualche secondo dopo, per messaggio, che John lesse a voce alta “Elicotteri?”
John valutò che sarebbe stato scomodo urlare nuovamente la risposta, quindi iniziò a pigiare lentamente la sua telegrafica risposta “non-so-fischiano-orecchie” provò a chiudersi le orecchie con gli indici e a scrollarle un po’ ma non ottenne alcun risultato.
Avendo l’udito momentaneamente fuori uso, si rimise ad occuparsi delle schegge: tolse il braccio dalla manica della camicia, occupandosi di quelle. Era un dolore sordo che si acutizzava solo nel momento in cui doveva scavare un po’ per prendere le schegge più piccole, quindi, tutto sommato, era un dolore accettabile da sopportare.

Anche a David stavano fischiando le orecchie, quindi, anche se gli era sembrato di aver udito il rumore degli elicotteri, non osò fare capolino fuori dall’interstizio in cui si sentiva al sicuro: non si accorse nemmeno del rumore dei passi che stavano avvicinando.
Trasalì non poco, quindi, quando vide spuntare un soldato all’ingresso di quel suo anfratto, un soldato che, indossando una maschera antigas, appariva ancor più spaventoso data la fragilità della situazione.
Era Sherlock, che tranquillizzò David mostrandogli gli stemmi disegnati sulla tuta ricevuta in prestito al campo: il soldato tirò un sospiro di sollievo, iniziando a ringraziare quel suo anonimo salvatore che però parve non volerne sapere di lui.
“Jonh?! Dov’è John? E’ John l’altro soldato qui vicino?” domandò senza alcun riguardo, strattonandolo un poco, la voce ovattata dietro la maschera.
“Eh...? Sì, c’è anche John, è qua sopra, ma non vorrai lasciarmi qui, vero?!” piagnucolò David che ormai aveva perso la calma e la tempra che sarebbero servite in quella situazione.
“Stai calmo. Stanno arrivando i soccorsi, guarda il tuo orologio se non ci credi. Segnala la tua posizione al soldato più vicino.” Sherlock rimase con David finchè quello, osservando l’orologio, non capì che il detective aveva ragione.
E mentre David si rilassava contro la parete dietro di sè, mandando un messaggio agli altri orologi dei Mastini e dei Camaleonti, Sherlock uscì da quel buco, iniziando a scalare la parete con la sua innata agilità unita alla fretta di poter rivedere finalmente John. Fu così veloce che quasi si scorticò mani e unghie, ma poco gli importava.
Il cuore gli batteva all’impazzata e non per lo sforzo della corsa, non per l’arrampicata, ma perchè sapeva di essere arrivato in tempo per salvarlo, rivederlo e riportarlo a casa con sè.

Quando John vide la luce provenire dall’esterno oscurarsi all’improvviso, capì che qualcuno stava entrando nella sua stessa grotta: imbracciò velocemente il fucile, puntandolo verso il soldato con la maschera antigas che rimase immobile davanti a lui, in ginocchio.
Quando John riconobbe le effigi sulla tuta, abbassò l’arma tirando un sospiro di sollievo “Caspita soldato, potevi anche annunciarti, avrei potuto spararti lo sai?” si rilassò un poco, capendo che il rumore che gli era parso di sentito poco prima era effettivamente quello degli elicotteri e quello era uno dei soldati mandati a supporto.
“John...” lo chiamò il commilitone, con un tono lamentoso, insolito per un soldato.
John si voltò e il soldato si tolse la maschera antigas dal volto.

Quando Sherlock vide John, gli sembrò che il cuore volesse farsi strada attraverso il suo sterno e uscirgli dal petto: forse quello avrebbe fatto meno male. Sì, perchè il cuore di Sherlock non era abituato a tutte quelle emozioni e temette di stare provando l’esperienza di un infarto quando finalmente vide John.
Vide le sue ferite e nonostante il suo cervello gli urlò che non erano gravi, non poteva fare a meno di provare dolore anche per lui, non riusciva a non preoccuparsi, ingigantendo evidentemente la situazione e la sua attuale condizione.
Sussurrò il suo nome come spesso aveva fatto in sogno, quindi si tolse la maschera che si era quasi dimenticato di indossare solo perchè gli sembrava di non riuscire a respirare.

John sentì la testa girare, lo stomaco ribaltarsi e i polmoni decisero di non farlo respirare per diversi secondi. I muscoli dell’addome si contrassero in quel moto d’agitazione, facendo acutizzare il dolore delle diverse piccole schegge che ancora gli torturavano la carne: una piccola smorfia modificò l’espressione imprecisata di John che tutto si aspettava, meno che incontrare Sherlock in Afghanistan. Quando riebbe il controllo dei polmoni, potè far vibrare nuovamente le corde vocali all’indirizzo dell’uomo che oscurava la luce del sole “Sherlock...”
Sherlock chiuse un attimo gli occhi quando sentì il proprio nome pronunciato da John: se l’era immaginato tante volte, l’aveva sperato ed ecco che era successo. Continuava a guardarlo, alternando lo sguardo tra il volto e le ferite di John, ma sembrava bloccato sul posto: aveva immaginato mille e uno modi di ritrovarlo, aveva provato ad immaginare le sensazioni che avrebbe provato così da poterle prevedere e affrontare senza imbarazzo, ma nessuna di quelle ipotesi coincideva con quell’incontro reale. E ora perchè diavolo era lì immobile? Perchè non riusciva a muoversi? Abbracciarlo non era la cosa che desiderava di più?
John dovette intuire quel pensiero, perchè, ritrovando il controllo del proprio corpo, alzò il braccio sinistro verso Sherlock, al quale bastò quell’invito per schiodarsi dal suo blocco e gattonare verso di lui, fermandoglisi vicino. John rimase in silenzio vedendolo avvicinarsi, riabbassando il braccio via via che il detective gli si faceva più prossimo: alzò lo sguardo fino a ritrovare quello di Sherlock, quegli occhi così particolari che non aveva mai visto così languidi, erano ghiaccio che si scioglieva.
Sherlock provò a parlare, aprì più volte la bocca, ma non sapeva cosa dire: era in buona parte stupito dalla reazione di John. Si aspettava una reazione diversa, credeva che, se fosse stato arrabbiato, l’avrebbe preso a pugni, o che, se l’avesse perdonato, l’avrebbe abbracciato. Pensò che forse era sotto choc, non essendo a conoscenza del fatto che John aveva capito che lui fosse vivo; riflettè sul fatto che John potesse essere sconvolto dalla situazione in cui si era trovato fino a pochi minuti prima, in pericolo, sotto i bombardamenti, e che quindi aveva bisogno di somatizzare tutti gli eventi di quella giornata.
La voce di David, poco sotto di loro, interruppe i flussi di pensieri di entrambi, riportandoli alla realtà “John! Tutto bene? Ho sentito gli elicotteri! Dobbiamo andare!”
John si ricompose, infilando il braccio sinistro nella camicia che riallacciò velocemente, quindi raccolse la torcia, le pinze e il fucile, indicando poi a Sherlock l’uscita della caverna con un gesto secco del capo “Dobbiamo andare.”
Sherlock osservò John con stupore, ferito da quella freddezza nel metterlo in secondo piano e dalla risolutezza nell’ordinargli di uscire: rimase immobile per qualche istante, quindi, voltandosi, uscì dalla caverna, calandosi verso il basso subito prima dell’amico.

John e Sherlock seguirono in silenzio le indicazioni di David che era entrato in contatto con i membri della squadra di soccorso, i quali guidarono i tre verso gli elicotteri dando loro precisi riferimenti territoriali: aiutati anche dalle mappe degli orologi, si ricongiunsero in breve tempo con gli altri Mastini, i Camaleonti, i Rhinos e tutti coloro che si erano offerti volontari per le azioni di salvataggio. Tutti i presenti si smistarono sui tre diversi elicotteri che ripartirono velocemente, diretti verso il campo 7: finalmente potevano sentirsi al sicuro.
Sherlock non lo sapeva ancora, ma John non gli avrebbe rivolto la parola per tutto il resto del tragitto.
   
 
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