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Autore: LittleXtina    11/04/2012    1 recensioni
Lei guardava se stessa allo specchio, ma non riusciva a vedere altro che il nulla.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guardavo il mio riflesso allo specchio. Occhi, bocca, guancie. Mi controllavo e m’ispezionavo. Avevo paura di vedere la verità di me stessa. Il riflesso mi spaventava, non ero sicura che quella fossi io. Che quella ragazza fossi veramente io. Mi sentivo come se fossi il nulla. Ero il nulla, in quel momento mi sentivo come il niente. Vedevo il mio riflesso ma era come se guardassi l’acqua. Trasparente, che non riflette la realtà, la distrugge. Mi chiedevo se quella era la realtà oppure era solo una fantasia. Il tempo scorreva ed io rimanevo ferma, immobile a contemplare il fallimento della mia vita. Tutto ciò che mi era successo nella vita, aveva prodotto un aspetto negativo su di me. Al primo posto c’era la mia nascita. Non volevo morire, ma molte volte speravo di non essere mai nata. L’abbandono di mio padre. E per causa sua, ho paura quando la gente urla, quando mi dicono di volermi parlare. Quando mi dicono che andrà tutto bene, io so che non sarà così. Troppe volte ho avuto paura che la mia vita fosse solo una macabra fantasia di qualche diavolo. Ho paura quando la gente mi tocca, quando prova ad avvicinarsi a me; subire quelle grandi mani sul mio corpo, quando ero una bambina. Adesso ho paura del contatto della gente, che mi sfiori, che mi abbracci. Ho paura che tutto da un momento all’altro svanisca, così come la mia famiglia. Fui pervasa dalla paura. Iniziai a controllarmi, non volevo che mi vedessero così. Ricoperta di lividi e sangue che mi colava dalla bocca e dal naso. Paura, rimorso e vergogna. In quel momento mi sentivo come se avessi ancora quattro anni. Spesso mi domando perché mi porto tutte colpe quando è stato lui ad aiutarmi a erigere tutti i muri che mi circondano, le ombre che mi perseguitano da anni accompagnano la notte attraverso lo scricchiolio di una porta. Un sottofondo alle urla di quella bambina, alle mie. Quando vedevo la mia mamma che piangeva, quando lo facevo anch’io per il dolore che mi provocavano le grandi mani di mio padre. Paura che la vita mi riservasse solo delusioni, vergogna di dire alla gente che io non avevo una vera famiglia. Iniziai a mentire su tutto, ma le bugie sono cattive. Come quelle che mi diceva il mio papà. Diceva che mi voleva bene, mentre era una scusa, un’altra per mettere le sue grandi mani su di me. Quando vedevo gli altri bambini che erano presi in braccio all’uscita da scuola dai propri padri, mi veniva da piangere. Perché pensavo: io perché non ho una famiglia? Perché non ho un papà che viene a prendermi a scuola? Perché non ho un papà che mi vuole bene? Che mi ama? Perché non ho un papà che mi dica che sono la sua principessa? Che farebbe di tutto per me? Mi chiedevo cosa avessi di sbagliato, cosa avessi fatto per meritarmi una tale ingiustizia. Spesso penso a cosa direi se un giorno i miei figli mi chiedessero dove era il nonno. Ed io cosa dovrei rispondere? Direi: “Il nonno non c’è. È andato via tanto da tempo, non ha lasciato nemmeno un post-it per chiedere scusa. È andata via come la pioggia. Non ci ha detto né quando sarebbe venuto né quando se ne sarebbe andato”. Una qualsiasi cosa potrei dire, ma la verità è che sono io la vera pioggia, vado via quando nessuno se lo aspetta ed io ritorno quando ormai la mia presenza è andata via per sempre. La sua non presenza mi ha fatto sviluppare un odio per tutto, per questo, per la mia capacità di non fidarmi delle persone, ho perso quelle che più amavo. La mia migliore amica. Cui ho fatto del male, litigando con lei, dicendole cose non vere, ma è stata l’unica che mi ha aiutato quando il mio mondo stava candendo. Dirle grazie sarebbe troppo poco, ma aggiungere che le voglio bene più della mia stessa vita, può essere giusto. Mi hanno sempre detto che piangere non serve a nulla, ma allora perché piangiamo? Perché quando piango, ho sempre paura, che mi vedano con le lacrime. Paura che nessuno mi capisca. Le lacrime sono quelle che mi hanno accompagnato per tutta la vita, erano – e sono – i miei angeli custodi. Piangevo di nascosto, non volevo farmi vedere. Perciò mi tenevo tutto dentro, e questo mi ha fatto diventare quella che sono adesso. Una ragazza cattiva, che fa del male alle persone cui le vogliono bene. L’immagine riflessa allo specchio adesso piangeva, di nuovo la paura e la vergogna presero il sopravvento. Facendomi diventare ancora più piccola di quello che io mi sentivo. Fragile e che non riusciva a trovare un posto nel mondo. Piangevo forte e le urla della bambina di quattro anni iniziarono a impadronirsi della mia mente. Mi facevano male, mi ricordavano un periodo che era… in concreto tutta la mia infanzia. Per un po’ non ci pensai al fatto di essere riconosciuta da tutti come la “bambina senza padre”, ma alcune volte l’incontro e il terrore s’impossessa di me, i miei occhi diventano inespressivi, alcune volte anche per giorni, diventano come una lastra di ghiaccio. Il giacchio intrappola le cose e le lascia solo quando spunta il sole. I miei occhi erano così. Trasparenti e nulli, avevo tutto l’ignoto nei miei occhi. Le lacrime erano solo un oggetto che non voleva andarsene. Dovevano sparire, mi facevano sentire stupida. Erano indispensabili. Il mondo sembra così freddo quando lo guardo tutta sola, un piccolo spavento mi fa muovere, sapendo come veloce sono cresciuta e mi chiedo in che cosa vado bene. Sarò forte nella mia persona vedrò attraverso la pioggia troverò la mia strada continuerò, fino alla fine, raggiungerò i miei sogni. Il mio sogno era di avere una famiglia, come quelle dei film. Invece mi ritrovo con un fallimento, con la paura che la mia vita si possa sconvolgere ancora di più. Che mio padre ritorni, di avere ancora una volta le sue grandi mani su di me. Avere dei ricordi può essere una soluzione, ma è conviverci che è brutto. Tutti i giorni mi balenano quelle immagini e sale la vergogna. Il rimorso, la paura di essere giudicata, troppe volte ho subito il giudizio della gente. Mi hanno chiamato strega quando ancora non sapevo nemmeno parlare, mi ha chiamato così perché ero nata. E quindi mi chiedo: ma se io non fossi nata a quest’ora, tutti sarebbero più felici? Penso molto spesso a incontrarmi con lui, a cosa gli direi: “Sei andato via perché non volevi a mamma, ma almeno a me potevi tenermi. Ero una bambina, mi hai detto che ero un abominio. Che ero stato solo un errore della tua vita. Sai, le ammaccature vanno via, ma i ricordi rimangono. È come se fossero impressi col fuoco. Da lì non se ne vanno più. Io volevo solo un papà che min amasse. E tu sai cosa voglia dire amare? Temo di no perché non mi avresti picchiato, non avresti fatto del male a mamma. Io sono solo una ragazza che porta il tuo stesso cognome. Io non ti conosco, so solo che sei ciò che ho sempre desiderato ma che non ho mai avuto".
  
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