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Autore: Sacchan    11/04/2012    2 recensioni
"Chiedete in giro di Sebastian Moran e se siete fortunati scoprirete che mi hanno cacciato dall'esercito -nessun congedo per merito o per motivi medici, no signore, proprio cacciato- e se siete bravi, e ovviamente avete in tasca un bel po 'di soldi, vi diranno che sono il miglior cecchino in circolazione." La storia di Sebastian Moran, la sua convivenza con la mente criminale più pericolosa d'Inghilterra, il suo ruolo nel gioco tra Moriarty e Holmes. Tutto rigorosamente narrato dal diretto interessato.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Jim Moriarty
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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V. THE WOMAN




Come ho detto, Irene Adler è parte di un'altra storia, storia che iniziò verso settembre e finì verso Marzo, cosa che non fece bene ai nervi di Jim.
Per Irene fu solo uno dei tanti affari, per Jim invece Irene fu solo una delle tante pedine da usare per un lavoro importante.
Eravamo tornati da qualche giorno da una vacanza nel nord della Francia -e stranamente era stata una vacanza vera, niente lavori o consulenze- e Jim era stato parecchio silenzioso.
Più del solito, il che non lasciava presagire nulla di buono. L'avevo visto così solo quando si era immischiato nell'affare con Sherlock Holmes.
Una mattina stava sorseggiando del the fissando il suo cellulare in una silenziosa attesa.
Anche un idiota avrebbe capito che qualcosa non andava.
"Problemi con Sherlock Holmes?" chiesi mettendo nello stereo un cd di Vivaldi. Sono le cose che fanno i bravi partner, no?
"Con l'altro Holmes, il fratello." replicò lui portando la tazza alle labbra.
"Cosa? Ce ne è un'altro?" la notizia mi trovò del tutto impreparato. Non mi era mai passato per la mente che Sherlock Holmes potesse avere un fratello.
"Oh si, le disgrazie non vengono mai da sole." commentò freddamente. "In realtà Mycroft Holmes è ben peggiore del fratellino. Mycroft Holmes è il governo britannico e come tale è il mio vero nemico."
Il cellulare squillò e sul viso di Jim vidi l'espressione più disgustata che abbia mai visto. Nessun dubbio su chi fosse il mittente.
"Che ti avrà mai fatto di male Irene?" chiesi curioso sfogliando un libro a caso preso dalla libreria.
"E' inutile." sibilò crudelmente. "Odio dover fare affari con lei. Pretende sempre un trattamento di favore."
"Vuole che tu sia solo cavaliere." replicai con calma.
Lui fece una pausa per poi commentare. "A volto scordo che sei un soldatino e che hai ancora un codice morale."
"Non è vero, James." sbuffai. Aveva messo su il broncio come i bambini.
Poi i suoi occhi si illuminarono e si voltò verso di me con aria soddisfatta.
"Sebastian, tesoro, hai voglia di conoscere Mycroft Holmes?
 
 
 
Non chiedetemi di spiegarvi in che guaio si fosse cacciato Jim e a cosa gli servissero le foto che aveva Irene, ci vorrebbe troppo e non è la parte più divertente della storia. Non per me. No, davvero, credo che Irene si sia divertita molto più di me ha flirtare con Sherlock Holmes per farsi decifrare l'informazione di cui Jim aveva bisogno.
Vedete il punto della questione era che Mycroft Holmes non voleva che Jim Moriarty avesse quelle informazioni che invece Jim voleva. E le voleva anche per ripicca verso Mycroft. C'era una sorta di rivalità tra quei due che aveva del comico: come mi aveva detto Jim, Mycroft era il governo britannico e quindi, per Jim, fare fesso Mycroft significava fare fesso il governo. Quale fosse il problema di Jim con gli Holmes non l'ho mai realmente capito.
Il piano era semplice: convincere Mycroft a darci – realmente rubargli- la chiave di codifica, senza passare per Irene.
Un pomeriggio ero di ritorno da una partita di poker con i vecchi amici di Oberyn Dandee (oh, Jim si sarebbe infuriato con me se avesse saputo che tenevo rapporti con degli ex-clienti. In realtà la parte divertente era quella, la paura di essere scoperto, più che barare.) quando una macchina iniziò a seguirmi. Camminai un po' come se nulla fosse per essere sicuro che stesse seguendo me e così era.
Mi fermai, si fermò anche la macchina.
La testa di una donna comparve gradualmente mentre veniva tirato giù il finestrino.
"Colonnello Moran, la pregherei di salire in macchina."
"Non sono più colonnello." avrei dovuto scriverlo su un cartello e portarmelo dietro, così che tutti la smettessero con quella storia.
"Non fa differenza." e il tono della risposta mi fece capire che era stata d'istinto.
"Purtroppo temo di sì. Almeno per il mio curriculum vitae." commentai salendo in macchina.
Scrutai la donna che avevo affianco e capii subito che anche lei era parte del club formato dal sottoscritto e John Watson. Era la controparte di Mycroft Holmes; i suoi occhi, la sua voce.
"Puoi chiamarmi Anthea." si presentò educatamente, senza staccare gli occhi dal suo blackberry.
"Oh, non è valido." protestai. "Tu mi dai un nome falso e sai anche il rango che avevo nell'esercito."
La vidi sorridere per un breve istante.
Anthea mi piacque subito. Quel suo viso duro, i suoi occhi attenti e profondi e i suoi modi disinteressati.
Stando con Jim avevo imparato a giudicare le persone dai loro tratti caratteristici, non dalle apparenze. E sapevo benissimo che studiando Anthea avrei potuto carpire qualche informazione su Mycroft Holmes. Così come studiando John Watson si poteva dedurre che tipo di persona fosse Sherlock Holmes. Come guardando me si poteva benissimo vedere l'ombra di Jim Moriarty.
La prima cosa che notai fu il vestito e le scarpe con il tacco alto. Troppo alto: Anthea non era una donna d'azione, probabilmente passava tutto il suo tempo a fare la bella bambolina sul sedile posteriore dell'auto, il blackberry in mano per passare in tempo reale ogni informazione a Mycroft Holmes.
Riprese a parlare solo quando ci ritrovammo nel traffico londinese.
"Il mio capo ha un messaggio per il vostro."
"Quando dite capo, intendete Mycroft Holmes, gusto?" chiesi per sicurezza prima di aggiungere. "E puoi chiamarmi Sebastian e darmi del tu."
Anthea staccò gli occhi dal blackberry e sorrise di nuovo.
E capii che stava facendo il mio stesso gioco: mi stava leggendo come io avevo letto lei. Solo che lei era molto più brava di me. Le bastò una sola occhiata. Un punto a suo favore.
"Qual'è il messaggio?" chiesi scocciato di essere stato studiato.
"Di lasciare perdere questo caso, per il bene di tutti." la voce di Anthea era soffice, ma dura.
"Non credo lo farà solo perché gliel'ha chiesto Mycroft." commentai stringendomi nelle spalle.
"E' una partita che non può vincere. Non questa."
La cosa divertente del parlare con Anthea era che nessuno dei due poteva prendere decisioni: eravamo dei semplici messaggeri di amichevoli minacce.
"Non so neanche quale sia." dissi con indifferenza, come se non saperlo potesse dissuadermi dal dare quel messaggio."
"Oh, non vi ha detto nulla? Ero convinta foste intimi."
Ahi. Quel commento non ci voleva. Anthea sapeva e a me l'idea non piaceva proprio. L'aveva capito con quell'unico sguardo, o qualcuno gliel'aveva detto? Lo sapeva tutta Londra, dannazione?
"Ero occupato con altri casi."
"Falso. Eravate in Francia, nessun caso da quando siete tornati."
La odiai e la adorai al tempo stesso. Forte, intelligente, meravigliosa.
"Che c'è, ci spiate?"
Lei rise, ma fu una risata controllata. "No, il professore ama scambiarsi battute con il signor Holmes."
Aveva perfettamente senso, quindi non ribattei.
Anthea fu così garbata da non farmi pesare la mia ignoranza. Sapevo del loro gioco, non che quello di Mycroft Holmes fosse il secondo numero di cellulare più utilizzato da Jim.
O forse Anthea mi stava deliberatamente mettendo al corrente della vera natura del rapporto tra Jim e Mycroft.
Era assolutamente meravigliosa. Troppo.
"Riferirò." conclusi alla fine. Ma dovevo avere io l'ultima battutina sagace di quella conversazione, per una questione di ego. "Ma è un peccato che Mycroft non voglia collaborare. Per una volta Jim era anche disposto a scendere a patti. Al solito, però, quando c'è una donna di mezzo le cose si complicano."
La cosa bella del genere femminile è che quando tiri in ballo una donna, si offendono tutte. Anthea non fece eccezione, anche se lo nascose bene.
Avrei potuto anche chiederle di uscire insieme, se solo avessi saputo il suo vero nome.
Quando tornai a casa credo che Jim mi avrebbe incenerito volentieri, ma non lo fece solo perché sapeva da subito che avrebbe dovuto collaborare con Irene.
Fu così che conobbi ufficialmente Irene Adler.
 
 
Aprii la porta appena suonò il campanello e mi ritrovai di fronte una delle donne più belle del secolo.
Non perché fosse bella come una dea o roba simile. Era qualcosa di più. Era bella e sapeva di esserlo, il che la rendeva ancora più bella. Sapeva come mostrarsi e cosa mettere in luce, sapeva come attirare l'attenzione e monopolizzarla.
"Il colonnello Moran, presumo." commentò semplicemente fissandomi.
"Ci rinuncio." dissi io scuotendo la testa e lasciandola entrare. La precedetti in soggiorno, ma lei sapeva esattamente dove avrebbe trovato Jim, il che mi fece capire che era stata nell'appartamento altre volte.
Per l'occasione Jim aveva preparato del the e dei pasticcini, per essere cortese. In realtà continuava a riecheggiarmi in testa quello che aveva detto mentre preparava il tutto e lo disponeva in soggiorno: "E' una Mantide Religiosa: ti adesca e poi ti stacca la testa a morsi."
Jim era un serpente, Irene una mantide e io una tigre. Quel soggiorno iniziava a sembrare pericolosamente uno zoo.
"James." Irene cercò di far suonare la sua voce il più calda possibile mentre si sedeva.
"Irene." salutò Jim, senza alcuno sforzo per sembrare contento di quella visita.
Si fissarono per un lungo istante mentre io presi posto accanto allo stipite della porta della cucina: Irene era pur sempre una cliente e un ospite e gli ordini erano che io non lasciassi la stanza finché non mi fosse stato esplicitamente ordinato.
"E' carino." la sentii commentare con voce vellutata. "Potresti prestarmelo; è un ubbidiente?" domandò lasciando cadere un cucchiaino di zucchero nel suo the. Credo che Jim avrebbe preferito ammettere che Sherlock Holmes era più bravo di lui piuttosto che servire Irene.
"Ogni tanto fa di testa sua. E non credo Sebastian sarebbe d'accordo con il cedimento."
"Cosa diavolo c'entro io?" chiesi perplesso.
Jim e Irene si voltarono verso di me; lo stesso sguardo divertito e canzonatorio nei miei confronti.
"Oh." essere il più stupido in quella stanza non era proprio il massimo della vita. "Sono io quello carino." il che mi fece indispettire. "Non sono carino! Non sono un pupazzetto o altra roba definibile carina. Al massimo posso essere virile e affascinante."
Jim roteò gli occhi, ma Irene non smise di squadrarmi.
"E' vero, lo siete." acconsentì. "Ed è proprio questo a farmi perdere qualsiasi interesse."
Non sapevo cosa non andasse in Irene; era il tipo di donna che Jim avrebbe potuto trovare simpatica.
"Come sta la cara Kate?" domandò Jim distogliendo la nostra ospite da me.
"Magnificamente. Stavo pensando di farle un regalo, ultimamente è stata così..." Irene sorseggiò il the con calma, un piccolo sorso. "...appagante." e non c'era alcun bisogno di essere maliziosi per capire cosa intendesse.
"Potrei suggerire uno smeraldo? Non ha molti gioielli nelle tonalità del verde, ed è un vero peccato." Jim sembrava conoscere molto bene questa Kate, io invece non avevo la minima idea di chi fosse.
"Oh, no." Irene accavallò le gambe. "Il verde tenderebbe a togliere la luce dal suo viso e sarebbe un tale spreco!"
"Allora so che ha un debole per un abito di Chanel. Nessun dubbio che potrebbe permetterselo, ma credo sia uno di quegli abiti che nascono per essere regalati, per fare una grande sorpresa."
Non che Jim fosse interessato alla questione del regalo: voleva solo mostrare ad Irene che sapeva tutto.
Andarono avanti con quei convenevoli per una decina di minuti, scrutandosi in cagnesco mentre sorseggiavano the come amici di vecchia data.
Io rimasi esattamente dove ero perché non mi sarei perso per nulla al mondo quello scambio di battutine.
Anche se ebbi paura che Irene, da un momento all'altro, chiedesse a Jim se aveva intenzione di farmi qualche regalo..
La sceneggiata finì quando Irene tirò fuori il suo cellulare e lo pose tra lei e Jim, accanto ai pasticcini, e Jim tornò ad essere se stesso.
"Adesso, James, cosa vogliamo fare?"
Jim storse la bocca, totalmente contrario a quello che invece avrebbe dovuto obbligatoriamente fare. "Sebastian, lasciaci."
Peccato, avrei dato una bella cifra in sterline pur di assistere a quello scontro tra titani.
"Su, Sebastian, lasciaci: i grandi devono discutere."
Ignorai l'ultima battuta di Irene, invece scambiai una occhiata con Jim. E seppi che avrei fatto meglio a non farmi vedere nell'appartamento per un bel po'.
 
 
 
Jim non parlò fino alla mattina successiva all'incontro con Irene, quando imprecò in maniera così colorita che io scoppiai a ridere. E continuai a ridere anche quando mi diede uno spintone facendomi cadere a terra.
Non riuscendo ad arrivare personalmente ad un accordo con Mycroft, Jim era ricorso ad Irene: era il momento di usare le foto che la cara mantide aveva collezionato. Il piano era semplice e la prima parte funzionò alla perfezione: le foto di Irene furono usate come merce di ricatto e Mycroft avrebbe dovuto cedere i codici di qualche volo che qualche cliente aveva chiesto a Jim. Pur di non cedere, Mycroft le provò tutte: compreso ricorrere all'aiuto del fratello per riprendersi le foto contenute nel cellulare di Irene. Jim era così contento di avere entrambi i fratelli Holmes nella stessa partita, che quasi si scordò che il suo secondo era Irene.
Però, questo significava anche tornare a tenere sotto stretta sorveglianza il carissimo Sherlock.
Una notte Jim si intrufolò nel mio letto, come al solito,e si strinse a me. In realtà furono le sue dita che mi solleticavano l'addome a svegliarmi, le sue dita che scesero giù superando l'elastico dei boxer.
"Sebastian" mi chiamò sapendo che a quel punto dovevo essere sveglio. Beh, il mio corpo lo era di certo. "Devo chiederti un favore."
Cosa decisamente strana. Jim non chiedeva favori, a nessuno, figuriamoci a me. Dava ordini che la gente poteva eseguire o non eseguire e pagarne le conseguenze. Ma favori? No signore.
"Questa è nuova." commentai intontito. "Qualsiasi cosa sia, sai che basta un piccolo extra sulla paga."
Posò le labbra sul mio collo e fermò la discesa delle sue dita. "Non questa volta." percepii ogni singola parola sulla pelle del mio collo, un soffio caldo.
"E cosa potrà mai essere." sminuì la faccenda.
Jim fece una lunga pausa, poi si avvicinò al mio orecchio per parlare in tutta segretezza -cosa del tutto ridicola visto che eravamo gli unici due nell'intero appartamento- "Voglio che tu faccia la corte a Molly Hooper."
Si, va bene, magari quel favore non poteva essere pagato in moneta sonante.
"Io non voglio fare la corte a Molly Hooper." borbottai.
"Per questo è un favore." puntualizzò Jim.
Ogni intimità era scomparsa ed eravamo pronti a discutere di affari come al solito, solo sdraiati a letto.
"Perché dovrei?"
"Voglio tenerla d'occhio, visto che Sherlock continua ad andare nel laboratorio dello stesso ospedale. Lo farei personalmente, ma la mia copertura è saltata."
"Io te l'avevo detto che quelle mutande erano oscene."
"Sono servite allo scopo. Rimane comunque il problema."
"Giocati la carta dell'amico gay."
"Sebastian, sto parlando seriamente."
E per chiedermelo nel cuore della notte, quando le mie difese erano al minimo livello, doveva esserlo davvero. In qualsiasi altro momento della giornata l'avrei mandato al diavolo, ma non in quel momento.
"Quanta corte devo farle?" mi informai controvoglia.
"Oh, niente di esagerato." una nota compiaciuta nella voce di Jim mi fece capire che era contento di avermi passato quell'onere. "Parlaci, falla sentire importante, sii amichevole, qualche passeggiata, magari portala a cena fuori. Oh, ma non cercarla troppo, deve sembrare tutto casuale, così non ricorderà la tua faccia e non ci creerà problemi."
Borbottai qualcosa per fargli capire che avevo ricevuto le istruzioni, poi scoppiai a ridere. "Povera, povera Molly! Corteggiata dal convivente dell'ultimo ragazzo che le ha fatto la corte ed è risultato gay."
Ah, l'ironia. Non credo Jim abbia mai apprezzato quanto ogni suo piano fosse ironico.
Comunque due giorni dopo conobbi Molly Hooper e iniziò una lunga serie di incontri casuali, di caffè presi in cinque minuti di pausa, di passeggiate alle ore più improbabili: ero sempre al momento giusto quando serviva. Tenere d'occhio Sherlock non fu difficile, Molly non si accorgeva nemmeno di parlarne con assoluta naturalezza. Eppure ero convinto che fosse diventata più attenta su quell'argomento dopo la colossale fregatura avuta con Jim. Ma le persone non imparano mai dai loro errori. Mai.
Fu così che arrivò dicembre e diavolo, non me ne ero nemmeno reso conto.
E ebbi la spiacevole fortuna di incontrare di nuovo Irene Adler.
Rientrai a casa e trovai Jim e Irene intenti in una discussione. Un occhiata e capii che Jim era furibondo e che Irene era quanto mai indispettita, ma non abbastanza impaurita. Non si accorsero nemmeno che ero rientrato.
"Non li ho chiamati io gli americani, James" si difese Irene, la voce assolutamente calma e vellutata.
"Ma sono arrivati, Irene." sentenziò Jim in un sibilo.
Mi accorsi solo in quel momento che si chiamavano per nome, nessun Miss Adler o Mister Moriarty, no. Le persone che Jim chiamava per nome si potevano contare sulle dita di una mano, e aggiungere Irene Adler a quell'elenco fu quanto mai strano.
Si squadrarono, poi Irene sospirò. "Sai benissimo che quel telefono è tutta la mia vita e sai benissimo che dentro non ci sono due o tre foto, ma abbastanza da ricattare qualsiasi persona politicamente rilevante. E' normale che, di tanto in tanto, qualcuna di queste persone, decida di riprendersi quelle foto con la forza."
"Il problema, cara Irene, è che non mi importa di tutte le foto che hai in quel maledetto telefono." Jim si avvicinò alla nostra ospite, fermandosi solo quando tra di loro ci fu solo un passo e mezzo di distanza. Per istinto, se fossi stato Irene, io mi sarei già allontanato, ma lei rimase ferma nella sua posizione. "Mi importa delle foto che servono  a me. A me." scandì con fermezza. "E non vogliamo che quelle foto spariscono solo perché qualcun'altro dei tuoi poveri imbecilli si sente minacciato, vero?" sibilò retoricamente.
In quel momento Irene arretrò e si rifugiò dietro di me. Si, si erano accorti che ero tornato.
"Sebastian." mi chiamò, nascosta dietro la mia schiena, le sue mani si strinsero intorno ai miei bicipiti, quasi si stesse aggrappando. "Cosa fai quando è così arrabbiato per farlo calmare?" mi domandò. Almeno sapeva che Jim era infuriato e che da un momento all'altro avrebbe potuto attaccare. Chissà se un serpente era in grado di uccidere una mantide. "Ti metti in ginocchio?"
Non gradii per niente quell'allusione. "Non c'è modo per calmarlo." la informai gentilmente.
"Dobbiamo risolvere la faccenda." annunciò Jim seccato. "E' ovvio che tu debba sparire dalla circolazione, Irene."
Irene sospirò e roteò gli occhi. "Devo proprio?"
"Hai due opzioni: farti ammazzare dagli americani o fare finta di essere morta. Nel primo caso io perdo le mie foto, quindi direi che la seconda opzione è l'unica possibile."
"Aggiungendo che nel primo caso io sarei morta davvero, credo anche io."
"Oh bene." mi intromisi io nella discussione, giusto per fare qualcosa. "Per fingere la tua morte consigliere di iniziare a cercare una ragazza della tua stessa corporatura. Il problema di quando le persone tentano di fingere la propria morte è che cercano qualcuno che gli assomigli, ma non si preoccupano dell'altezza e altri dettagli e l'aspetto generale è così sballato che non è credibile. Il viso si può sempre rendere irriconoscibile, richiedendo così la necessità di un riconoscimento." Per tutto il discorso Irene mi affondò le unghie nelle braccia, bruciando di muta rabbia. Jim invece era profondamente divertito, quindi potevo ritenermi soddisfatto.
"Se come hai detto Sherlock Holmes era con te quando hanno fatto irruzione gli Americani, Mycroft saprà dell'attacco e quindi una morte violenta sarà del tutto giustificabile." l'umore di Jim era nettamente migliorato.
"Ma se muoio che ne sarà del mio telefono?" domandò Irene perplessa. "Mycroft non ci metterà molto a capire che non l'hanno preso gli americani."
"Oh, lascialo a Sherlock Holmes. Lasciamolo divertire mentre cerca di accedere alle informazioni."
"Inizia a cercare la ragazza, appena l'hai trovata chiamami. Potrei fare un prezzo di favore."  ironizzai.
"Nessun'altro cliente oltre a me, Sebastian." mi ricordò Jim in una cantilena divertita.
"Chiamami." ripetei a Irene sottovoce, divertito dal suo sguardo pieno di rancore.
"Fossi in te, Irene, mi sbrigherei a trovare la ragazza. E spera che gli Americani non ti trovino nel frattempo. O spera che se ti trovano ti uccidano, perché se si limitano a rubare il tuo telefono mi occuperò personalmente di farti congedare da questo mondo."
Lanciai un'occhiata a Irene, sorridendole gentilmente e finalmente sembrò rendersi conto che non ero carino, ma che ero il secondo uomo più pericoloso d'Inghilterra.
Passò un lungo istante in cui Jim e Irene si studiarono ancora, un'altro gioco di potere o roba simile.
"Credo che ora possa andare, miss Adler." dissi prendendola per le spalle e guidandola verso l'uscita. Era stato tutto così dannatamente divertente. Non so bene perché, ma vedere Irene in difficoltà mi aveva reso la giornata decisamente migliore.
Le aprii la porta, con educazione, ma prima di uscire, Irene si voltò verso di me e mi chiese semplicemente. "Se dovrete uccidermi, farete in modo che sia una cosa rapida, colonnello?"
"Assolutamente no. Buona serata, miss Adler." fu la mia risposta e le richiusi la porta in faccia.
Fu una sensazione meravigliosa.
Iniziavo a capire cosa desse così fastidio a Jim: Irene era troppo sicura, troppo brava nel manipolare la gente, troppo sveglia. Sarebbero state caratteristiche meravigliose se non fosse stata anche velenosa.
Almeno, Molly era una ragazza squisita e uscire con lei era quasi divertente.
Un pomeriggio ero nei pressi del S. Barth Hospital quando pensai che era il caso di fare una visitina -del tutto casuale- a Molly.
Lei mi salutò con un grosso sorriso che le illuminò anche gli occhi. Era così semplice leggere le sue emozioni che era quasi commuovente.
"Sebastian!" esclamò allegra sistemandosi meglio la borsa su una spalla, indecisa se avvicinarsi oppure no.
"Hai finito il turno?" le chiesi, anche se era palese. Ma essere un po' tonto non poteva che giovarmi in quel momento.
"Si." rispose lei. "Stavo andando da una amica. Che ci fai qui?"
"Ah, passavo per caso!" mi strinsi nelle spalle. Se mettere una lettera minatoria sotto la porta di qualcuno è passare per caso, allora avevo detto la verità.
"In giro per uno dei tuoi lavoretti ?" mi chiese affiancandomi. Avevo raccontato a Molly che dopo aver lasciato l'esercito avevo iniziato a fare vari lavori, nulla di fisso. Bisogna sempre usare un fondo di verità per evitare che la propria copertura salti.
"Già." annuì e sorrisi amichevolmente. "Ma tu stavi andando!" esclamai come se me ne fossi ricordato solo in quel momento. "Dai ti accompagno."
"Ma no...lei abita lontano...non vorrei...." protestò timidamente, ma quando la presi per mano e insistetti un'altro po', accettò la mia compagnia.
Fuori l'atmosfera natalizia faceva mancare l'ossigeno. Non ho mai amato il Natale, nemmeno quando ero bambino e significava regali, anche se non ce ne erano molti. E comunque mio padre tornava raramente per le feste e mia madre...era mia madre. No, il Natale a casa Moran non era proprio un granché.
"Devo iniziare a pensare ai regali di Natale." commentò Molly, attirata a sua volta da quell'atmosfera. Almeno a lei piaceva.
"Sai già cosa farai a Natale?" le chiesi interessato, anche se realmente lo ero solo per metà.
"Non so ancora." ammise, la voce che tremava per il freddo. "Non ho molti posti dove andare, né molti amici con cui stare. E poi le feste troppo affollate non fanno proprio per me."
Quella era Molly Hooper: solitaria, con un umorismo impacciato reso macabro dalle ore spese in obitorio, più incline a conversare con i morti che con i vivi. Ma era anche di una semplicità disarmante. Per uno come me, immerso fino al collo in un mondo in cui il primo idiota che passa tenta di farti fuori, avere accanto qualcuno di così onesto era terrificante.
Come fai a trovare il punto debole di una persona che non nasconde nulla di sé?
"Lo stesso vale per me." commentai solidale. In parte era vero: a parte Jim e la sua allegra banda, mi mancavano dei veri amici. Ne avevo qualcuno nell'esercito, ma sono stranamente spariti quando sono stato cacciato e dopo farsi amici era impensabile. Un altro bel regalo del mio lavoro.
Molly mi sorrise e si azzardò ad avvicinarsi, anche se sarebbe stata costretta comunque a farlo visto la folla che passeggiava sui marciapiedi. La presi sottobraccio e lei arrossì come una scolaretta e da quel momento non smise di sorridere.
"Sei sicuro...di volermi accompagnare? Non...non devi, se non vuoi."
"Non preoccuparti, mi fa piacere."
La perenne insicurezza di Molly era il punto su cui fare leva per convincerla a fidarsi di me. Eravamo oramai buoni amici e avevo capito che lei aveva iniziato a sperare che saremmo potuto diventare qualcosa di più. E io non avrei fatto nulla per farle credere il contrario.
"Spero vivamente che almeno sotto Natale muoia meno gente." la buttai lì, per quanto fosse una frase priva di senso.
"Scherzi? C'è gente che uccide pur di non dover fare troppi regali!" Molly rise stringendosi di più al mio braccio. Poi divenne improvvisamente seria. "Oh, perdonami...è stato...è stata una battuta pessima...così pessima."
"Non è vero!" mi sbrigai a dire, tenendola stretta a me quando tentò di allontanarsi. "Era una gran bella battuta."
E diavolo, forse in tutta Londra ero l'unico che poteva trovare quella battuta decente.
Molly mi guardò timidamente e rimase muta per un po', troppo imbarazzata e spaventata per dire altro.
"Davvero Molly." la rassicurai. "E poi credo che sia tremendamente vero."
"Da quello che so Sherlock sta organizzando una festa a casa sua." raccontò cambiando discorso, in modo da lasciarsi la battutina e il momento imbarazzante alle spalle. "In realtà sono sicura che lo faccia per evitare che John vada dalla sorella."
Tornato a casa avrei avuto qualcosa da riferire a Jim, non potevo chiedere di meglio.
"Che cosa crudele!" mi finsi oltraggiato. "Non lascia andare il suo coinquilino dalla sorella?"
"Sherlock è strano, quando si tratta di John." commentò Molly. Di certo lei non poteva sapere quello che sapevo io. "Sai, conosco Sherlock da abbastanza tempo per dire che non ha mai avuto amici. Mai. John è il primo e temo Sherlock non sappia bene come comportarsi. So solo che ha paura di perderlo. Ha perennemente paura di tornare solo. Lo è sempre stato e forse c'è abituato. Ma a nessuno piace essere solo, no?" Infatti, sapeva molto di più.
Per la prima volta guardai Molly seriamente. Abbandonai tutti i pregiudizi che mi ero fatto su di lei dai racconti di Jim e dal suo blog e la guardai per quello che era. Non era intelligente, non era bella, non era in grado di avere rapporti sociali, ma aveva qualcosa che mancava a me, che mancava a Jim, che mancava anche a Sherlock.
Molly Hooper era sensibile.
Aveva compreso Sherlock Holmes e il suo rapporto con John Watson alla perfezione, aveva compreso aspetti che io potevo solo ipotizzare. Molly Hooper sapeva leggere le persone come un libro aperto. Era riuscita a capire le emozioni di Sherlock Holmes, emozioni che neanche il diretto interessato sapeva di avere.
"Sebastian?" mi chiamò preoccupata. Ero rimasto un po' troppo in silenzio, preso da quella scoperta.
"Scusami, stavo pensando ad una cosa." accennai un sorriso, ma fu più difficile del previsto.
"Sai mi sembra che ci sia qualcosa che ti preoccupa ultimamente." borbottò e io imprecai mentalmente. Aveva dei superpoteri o cosa?
"Tutti abbiamo qualcosa che ci preoccupa no?"
Molly annuì imbarazzata e continuammo a camminare, cambiando completamente discorso. Non mi ricordo neanche di cosa parlammo, ma era totalmente irrilevante.
Ricordo benissimo che quando arrivammo alla palazzina dove abitava la sua amica, prima di lasciarla andare la baciai.
Dovevo essere diventato pazzo tutto insieme perché non aveva alcun senso. Però lo feci e in quel momento mi sembrò la cosa giusta da fare. Ovviamente fu il primo e ultimo bacio che ci scambiammo e così va bene.
Quando si allontanò Molly cercò di contenere la sua contentezza, ma stava praticamente saltellando dalla gioia quando entrò nel palazzo.
"Hai fatto un grosso errore di calcolo." avvertii Jim quando tornai dopo quell'incontro con Molly.
"Sono tracce di rossetto quelle?" mi domandò Jim perplesso dopo avermi circondato il collo con le braccia.
"Si." risposi io semplicemente. Le mie mani si sistemarono automaticamente sui fianchi di Jim. "Hai sottovalutato Molly."
"Il rossetto è suo? L'hai baciata?" continuò a chiedermi, ignorando beatamente quello che stavo tentando dirgli.
"Si e si. Ma Jim, davvero. Non la sottovalutare."
Ovviamente fu tutto inutile e sprecai solamente tempo e fiato.


 
 
Arrivò Natale e le cose si movimentarono almeno un po', cosa che non guasta mai.
Molly decise di andare alla festa di Sherlock, evitandomi la scocciatura di portarla da qualche parte o inventarmi qualche scusa, Irene riuscì a trovare una poveraccia da usare come manichino per l'obitorio -ma non mi chiamò, fu un vero peccato- e io passai la vigilia di Natale a casa Chop, insieme a Debbie.
Avevo proposto a Jim di fare qualcosa -qualsiasi cosa, anche solo andare in giro-, ma se a me il Natale non piaceva, a Jim non interessava minimamente. Ovviamente, l'aspetto religioso della cosa era ridicolo perfino per me, ma Jim non apprezzava la serata nemmeno come occasione di fare baldoria.
Almeno Debbie fu una ottima compagnia di bevuta. Debbie era la nostra ladra di fiducia, ma era anche un ragazza irriverente quindi quando Chop mi disse che io e lei eravamo gli unici invitati, fui soddisfatto.
Mei non fu per niente felice di vedermi, non c'è bisogno che lo dica, ma eravamo di nuovo in un periodo di tregua e sperai con tutto il cuore che durasse più del precedente.
Min, invece, arrossì come la ragazzina che era quando mi vide e disse qualcosa a suo fratello Chao in cinese. Risero, ma non sono sicuro per quale motivo. I bambini ridacchiano per ogni cosa possibile.
Per tutta la serata mi ritrovai due occhi scuri fissati su di me, pieni di adorazione. E anche Debbie se ne accorse e di conseguenza mi riempì di battutine per tutta la serata.
Ci divertimmo, lo ammetto, fu uno dei migliori Natali degli ultimi anni perché fu assolutamente normale. E lo fu perché sapevo che tutte le altre persone nella casa erano nella mia stessa situazione. Niente copertura o far finta di essere un tipo comune.
La cosa meno divertente fu svegliarsi il mattino dopo con i postumi di una sbornia e Debbie addormentata profondamente sopra di me. Non mi ero reso conto nemmeno di aver bevuto così tanto e non ricordavo di essermi coricato sul divano. Almeno speravo che non ricordarmi nemmeno di averci provato con Debbie significasse che non l'avevo fatto. Il tutto mi valse una battutina divertita di Mei. "Colonnello, vedo che vi siete affezionato al mio divano."
Fu una piacevole vacanza, destinata a non durare più dello stretto necessario. Quando la mattina tornai nel nostro appartamento mi sentii in colpa per aver lasciato Jim da solo. Non aveva molto senso: era lui ad avermi detto di andare alla festa di Chop e sapevo benissimo del suo totale disinteresse per il Natale. Però mi sentii comunque in colpa per averlo lasciato solo.
Che ragionamento idiota, lui stava benissimo, come sempre.
In quei momenti in cui capivo quanto non facessi alcuna differenza nella sua vita, mi sentivo quasi preso in giro.
 
 
Il mio primo -ed unico- Natale con Jim fu triste , ma almeno per capodanno mostrò un maggiore interesse.
Era prevedibile, infondo: la fine di un anno era un momento di bilancio, quindi era un momento relativamente importante.
"Direi che se escludiamo la noiosa presenza di Irene negli ultimi mesi, è stato un ottimo anno." commentò concedendosi la prima sigaretta da quando l'avevo conosciuto. Non mi ero nemmeno accorto che mi aveva rubato il pacchetto di sigarette dalla tasca del giubbotto.
"Ovvio, è stato un anno all'insegna di Sherlock Holmes. Quando ti ho conosciuto stavi iniziando la tua trappola per Sherlock e ora, a fine dell'anno, stai aspettando che decifri il codice del fratello maggiore." allungai la mano tentando di riavere indietro il pacchetto.
"Non essere così semplicista, Sebastian." replicò lui poggiando il pacchetto sul mio palmo aperto. "La vera soddisfazione è sapere che Sherlock Holmes non è stato in grado di battermi."
"Non puoi saperlo." anche io presi una sigaretta. "Chissà cosa sarebbe successo se Irene non avesse chiamato. Magari non saremmo qui a raccontarlo."
Quell'insinuazione non gli piacque. Per niente.
Per un momento pensai che avrei passato un altro mese con delle dita rotte. O un polso, magari.
Jim inspirò a fondo, controllando qualsiasi reazione stesse per avere. "Spero che tu non stia seriamente dicendo che Irene ci sia stata d'aiuto quella sera evitandoci di saltare in aria, cosa che stai insinuando sarebbe successa senza di lei."
Deglutì a fatica, ma non mi scomposi. "Ovviamente no." risposi utilizzando la mia migliore faccia da poker, che mi aveva sempre aiutato ad arrotondare lo stipendio.
“Non sembri molto felice.” Commentò Jim. “Non è stato un buon anno?”
“No, non sono felice.” Commentai duramente. Lasciai che la sigaretta si consumasse senza fumarla, facendo attenzione solo a non bruciarmi con la cenere. “E’ stato un anno impossibile.”
Avevo la nausea. Se ripensavo all’ultimo anno mi faceva male la testa. Erano cambiate così tante cose, troppe cose. Un anno prima ero un povero disperato cacciato dall’esercito che si era accontentato di una misera vita perché, ehi era decisamente vivibile e per niente male, e ora ero immischiato in qualcosa che, come un cappio, mi soffocava pian piano.
Improvvisamente ero arrabbiato con Jim.
Ero arrabbiato perché mi aveva portato via da una vita semplice, perché mi aveva gettato nella fossa dei leoni, aprendomi gli occhi ad un mondo che ora non potevo più ignorare.
Ero arrabbiato con Jim, perché mi aveva trasformato in un’altra persona che non ero più io.
Mentirei se dicessi che il Sebastian che stava celebrando un anno di vittorie era lo stesso che un anno prima era entrato per la prima volta in quell’appartamento.
Mentirei anche se dicessi che il Sebastian che sta scrivendo è lo stesso che stava brindando.
“Impossibile non è necessariamente un aggettivo negativo.” Sentenziò Jim con assoluta calma.
Eravamo così fieri di noi quella sera che non sospettavamo minimamente come tutto sarebbe andato a rotoli nel giro di un paio di mesi.
Brindammo al successo dell'anno passato e ai progetti dell'anno futuro, ignari del disastro che ci aspettava.
 
 
 
 
Probabilmente saremmo stati più felici se la storia di Irene fosse stata già archiviata, ma l’ultimo grandioso atto era appena iniziato.
Quando Irene ci fece visita nuovamente, era un anno esatto da quando mi ero trasferito da Jim. O da quando il caro dottore si era trasferito a Baker Street, se preferite.
Fatto sta che Jim mi sorprese con un regalo. Un regalo serio, pensato appositamente per me.
Sul tavolo della cucina c’era una custodia anonima e già immaginavo cosa potesse esserci dentro. Quando fa il cecchino per vivere, riconosci a colpo d’occhio una custodia di fucile, per quanto camuffata.
Ma mai –e dico assolutamente mai- mi sarei aspettato un Accuracy International Arctic  Warfare.
“Cristo.” Fu il mio commento. Rimasi impalato ad osservare le varie parti disposte nella custodia, in ammirazione.
“Presumo ti piaccia.” Commentò Jim atono.
“Come diavolo l’hai rimediato?” anche se volevo alzare gli occhi e guardare Jim, rimasi incantato da quel fucile. “E’ in dotazione solo all’esercito …Non sono riuscito a rubarne uno quando mi hanno cacciato!”
“Ho le mie conoscenze.” Jim si strinse nelle spalle, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ma non lo era, credetemi.
“Era il fucile che usavo quando ero nell’esercito.” Ammisi. E con piacere notai che le mie mani non avevano perso l’abilità nel montarlo.
“Oh, davvero?” ironizzò Jim, meritandosi un’occhiataccia da parte mia. “Ora mi dirai che era il tuo preferito perché la versione Magnum era esagerata.”
Qualsiasi conoscenza avesse Jim, era anche mia perché quelle erano informazioni davvero confidenziali.
“Un’estensione naturale del mio braccio. Nessun’altro fucile mi fa sentire così.”
Mi venne in mente una discussione con mio padre; quel caro uomo si limitò a darmi del codardo perché preferivo nascondermi tra i cespugli o chissà dove invece di buttarmi in prima linea nella vera battaglia.
Che caro uomo.
“James.” Interruppi qualsiasi cosa stesse per dire. “A cosa devo questo regalo? Cos’è un premio di promozione?”
Jim rise. “Sei il secondo uomo più pericoloso di Londra, non essere ridicolo. Non puoi essere promosso.”
Non quando il primo era lui, naturalmente.
Presumo che spiegare quanto fosse meraviglioso l’AW sarebbe solo uno spreco di tempo. Non capireste. Le armi si amano o no.
Vedete, quando a Jim dissi che quel fucile era la mia naturale estensione, non stavo mentendo: trovare una arma che combacia perfettamente con il soldato è difficilissimo. Ma quando si trova il binomio giusto è come un lungo e felice matrimonio. Con le stesse emozioni.
Riavere un AW tra le mani fu come tornare completo. Non che i miei altri fucili non fossero buoni, ma…non erano l’AW.
“Grazie Jim.” Dissi non appena il fucile fu di nuovo a posto nella custodia. Per una volta fu il mio turno di prenderlo contropiede con un bacio che lasciò entrambi senza fiato.
Cosa mi stava passando per la testa era molto semplice: riavere il fucile e ripensare alla guerra mi stavano facendo ribollire il sangue.
E visto che sul momento non potevo uccidere nessuno, decisi di convogliare tutto quell’entusiasmo in qualcosa di altrettanto soddisfacente.
Spinsi Jim contro il muro della cucina e continuai a baciarlo. Sangue e sesso: è facile farmi perdere la testa.
Ero in ginocchio, deciso a slacciare la stramaledettissima cinta di Jim che non voleva farsi slacciare, quando Irene ci degnò dell’ennesima noiosissima visita.
Forse Jim se l’aspettava perché fu lui a riceverla, differentemente dalla quotidiana prassi.
“Perdonami se non ti ho ancora augurato un felice anno nuovo, James.” Commentò Irene. Ipocrita, era quasi finito Gennaio, che senso aveva?
“Non preoccuparti, eri ufficialmente morta. Quale morto manda messaggi o fa telefonate?”
C’era palesemente qualcosa che mi sfuggiva, perché Jim la stava accusando e Irene sembrava colpevole.
“Ah, Sebastian.” Esclamò vedendomi. Mi venne vicino e mi posò un bacio sulla guancia, lasciandomi una traccia di rossetto. Da quando tentare di ingraziarsi il boia era una mossa intelligente? E, soprattutto, da quando mi chiamava per nome? “Spero tu stia bene.”
“Naturalmente. Grazie miss Adler.” L’allontanai da me con fermezza.
Jim la guidò nel suo studio prima che potesse continuare quel teatrino.
Prima di scomparire nella stanza, Irene si fermò sulla soglia e mi lanciò un sorriso sghembo. “Vedo che avevo ragione: vi mettete davvero in ginocchio.”
Scomparve prima che potessi replicare. Da cosa lo aveva capito? Dalle pieghe dei miei pantaloni? Dalla polvere sul tessuto all’altezza delle ginocchia?
Almeno se ne andò via presto. Fu un colloquio breve, troppo breve.
“Che diavolo voleva questa volta?”
“Voleva il mio permesso per tornare in vita.” Jim ridacchiò. “O meglio: il mio perdono per esserlo già tornata.”
Tornata ufficialmente in vita, Irene fece leva sull’infatuazione di Sherlock per lei. No, devo essere onesto: era lei ad essersi infatuata. Ma non me la sento di giudicarla.
Sono pur sempre quello che divideva il letto con Jim Moriarty.
In ogni caso non è rilevante chi fosse infatuato di chi: Jim ottenne quello che voleva.
Ma quella nostra vittoria, non lo fu per Irene. Ah, no. Irene giocò con il fuoco e rimase bruciata.
 
 
 
 
 
Il campanello suonò e io mi costrinsi ad alzarmi dal letto ed andare ad aprire. Era dannatamente presto e Jim era uscito prima dell’alba, svegliandomi per dirmelo. Era una di quelle giornate in cui dormire era assolutamente fuori questione.
Aprì la porta trovandomi di fronte Irene.
“Miss Adler.” Commentai quasi sorpreso.
“Sebastian, accogli tutti i clienti a petto nudo?” mi chiese inarcando un sopracciglio.
“Quelli che mi buttano giù dal letto si.” Borbottai di rimando.”Prego.” la feci accomodare, per quanto fosse inutile quel gesto. Irene era di casa nel nostro appartamento. “James è fuori.”
“Meglio.”
Quel commento mi insospettì. Finalmente mi accorsi che Irene non aveva la sua solita spavalderia, né la solita cura per il suo aspetto.
“Accomodatevi, miss Adler.” Le indicai una delle poltrone.
“Chiamami Irene.”  Disse velocemente, interrompendo il mio discorso a metà.
La studiai per un secondo, indeciso se passare ai termini di primo nome con quella donna oppure no. Se Jim si era fidato abbastanza, potevo farlo anche io.
“Come volete voi, Irene.”
Cercò di convincermi anche a darle del tu, ma sarebbe stato troppo.
“Mi metto qualcosa addosso e mi dite quale problema avete.”
La sentii ridacchiare mentre mi ero in camera. “Come fate a sapere che ho un problema?”
Le risposi una volta tornato in soggiorno. “Perché o siete venuta qui per affari o per problemi. Non credo abbiate nulla che interessi a Jim, ora come ora.”
Irene curvò le labbra in un sorriso tirato poi prese un profondo respiro e parlò. “Sherlock ha scoperto la password del mio cellulare: ora Mycroft ha tutto ciò che c’è dentro.”
La guardai un secondo prima di dovermi tappare la bocca con la mano per impedirmi di scoppiare a ridere. “Capisco perché è un bene che Jim non ci sia!” scossi la testa. “Siete fottutamente fortunata.”
Ovviamente Irene non era l’unica ad essere nei guai: con quel telefono in mano, il governo britannico sarebbe potuto risalire anche a Jim con un po’ di impegno.
“Ho bisogno di scomparire, Sebastian.” Una nota di agitazione le incrinò la voce. “Non ho quei marmocchi di Scotland Yard alle calcagna, ma il governo.”
“E anche Jim,” le ricordai. “Voi volete che vi aiuti a scomparire anche dal nostro stesso radar. Pensate davvero che possa aiutarvi?”
Irene era dolorosamente consapevole della situazione in cui si era cacciata.
“Ne va della mia vita.” Ripeté solenne.
“Oh, lo so.” Decisi di assecondarla, di ascoltarla. Mi sedetti a mia volta, nella poltrona dove non molto tempo prima si era seduto Jim per parlare con la stessa donna.
“Fate la vostra offerta, quindi.” La invitai con un gesto della mano.
“Oh, così che poi voi possiate bocciarla e offrirmi meno della metà di quello che vi ho chiesto?” Irene arrossì di rabbia, ma non si scompose.
“Sapete come funziona, cara Irene.” Le ricordai con tono suadente. “Lo sapevate anche prima di venire qui, ma siete venuta comunque.”
Irene prese un profondo respiro e si aggiustò la gonna, che non le sarebbe arrivata alle ginocchia neanche se avesse tirato il tessuto per l’intera giornata.
“Datemi un biglietto per qualche posto sperduto, un contatto per trovare una sistemazione sicura e cancellate le mie tracce.”
Risi sgarbatamente. “Avete un sito al limite del porno e un account twitter con pochi followers, ma molti accaniti e fedeli lettori e dovremmo cancellare le vostre tracce?”
Avevo visto il sito di Irene, oh se lo avevo visto. Fortunatamente Jim non era in casa in quel momento; sarebbe stato così difficile spiegargli perché i pantaloni erano diventati troppo stretti per i miei gusti.
“Come pensate possa lavorare se chiudo ogni forma di contatto con i miei clienti?” chiese scandalizzata.
“Dovete scordarvi di lavorare, finché avrete anche solo un cliente, chiunque potrà sapere dove siete, dominatrix.”
Dal modo in cui strinse le labbra capii che  avrei dovuto chiamare qualcuno per chiudere il sito e l’account twitter di Irene cancellando ogni traccia telematica.
“Allora, mi aiuterete?” chiese con urgenza. Sperai che la porta si aprisse e che Jim si unisse a noi, sarebbe stato così divertente!
“Ho una proposta migliore.” Sorrisi gustandomi il lampo di preoccupazione che le attraversò gli occhi. “Vi fornisco il biglietto e vi faccio sparire dalla circolazione. Ma niente protezione o contatti: vi do un paio di giorni per muovermi come preferite e poi…” feci una pausa e mi strinsi nelle spalle. “Poi inizia la caccia.”
Irene fu sul punto di alzarsi, ma strinse i braccioli e rimase al suo posto. Sapeva di non poter sperare in nulla di meglio con Jim contro.
“Non fate quella faccia, Irene.”
“Sta bene, accetto.” Tagliò corto. Tolto il dente, tolto il dolore.
“Benissimo. Preferenze sulla destinazione?” mi informai divertito. Iniziavo a capire come si potesse sentire Jim nel riuscire a battere quella donna al suo stesso gioco.
Irene sembrò leggermi nel pensiero. “Capisco perché James ha scelto te.” Improvvisamente tornò padrona di se stessa: il tono vellutato, il sorriso accattivante, le movenze seducenti. “Guardati: stai diventando come lui.”
E improvvisamente il cacciatore era diventato la preda, fantastico.
“Non sto diventando come James.” Le feci presente con educazione.
“Invece si.” Irene continuò con assoluta calma. “Parlate allo stesso modo, gesticoli come fa lui, per quanto non ancora in modo altrettanto nervoso, e inizi a pensare come lui.” Mi guardò quasi con compassione. Non scorderò mai quell’occhiata e come mi fece sentire un bambino indifeso. “Ti sta plasmando per benino.”
Se voleva insultarmi c’era riuscita in pieno.
“Irene c’è una cosa che non devi mai, mai scordare.” Le dissi piano guardandola dritta negli occhi. “Io non sono James. Sono la persona più lontana da lui che ci sia in questo mondo: agisco prima di pensare, seguo l’istinto senza pensare alle conseguenze. E soprattutto io non ho alcun problema nel sporcarmi le mani.”
Irene reclinò appena la testa, gentilmente, in un gesto così dannatamente femminile. “Non essere così sgarbato, Sebastian. La mia era solo una osservazione oggettiva. Non pensavo ti facesse arrabbiare. Ero convinta che tu fossi molto più consapevole del tuo rapporto con Jim.”
“Rispetto a chi?” sbuffai indispettito. Non so se odiare è un aggettivo che riesce bene a spiegare i miei sentimenti nei confronti di Irene.
“Rispetto a Sherlock e John.” Lei ridacchiò. “Ho avuto una deliziosa conversazione con il dottore riguardo a come nega l’evidenza del suo rapporto con Sherlock.”
Ora anche Irene vedeva i paralleli tra me e il dottore, sempre più fantastico. Davvero, ero sul punto di cacciarla via. Gettandola dalla finestra.
“Io non nego proprio niente.” Ribattei amaramente. Anche perché era il gossip del secolo per il mondo criminale, temo.
“Non vedo perché dovresti.” Irene si strinse nelle spalle.
“In ogni caso, andare a letto con Jim ed essere plasmati a sua immagine e somiglianza non è la stessa cosa.”
“Ma non è solo andarci a letto.” Precisò Irene con una delicatezza del tutto fuori luogo. “E’ viverci insieme, è respirare la stessa aria, è vedere lo stesso mondo, parlare la stessa lingua, compiere gli stessi gesti.” Scosse la testa, assorta in qualche pensiero profondo che la fece sembrare distante per qualche secondo. “Non ti è mai capitato, Sebastian? Di stare accanto a lui e voler essere lui, anche solo per un minuto, sapere cosa c’è nella sua testa davvero?”
Evitai di dirle che era per un ragionamento del genere che mi ero ritrovato in quella posizione.
“E’ capitato.” Commentai atono.
“E’ così frustante, vero? Questo perenne desiderio di capire che ti porta ad essere come lui…”
Inarcai un sopracciglio. “Irene.” Forse stavo capendo come stavano le cose. “Voi state cercando di essere come Jim, è per questo che vi detesta così tanto?”
Irene rise e si alzò, mi porse la mano. “Non metteteci troppo a trovarmi quel biglietto.”
Furono le ultime parole che sentii da Irene Adler prima della tragedia che ci aspettava dietro l’angolo ad un paio di mesi di distanza.
 


 
 
 
 
 
  
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