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Autore: IamShe    11/04/2012    5 recensioni
Sono passati cinque lunghissimi anni dalla lotta all'Organizzazione. Shinichi è un detective di successo ed ormai, uomo, all'età di 23 anni avrà il compito di affrontare altri problemi. Che siano di carattere sentimentale o no, è certo di una sola cosa: le emozioni che ha provato, al di là del tempo passato e delle sofferenze patite, rimarranno per sempre in lui. In lui, come in lei.
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"La fissava instancabilmente, tanto che la ragazza si perse nell’azzurro di quegl’occhi che tanto le ricordavano il mare e che tanto le piacevano. Non poté fare a meno di arrossire quando le labbra del ragazzo s’incurvarono in un bellissimo sorriso, che gli illuminava il volto, e che risplendeva in quella sala privando le lampade della loro luminosità." [Estratto del 7° capitolo]
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una vita d'emozioni'
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Nuove complicazioni
Venticinquesimo capitolo
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“Richard io non voglio più stare con te.”
L’eco delle sue parole si propagò velocemente nella stanza da letto del suo appartamento, addensandosi sulle pareti scure, addobbate da quadri e mensole d’appoggio. Si sedette sul materasso matrimoniale, sorreggendo il corpo con le braccia, facendo dondolare le gambe. Scosse la testa, per poi rialzarsi e riposizionarsi di fronte allo specchio. No, così non va bene!
Sbuffò, per poi irrigidirsi d’un tratto, stringendo le mani in pugni per darsi la forza necessaria.
“Richard ti lascio, mi dispiace.”
Ed invece, lasciò andare solo un sospiro di disperazione, seguito ad uno di frustrazione. Quanto poteva essere difficile lasciare una persona? Lo sembrava ancora di più se con quella persona condivideva casa, letto, bagno, salotto, spazzolino, televisione e vita. Una vita che non le apparteneva, e che voleva a tutti i costi abbandonare. Non ci sarebbe voluto molto a prendere tutti i vestiti ed accessori vari, e traslocare da Shinichi, oppure da Kogoro ed Eri. Avrebbero capito. Attorcigliò le labbra in una smorfia. Forse sua madre avrebbe capito, forse lei sì. Al detective dormiente non era mai andato a genio quel ragazzino saputello che nonostante avesse vent’anni in meno fosse più bravo, più famoso e più ricco di lui. E non gli era mai andato a genio che proprio quel detective fosse il grande amore di sua figlia. Scosse nuovamente il capo, scompigliando tutte le ciocche ribelli della folta capigliatura. Era inutile crearsi ulteriori problemi, adesso doveva solo dire a Richard come stavano realmente le cose.
Lo scricchiolio della porta d’entrata annunciò la venuta del ragazzo da lavoro, con aria sorridente e beffarda. Poggiò la borsa sul divano, andando incontro a Ran, che gli si avvicinava timidamente. Aveva le mani incrociate al petto, e lo sguardo intenerito dalla sua figura. Richard aveva un ampio sorriso che gli illuminava il volto, accompagnato da un incredibile buonumore. Ran si rattristò improvvisamente, ed abbassò il capo colpita dai sensi di colpa. Ciò che gli stava per dire era terribile, lo avrebbe ucciso. Ma lui doveva sapere, non avrebbe potuto continuare a vivere con lui, con la speranza di vedere Shinichi al più presto. No, non era così meschina.
“Tesoro, allora com’era Niigata?” le chiese gentilmente Richard, dandole le spalle. Una domanda più diretta non avrebbe potuto farla, era l’occasione giusta per cominciare il discorso. Ran, forza, fatti coraggio!
“B-bella..” cominciò balbettando lei, strofinandosi le mani come per sciogliere la tensione. “Vedi io volevo...”
“Sai che sono venuto?” azzardò lui interrompendola, con tono apparentemente tranquillo. Lasciò andare le scartoffie che aveva in mano, e si avvicinò alla ragazza, che rimase basita da quella notizia.
“S-sei venuto?” gli chiese, inceppando nelle parole, indietreggiando un po’. Deglutì al pensiero del fidanzato a Niigata. E se l’avesse vista con Shinichi? Lei sapeva che tra i due non scorreva buon sangue, e che preferissero tenersi a distanza debita per non innescare litigi di troppo. Sapeva anche che raccontargli tutta la verità l’avrebbe fatto morire di collera, essendo proprio Kudo la ragione della loro rottura. Un brivido di paura le percosse il corpo, smossa da un terribile presentimento.
“Sì, ho incontrato anche i tuoi amici... però me ne sono andato perché non ti ho trovata. Non volevo disturbarti amore mio” recitò con maestria l’americano, aggrappandosi al corpo della karateka. Per quanto volesse tenersi lontana, il ragazzo continuava a cercarla e a trattarla bene, come se nulla fosse successo.
“Ah, m-mi dispiace” riuscì a rispondergli Ran, lasciando che il partner l’abbracciasse, proprio come avrebbe fatto Shinichi. Ma quello non era il corpo del suo investigatore, e non era il suo profumo. Presa da un senso di disgusto tentò di liberarsi dalla presa, svincolandosi lievemente con le mani. Richard la strinse sempre più a sé, imprigionandola tra le sue braccia.
“Mi sei mancata tesoro mio” le sussurrò all’orecchio, facendole strabuzzare gli occhi. Adesso si sentiva un vero e proprio verme. Un lurido e viscoso verme. Richard era davvero dolce a volte, non poteva negarlo. E quella dolcezza la invadeva, facendole abbandonare ogni buono proposito che si era infissa qualche minuto prima. Come poteva lasciarlo se lui si comportava in quel modo? Forse quello non era il momento giusto, forse avrebbe dovuto aspettare. Socchiuse gli occhi sulla spalla del ragazzo, dandosi mentalmente della stupida.
“Ed io ti sono mancato?” azzardò lui, mostrandole due occhi colmi di tenerezza, ed un dolce sorriso sulle labbra. Le sue mani la mantenevano ancora per le spalle, ma l’aveva distanziata abbastanza da permetterle di guardarlo .
“S-s-ì..” cercò di fingere la ragazza, tenendo lo sguardo basso per non incontrare il suo. Dove l’avrebbe trovato il coraggio per lasciarlo? Come si fa in questi casi, come si fa ad avere il cuore duro? Lei non ce l’aveva, e probabilmente non l’avrebbe mai avuto. Lei era tenera, gentile, pronta ad aiutare il prossimo. Non avrebbe mai pensato di poter tradire il suo partner, prima di rincontrare Shinichi, prima di venire a contatto con la sua pelle e con le sue labbra. Quel folle gesto non era frutto della sua mente, ma del suo cuore. Non si riconosceva, sembrava diversa, ma era quello ciò che voleva la vera Ran. Era Shinichi. Non poteva e non voleva tornare indietro, non dopo aver visto il Paradiso. Il corpo dell’investigatore era droga per lei, sostanza del quale era totalmente dipendente. Ed ora, a contatto con quello dell’americano, poteva sentirne la differenza. Doveva dirglielo, doveva farlo, doveva riuscirci.
“Vedi Richard io volevo dirti una cosa” cominciò lei, alzando gli occhi in quelli del ragazzo. Aspettò una sua reazione, una sua risposta, un suo sussurro, che velocemente ottenne, ma non come sperava.
“Anche io” disse lui, mantenendo un tono serio.
“C’è una cosa che vorrei dirti da tempo, ma che non ho avuto mai il coraggio di dirti” sostenne ancora il giovane, mormorando le stesse parole che avrebbe voluto dirgli lei, ma con intenzioni diverse. Ran trattenne un sorriso di scherno verso se stessa, e verso quella situazione. Era proprio vero che il destino le mirava contro. Restò zitta, aspettando che fosse lui a continuare. Doveva concedergliela almeno la libertà di parola, e il diritto di esprimere le proprie opinioni, la volontà di parlarle. Si era comportata male nei suoi confronti , doveva farsi perdonare, in un modo o nell’altro. Poi, se Richard avesse accettato di rimanere amici le avrebbe fatto piacere. Infondo gli voleva un gran bene, e le sarebbe dispiaciuto perderlo per sempre.
“Vedi io...” cominciò arrossendo il ragazzo, abbozzando un sorriso. “Io ti amo.”
Non poté fare a meno di serrare le palpebre, e spalancare la bocca, permettendo all’aria nei polmoni di fuoriuscire e ricominciare il suo ciclo. Abbassò gli occhi, puntando lo sguardo sul pavimento. Non c’era niente di più di quelle parole che potesse demolire il suo tentativo di rivelargli la verità. Come avrebbe potuto lasciarlo dopo aver ascoltato il sussurro del suo ‘ti amo’? Cosa avrebbe dovuto fare in quel momento, cosa avrebbe potuto fare? In realtà, avrebbe solo voluto fuggire, e raggiungere Shinichi, ovunque lui fosse. Riuscì ad intravedere di sottecchi il corpo di Richard riavvicinarsi a lei, e trattenerle le braccia.
“Beh, non dici niente?” le chiese lui, fingendo un tono rattristato.
“E-ehm...” balbettò la giovane, distogliendosi dalla sua presa. “G-grazie.”
Richard inarcò un sopracciglio, per poi incrociare le braccia al petto.
“Grazie?”
“Ehm... sì.”
“Oh beh, prego” si finse amareggiato lui, lasciando andare le mani ai fianchi. “Tu cosa volevi dirmi?”
“Eh?” spalancò gli occhi lei, evitando un silenzio imbarazzante.
“Dovevi dirmi qualcosa” le ricordò lui, recitando come uno dei più grandi attori del cinema.
“Ehm...” balbettò lei, grattandosi il capo. “Cosa vuoi per pranzo?”
 
 
Appoggiato ad un pilastro della libreria, il giovane detective rotolava tra le sue mani il biglietto d’auguri trovato il giorno prima sullo scoglio di Niigata. Storse il labbro, mentre con le dita aprì il foglietto, rileggendone il contenuto.
Non capisco...blaterò nella mente, aguzzando gli occhi sulle parole.
[Auguri amore mio, questi tre mesi insieme sono stati fantastici.]
 Questa scrittura... continuò nelle sue supposizioni, grattandosi una tempia.
[questi tre mesi]
Mi sembra di conoscerla...asserì poi, scompigliandosi i capelli passandoci una mano.
“Shinichi ciao” lo chiamò dalla porta spalancata Eisuke, avvicinandosi a lui. “Ti ho cercato in dependance, ma visto che non c’eri sono venuto qui.”
“Ehi” lo salutò con una stretta di mano il detective, per poi nascondere il biglietto in una sacca dei jeans. “Novità col caso?”
Il fratello di Kir scosse il capo, in segno di negazione. “Purtroppo niente.”
“Io ho scoperto che i Kemerl erano dei fanatici di astronomia” ridacchiò nel riferirglielo, poggiandosi sulla scrivania della libreria, che un tempo apparteneva a suo padre. Si era rifugiato appositamente in quel luogo così silenzioso e sereno, circondato da libri di ogni genere, fonte delle sue più grandi ispirazioni. Ripeteva spesso che tra quelle copertine riusciva a trovare la chiave di ogni mistero, quasi come se fosse quell’immensa cultura a suggerirgliela. Con lo stesso scopo si era lasciato andare sulla poltrona in pelle, congiungendo le dita, ed abbandonando lo sguardo nel vuoto. Imitava la posa di Sherlock Holmes per trarre da lui la luce giusta per illuminare i casi. Aveva funzionato fino a quel momento, fino a che non gli si presentasse un caso come quello.
“Astronomia?” chiese stranito il ragazzo, inarcando un sopracciglio.
“Sì” continuò ridendo, per poi divenire serio e guardarlo negli occhi. “Kemerl odia qualcuno perché lo odiava il padre, il quale si definiva il Sole del Giappone che una nana argentea aveva oscurato.”
“Il Sole del Giappone?” domandò Eisuke, come per farsi confermare ciò che aveva sentito.
“Sì, è quello che c’era scritto su un foglio secondo la moglie di Kemerl, caduto a terra insieme alla foto di un bambino.”
“Poetico” asserì sarcastico Eisuke, sorridendo.  “Sai mi ricorda mia sorella questa faccenda. Quand’ero piccolo lei mi diceva spesso che esistevano due Sole in Giappone: quello del Sistema solare, e quello che...” si bloccò d’un tratto, deglutendo.
“Regnava nell’oscurità” completò la frase il detective strabuzzando gli occhi dalla notizia.
Seguirono degli stanti infiniti, nei quali le parole tralasciate prendevano corpo in un susseguirsi di immagini, che adesso cominciavano a prendere senso e forma. Che adesso cominciavano a far preoccupare, sul serio.
“Come abbiamo fatto a non pensarci?!” sbottò ancora Kudo, mentre Eisuke spalancò le palpebre, portandosi le mani alla testa, come per disperazione.
“No.. non lo so.”
“Dannazione!” sbottò Kudo, stringendo forti le mani in pugni, fino a far diventare bianche le nocche.
“Quindi, la nana argentea è...” continuò la deduzione il piccolo Hondo, bloccandosi a deglutire dalla paura.
Nell’alzare gli occhi verso il detective, poté vedere il suo capo annuire, e confermargli quella terribile verità.
 
 
Poté sentire sulla sua pelle lo struscio dei filamenti di erba, inumiditi dalla pioggia che aveva bagnato Tokyo per tutta la mattinata. Li toccò, strofinandoli tra le mani, sorridendo al giovane che aveva affianco. Sdraiato su un manto d’erba, Shinichi aveva lo sguardo fisso verso l’alto, sorreggendo il capo con le mani congiunte dietro la testa. All’orizzonte, il Sole stava per tramontare, mentre un debole venticello cominciava ad alzarsi, rabbrividendo la pelle. Una giornata di fine agosto assieme al ragazzo che amava di più, sembrava così silenziosa e malinconia.
“Ehi” si avvicinò a lui, poggiando la testa sul suo petto. “Ma che hai?”
Gli domandò dolcemente Ran, passando una mano tra i suoi capelli, scompigliandoli. La voce dell’amata non sortì nessun effetto nel ragazzo, preso nei colori rossastri del cielo, anneriti dalla crescente presenza di nubi. Avrebbe piovuto. Erano giorni che la pioggia visitava Tokyo, attraversata da correnti gelide provenienti dall’Australia, dove regnava incontrastato l’inverno.
“Niente” le riuscì a rispondere poi, quando l’eco di quelle parole si fece sempre più tartassante. Aveva scoperto il piano di Toichi Kemerl, aveva capito il suo scopo e la causa di tale avversione nei confronti della più lucente nana argentea. Sì, forse perché era proprio piccola, per definizione.
Ma in cuor suo sentiva crescere un brutto presentimento, alimentato forse da quelle giornate, così cupe e piovose. La pioggia non gli era mai piaciuta, lo metteva di cattivo umore. Avrebbe potuto alzarsi ed andarsene, ma la persona che gli sedeva affianco era la più importante della sua vita, e non avrebbe mai potuto lasciare da sola in quel parco di periferia della vicina Beika. Tentò di rassicurarla, mascherandole le sue reali preoccupazioni, evitando di sprecare tempo, avendone buttato già tanto.
“Sei silenzioso” asserì Ran, preoccupandosi per lui, intenerendolo. Lo guardava con occhi così innamorati e profondi, colmi di speranze e sogni, che Shinichi non poté fare a meno di sorridere, e dimenticarsi del mondo.
“Macché” mentì  lui, socchiudendo gli occhi al vento. “Pensavo che tra poco pioverà.”
 “C’è bisogno di pensarlo?” ridacchiò lei, avvicinandosi con il viso a quello del ragazzo.
“Oh beh, se avessi qualche informazione in più potrei dirti che velocità ha il vento, a che temperatura siamo ed altre stupidaggini. Ma a te non interesserebbero, e neanche a me” le rispose sorridendo, strofinando la punta del naso contro il suo.
“E secondo lei, signor detective, tra quanto comincerà a piovere?” gli chiese, coprendo un risolino malizioso.
“Mmmh,” aggrottò le sopracciglia, grattandosi una tempia con l’indice. “Credo, credo mezz’ora.”
“Allora c’è tempo” lo baciò sulle labbra, attirandolo a sé, cingendogli le braccia al collo. Poi inspirò, inglobando aria nei polmoni, per poi lasciarla andare in lungo sospiro che le avrebbe donato la forza necessaria.
“Perché non lo facciamo qui?” gli chiese, arrossendo alle sue stesse parole.
Shinichi arrossì all’istante, strabuzzando gli occhi, cercando però al tempo stesso di trattenere una risata. “Qui?!”
La ragazza si mostrò la linguaccia, in un sorriso beffardo.
“Siamo nel bel mezzo della natura, è l’ambientazione adeguata per noi” gli riferì con tono malizioso e sarcastico, scoppiando a ridere. Il ricordo della notte da poco passata sulla spiaggia di Niigata si fece limpido nelle menti dei ragazzi, donando loro una infinita sensazione di felicità. Da quella sera si erano sentiti ogni giorno, e visti il più possibile, lontani da occhi indiscreti e fin troppo curiosi. Con lui, Ran sembrava dimenticarsi completamente della presenza costante di Richard a casa sua, e dei problemi derivanti da quell’unione sempre più profonda e necessaria. Nel rivedere il suo sorriso ed i suoi occhi si sentiva in Paradiso, come se la sua presenza gli regalasse un biglietto omaggio verso la più grande oasi al mondo. Non voleva avere altro che lui, non voleva essere nient’altro che lei.
“Non resisti proprio al mio fascino tu eh?” le rispose, sostenendo con maestria quel gioco di piccanti provocazioni, facendola arrossire d’un colpo. “Lo so, sono irresistibile.”
La giovane continuò a tenerlo stretto a sé, donandogli baci dal sapore di risa.
“La natura m’ispira” gli mormorò all’orecchio, per poi baciarlo. “O forse m’ispiri tu.”
Scariche di eccitazione si propagarono nel suo corpo, inducendola a sedersi sui fianchi del ragazzo, che disteso sull’erba, si aggrappò a lei, bloccandole i movimenti.
“No, Ran, qui no” le riferì con tono deciso, ferendola nel pudore. La karateka si staccò da lui e tornò a sedersi alla sua destra, immergendo lo sguardo nella cittadina. Nonostante fossero in una parte del parco completamente isolata dal resto, nonostante stesse per piovere e non c’era anima viva per strada, nonostante l’avesse provocato, lui aveva resistito. E adesso si sentiva come una ninfomane in cerca di costante sesso. Forse lui la immaginava così. Scosse un po’ il capo, evitando di guardarlo per l’imbarazzo. Era inutile, ed era vero, non riusciva a resistergli. Ed il suo corpo caldo le mandava in tilt il cervello, spingendola a compiere azioni che tempo prima non avrebbe mai pensato di fare.
“Ran dai, ma renditi conto dove siamo” si sedette anche lui, accarezzandole la schiena. “Potrebbero vederci.”
“Chi? Siamo praticamente coperti da quelle piante,” gli riferì, indicandogli il folto cespuglio a pochi metri da loro. “E poi chi vuoi che passi per qui?”
“Ran potrebbe passare chiunque, immagina che passi Richard...cosa dovrei fare prima? vestirmi o schivare i suoi pugni?”cercò di convincerla, azzardando un tono sarcastico. La ragazza fece una smorfia, incrociando le braccia al petto.
“Uno di questi giorni lo lascio,” s’intenerì improvvisamente lei, adagiando la testa sulla sua spalla. “E non dovremo più nasconderci.”
“No, non lo lasciare” gli disse lui, abbassando il capo, con voce sicura. “E per il momento è meglio nasconderci.”
La karateka spalancò gli occhi, sorpresa dalle parole uscite dalla bocca dell’amato. Non vuole che lo lasci? Ripensò poi, afferrando la sua mano, ed avvicinando il viso al suo, guardandolo fisso.
“Che..che vuoi dire?” buttò lì la giovane. “Tu non vuoi stare con me?”
Vide Shinichi scuotere il capo, per poi sorriderle. “No, non è questo. Ma credo che tu debba stargli vicino, non puoi lasciarlo improvvisamente.”
“Ma cosa stai dicendo? A te cosa importa di lui?!” sbottò Ran, sentendo le lacrime pizzicare nei suoi occhi, arrossandoli.
“Niente, ma io domani parto per gli Stati Uniti... non rimanere da sola in questi giorni” la informò lui, stringendo le dita in quelle della sua mano.
“Parti per l’America? E quando avevi intenzione di dirmelo?” gli domandò la ragazza, delusa e amareggiata da quel suo comportamento. Pensò che il detective incominciasse ad avere delle titubanze su quel rapporto complesso e furtivo che completava la loro vita. Una fitta le percorse il cuore al pensiero di perderlo, e di rinunciare a tutto quello che lui fosse capace di donarle con un solo respiro.
Ran ti prego perdonami... la implorò mentalmente. Ma se resti con Richard, sarai al sicuro...
“Ok” cercò di calmarsi lei, lasciando andare lunghi sospiri. “Per quanto tempo devi rimanerci?”
“Non so, vado lì per risolvere un caso molto complicato,” l’avvertì il ragazzo, tornando a guardarla.
“Di nuovo?” sorrise sarcastica e malinconica la giovane, staccandosi dalla sua presa. “Questa scusa mi è familiare.”
“Non preoccuparti non mi rimpiccioliranno stavolta...” la rassicurò, prendendole il viso con le dita. “Almeno credo.”
Ran si fece improvvisamente cupa e pensierosa, presa nel guardare l’erba che lentamente cominciava a bagnarsi, a causa delle gocce d’acqua che cadevano dal cielo. Sentiva che sarebbe successo qualcosa da un giorno all’altro, sentiva di poterlo perdere. La stessa sensazione che sentì lì, in quel parco di divertimenti conosciuto come Tropical Land, dove una sera di anni prima Shinichi scomparve nel buio più profondo delle giostre, per cacciarsi in un guaio irrimediabile. In quel caso era riuscito a cavarsela, ma per quanto ancora la fortuna l’avrebbe assistito?
“Ti prego,” bisbigliò con voce roca, accompagnata dal rumore della pioggia incessante. “Non abbandonarmi, torna.”
Il ragazzo sorrise. Non l’avrebbe abbandonata, non dopo averla ritrovata. Si avvicinò a lei, e nel socchiudere gli occhi, gli donò un dolce bacio sulle labbra.
“Non ti abbandono” le disse, prendendole il capo tra le mani. “Fidati di me, tornerò.”
“Mi fido sciocco,” gli rispose lei, abbozzando un sorriso di serenità. “Mi fido.”
Si aggrappò alla sua maglia, stringendosi al suo corpo, facendosi abbracciare. Il ragazzo poggiò il mento sulla sua fronte umida e fredda, attirandola a sé con le braccia. In quel momento, il Sole si sarebbe anche potuto spegnere, ma loro non si sarebbero staccati. Il loro amore avrebbe affrontato tempeste e fuoco pur di non morire.
Shinichi alzò lo sguardo verso il parco, osservando lo scendere incontrastato della pioggia sulla vegetazione fitta. L’aria fresca cominciava a insediarsi nei pori, facendoli raggrinzire, fino a donare alla cute la denominazione di ‘pelle d’oca’. Sentì nelle sue mani la ragazza rabbrividire dal freddo, a causa dell’abbigliamento poco adatto per quel pomeriggio. Si alzò velocemente, trascinando con sé la giovane.
“Vieni, torniamocene... fa freddo qui.”
La karateka seguì il ragazzo lungo tutto il percorso, mantenendo salda la presa della mano nella sua. Cominciarono a correre, fino a raggiungere in pochi minuti la moto, parcheggiata all’ingresso del parco. La sella era bagnata da alcune goccioline d’acqua, come il resto della carrozzeria, esposta e non protetta dalla pioggia incessante. Shinichi sfrecciò lungo le strade di Tokyo, dirigendosi nel luogo chiuso più vicino che conosceva: casa Kudo. Arrivarono poco tempo dopo, e sostando la moto fuori la dependance, si affrettarono nell’entrare all’interno. I loro vestiti erano bagnati fradici, così come i loro capelli e le loro scarpe. Improvvisamente il cielo si era annerito e riempito di fulmini, la pioggia si era tramortita in un temporale, uno di quelli che ad agosto finiscono col spaventare, a causa della violenza inaudita con cui si abbattano al suolo. Chiusero la porta alle loro spalle, ritrovandosi nel silenzio assoluto dell’ambiente.
“Dannazione,” esclamò Ran, nel guardare i suoi vestiti scuriti dall’acqua. “Come faccio adesso?”
Shinichi le si avvicinò lentamente, perdendosi ad osservarla malizioso. Quel poco che i tessuti riuscivano ancora a coprire, era messo in evidenza dall’enorme quantità di acqua immagazzinata durante il tragitto. Il suo sguardo era attratto dal fisico della ragazza, percorso da gocce d’acqua, e dalle sue labbra, sempre più rosse a causa del vento e della temperatura, calata improvvisamente.
“Mmmh,” la trattenne per i fianchi, attirandola a sé. “Io direi di toglierli proprio.”
“Sì, vado in bagno” recitò lei sorridente, fingendo di poter evitare la sua provocazione.
“Dove vai?!” le urlò, aggrappandosi a lei, per poi sollevarla e prenderla in braccio. Ran scoppiò a ridere, cercando di svincolarsi con le mani, in modo da prolungare quel gioco eccitante e divertente allo stesso tempo. Approfittando di un momento di distrazione, riuscì a staccarsi dalla sua presa, cominciando a correre lungo il corridoio della casa. Shinichi la seguì, fino a ritrovarsi in camera sua, dove la giovane si ritrovò in trappola, senza vie di fuga.
“Non puoi scappare... sei nella mia tana adesso.”
Avvicinatosi a lei, Shinichi le sfiorò le labbra con le sue, aderendo sempre più al suo corpo bagnato. Fece scivolare le mani lungo la sua schiena, accarezzandola dolcemente, tanto da farle chiudere gli occhi per l’immenso piacere. In pochi istanti le loro lingue s’incontrarono nuovamente, in un ritmo crescente di movimenti dominati dall’eccitazione e dall’impazienza. Avvertì il caldo respiro del ragazzo sul suo collo, tormentato dai suoi baci delicati e fuggevoli, che le fecero perdere ogni sorta di razionalità o lucidità che la sua mente potesse a stento conservare. Lentamente si dondolarono verso il letto della stanza, sul quale Ran cadde e trascinò con sé il detective, aggrappandosi alle sue braccia. Le loro bocche continuarono a cercarsi con ardore, mentre le loro mani, sebbene avessero gli occhi chiusi, sapevano bene dove muoversi. Le dita sottili della giovane andarono a poggiarsi sul petto umido del ragazzo, riscaldandolo. I loro vestiti bagnati caddero a terra, volando negli angoli più nascosti della camera. Le loro mani continuarono ad adulare i loro corpi, esplorandoli e drogandoli di desiderio. Si amarono senza freni, in un pomeriggio gelido e fradicio, riscaldato dal calore della loro pelle e dall’intensità dei loro movimenti. La karateka, impregnata del profumo di Shinichi, avvertì un piacere indomabile crescere dentro di lei, sfociando in gemiti e lunghi sospiri. Abbandonandosi completamente alla passione, all’amore, e al desiderio che li univa, Shinichi e Ran desiderarono di perdersi in quel momento magico, inebriandosi l’uno dell’altro. Un sorriso nacque sul viso di lei, illuminandone il volto arrossato. Capì finalmente di essersi sbagliata, e di doversi ricredere. Loro erano proprio fatti per stare insieme.
 

 
 
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Faticaccia assoluta per scrivere questo capitolo!!! >.< Saranno state le vacanze pasquali, ma è stata un’impresa!
A proposito, vi siete ingozzate abbastanza tra Pasqua e Pasquetta? =D Io sì, le uova di casa sono sparite a causa mia :P
Passiamo a cose serie ù.ù
Nuoooovo capitolo, nuooove complicazioni. Cosa speravate? Che i due vivessero per sempre felici e contenti come se nulla fosse? No, non è possibile ù___ù
Mi dovete dire tutte le vostre impressioni su: atteggiamento di Richard ed il suo ‘ti amo’, atteggiamento di Shinichi e preoccupazioni di Ran, e poi dulcis in fundo,
la scoperta dell’identità della nana argentea! Chi sarà mai? :DDD
Ah, i nostri piccioncini si sono lasciati trascinare di nuovo dalla passione, ah l’amour!!! <3
Bene.. leggete, commentate, recensite ed ancora commentate! (già l’ho detto, vabbè! XD)

Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo:
mangakagirl, Martins, Yume98, deamatta, PaV, Il Cavaliere Nero e ciccia98 =DDD

Vi adoro ogni giorno sempre più ! <3
Adesso vi lascio, alla prossima!!
Tonia.

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