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Autore: Sacchan    06/05/2012    3 recensioni
"Chiedete in giro di Sebastian Moran e se siete fortunati scoprirete che mi hanno cacciato dall'esercito -nessun congedo per merito o per motivi medici, no signore, proprio cacciato- e se siete bravi, e ovviamente avete in tasca un bel po 'di soldi, vi diranno che sono il miglior cecchino in circolazione." La storia di Sebastian Moran, la sua convivenza con la mente criminale più pericolosa d'Inghilterra, il suo ruolo nel gioco tra Moriarty e Holmes. Tutto rigorosamente narrato dal diretto interessato.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Jim Moriarty
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VI. THE HOUNDS OF BASKERVILLE

 


No.
Mettiamolo subito in chiaro:  io e Jim non c’entrammo assolutamente con la storia del mastino nella brughiera.  Eravamo impegnati in ben altro.
Mente Sherlock Holmes e il suo fidato blogger andavano in giro per boschi, noi iniziammo a tessere la ragnatela della trappola definitiva.
In realtà fu un bene che fossero entrambi fuori città, non avemmo scocciature.
Niente Irene, niente Sherlock… nessuno a dirci cosa fare o a metterci i bastoni fra le ruote.
Quello si che fu Natale, gente.
Londra non fu mai più bella e pericolosa.
C’era un fremito nell’aria in quei giorni: una elettricità tutta nuova. Non solo io e Jim, ma tutto il crimine londinese sembrava godersi quell’ora d’aria buona.
Fu un regno breve, certo, ma fu un gran bel regno.
Le scartoffie si moltiplicarono, dovendo schedare tutto quello che stava succedendo, ma era un effetto collaterale che non guastò il nostro buon umore.
Jim iniziò anche a fischiettare, allegro come una rondine di primavera, mentre lavorava: conti da saldare, istruzioni da dare, nemici da ricattare. Sembrava realmente felice.
Si dice che di solito quando si tocca il fondo non c’è che la risalita, no? Beh, dovevamo capire che il discorso vale anche al contrario: toccato l’apice non si può che precipitare giù, giù e giù, in caduta libera.
Ma non ci importava. Londra era nostra.
La grande sinfonia di apertura all’ultimo atto. Grandiosa.
Probabilmente, Scotland Yard nemmeno se è accorta di quello che stava succedendo. Avranno pensato che gli arrivavano solo un po’ troppi allarmi. Non che tutti i criminali di Londra avessero capito che la città era libera e che quello che era il giusto momento per colpire.
Mi immagino quanta gente abbia chiamato Sherlock Holmes solo per sentirsi rispondere la segreteria telefonica e che, quindi, abbia rinunciato a risolvere qualsiasi problema gli                   .
Racimolammo più denaro in quel breve periodo che negli ultimi mesi. Tanto chi avrebbe controllato il flusso di denaro se non glielo faceva presente il caro detective?
Si, fidatevi del vostro Sebastian: senza Sherlock Holmes la polizia inglese non ricaverebbe un ragno dal buco per le questioni veramente veramente importanti.
Acciuffare un rapinatore di banche? Certo.
Acciuffare un ladro d’appartamento? Certo.
Acciuffare un rapinatore di gioiellerie inviato da Moriarty? No.
Acciuffare un cecchino mandato ad assassinare gente apparentemente senza legami? Ci hanno provato e hanno fallito.
Come ho sempre sostenuto: ci provano, non è colpa loro.
Un bel giorno Jim mi chiamò nel suo studio, con un tono così duro e serio che mi chiesi subito cosa avesse potuto gustare il suo buon umore.
“Siediti, Sebastian.” Mi ordinò e io ubbidì.
Dove c’era stata la pianta di Londra con i segni delle posizioni degli ostaggi, c’era un murales di foto, collegate tutte ad una unica foto centrale. Non riconobbi nemmeno una persona di quelle ritratte. Non era un buon segno.
“Come ben sai Sherlock Holmes è da qualche parte a caccia di qualche strano cane…”
Roteai gli occhi e sbuffai. Stava per iniziare un lungo, lunghissimo discorso che avrei seguito a metà –pentendomene non appena la situazione si fosse fatta un poco più complicata- e della metà seguita avrei capito meno della metà perché solo Jim poteva capirsi in quei discorsi.
“…quindi è questo il momento per iniziare a preparare il terreno per il nostro scontro finale.”
Per ora era semplice e annuii.
“Voglio che sia uno scontro in grado di cambiare la storia. Ma che sia anche definitivo. E’ giunto il momento di mettere in chiaro le cose; voglio mettere alla prova Sherlock Holmes.  E voglio metterlo in ginocchio, dimostrargli che, qualsiasi sforzo faccia, non riuscirà mai ad eguagliarmi. Si ostina a fregiarsi di titoli che non gli competono, a bearsi dell’adorazione della stolta massa. Lo chiamano genio, quando si limita ad improvvisare. Ma il beneficio del dubbio si da a tutti: Sherlock potrebbe anche rivelarsi migliore di quello che credevo, un vero genio.  Voglio dargli modo per dimostrarmi di valere qualcosa, di essere alla mia altezza”
Jim aveva iniziato a fare avanti e indietro, facendomi venire il mal di mare. Mi alzai, lo bloccai prendendolo per le spalle. “Sta fermo.” Gli ordinai bruscamente. Mi guardò annoiato, ma almeno non riprese a camminare. “Va avanti.”
“Abbiamo un problema, io e Sherlock. Io mi sforzo così tanto per avere questa città nelle mie mani e lui tenta, ripetutamente, di far sì che la città dorma sonni tranquilli. E’ la sua intelligenza che sfida la mia. Il problema finale: chi è più intelligente? Chi merita di avere tutta la gloria? Non fare quella faccia, Sebastian. E’ una questione seria. Sherlock sta diventando fastidioso e il mondo sembra averlo eletto a suo impavido eroe. Ebbene, non esiste eroe che non abbia affrontato imprese al limite dell’impossibile. E chi meglio di me può procurargliela?”
Iniziavo a sentire solo un brusio indistinto, totalmente sconfitto da tutte quelle parolone.
“La cosa che davvero, davvero, mette a dura prova i miei nervi è sentire la gente che lo osanna, che rimane affascinata dal suo intelletto, dalla sua scienza della deduzione. Se conoscessero me cosa farebbero? Getterebbero tappeti rossi e petali di rosa dove passo e mi sventolerebbero foglie di palma per ripararmi dal sole che si scorda di splendere su Londra? Ma la gente è anche molto volubile e il suo consenso è così difficile da mantenere…I l minimo dubbio sulla integrità di Sherlock e tutto si sgretolerebbe più facilmente che un castello di sabbia. Una sola cosa so per assolutamente certa: Sherlock è particolarmente sensibile quando si parla della sua intelligenza. E’ tutto ciò che è, senza la sua intelligenza sarebbe nulla. Ed è lì che voglio colpirlo. Voglio fargli terra bruciata, convincere il mondo –e perfino lui- che tutta la sua intelligenza non è altro ch una messa in scena. Se voglio distruggere Sherlock Holmes, devo distruggere la sua intelligenza.”
Ascoltai più o meno, sapendo che in realtà quel discorso si sarebbe potuto applicare anche a Jim. Quella consapevolezza mi fece rabbrividire. Mi chiesi quanti danni collaterali avesse quel semplice principio di base. E se distruggere la reputazione di Jim sarebbe stato altrettanto facile. O se distruggere quella di Sherlock avrebbe irrimediabilmente distrutto anche quella di Jim. Problematiche che sembravano interessare solo a me, comunque.
“Tu sei pazzo.” Tagliai corto, perché non sarei mai riuscito a replicare ad un discorso seguito malamente. “Possiamo arrivare alla parte in cui mi spieghi cosa diavolo sono quelle?” domandai indicando il murale di foto.
Jim mi lanciò un occhiata di disprezzo per aver interrotto il suo lungo discorso, ma oramai non aveva più molto effetto. Non quando non c’era nessun reale pericolo che si arrabbiasse.
“Rovini sempre il divertimento, Sebastian.” Ci tenne a farmi sapere e io mi strinsi nelle spalle, oramai abituato. “Quelle foto sono la parte più lunga del piano.” Mi avvertì “Devo crearmi una nuova identità.” No, non era delle cose più strane che Jim avesse fatto. “L’uomo qui ritratto è Richard Brook” indicò la figura al centro; un uomo che avrà avuto più o meno la mia età o quella di Jim. “E’ deceduto qualche mese fa per motivi che sono quanto mai irrilevanti. Queste altre foto ritraggono le persone più vicine a lui: la sorella, il fratello, la cognata vedova, la madre, il padre, qualche amico…” in realtà non erano molte persone. Ebbi l’impressione che Richard Brook fosse alquanto solo.
“Ho intenzione di assumere l’identità di Richard Brook. E’ morto da relativamente poco e, per quanto sia contraddittorio, eliminare un certificato di morte è più facile che creare un certificato di nascita. Senza contare che così non c’è il problema di creare un background credibile.”
Rimanemmo in silenzio per un lungo momento, guardandoci.
“Forza, spara.” Sbuffò Jim. “Fai uno dei tuoi insulsi commenti, sempre fuori luogo e sprezzanti.”
Sorrisi perché ebbi l’impressione che Jim si fosse abituato ai miei modi. Probabilmente non ero il solo a farsi influenzare dalla nostra convivenza.
“Okay, i morti non si lamentano, è un dato di fatto, ma i vivi rompono le palle.” Indicai le foto dei famigliari. “Se tu assumi l’identità di Richard loro ci rimarranno molto, molto male.”
“Per questo è la parte più lunga del piano.” Jim si strinse nelle spalle. “Queste persone vanno corrotte o ridotte al silenzio.”
“Ah, la cara e vecchia corruzione.” Mormorai affascinato. “Giochiamo a fare i buoni sammaritani?”
“No, non direi. Tu giocherai a fare il genio della lampada ed esaudirai i loro desideri finché non terranno la bocca chiusa.”
Quel piano ci sarebbe costato un bel po’, valutai mentalmente.
“Aspetta!” esclamai. “Io? Devo farlo io?”
“E chi altri, se no?” Jim sembrò così sorpreso della mia reazione. “Sei il mio braccio destro, Sebastian. Questo lavoro è troppo importante: se qualcosa va storto, ci rimetto direttamente. Non mi fido di nessun altro.”
Quando Jim usava quelle parole –fiducia e robe simili- avevo sempre voglia di scappare. Quando il Diavolo si fida di te, deluderlo vuol dire avere l’inferno alle calcagna.
“Quando sarò Richard Brook voglio essere sicuro di non correre rischi.” Mi prese il mento con una mano e mi alzò il viso. In quei momenti non mi piaceva guardare Jim negli occhi perché potevo vedere l’orrore di cui era capace. Motivo per cui non ho mai avuto un grosso rapporto con gli specchi.
“Stammi bene a sentire, Sebastian, molto bene: se sbagli qualcosa io sono fottuto. Per tutto il tempo che sarò Richard Brook ti affido Jim Moriarty.”
Ah, era come se mi avesse affidato il mondo. Ma un modo in fiamme che sarebbe potuto sfuggirmi di mano in qualsiasi istante. Fui lusingato e terrorizzato insieme.
“Si, capo.” Dissi semplicemente. Perché infondo le cose stavano già in quel modo da quando avevo accettato quel lavoro.
Restammo di nuovo in silenzio e sperai che mi baciasse. Desideravo baciarlo come non mi era ancora capitato: come se un bacio potesse suggellare quel patto con il Diavolo.
Non mi baciò e io non ci provai nemmeno.
“Inizierei dalla sorella e dalla madre.” Mi suggerì Jim indicando due donne che si assomigliavano parecchio, tranne che per il naso e l’arcato sopraccigliare. “Ma prima Sebastian, dobbiamo andare a fare shopping.”
“Non il tipo di shopping che piace a me, vero?”
Generalmente non odio fare compre, ma fare shopping con Jim significava spendere almeno quattro ore alla ricerca dell’abito perfetto nei migliori atelier. Se fosse stato solo un altro pomeriggio passato ad aspettare che Jim scegliesse i vestiti sarebbe andato bene, ma fui costretto a provare abiti.
Un numero indecente di abiti.
Seriamente, avremo passato almeno quattro ore in cerca del mio abito. E mentre io facevo avanti e indietro dal camerino, Jim si lamentava anche di quanto ci stessimo mettendo, rimanendo tranquillamente seduto su un divanetto fuori dai camerini.
Come se fosse colpa mia se sembro –e sono sempre sembrato- ridicolo con un completo elegante addosso.
Per me potevo anche prendere il primo vestito provato.
“Ancora non mi hai detto perché devo trovarmi un nuovo abito. Non vanno bene quelli che ho?” gli chiesi sistemandomi la cravatta.
“Quelli che hai sono stracci da pochi soldi.” Rispose lui scocciato. “No, no, no, Sebastian, neanche questo va bene.” Decise dopo una breve occhiata.
“Cosa ha questo che non va?!” sbuffai. “L’hai scelto tu!”
“Ti fa sembrare un pinguino.” Commentò lui neutro. “E più basso di quello che sei realmente.”
Ubbidiente cambiai abito. Probabilmente se non fossimo stati clienti privilegiati, la povera commessa ci avrebbe già fatto fuori. Probabilmente stava progettando di cavarci gli occhi con le unghie e io le avrei dato volentieri una mano.
All’ennesimo vestito, finalmente ottenni un commento positivo.
Appena mi vide, Jim concentrò tutta l’attenzione su di me, senza perdere subito interesse.
“Fermo lì.” Mi ordinò. Squadrò me e il mio riflesso, si alzò, mi girò intorno e finalmente annuì soddisfatto. “Abbiamo trovato il tuo colore Sebastian! A quanto pare il fumo di Londra ti dona e parecchio.” Sistemò la mia cravatta, lisciò le pieghe della giacca, soddisfatto di come apparivo.
“James, un bel vestito non è così importante…”
“Invece sì, lo sai benissimo. L’abito determina la reazione che la gente avrà vedendoti.”
“Mettere un bell’abito addosso a me è come nascondere la polvere sotto il tappeto e sperare che nessuno se ne accorga.”
Jim scosse la testa divertito. “Sembri un’altra persona, fidati di me.”
Non che avessi molte scelte.
“Si, lo prendiamo.” Decretò infine dopo un altro breve studio della mia figura.
“Comunque il grigio non va bene, dobbiamo trovarne uno nero, torna in camerino.”
Prima che potessi protestare, mi spinse verso il camerino con tutta la non gentilezza di cui era capace.
“E perché deve essere per forza nero?” sbuffai mentre mi cambiavo per l’ennesima volta.
“Perché andiamo a vedere l’opera.” Rispose Jim annoiato.
“L’opera?” la sola idea m faceva star peggio che una intera giornata passata a provare vestiti su vestiti. Ma mi feci coraggio: non c’era modo di scamparla.

 

 
 
Passò qualche giorno, tutto tacque in attesa di un momento favorevole per riprendere l’azione.
“Sebastian.” Jim entrò in camera mia –senza bussare o usare altri gesti ritenuti educati- mentre stavo pulendo la browning. Il che implicava che ero seduto sul bordo del letto circondato da pezzi di ferraglia. “Cosa è questa confusione?”
“Sta zitto.” Lo ammonì senza degnarlo di uno sguardo. Visto che praticamente affido la mia vita alle mie armi, prendermi cura di loro è un’operazione basilare.
“Ti sei svegliato con il piede sbagliato?” mi domandò Jim piazzandosi di fronte a me.
“No,anzi, mi sono svegliato come la bella addormentata: riposato e con un bel bacio.”
Non disse nulla per un lungo momento e io continuai la manutenzione, ma quel silenzio divenne presto così fastidioso che alzai gli occhi verso di lui. “Che c’è.”
“Devi fare un lavoro.” La classica frase di routine.
“Devo portarmi la pistola o i fucili?” altra frase di routine.
“Nessuno dei due.” Dalla tasca interna della giacca tirò fuori una anonima busta bianca, il formato standard smistato dalle celeri poste della nostra adorata regina. “Devi consegnare questa.”
“A chi?” misi a posto i pezzi della pistola velocemente: se c’era un lavoro da fare, non avevo tempo per i miei giocattolini.
“Anthea.” Disse con un grosso sorriso appena presi la busta. “E’ un messaggio per Mycroft.”
“Non puoi semplicemente chiamarlo?” sbuffai scocciato. L’idea di rivedere Anthea non mi entusiasmava affatto: non volevo passare per l’idiota di turno un’altra volta.
“E’ una consegna, non un semplice messaggio.” Ribadì Jim con calma.
“E come la trovo Anthea, di grazia?”
“Ah, sicuramente ti troverà lei.”
Uscii e mezz’ora dopo individuai l’anonima macchina di Anthea parcheggiata lungo la strada, ma non mi avrebbero convinto che non erano nell’automobile nemmeno se fosse stata vuota, sia chiaro.
Bussai al finestrino con colpi precisi, aspettando poi che comparisse Anthea.
“Ciao bellezza” la salutai con un grosso sorrisone.
“Sebastian.” Mi salutò lei a sua volta, ma niente sorriso.
“Che c’è non mi fai salire in macchina, sta volta?” la punzecchiai cercando di prendermi tutto il vantaggio il prima possibile.
“Non vedo perché.” Scrisse qualcosa sul blackberry e mi immaginai che avesse appena avvertito Mycroft del nostro piccolo incontro.
“Ho una consegna per il tuo capo.” L’avvertii tirando fuori la busta; gliela mostrai, ma la tenni ben stretta.
“Di cosa si tratta?” domandò guardinga. Studiò la busta, in palese cerca di qualche segno di troppo che significasse pericolo.
“Ah non chiederlo a me!” esclamai. “Jim non me l’ha detto.” Mi strinsi nelle spalle.
“Non ti annoia non sapere assolutamente nulla di quello che il professore combina?” sembrò particolarmente seria nel porgermi quel quesito.
Naturalmente lo ero e iniziavo a chiedermi quanti piani Jim mi tenesse nascosti.
“A te non scoppia la testa nel tenere informato ventiquattro ore su ventiquattro il caro Mycroft?”
Chissà, magari Anthea aveva qualche nano macchina o microchip nel cervello per l’archiviazione dei dati. E’ una eventualità che non mi sento di scartare, non del tutto.
“D’accordo, consegnerò la busta.” Decise infine, forse perché mentre ci punzecchiavamo aveva ricevuto l’okay dal diretto interessato.
“Meraviglioso!” le porsi la busta e le sorrisi di nuovo. “Fai attenzione mentre gironzoli per Londra.”
Anthea mi ignorò e richiuse il finestrino, interrompendo ogni comunicazione con me.
Era andata meglio del previsto.
Come Anthea aveva ben sottolineato non avevo la più pallida idea di cosa ci fosse nella busta. Poteva esserci un foglio con una sola lettera o un foglio con una piena confessione di tutti i crimini di Jim. Poteva esserci di tutto.
Capii cosa ci fosse davvero quando era troppo tardi.
Come ho detto, Jim mi aveva annunciato che saremmo andati a vedere l’opera- per l’esattezza il Don Giovanni- e i biglietti erano stato acquistati da un bel po’ di tempo.
Quella sera eravamo entrambi vestiti di tutto punto, più simili a due pinguini che a due criminali.
Ammetto che ero agitato perché non sapevo se era una uscita di piacere o di lavoro, qualcosa mi diceva che non stavamo semplicemente andando all’opera. I miei sensi da cacciatore non la smettevano di farmi cercare il pelo nell’uovo.
E per fortuna.
“Chop ci sta aspettando in strada.” Annunciò Jim chiudendo il polsino della camicia. “Datti una mossa Sebastian. “
“Arrivo, arrivo!” mi infilai di corsa la giacca – a me non interessava minimamente essere impeccabile per la serata- e affiancai Jim.
“Prendi i biglietti.” mi ricordò aprendo la porta.
Fu quando presi i biglietti che mi accorsi di cosa non andava.
“Non siamo seduti nella stessa fila?”
Stupido io che l’avevo dato per scontato, ovviamente.
“Ah no.” Rispose come se si fosse ricordato solo in quel momento di quella svista. “Non siamo soli.”
“Non dirmelo.” Sbottai scuotendo la testa e uscendo dall’appartamento. “Mycroft sarà dei nostri, vero?” Volete sapere come c’ero arrivato? Avevano lo stesso spessore e peso della busta che avevo consegnato ad Anthea.
“Che c’è, sei arrabbiato?” Jim sbuffò e si richiuse la porta alle spalle. “Non pensavo fosse un dettaglio degno di nota.”
“Infatti ti ho detto di non dirmelo.” Ribattei salutando Chop con  un  cenno della mano e salendo in macchina.
“Sei sempre così drammatico, Sebastian. Mi chiedo perché non mi libero di te semplicemente.”
“E’ una ottima domanda.”
Almeno sapevo dov’era la fregatura. E in fondo ero curioso di conoscere di persona Mycroft Holmes, non avendo avuto il piacere di conoscere il fratellino minore. Avevo la sensazione come se ciò potesse aiutarmi nel capire Jim perché avevo ancora tante cose da imparare, nonostante fosse passato più di un anno.
In teatro, però, non ci stava aspettando solo Mycroft Holmes, no signore. Era in dolce compagnia.
Mentre Jim e Mycroft si salutavano come se fossero vecchi compagni di scuola e non due moderni Lupin e Zenigata, io non staccai gli occhi di dosso ad Anthea.
L’abito da sera la fasciava che era una meraviglia e con i capelli tirati su era anche più bella. Sembrava a suo perfetto agio in quell’ambiente, a differenza del sottoscritto.
“Anthea, è sempre un piacere.” La salutò Jim con un tatto che Irene Adler si sarebbe potuta solo sognare.
“Professore, presumo di doverla ringraziare per la serata.”
“Non ce ne è bisogno.”
“Lei deve essere il Colonnello Moran.” Si intromise Mycroft Holmes, risparmiandoci da un ulteriore scambio di convenevoli tra Jim e Anthea.
“Signor Holmes.” Lo salutai con rigore militare stringendogli la mano. Criminale o no, un rappresentante del governo è un rappresentante del governo. Ed è meglio non farli arrabbiare, quelli del governo, se vuoi continuare con le tue piccole azioni criminali.
“Ammetto che perdere un talento come il suo è stato un vero colpo per la milizia britannica.” Commentò e Anthea nascose a malapena un sorrisetto divertito.
“Non si preoccupi signore. Ho trovato altri impieghi.” Replicai consapevole che il messaggio sarebbe stato recepito meravigliosamente.
Iniziavo a trovare divertente rivolgermi alle persone per allusioni.
Intorno a noi la gente iniziò a muoversi, rumorosa e ignara, segno che mancava poco all’inizio dell’opera.
“Dopo di te, James.”
Jim e Mycroft si allontanarono senza degnare né me né Anthea di un altro sguardo. Era assolutamente meraviglioso essere sicuro di essere di troppo in quel luogo.
“Questo mi fa presumere che sia tu il mio cavaliere per la serata.” Commentò atona Anthea.
“Temo di si, dolcezza.” Le sorrisi perché eravamo in due ad essere di troppo. Le offrì il braccio. “Poteva andarci peggio.”
“Non vedo come.” Replicò lei alzando gli occhi al cielo.
“Potevo essere un drago o una tarantola o che ne so, un pericoloso assassino.” Ironizzai.
“Molto divertente.” Commentò lei cercando di nascondere il grosso sorriso che ero riuscito a strapparle.
La platea era già piena di gente e di rumore, cosa che mi rassicurò in parte. Qualsiasi cosa Jim avesse in mente –perché palesemente aveva qualcosa in mente- avrei sempre avuto un bel po’ di gente da usare come scudo.
A partire dalla mia dama, che si sedette elegantemente nella poltroncina, confondendosi tra gli altri spettatori.
Riflettei: probabilmente Jim aveva messo in conto che Mycroft, avendo a disposizione due biglietti, avrebbe portato Anthea con sé e che, notando i numeri di posto differenti, avrebbe immaginato che io sarei stato l’altro invitato. Quindi c’era un motivo per cui io e Anthea eravamo seduti così vicini che a fine serata avrei avuto l’odore del suo profumo alle rose sui miei vestiti.
“Come hai fatto a finire al servizio di Mycroft Holmes?” le domandai mentre sfogliavo il programma della serata, totalmente disinteressato.
“E tu come sei finito al servizio di James Moriarty?” mi chiese di rimando togliendosi e rimettendosi l’orecchino destro. Magari era qualche segnale.
“Ho chiesto prima io, devi rispondere.” Ribattei infantile.
“Posso rispondere, ma posso anche mentire.” Mi avvertii docilmente, passando all’altro orecchino. Magari le facevano solo male.
“Non mi interessa se menti, voglio solo fare conversazione.” Le feci presente.
“Allora potresti chiedermi di che segno zodiacale sono o quali sono i miei fiori preferiti, non perché lavoro per Mycroft Holmes.” Mi lanciò un occhiata annoiata.
“Andrò per tentativi se non vuoi rispondermi.” Annunciai quasi divertito da quell’idea.
“Ti rispondo.” a quanto pare la mia minaccia funzionò. “Sono finita a lavorare per Mycroft perché sono abbastanza intelligente da meritarmelo, ecco perché.”
“Tutto qui?” ne rimasi quasi deluso. “Puoi fare di meglio, dolcezza.”
“Sebastian da me non avrai nessuna informazione.” Mi avvertii in un sibilo. “Nulla di nulla, sia chiaro. Non so cosa stia tramando il tuo capo, non so perché tu debba tampinarmi. Ma qualsiasi cosa tu voglia, non l’avrai da me.”
Soprattutto perché non avevo idea di cosa dovessi scoprire.
E sapete cosa?
Decisi che non avrei nemmeno cercato di scoprirlo. Al diavolo Jim e il suo vizio di farmi brancolare nel buio.
“Ho una proposta, dolcezza.” Le passai il braccio intorno alle spalle. “Per una serata, lasciamoli scannare tra di loro. Che si cuociano nel loro brodo. E’ un gioco tutto loro, noi non c’entriamo nulla. Godiamoci la serata e mandiamo al diavolo quei due.”
Anthea mi fissò come se fossi un alieno pazzo venuto da un’altra galassia. Evidentemente non aveva mai lasciato il lavoro da parte in vita sua. Stacanovista.
“Come fai ad essere ancora vivo è un mistero.” Borbottò lei ricomponendosi.
“Lo è, lo è.” Ridacchiai.
Non sprecherò nemmeno mezza riga sullo spettacolo perché a malapena me lo ricordo. Passai più tempo con la testa rivolta verso la balconata dove erano Jim e Mycroft che girato a vedere il palco. Era una ambientazione troppo strana perché fosse una serata normale. Il solo fatto che quei due stessero parlando avrebbe dovuto convincere tutti ad evacuare il teatro.
Non ne poteva venire fuori nulla di buono.
La mia sensazione fu confermata quando non vidi Jim all’intervallo: tutti erano di nuovo nell’atrio del teatro, ma di Jim e Mycroft nemmeno l’ombra. Anthea era preoccupata quanto me, ma entrambi lo nascondevamo benissimo. Lei probabilmente c’era abituata, io non avevo abbastanza pazienza per stare dietro a Jim ogni secondo della giornata.
Quando lo spettacolo finì, eravamo entrambi due fasci di nervi, tesi come corde di violino.
Fui il primo ad individuare l’improponibile accoppiata e a capire che qualcosa non andava. Forse era il modo in cui si muovevano tra la folla senza attirare attenzione, o più semplicemente la leggerissima presa di Mycroft sul braccio di Jim. Abbastanza discreta da non dare nell’occhio, abbastanza sicura per impedire a Jim di andare da qualsiasi parte.
Jim però non sembrava minimamente turbato da quella situazione, anzi, sembrava pronto per una bella passeggiata notturna.
“Credo sia ora di andare, Anthea.” Annunciò Mycroft con naturalezza. “Ah, colonnello, spero lo spettacolo sia stato di suo gradimento.”
“Naturalmente.” Risposi automaticamente, ma non staccai gli occhi di dosso da Jim. Il bastardo non disse una parola. Non una fottuta parola.
Mycroft se lo portò via così, senza che io capissi cosa diavolo stava accadendo.
Quando Chop mi chiese dove fosse Jim, non seppi cosa rispondergli.

 

 
 
Aspettai due giorni.
Due fottutissimi giorni.
Andai nel panico, letteralmente. Capitemi: per un anno e passa la polizia non era mai arrivata alla nostra porta e improvvisamente uscivamo con Mycroft Holmes e Jim veniva portato via.
Ero pronto al peggio -ma sapevo davvero poco di come il peggio sarebbe realmente stato- e quindi non ragionai.
Fu il primo momento in cui mi accorsi quanto importante fosse Jim.
Quanto significasse per me.
Un'altra bella epifania nel racconto della mia vita, ma non ne voglio parlare. Non è da me, pensare a queste cose, dare importanza a queste dinamiche.
Di solito ti fanno finire morto ammazzato.
Così il terzo giorno, decisi di agire. Tenermi occupato, mandare avanti la baracca e i piani senza senso di Jim.
Dallo studio di Jim staccai le foto della signora Brook e della figlioletta: Jim o non Jim c'era del lavoro da fare.
Valutai se portarmi o no la pistola, decidendo che se la corruzione non fosse andata a buon fine, avrei sempre potuto fare fuori tutti. Magari mi sarei divertito a far ricadere su qualche innocente la colpa. Sarebbe stato meraviglioso.
La famiglia Brook viveva appena fuori città, lontano dal caos, ma abbastanza vicino per raggiungere i luoghi di lavoro tutte le santissime mattine. Il lavoro di tutti i giorni non ha mai fatto per me, decisamente. La sola idea di fare ogni giorno gli stessi movimenti mi fa star male. E sono stato nell'esercito, insomma. So quello che dico.
Avevo deciso di non vestirmi in modo troppo formale, ma nemmeno potevo sembrare un pezzente, no? E poi la giacca avrebbe coperto alla perfezione la pistola.
Quindi ero lì, giacca e jeans, di fronte ad una porta senza sapere se la persona per cui stavo facendo quel lavoro sarebbe tornata.
Ah, adoravo la mia vita!
Mi aprì la sorella di Richard e fu sorpresa di vedere un volto nuovo alla porta di casa sua.
"Si?" mi chiese circospetta. Sarebbe dovuta essere a scuola vista l'età, ma dal pessimo colorito immaginai che fosse malata. Sperai che fosse qualcosa di grave, almeno avremmo trovato un accordo molto facilmente e noi ci avremmo fatto la figura dei buoni samaritani davanti a tutti.
"Lena Brook?" chiesi sfoggiando il mio miglior sorriso e porgendole un biglietto da visita. Si, avevo anche un biglietto da visita: un cartoncino color avorio con il mio nome e sotto la generica indicazione J. Moriarty Firm. Potevamo essere uno studio legale o un ente di beneficenza per quanto lasciava intendere il biglietto. "Sebastian Moran. C’è tua madre in casa?” la mia era una domanda retorica.
Lena studiò il bigliettino, tirò su con il naso e chiamò la madre.
“La signora Samantha Brook.” La salutai educatamente stringendole la mano. “Vorrei parlarle di affari.” Potevo scegliere mille approcci diversi per iniziare quel discorso, ma in fin dei conti si trattava solo di affari.
“Affari?” aggrottò le sopracciglia guardandomi neanche fossi un pazzo.
“Si. Sarebbe così gentile da farmi entrare?” tentai con le buone, ma ero prontissimo a tirare fuori la pistola.
“Io…non credo…non credo sia il caso.” Scosse la testa.
“D’accordo.” Ma invece di tirare fuori la pistola aggiunsi. “Devo parlarle di suo figlio Richard. E sono sicuro che non vuole parlarne qui fuori, no?”
Sbiancò, letteralmente, al nome del figlio morto e tentò di chiudermi la porta in faccia, ma la bloccai prima che ci riuscisse.
“Non sono qui per disturbarla, ma per migliorarle la vita se me lo permette. Ho un affare da proporle che va tutto a suo vantaggio.”
E come se fossi stato invitato, entrai in casa. Con le buone o con le cattive, no?
“Se ne vada! O chiamo la polizia!” mi urlò contro Samantha, già lontana.
“No, no, no, no.” Le andai dietro fermandola prima che potesse prendere il telefono. Ci mancava solo che mi arrestassero per una stronzata del genere dopo che per anni l’avevo fatta franca.
“Lasciatemi.” Sibilò cercando di liberarsi dalla mia presa intorno ai suoi polsi, ma non ci riuscì.”Cosa vuole!”
“Parlare di affari.” Ribadì di nuovo, con calma. Ci scrutammo per un lungo istante e sentì Lena avvicinarsi verso di noi con passo in certo. Sperai solo che non avesse una mazza da baseball o roba simile.
“Chi è lei?” sibilò di nuovo, spintonandomi con cattiveria non appena la lasciai libera.
Mi presi un istante per ricompormi e sfoggiare di nuovo un gran bel sorriso.
“Il genio della lampada.” Le dissi semplicemente.
Ci spostammo in soggiorno, Lena si era unita a noi, madre e figlia ancora incerte sul perché ero lì. Mi chiesi se in quel momento stavo avendo su di loro lo stesso effetto che Jim aveva sempre sulle persone. Anche io stavo incutendo una pacifica paura che le costringeva ad ascoltarmi?
“Lavoro per un uomo in possesso di alcuni…mezzi. Un uomo che si è interessato alla vostra situazione. Perdere un figlio è un dramma, ma perderne due è una tragedia.”
“Cosa c’è, siete un ente di volontariato?”
“No, decisamente no.” Ridacchiai perché l’idea di Jim a capo di una organizzazione di volontariato era decisamente comica. “No, signora Brook. Siamo solo un gruppo di persone che fa affari. Affari particolari.”
Descrivere la nostra organizzazione era sempre così dannatamente complicato.
“E che tipo di affari potrebbero coinvolgere mio figlio?” non pronunciò la parola morto, ma riecheggiò comunque nella stanza.
“Vedete...” Tirai fuori dai jeans il pacchetto di sigarette e l’accendino. “Le dispiace se fumo? L’affare che vi propongo è semplice: voi avete qualcosa che serve al mio capo, noi possiamo darvi qualcosa di cui avete bisogno. Qualsiasi cosa. Possiamo esaudire tutti i vostri desideri. E quando dico tutti, intendo tutti.”
“E cosa abbiamo noi che vi possa interessare?” domandò Samantha osservando il biglietto da visita che Lena le aveva appena passato.
“Il mio capo.” E coinquilino e amante, ma non era proprio il caso di dirlo “Ha bisogno, per motivi che non vi interessano, di assumere una nuova identità. Ha scelto quella di vostro figlio Richard e quindi ha mandato me a chiedervi il permesso.”
L’orrore sulle loro facce valse tutti i soldi che avremmo speso per comprarne il silenzio.
“Ma che cazzo…” Sbottò Lena con voce nasale. “Siete uno strafottutissimo pazzo!”
“Fuori da casa mia.” Ordinò Samantha con più autocontrollo. “Ora.” Sibilò con un tono degno di Jim.
“Non sia così precipitosa.” Dissi verso la signora Brook. “Richard è morto, che male può fare se qualcuno usa la sua identità per un paio di giorni?”
“Non può venire in casa mia e…” respirò a fondo. “dirmi che un perfetto sconosciuto vuole prendere l’identità di mio figlio!”
Sbuffai annoiato. Era il momento di tirare fuori la pistola.
“Volevo essere gentile.” Mi lamentai tirando fuori la pistola.  “Può darmi il permesso e fare l’affare della vostra vita, o può rifiutare e raggiungere Richard. Personalmente preferirei sceglieste la seconda opzione: ci prendiamo comunque l’identità di Richard senza sborsare nulla.”
L’ho già detto: una pistola fa miracoli in fatto di persuasione. Solo se chi la usa è serio. E io lo ero.
Lena iniziò a piangere silenziosamente, ma sua madre tenne i nervi ben saldi: drizzò la schiena e mi guardò fisso negli occhi,
“La ascolto.” Solo la voce tradiva tuta la sua paura.
“Bene, iniziamo a ragionare.” A quel punto feci una cosa che il vecchio me –quello cacciato dall’esercito- non avrebbe mai fatto: posai la pistola sul basso tavolo che ci separava. Per fare affari devi fare in modo che la gente si fidi di te anche se ha paura. Certo, una delle due poteva prendere la pistola e spararmi, ne ero consapevole, ma era proprio quello il punto: una fiducia reciproca. Più o meno.
“So che la richiesta è quanto mai singolare, ma l’assicuro che è totalmente innocua.” Beh per quanto qualcosa organizzato da Jim potesse esserlo, ovviamente. “Non faremo nulla che possa danneggiare la memoria di suo figlio. Utilizzeremo l’identità per il tempo strettamente necessario. Siamo disposti a darvi tutto quello che volete.”
Passò una buona mezz’ora di proteste prima che accettassero. Il potere dei soldi è infinito, lo so per esperienza. Non voglio parlare di quanto sganciammo, se ci ripenso mi gira ancora la testa. Fu una cifra così alta che non avevo mai nemmeno pensato a tanti soldi tutti insieme per la stessa famiglia.
Quando uscii da quella casa seppi con certezza che Jim non sarebbe stato per niente contento di come le cose erano andate. Sempre che Jim fosse tornato, sia chiaro.
L’unico lato positivo era che mi ero guadagnato un lavoro: a quanto pare la vedova del fratello morto di Richard aveva voglia di vendetta. Beata donna, mi rese divertente i giorni successivi.
 
 
 
Passò una settimana e io cercai disperatamente –e intendo disperatamente- di tenere la mente occupata.
Completai i lavori della famiglia Brook, ritrovai le tracce di Irene nei pressi di Praga e le misi addosso un paio di mastini giusto per gusto personale. Avevo detto che le avrei dato la caccia e l’avrei fatto.
Con i nostri clienti mi comportai come se tutto andasse alla perfezione, scoprendomi un ottimo bugiardo sotto pressione.
Essere solo nell’appartamento era opprimente.
Andai in paranoia, incapace di concentrarmi realmente su qualcosa che non fosse la mancanza di Jim.
Cercavo di starmene in giro il più possibile, ma quando tornavo a casa e mi rendevo conto che ero ancora solo non riuscivo a darmi pace; e ripetermi che seguire Mycroft doveva essere stata parte del piano –perché razionalmente sapevo che Jim era troppo rilassato quella sera- non servì a nulla.
Anche Chop iniziò a preoccuparsi, per Jim e anche per me, e tenerlo a bada quando ero io il primo fuori di testa fu complicato.
“Sebastian è passata una settimana.” Mi fece notare mentre eravamo bloccati nel traffico. Visto che Jim non c’era, mi ero impossessato del sedile del passeggero invece che sedere sul sedile posteriore solo come un idiota.
“Non me ne ero accorto.” Ribattei seccato e ironico.
“Lavoro per lui da molto più tempo di te.” Replicò con calma ignorando il mio cattivo umore. “Una situazione del genere non si è mai verificata.”
“Certo che no.” Sbuffai. “Non siamo in una situazione normale, stiamo affrontando il problema finale.” Scimmiottai il tono di Jim.
“E comprendeva farsi arrestare?” non sapeva per certo cosa fosse successo, ma era la cosa più probabile –almeno era la versione su cui ci eravamo accordati.
“Io…” scossi la testa. “No, non lo so, Chop. James non mi mette al corrente di tutto.”
Chop rimase in silenzio per un lungo istante, valutando quanto fossi realmente di malumore.
“Tu come stai?” si decise a chiedermi, anche se tentennando. Di tutte le persone che conoscevo era l’unico sinceramente preoccupato per me.
“Sto benissimo.” Peccato che io non volevo assolutamente parlare di ciò che stavo passando.
“Sai che intendo…”
“Sto bene. Un’altra parola e ti sparo, giuro.”
La verità è che non stavo affatto bene.
“Non stai bene.” Insistette lui. “Sei irascibile –più del solito-, sei assolutamente deconcentrato, sei preoccupato.”
“Chop ho la pistola con me.” Lo minacciai aggiungendoci un’occhiataccia.
Lui mi guardò, ma non cedette la sua posizione, aspettando pazientemente una risposta.
Magari con Chop potevo parlarne. Magari dopo mi sarei sentito meglio.
“Che faccio se non torna?” chiesi semplicemente guardando fuori dal finestrino. Non sarei riuscito a dire altro guardando Chop e quella sua stupida faccia piena di comprensione. “Insomma!” sbottai subito dopo infuriato.”Se non torna tu ti trovi qualcun altro a cui fare l’autista e la tua vita continua come prima, Debbie ruberà come al solito, ma io?” Io non sarei mai riuscito a tornare al mio status quo di semplice mercenario.
Ironica la vita, vero?
Se solo allora avessi saputo quanto poco tempo avrei avuto per darmi una risposta, le cose sarebbero andate differentemente.
“E’ così importante per te?”
“E’ tutto.”
Oramai Jim era diventato qualcosa che avevo costantemente sotto pelle, una parte integrante del mio essere. E la lontananza mi stava letteralmente facendo uscire di testa.
Chop non aggiunse altro e la conversazione morì lì. Era stato già abbastanza imbarazzante.
Sentimenti!
Chi diavolo ha bisogno di sentimenti?
L’esempio più calzante per far capire come stavo è dire che iniziavano a mancarmi le nostre partite a scacchi. Ero entrato in uno stato senza pace, ammetto che nei momenti liberi sembravo un povero idiota.
Quando poi Jim tornò per i primi momenti pensai di essermi fottuto definitivamente il cervello e avere le allucinazioni.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, gli andai incontro e gli strappai un bacio.
Accertatomi che era davvero lì, in carne ed ossa, tutto tornò al suo posto, secondo lo schema, compresa la mia sanità mentale.
Lo spinsi contro il muro, ma fui bloccato dal gemito di dolore che ebbi in risposta da parte sua.
“Okay, non posso essere stato io.” Commentai semplicemente allettando la presa sulle sue braccia.
“Non sei stato tu.” Confermò lui
Senza pensarci due volte gli sollevai la maglietta e,beh, capii perché gli avevo fatto male. Era pieno di lividi, ematomi e tagli. Non ci voleva molto a capire che diavolo fosse successo.
"Erano parte del piano anche questi?" sbottai poco gentilmente. Si, forse avrei dovuto usare un po' più di tatto, ma non ci pensai nemmeno.
"Si, direi di si." commentò Jim neutro. "Avevo messo in conto che potessero malmenarmi per avere delle informazioni."
Per esperienza personale so che essere davvero malmenati non è mai come averlo messo in conto. Quando ti picchiano fa male sul serio.
"Le hanno avute?" chiesi atono e cauto.
"Ovvio che no, Sebastian!" esclamò lui quasi offeso. Si allontanò da me risistemandosi la maglia e si avviò verso il bagno. "Ho tenuto la bocca ben chiusa e a parlare sono stati loro. Esattamente come voleva il mio piano. Ho bisogno di un bagno caldo."
"Già il tuo geniale piano." esclamai ironico. "Quello di cui non mi hai detto nemmeno una parola!" aggiunsi piuttosto frustrato. Afferrai Jim per le spalle e gli diedi una bella scrollata. "Hai idea di cosa è successo questa fottuta settimana perché tu non mi hai detto che cosa diavolo avevi in mente?" avevo iniziato ad urlare senza volerlo. Non avevo passato delle buone giornate e si vedeva. "Chop si è preoccupato, a malapena sono riuscito a concludere i contratti che c'erano da concludere, ho dovuto fare di testa mia con la famiglia Brook. Tutto questo senza neanche sapere se saresti tornato!" lo lasciai andare, spintonandolo verso il muro. "Non è che funziona così negli affari."
 "Sei così arrabbiato." ridacchiò Jim nascondendo la smorfia di dolore. "Però mi sembra che le cose siano andate per il meglio, no? Hai fatto tutto il lavoro che c'era da fare senza combinare casini; possiamo ritenerci soddisfatti."
"Fottiti." ringhiai concludendo lì quella discussione e chiudendomi in camera. Ci mancava solo che mi mettessi a fare a pugni con Jim perché mi ero preoccupato per lui.
Mi chiesi se Jim si fosse già accorto del mio cambiamento; per quanto ne potevo sapere poteva aver capito che qualcosa era cambiato dal mio odore. Non mi avrebbe stupito.
Alla fine, ubbidiente come un cagnolino, lo raggiunsi in bagno dove era già ammollo nella vasca. Io ho sempre preferito la doccia, anche per forza dell'abitudine, mentre Jim adorava rimanere immerso nell'acqua calda. Fidatevi, alcuni dei suoi peggiori piani criminali sono usciti fuori durante un bel bagno.
 "Che informazioni ti servivano?" gli chiesi finalmente appoggiandomi allo stipite della porta. "Cosa potevi avere solo entrando nell'accampamento nemico?"
"Allora usi il cervello, di tanto in tanto." commentò Jim per niente soddisfatto. "Avevo bisogno di fare una chiacchierata con il caro Mycroft. In realtà direi che l'ho ricattato: con la promessa di informazioni mi ha raccontato la vita del fratellino."
Ovvio.
Jim non si sarebbe mai fatto ridurre in quel modo se non ci fosse stato di mezzo Sherlock Holmes.
"E' stata interessante, almeno?" cercai di non sembrare mortalmente annoiato.
"Oh si." Jim ridacchiò in un modo che mi fece venire i brividi.
"Almeno adesso abbiamo tutto quello che ci serve per la soluzione al problema finale."
Eravamo pronti, quindi. Non ne ero minimamente felice. C'era qualcosa in quel piano che non aveva alcun senso, era troppo pericoloso e sottile per i miei gusti. Ma chi ero per oppormi?
"Quanto hai pagato la famiglia Brook?" mi chiese poi, serio. Quando gli dissi la cifra esatta e anche dell'omicidio, storse il naso. "Se lasciassi a te gli affari, andremmo in bancarotta nel giro di un mese, forse due se ti impegni con le uccisioni."
"Sono un cecchino, non un contabile." Mi difesi malamente, Jim fece un versetto e lasciò cadere il discorso in quel modo.
Potevo vedere alcuni segni, più chiari e quindi più leggeri, anche sulla parte del petto non nascosto dall'acqua e dalla quantità esagerata di schiuma. Jim aveva una pessima cera, ma il mio riflesso nello specchio non se la passava meglio. Avevo l'aria distrutta e trascurata, accentuata dallo strato leggero di barba che iniziava a coprirmi le guance e il mento. Decisi che l'avrei tagliata la mattina dopo. In esercito non avevo scelta se non essere pulito e presentabile e mi ero abituato in parte a quell'immagine, almeno per il viso -i capelli invece li avevo fatti ricrescere subito.
"Sono deluso." commentai ignorando il mio riflesso. "Pensavo che un uomo come Mycroft non vendesse il suo fratellino."
"Perché non guardi le cosa dal punto di vista giusto." Jim chiuse gli occhi e reclinò indietro la testa rimanendo a mollo in quello stato di torpore. "Prima di essere un fratello Mycroft è un funzionario del governo. Non giudicarlo: tu hai ucciso per lo stesso paese."
"Si, è vero."mi strinsi nelle spalle. "Ma erano perfetti sconosciuti."
"Ma hai creduto in quella causa per cui lo facevi." ribatté Jim più monocorde del solito. "Si, Sebastian, so che mi hai mentito sul perché sei entrato nell'esercito. Credo sia più facile per te scordarti di come eri un tempo, e a me non importa, onestamente." buon caro, vecchio e menefreghista Jim. "Ripetiti qualsiasi cosa che ti aiuti a dormire la notte. Chissà dove sei cambiato così radicalmente, dove la mela è diventata marcia. Forse dovrei studiarti più a fondo e venire di meno a letto con te."
"No, rimaniamo che non mi studi e vieni a letto con me." era passato troppo tempo perché potessi scompormi di fronte ad una analisi del genere. Si, un tempo ero un bravo ragazzo che era entrato nell'esercito di sua maestà perché aveva dei valori -valori trasmessigli da quell'adorabile personcina che si ritrova come padre- e perché voleva difendere il suo paese. Un tempo. Prima che iniziasse a piacermi la guerra.
Jim rise divertito."D'accordo, d'accordo, come vuoi tu. Resta il fatto che Mycroft ha un dovere verso il suo paese e se per proteggerlo deve mettere a rischio suo fratello è giusto che lo faccia. E' una questione di priorità."
"Non gli è servito a molto, però." osservai pensieroso. "Tu non gli hai dato alcuna informazione."
"E a chi importa? Mycroft ci ha provato, ha fallito, ma non avendo datomi informazioni governative, bensì personali, nessuno si lamenterà."
Jim era un fottuto genio; se fosse stato più disonesto sarebbe stato un perfetto avvocato.
"Dobbiamo fare qualcosa per quei lividi e per il dolore." annunciai deciso.
"Giorno più giorno meno. Alcuni hanno già cinque giorni e oramai mi sono abituato al dolore."
"Jim." sbuffai annoiato. Mi avvicinai alla vasca e lo tirai su di peso –certe persone puoi prenderle solo con le cattive-, e anche se lui protestò vivamente e cercò di prendermi a calci, riuscì ad avvolgerlo in un asciugamano. Poteva essere più furbo di me, ma non più forte, poco ma sicuro. Insomma, era magro come un filo d'erba! Una folata di vento potrebbe portarselo via. "Hai dormito questi ultimi giorni?"
"Il sonno è per i deboli." commento Jim apatico, asciugandosi più o meno con lo stesso entusiasmo. "Tu invece sembri non dormire da...quanti sono, due o tre giorni?" mi piazzò una mano sulla faccia e controllò lo stato delle mie occhiaie.
"Non ne ho idea." ammisi con un sospiro sconsolato. Ero abituato a stare per così tanto tempo sveglio, dopotutto. "Per te stare dietro a tutto è facile, ma io non ho la tua mente, è stata una fottutissima impresa titanica."
"L'impresa fallirebbe in una settimana." borbottò Jim, come se non lo potessi sentire. Quando gli lanciai un'occhiata torva mi guardò come se fossi io quello pazzo.
"Hai bisogno di riposarti. Vado a prenderti qualcosa di comodo da metterti addosso, tu finisci di asciugarti."
"Da quando sei il mio dottore?"
"Da quando nella tua stupida mente mi hai sovrapposto al dottor Watson.” Gli risposi con estrema soddisfazione.
Io di certo non me lo ero scordato, e non avrei permesso che Jim lo facesse.
Si vestì ubbidiente, con assoluta calma, mentre io constatavo che la mia brillante idea di tirarlo fuori dalla vasca con la forza aveva avuto come conseguenza l’allagamento del pavimento.
“Andrò a riposarmi, ma solo perché credo al mens sana in corpore sano.” Precisò allontanandosi a passo di lumaca.
“No, ci andrai perché sei un essere umano e devi dormire. Soprattutto perché ti hanno pestato a dovere.” Ribattei spingendolo fuori dal bagno e guidandolo fino in camera.
Jim si lasciò cadere a peso morto sul suo letto, affondando la faccia nel cuscino.
“Sono stato torturato quando ero nell’esercito.” dissi con lo stesso entusiasmo con cui avrei fatto l’elenco di cosa avevo comprato al supermercato.  “E so che non è una bella esperienza.”
“Eppure ero convinto che ti piacesse essere ammanettato, legato e cose del genere.”
“Solo se finiscono con un bell’orgasmo.” Replicai neutro.
Jim ridacchiò, ma era stanco anche per quello.
La cosa davvero efficace della tortura è che non è solo fisica, ma soprattutto mentale.
Il suo obiettivo è ricavare informazioni, non uccidere l’ostaggio. Il dolore deve essere proporzionato alla soglia di dolore del soggetto in modo da indurlo a parlare. Bisogna fare in modo che il soggetto sia disposto a tutto pur di far finire quel costante dolore, rimanendo abbastanza lucido da vuotare il sacco.
“Davvero sei stato torturato?” mi chiese dopo un po’ Jim voltando la testa di lato per guardami. “E cosa ti hanno fatto?”
“Mi hai visto nudo, hai visto le cicatrici.” Commentai atono sedendomi sul bordo del letto accanto a lui. “Non ti dirò nulla, solo che tu al confronto sei un dilettante.” Sapevo che Jim avrebbe voluto sapere ogni  dettaglio, ma avrebbe dovuto torturarmi di nuovo per farmi parlare.
“No stuzzicarmi,Sebastian, potrebbe bastarmi per decidere di farti rimpiangere il giorno che sei nato.”
Ed essendo vero, rimasi zitto e gli passai la mano tra i capelli in un gesto affettuoso.
“Ti lascio riposare.” Mi chinai per posargli un bacio sulla nuca. “La privazione di sonno può avere effetti disastrosi sulla mente e sul corpo, non vorrei che ti rendesse normale e noioso.”
Jim borbottò qualcosa, ma con la testa affondata nel cuscino non riuscì a capire una sola parola.
“Potrei ucciderti solo per essere così amorevole.” Sentenziò poi più chiaramente. E chi gli avrebbe dato torto se l’avesse fatto.
Lasciai la stanza deciso a concedermi una nottata di sonno a mia volta.
Peccato che quella notte, dopo anni, ebbi un incubo.
Mi svegliai nel cuore della notte, calmo come se non fosse successo nulla, calmo come avevo imparato a rimanere in ogni situazione.
L’incubo era fatto dei ricordi di quando ero stato torturato, solo che a torturarmi era Jim. Non che il collegamento mentale mi sorprendesse, siamo onesti.
Rimasi immobile nel letto, le coperte finite chissà dove mentre mi agitavo nel sonno, mentre riprendevo il controllo della mia mente e le sensazioni dell’incubo scivolavano via. Razionalmente mi convinsi che le mie dita non erano spezzate, che nessun centimetro di carne era martorizzato, tagliato o raschiato. Aspettai che mi scomparisse il finto sapore di sangue dalla bocca prima di alzarmi.
Andai in bagno per sciacquarmi il viso e se possibile il mio riflesso era in uno stato ancora più pietoso: il viso era gonfio di sonno e negli occhi avevo ancora un barlume di spavento.
Fidatevi, so cosa si prova a sentire il coltello rigirato nella piaga. Letteralmente.
E so cosa si prova a sentirsi gettare sale su una ferita. Sempre letteralmente.
Quel momento di debolezza fu un sollievo. Significava che mi importava ancora. Che avevo ancora una minima parte umana dentro di me.
Irene aveva torto, non ero assolutamente come Jim.
E detto tra di noi, non volevo esserlo.
  
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