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Autore: vampiredrug    11/04/2012    2 recensioni
Questa storia vorrebbe essere la riscrittura di una piccola parte del 4° libro della Harris (la parte che tutte noi abbiamo consumato a furia di leggere e rileggere), una mia visione personale, insomma. Anche se la pubblico solo ora, è stata scritta prima che la quarta stagione di True Blood andasse in onda, per cui il mio smemo-Eric si discosta abbastanza da quello della serie, è più allegro e ha conservato un barlume di dignità, pur esternando abbondantemente i suoi sentimenti per Sookie.
Scusate il primo capitolo assai palloso (- e gli altri no? – direte giustamente voi), ma un minimo di riassunto e introduzione a tutta la situazione mi sembrava d’obbligo, anche per chi magari non conosce bene la saga. Perdonatemi! :)
Genere: Erotico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eric Northman, Sookie Stackhouse
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Persa nelle mie - hem - filosofiche riflessioni, non mi ero accorta che Eric si era alzato e ora si trovava in piedi accanto a me.
Visto che ero ancora seduta, levai lo sguardo verso di lui nel momento stesso in cui si chinava a prendermi in braccio, sollevandomi con la facilità con cui io avrei trasportato un gattino. Aiuto! Che intenzioni aveva?
Nel brevissimo tragitto fino al tappeto di fronte al camino ebbi modo di inspirare il suo odore (come diamine faceva ad avere un profumo tanto buono? Da vampiri si diventa automaticamente appetitosi?) e di “toccare con mano” quanto fosse ampio il torace a cui ero appoggiata.
Certo che Eric era davvero imponente… oh, oh no, allarme rosso, ormoni sul piede di guerra! Riprenditi, Sookie!
Appena mi posò sul tappeto soffice cercai subito di darmi un contegno (ci mancava solo che si accorgesse di quanto mi turbava la sua vicinanza!), ma non ce ne fu bisogno perché lui mi spiazzò sdraiandosi a pancia in giù e invitandomi a fare altrettanto, battendo la mano sul tappeto stesso con gesto eloquente e un sorriso che avrebbe fatto invidia allo Stregatto.
 
Conscia ormai di non capire un accidente degli uomini (ma come? Un minuto prima sembrava che volesse strapparmi i vestiti di dosso e ora…) mi sdraiai accanto a lui, bocconi, senza avere la più pallida idea di cosa aspettarmi.
Lui però taceva, perso apparentemente in una riflessione, mentre lo fissavo con aria interrogativa.
 
- Parlami di quando eri bambina – mi disse infine, appoggiandosi su un gomito e voltandosi dalla mia parte – raccontami com’è stato crescere con le tue capacità. Voglio saperne di più su di te.
 
Sorpresa e intimidita dalla sua domanda iniziai a parlare, dapprima con una certa esitazione, poi accorgendomi che le parole sgorgavano come un fiume in piena, come se avessero aspettato da sempre di essere liberate.
Era la prima volta che raccontavo la mia vita a qualcuno: a Bontemps tutti mi conoscevano fin da piccola o avevano comunque delle idee tutte loro nei miei confronti; era incredibilmente liberatorio parlare senza censure del mio dono e della mia vita a qualcuno che non ne era spaventato o inorridito, raccontare delle umiliazioni e dell’isolamento subito, delle mie difficoltà con gli uomini proprio a causa delle mie facoltà.
Parlai, parlai e parlai…
Eric ascoltò ogni singola parola immobile come una statua, sembrava il ritratto della concentrazione e non staccò mai gli occhi da me, senza interrompermi se non per approfondire un concetto e limitandosi ad annuire al resto.
Per la prima volta in tutta la mia breve esistenza mi sentivo al centro dei pensieri di qualcuno, ascoltata, capita e soprattutto non giudicata.
Il mio corpo cominciò a scivolare in una sorta di rilassamento profondo, riflesso del totale rilassamento della mia mente.
 
Niente barriere, niente segreti.
 
Wow, era così che gli altri si sentivano sempre?
 
La sensazione era inebriante, dopo una vita passata a trattenermi e a tentare di lasciare fuori il rumore mentale del mondo.
Cercavo una parola che potesse esprimere ciò che stavo provando e, anche senza il mio calendario “una parola al giorno” arrivai alla giusta definizione: fiducia!
Mi ero fidata di Eric senza riserve e questo mi faceva sentire meravigliosamente… appagata.
 
Mi riscossi da questi pensieri (oddio, per quanto tempo avevo parlato?) per guardare Eric, che non si era mosso di un millimetro, e mi stava ancora scrutando con quegli assurdi occhi azzurri, resi ancorà più intensi dal riverberare del fuoco.
Era di una bellezza davvero irreale.
 
Al posto dello sguardo concentrato di poco prima, ne era subentrato uno che mi fece tremare le ginocchia.
 
- Hem… scusa se ti ho annoiato con tutte queste parole e… grazie - dissi semplicemente, abbassando gli occhi verso il tappeto e ponendo così fine alla mia tirata.
- Non ne avevi mai parlato a nessuno, vero?
- No - ammisi, anche a me stessa – è stato così… è stato… grazie. Davvero.
- Figurati – e si chinò leggermente verso di me.
 
Con mia grande sorpresa non provò a baciarmi, si limitò a strusciare piano la sua guancia sulla mia e a inspirare delicatamente il profumo dei miei capelli.
Bastò quel gesto pieno di tenerezza a farmi capitolare definitivamente.
Fui io, infatti, a voltarmi leggermente e a ritrovarmi a fior di labbra con il mio bellissimo vichingo.
Lui esitò a due millimetri da me per un tempo che mi parve davvero eterno, poi appoggiò le labbra sulle mie, succhiandomi appena il labbro superiore; mi sfuggì un gemito, a cui ne seguirono una serie da parte di entrambi a mano a mano che il bacio si faceva sempre più appassionato (amnesia o no, di certo non aveva dimenticato come si bacia una donna!).
Ok, ammetto che 1000 anni d’allenamento aiutano, ma sono pronta a scommettere che nessuno al mondo baciava come Eric, il quale nel mentre era rotolato su di me e mi affondava le mani nei capelli mormorando al mio orecchio cose inintelligibili in una lingua che non conoscevo.
 
Aveva i canini completamente estesi, ma non accennò nemmeno ad avvicinarsi al mio collo.
Mi baciò per quelle che mi sembrarono allo stesso tempo ore e pochi minuti, accarezzandomi il viso, le braccia, i capelli, senza mai andare oltre, però.
 
Ero completamente in estasi, non pensavo che fosse possibile sentirsi così solo baciandosi, e il peso di Eric sopra di me era una delle cose più eccitanti che mi fosse mai capitato di sperimentare. La mia mente galleggiava felice, svuotata da ogni pensiero (a parte il volergli strappare di dosso quei dannati jeans), quando venni bruscamente riportata alla realtà: lui si staccò da me senza nessun motivo e si alzò rapidamente in piedi.
 
- Buonanotte, o se vuoi buongiorno, tesoro, ci vediamo stasera… - si voltò in tutta fretta e scomparve nell’altra stanza (dove si trovava un nascondiglio che ai tempi avevo approntato per Bill e che, durante la sua permanenza a casa mia, sarebbe diventato la “cameretta” di Eric).
 
COSA?
 
Ma perché quest’atteggiamento? Non riuscivo a capire cosa potevo aver fatto di sbagliato quando mi cadde l’occhio su una lama di luce che filtrava dalle tende accostate.
L’alba?
Non poteva essere… eppure, avvicinandomi alla finestra e osservando il giardino, mi resi conto che era proprio così, anzi, il sole era già pericolosamente alto.
Incredibile. Di certo Eric aveva avvertito per istinto il sorgere del sole, ma l’aveva ignorato finché gli era stato possibile.
Per me.
Per stare con me.
 
Per continuare a baciare me.
 
Imbarazzata e felice, sfiorandomi incredula le labbra ancora arrossate, mi soffermai a pensare che questo era uno dei più grandi complimenti che mi erano mai stati rivolti.
   
 
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