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Autore: Kanon il traditore    10/04/2012    1 recensioni
La guerra sacra è finite e Atena tenta di riportare in vita i suoi cavalieri. Pultroppo il suo corpo e indebolito e lei finisce in coma come il suo amato Seiya, senza garanzie di risveglio. Saga si sente responsabile dell'accaduto. Gli restano solo due possibilità, la pazzia o la morte
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Gemini Kanon, Gemini Saga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il risveglio al santuario non era mai dei migliori. Quando si era bambini era diverso, si veniva destati dalle dolci voci delle ancelle o dai compagni più anziani. Durava tuttavia poco, quel periodo. Erano sempre più numerosi le reclute, perciò le donne non riuscivano più ad accudirli tutti. I più grandi divenivano invece saint, soldati o morivano nel tentativo.
Il tempo delle carezze finiva, si doveva imparare a sopravvivere.
Sopravvivere, perchè in quel santuario non si poteva vivere.
Si pagava caro, il ritardo, in quella terra Santa. Era considerato una mancanza di rispetto, un insulto al proprio maestro o alla Dea stessa. La pena consisteva in varie e faticose prove fisiche, a completa discrezione dell'istruttore. La più comune riguardava la lotta col proprio maestro. Col tempo si imparava a giungere anche un'ora prima, all'addestramento.
Per i Saint era diverso.
Loro ormai si svegliavano all'alba, si alzavano e iniziavano a combattere. I maestri, solitamente Silver Saint, si preparavano ad addestrare e migliorare i loro ragazzi, sia dal punto di vista fisico che culturale. I bronze Saint venivano ogni tanto ad assistere agli allenamenti, essendo in quella assurda gerarchia la casta più bassa e più debole, onde migliorare le proprie capacità. I Gold Saint invece rimanevano a custodire i propri templi, altrimenti si incontravano con altri custodi o, invia del tutto eccezionale, si dedicavano all'addestramento del loro discepolo.
Saga sapeva queste cose da quando aveva sei anni. Lui era nato al santuario, sapeva tutto di lui. Spesso era lui che svegliava i suoi compagni, quando erano ancora bambini.
Si ricordava bene i capricci di Milo, gli sbadigli di Aiolia, le proteste di Death Mask, il sorriso di Aiolos.
A quel tempo si cercava di vivere, non di sopravvivere. Le parole degli adulti erano scontate e alle volte opprimenti. Non si avevano responsabilità, non dovevano fare nulla se non allenarsi. Quello era come vivere.
Ora invece il Gold Saint si chiedeva se la vita e la morte non fossero uguali. In entrambe si soffriva, in entrambe si combatteva. L'unica differenza era che dalla vita si poteva scappare, ma c'era sempre la morte ad attenderti. Dalla nera signora, per quanto lo si voglia, non si poteva fuggire.
Allora perchè loro c'erano riusciti?
Perché non erano rimasti nell'oblio, in attesa del loro giudizio?
Perché qualcuno era tornato e altri no?
Quelle erano le domande del giovane cavaliere. Domande alle quali sapeva porre risposta, ma erano risposte che non saziavano l'animo. Il suo animo.
Anche quel giorno si era alzato prima dell'alba, o forse era meglio dire che non aveva mai dormito. Non dormiva da settimane.
Ogni qual volta che il suo corpo reclamava il tanto agnato sonno, la sua mente rivangava il passato.
Rinvangava le sue scelte, i suoi errori, le sue battaglie, i suoi demoni.
Suo fratello.
Saga non riusciva a sopportare. Si insultava, si gridava cose orribili, si feriva. A volte prendeva dei coltelli e con quelli si martoriava le braccia, le gambe, il busto. Faceva di tutto, pur di scappare dai suoi sensi di colpa. Non li voleva, non di nuovo.
Il ragazzo sapeva di essere codardo. Quello non era un comportamento degno di un saint, di un Gold Saint. Avrebbe dovuto affrontare, combattere quelle sensazioni.
Ma era solo.
Solo come non mai.
Questa solitudine lo faceva tentennare, lo rendeva insicuro. Era anche lui un essere umano e, per un uomo, non c'è nulla di peggio che esser soli.
Se non c'è nessuno a tenderci la mano quando cadiamo, non ci rialzeremo una seconda volta.
Saga quella mattina era ancora tormentato dai rimorsi. Il dolore che si era inflitto non aveva sortito alcun effetto.
Il giovane Saint si stava medicando le ferite, anche se più che una medicazione sembrava una tortura. Saga si era diretto nella piccola cucina della terza casa. Aveva preso da un piccolo recipiente del sale. Ora se lo appoggiava sulla pelle martoriata. Il suo non era un gesto per placarne, in qualche modo, il dolore. Tutt'altro. Il suo scopo era non farsi scoprire dagli altri saint e apprendisti, ma soprattutto dai suoi pari. Non era una novità che lo considerassero un malato, un folle, un pazzo. E avevano ragione.
Lui era stato la causa della caduta del santuario. Lui aveva fatto sì che molti saint perissero inutilmente. Lui aveva causato l'indebolimento dell'esercito, durante la guerra sacra.
Aveva tradito per tre volte.
La prima volta il suo migliore amico, Aiolos. Lo aveva definito un traditore, quando quel titolo spettava unicamente a lui.
La seconda Atena. La sua Dea. La sua amata Dea. Aveva cercato di ucciderla, di prendere il suo posto. Non si era fatto scrupoli a prendere quel pugnale dorato, a brandirlo contro di lei.
La terza i suoi compagni, i suoi amici. Era tornato come uno spectra e, nonostante cercasse solo di salvare Atena, non aveva esitato a ferirli, a ucciderli.
Era normale che nessuno si fidasse più di lui, Saga se lo ripeteva sovente.
Chi si sarebbe fidato di uno come lui?
In passato aveva additato suo fratello per la sua scarsa lealtà, non essendo poi da meno. Anche se cercava di non darlo a vedere, Saga soffriva di tutto ciò. Il sale in confronto non era che un timido fastidio.
Saga prese uno straccio bagnato e si ripulì dal sangue. Le belle dita scorrevano lentamente sulla pelle lattea, senza tuttavia accarezzarla. I suoi occhi seguivano i movimenti con fare assente, persi in un mondo astratto. La sua bocca era piegata in quella smorfia che non era mai scomparsa. Improvvisamente lo straccio cadde sul gelido pavimento, macchiandolo con il sangue di Saga. Cremisi. Il colore dell'odio, della follia. Il corpo del Saint prese a tremare, impedendogli anche solo di alzarsi. Il ragazzo si prese allora il volto fra le mani.

Sono uno stupido.
Sono un traditore.
Sono un folle.

Quella era la cantilena che Saga si ripeteva. Ogni giorno, ogni notte. Oramai non riusciva a far fronte alle sue colpe.
Calmando gli spasmi con delicate carezze, il giovane uomo riuscii a riacquistare il controllo di se stesso. D'altro canto, non era la prima volta che gli succedeva. Si alzò dalla sedia, le gambe che ancora tremavano, appoggiando stancamente lo straccio sul lavello della cucina. Decise di mangiare qualcosa, sperando che almeno quello lo distraesse dai suoi pensieri. Aprii la dispensa, ma non vi trovò nient'altro che del pane. Erano giorni che Gemini non mangiava e non usciva. Quel tempio era divenuto ormai la sua prigione. E la sua era una prigionia dolorosa, fatta di demoni e di ricordi. Saga prese all'improvviso un calice e, senza curarsi di cosa vi fosse dentro, iniziò a bere avidamente da esso. La sua gola era arida come il deserto del Sarah.

Fai veramente ridere, Saga.
Guarda come sei ridotto, sembri un cadavere.
Ti fa male, non è vero?
Il tuo passato è doloroso, come le ferite che hai sul corpo.

Il saint dovette vomitare l'acqua che aveva appena ingerito. Alzando il viso dal lavello, il ragazzo si accorse che la bevanda aveva assunto un colore assurdo.
Cremisi.
La mano andò a toccare là dove vi era il labbro. Dentro la bocca un gusto metallico si fece vivo. L'occhio color foglia andò a osservare il palmo della mano destra.
Cremisi.

Che pena , Saga.
Guarda come sei ridotto.
Questo non è vivere.
Questo non è neppure sopravvivere.
Cos'è,Saga?

-Chi sei?! Cosa vuoi da me?! Io ti odio! Vattene!-

Non voglio niente.
Io non posso andarmene.
Io sono te.
Io ti amo.
Io non ti ho abbandonato,Saga.

Crasch.
Il calice di cristallo si spezzò contro il gelido pavimento in pietra.
- Non mi importa! Abbandonami, non m' importa! Io voglio essere solo!-

Saga, tu non vuoi essere solo.
Tu non puoi restare solo.
Si può lasciare un pazzo a se stesso?
Non sai neanche quello che dici.
Sei un folle.

- Cosa vuoi da me?! Io non voglio mai più sentire la tua voce! Mai più!-
Il ragazzo cadde per terra, accompagnato da un silenzio opprimente e dall'eco delle sue parole. Si portò le gambe al petto, la schiena appoggiata contro la tetra parete in pietra. Le mani si portarono istintivamente a protezione del volto.
- Mai più!-

Saga, io posso eliminare queste tue debolezze.
Io posso aiutarti.
Tu sei nato per dominare, non per soccombere.
Alzati Saga.
Io ti aiuterò, te lo giuro.

Le ciocche del giovane variavano ora dall'oro al grigio, la voce si incrinava, quasi stesse per piangere.
- No...Non di nuovo...Non voglio...No...-

Saga, ascoltami.
Tu sei destinato a grandi cose.
Tu non sei come Kanon.
Tu sei meglio.
Tu riuscirai dove entrambi avete fallito.

- VATTENE!!-
La sua voce non sembrava più quella di un uomo.
Oh no.
La voce incrinata aveva lasciato il posto alle grida. Saga gridava. Gridava come un animale, un animale sofferente.
Saga lo sapeva.
Sapeva che sarebbe tornato a essere un mostro.
Quello era il suo destino, quello era il suo vero io.
Il giovane uomo rimase in attesa del colpo di grazia, che tuttavia non arrivò mai. La voce era scomparsa, così come era apparsa. Oramai, solo il silenzio regnava sovrano. Il ragazzo non sentiva più quell'odiosa voce farsi largo nella sua mente.
Era solo.
Solo.
Ancora una volta, solo.
Saga, resosi conto della situazione, schiuse lentamente gli occhi, togliendo nel frattempo le mani dal volto. Il suo corpo iniziò a distendersi, eliminando i fremiti che fino a poco prima lo avevano scosso. Finito. Era tutto finito. La voce se n'era andata. Finalmente se n'era andata. Forse non sarebbe più tornata.
Ma se così era perchè non gioiva? Cos'era quella sensazione che gli opprimeva il cuore?
Dolore?
Stanchezza?
Odio?
No, era qualcosa di diverso. Qualcosa di più forte e doloroso. Saga si ricordava di aver già provato una simile sensazione.
Gelosia?
Turbamento?
Tris...!
Tristezza. Si chiamava così, quel dolore che gli feriva ogni qual volta il cuore. Tristezza. Era come un velo, un delicato velo che lo avvolgeva, per poi stringerlo in una morsa dolorosa. Tristezza.
- Perché?- chiese, gli occhi velati di lacrime - Perché mi sento così... triste?-

* * *

Il sole era alto nel cielo, delle nubi della sera precedente non vi era rimasto nulla. La vita al santuario procedeva come al solito. I giovani apprendisti si allenavano, i bambini correvano inseguiti dalle ancelle, i silver e i bronze saint parlavano fra di loro. Tutto normale. Aiolos sorrise, spostando nel mentre una ciocca ribelle dal viso.
Com'era bello vivere.
I verdi campi, l'odore del pane appena cotto, i fiori appena colti, i caldi raggi del sole. Tutte cose che aveva sempre dato per scontato, visto che si presentavano a lui ogni mattina. All'inferno tutte queste cose gli erano mancate come non mai. Ora che era nuovamente vivo, non avrebbe permesso a nessuno di portargliele via.
Sorrise ancora, nel vedere suo fratello e Milo ridere, nel mentre che si allenavano. Aiolos si ricordava bene la reazione di Aiolia, quando lo aveva rivisto al muro del pianto, ma ancora meglio si ricordava di come avesse reagito una volta rinato. Quando si era presentato alla casa del Leone, il giovane lo aveva fissato immobile per diversi minuti. Aveva poi chiesto conferma se era davvero lui, la voce che tremava un poco. Al suo cenno affermativo, il giovane gold Saint lo aveva travolto in un impetuoso abbraccio, trascinando entrambi sul suolo della quinta casa. Piangeva. Aiolia piangeva di gioia, lì sul quel pavimento in pietra, abbracciato al fratello. Continuava a ripetere il suo nome, la testa appoggiata là dove batteva il cuore di Aiolos. Il Gold Saint del Sagittario lo aveva stretto a se, rassicurandolo come quando erano bambini. Erano rimasti così per diverso tempo, stretti uno all'altro. Che gioia aveva provato il Sagittario. A sciogliere l'abbraccio era stato lui, intimando al fratellino di rialzarsi. Aiolia aveva ubbidito, seppur a malin cuore. Infine con il fratello si era seduto sui gradini della quinta, raccontandogli tutto ciò che gli era successo, dalla sua morte fino a quel momento.
Aiolos emise un piccolo sbuffo.
Non gli era piaciuto per niente il modo con cui avevano trattato Aiolia dopo la sua scomparsa, ma gli piaceva ancora meno che queste cose le avesse sapute da un altro e non dal suo fratellino. Era stato infatti Milo a dirgli l'inferno che Aiolia aveva patito.
Aiolos si era sentito in colpa, ma sapeva bene che non c'era modo di rimediare, che non c'era soluzione se non quella di massacrare quasi tutti gli abitanti del santuario. Anche se avesse voluto, non avrebbe mai potuto riparare i torti subiti del fratello.
Il Gold Saint del Sagittario era in ansia anche a causa di un'altra persona, un altro Gold Saint. Quello che un tempo era stato il suo migliore amico.
Saga dei Gemelli.
L'uomo che lo aveva tradito, umiliato e che aveva fatto del male ad Aiolia. L'uomo dai due volti.
Appena rinato non lo aveva visto che per un'istante. Atena aveva riportato in vita un saint alla volta, non riuscendo a fare di meglio e massacrando il suo corpo.
Che triste visione.
La dea per cui aveva dato la vita era là, inginocchiata innanzi all'altare dove il suo corpo era stato depositato, ma della sua soave bellezza non c'era che qualche ricordo. Quando l'aveva rivista per la prima volta, si era chiesto se fosse davvero lei. Atena era in uno stato alquanto pietoso. Il suo corpo pareva aver subito maltrattamenti di ogni tipo, livido e ormai scarno, giacché la Dea aveva perduto almeno una decina di chili. Le mani erano pallide come il suo volto, scarno anch'esso. Il viso era oramai irriconoscibile, gli occhi stanchi e delle pesanti rughe rovinavano la pelle. Solo il suo sorriso era rimasto come allora.
Aiolos era stato il settimo Gold Saint a resuscitare. Il processo era lungo e faticoso, specie per Atena. La dea non riusciva che a riportarne in vita uno per volta e da una volta all'altra passava minimo una settimana. Purtroppo tutto ciò toglieva le forze ad Atena, che spesso sveniva tra le braccia del Gran Sacerdote. Appena tornato in vita, aveva fatto per alzarsi e soccorrere la Dea, ma lui non aveva le forze neanche per un sol un passo. Era stato prontamente sorretto da Mur, nel mentre che l'ariete d'oro gli raccomandava di non muoversi più. Nel frattempo Atena era svenuta, trovando riparo tra le forti braccia di colui che un tempo l'aveva odiata.
Saga.
Il Gold Saint l'aveva sorretta, passandole subito dopo una mano sotto le ginocchia e con l'altra le aveva circondato la vita.
- La porto nelle sue stanze, ha bisogno di riposo.-
Con quelle parole si era congedato dai suoi pari, seguito dal cenno di assenso di Mur.
Aiolos gli aveva rivolto un timido sorriso, felice di rivederlo nonostante tutto quello che era successo.
Nonostante tutto quello che lui gli aveva fatto.
I loro occhi si incrociarono per un istante. Il verde speranza contro il verde del dolore.
E per la prima volta in tutta la sua vita, gli occhi di Saga fuggirono al richiamo.


ANGOLETTO DELL'AUTRICE
Buona sera! Come potete vedere, ho scritto il mio primo vero capitolo. Non è gran che, ma è meglio di niente, no?
Lo so , il titolo che ho scelto fa pensare a una storia d'amore. Beh, è esatto! Solo che l'amore di Saga non è ancora arrivato, comparirà forse nel prossimo capitolo.
In questo ci tenevo a farvi capire che Saga è seriamente un folle. Mi si stringe il cuore, ma devo ammettere che lo è davvero. E pure masochista.
La parte di Aiolos è minuscola, ma serve per far capire come l'altra gente considera Gemini.
Diciamo che solo Saga pensa che gli altri lo considerino un pazzo e un traditore.
See yuo later

 

Ringrazio titania76 per i suoi consigli! Grazie ancora!

  
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