Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Evazick    11/04/2012    4 recensioni
Voleva urlare, spalancare la bocca per prendere aria, ma non ce la faceva. Li sentì raggiungere i suoi occhi e entrare nella sua testa, attraversare la sua pelle come se fosse aria per raggiungere le parti più nascoste di sé stessa, e lei rimase completamente immobile, paralizzata e senza poter far nulla per fermare quell’incubo. La parte peggiore, pensò quando divenne cieca e non riuscì più a sentire il crepitio dell’incendio, era sapere che nessuno l’avrebbe salvata.
Da qualche parte in lontananza, un corvo gracchiò.

*
Inghilterra, 1889. Pomeriggio del 13 aprile. In un bosco poco fuori Londra, una ragazza si risveglia. Non ricorda nulla di se stessa, e l’unica cosa che ha con sè è la collana che porta al collo. Vagando in cerca di un indizio sulla sua identità si rifugerà in una villa signorile, dove verrà accolta da uno spaventoso maggiordomo e da un ragazzo sfuggente e arrogante. La ragazza non sa di essere finita all’interno di una trappola tesa da un pericoloso e demoniaco ragno, e si ritroverà inconsapevolmente a far parte di un gioco che metterà in pericolo la sua stessa vita.  
Genere: Introspettivo, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alois Trancy, Claude Faustas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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II. Vita da casa di piacere (o, più semplicemente, da bordello).

 
Lady Nancy camminava a passi veloci e sicuri, senza allentare la sua presa sul polso della ragazza e conducendola attraverso un lungo corridoio con tre porte per lato. Spaventata dai modi di quella donna e del tutto spaesata, la nuova arrivata sbirciò dentro le stanze che scorrevano davanti ai suoi occhi e deglutì alla vista di tutte quelle ragazze che indossavano vestiti che coprivano ben poco le loro nudità e che si truccavano in modo a dir poco appariscente. Che ci faccio qui, io? si chiese, anche se la risposta brillava chiaramente nella sua mente. Era stata semplicemente venduta da quel ‘maledetto francese’ – chissà cosa voleva dire ‘francese’? – di Andrè solamente per passare un po’ di tempo con una di quelle ragazze – per fare cosa, non lo voleva nemmeno sapere. Il solo avvicinarsi a quel pensiero la faceva stare male, e la sensazione di essere sul punto di vomitare raddoppiava se solamente provava a dirsi che ben presto lei sarebbe diventata come tutte quelle altre ragazze. Doveva essere molto giovane rispetto a loro, dato il tono di voce che Lady Nancy aveva usato con Andrè quando gli aveva chiesto la sua età, forse c’era ancora una speranza per lei. Forse non avrebbe lavorato come le altre, forse l’avrebbero spedita a fare i lavori più umili. Era una misera speranza, nient’altro che un filo di ragnatela a cui aggrapparsi, ma che avrebbe potuto tirarla fuori dall’abisso in cui era caduta.
Le sue speranze rimasero intatte mentre la donna svoltava a destra in fondo al corridoio, iniziando a salire una buia rampa di scale. Sbucarono in un altro corridoio al piano di sopra, meno illuminato, meno caotico e più silenzioso di quello sottostante. O almeno, questo fu quello che la ragazza pensò finchè non sentì un urlo di piacere uscire da una delle stanze che si trovava nella parte destra del corridoio. Il fiato le si mozzò in gola e sarebbe rimasta lì impalata se Lady Nancy non le avesse dato uno strattone, trascinandola nell’altra metà del corridoio. Arrivate davanti alla terza porta, la donna tirò fuori da una minuscola tasca nel vestito un mazzo di chiavi, ne infilò una nella serratura e la girò, spalancando poi la porta. Spinse la ragazza dentro la stanza buia, ed accese velocemente un candelabro che si trovava sul mobile più vicino. “Rimani qui finchè non arriva qualcuno a spiegarti come funzionano le cose qui, capito?” le disse bruscamente. Prima ancora che l’altra potesse replicare, chiuse la porta e, tanto per essere sicuri, fece girare nuovamente la chiave nella serratura prima di tornare ai suoi affari. La ragazza aspettò che i suoi passi fossero svaniti nel nulla e che il corridoio fosse tornato silenzioso, poi osservò meglio la stanza in cui si trovava.
La luce delle candele non illuminava molto, ma abbastanza da permetterle di intravedere le sagome dei mobili. Doveva trovarsi in una camera da letto, a giudicare dal grande letto a baldacchino e dall’armadio che dominava la parete a sinistra. Gli unici altri mobili presenti, oltre al comodino su cui si trovava il candelabro, erano una toeletta di legno bianco a destra del letto e un piccolo sgabello dello stesso colore e foderato di stoffa a strisce rosse e gialle. La ragazza rimase per lunghi minuti impalata davanti alla porta, indecisa su come muoversi e cercando di ignorare i rumori provenienti dalle altre stanze, poi si decise ad afferrare il candelabro con una mano tremante. Sentì una fitta di dolore provenirle dal polso quando le sue dita si chiusero attorno al candelabro, ma strinse i denti e raggiunse con passi lenti e calcolati la toeletta. Poggiò la sua unica fonte di luce sul piano del mobile, cercando di trovare spazio tra i vari portagioie e vasetti di ceramica. Stando attenta a non bruciarsi i capelli, si avvicinò lentamente allo specchio e vide il suo stesso riflesso scrutarla. Osservò le ciocche nere che le cadevano sul volto in modo scomposto, gli occhi verdi più scuri al centro e più chiari sul bordo, il labbro che Andrè le aveva così gentilmente rotto. Alzò una mano per pulirsi una macchia di sangue dal mento e non le sfuggirono i segni della corda sul suo polso. Cercò di trattenersi, ma non ce la fece.
La sua mano iniziò a tremare sempre più violentemente, come se avesse volontà propria, poi le gambe la imitarono e ben presto lei si ritrovò seduta in modo scomposto sul pavimento freddo. Le lacrime iniziarono a scenderle nuovamente dagli occhi, e lei non fece niente per fermarle, limitandosi a portarsi le gambe al petto e ad abbracciarle con le braccia. Cercò di non singhiozzare ad alta voce per paura che qualcuno potesse sentirla e venisse a vedere cosa stava succedendo, e per farlo affondò il volto nel suo stesso petto e morse la stoffa della camicia per limitare i suoi singhiozzi. Quando riuscì a calmarsi un poco, lunghi minuti dopo, fece un respiro profondo e si aiutò con lo sgabello per tornare in piedi. Diede un’ultima occhiata al suo riflesso, convinta che nulla nel suo aspetto fosse cambiato tranne gli occhi arrossati, ma uno strano baluginio bluastro dentro la sua camicia le fece cambiare idea. Aggrottò le sopracciglia, incuriosita, e vi infilò dentro una mano. La sua mano toccò un oggetto rotondo e fresco al tatto, e lo tirò fuori per vedere di cosa si trattasse. Quando lo vide, quasi rimase a bocca spalancata e per la sorpresa lo lasciò cadere dalla sua mano, facendolo sbattere contro il suo petto.
Era la collana più grossa e strana che avesse mai visto, niente in confronto a quelle che indossavano le altre ragazze della casa. Il filo era spesso e di uno strano colore verdastro, e il ciondolo era una grande pietra rotonda blu con piccole macchie azzurre. Non era molto spessa, ma il suo peso si faceva sentire sopra il suo collo. La cosa che la sorprendeva più di tutte, però, era la lettera che vi era incisa sopra, una grossa L che si notava a malapena nella fioca luce delle candele. Si chiese subito a cosa potesse riferirsi: che fosse l’iniziale di qualcosa? Un oggetto? Un luogo? Una città? Un nome, forse proprio il suo?
Sfiorò con le dita la fredda superficie della pietra, ma nessun ricordo le attraversò la mente. Non così tanto delusa da quel patetico tentativo, si sfregò gli occhi per nascondere il rossore senza però riuscirvi, lasciò il candelabro sulla toeletta e si diresse verso il letto. Non si curò nemmeno di togliersi la camicia insanguinata e si sdraiò lentamente tra le lenzuola morbide. Erano fredde come il ghiaccio, ma probabilmente si sarebbero scaldate durante la notte. Si promise di rimanere sveglia per controllare che nessuno entrasse nella stanza, ma dopo pochi minuti era già sprofondata nel mondo dei sogni, stanca e distrutta fisicamente e moralmente.
 

***

 
Un rumore forte, secco. Passi che risuonavano dentro la stanza. Una breve esclamazione di stupore, un respiro mozzato. Si accorse di tutto questo solo vagamente, immersa ancora nel dormiveglia e in un sogno che non avrebbe mai ricordato una volta sveglia. Probabilmente avrebbe solamente ricordato uno scintillio dorato e due cerchi di un azzurro ipnotizzante, molto più chiaro del ciondolo della sua collana. Fece in tempo ad osservarli un’ultima volta, poi qualcuno le toccò delicatamente la spalla. Si svegliò subito e si mise a sedere di scatto, voltandosi poi a sinistra: davanti a lei, illuminata dalla luce lunare proveniente da una grande finestra che non aveva notato al suo arrivo, c’era un’altra ragazza, molto più grande di lei, che la guardava a bocca socchiusa e con gli occhi castani spalancati per la sorpresa. Tolse rapidamente la sua mano dalla spalla della sconosciuta e si affrettò a dire: “Tranquilla, non volevo farti nulla. Lady Nancy mi aveva avvertita della tua presenza, ma non mi aspettavo di vederti addormentata così profondamente.” Rise dolce. “Diavolo, è un giorno intero che dormi! Cosa ti è successo per stancarti così tanto?”
Indietreggiò sotto le coperte, con il cuore che continuava a batterle all’impazzata. “Chi sei?” le chiese in un mormorio, ignorando la sua domanda.
Rise nuovamente, stavolta più forte. “Io? Bè, sarei quella che abita in questa stanza, ma credo che tu non intenda questo, vero?” Le sorrise e le tese una delle piccole mani. L’altra ragazza la osservò meglio: i lisci capelli biondi erano legati in una treccia che le cadeva sulla spalla, e il suo sorriso amichevole voleva essere una garanzia delle sue buone intenzioni. Aveva il trucco quasi completamente sfatto, soprattutto quello sulle labbra, come se avesse continuato ad usarle per tutto quel tempo per baciare qualcuno incessantemente. Esitò un attimo, poi tese anche lei la mano. L’altra gliela strinse con energia e la lasciò andare quasi subito. “Io mi chiamo Sarah, comunque. E tu?”
Quel nome le fece ricordare il discorso tra Andrè e Lady Nancy, ma si costrinse a far passare quel pensiero in secondo piano e si limitò a mormorare: “Non lo so. Non riesco a ricordare niente di me stessa.”
Sarah la guardò per un attimo stranita, poi i suoi occhi ripresero la solita vivacità. “Ah, già, Lady Nancy mi aveva accenato qualcosa in proposito. Stai tranquilla, sono sicura che prima o poi ricorderai qualcosa. Ora vieni con me, devo darti una sistemata e siamo già in ritardo!” Dicendo così le afferrò entrambe le mani e la fece alzare dal letto. Una volta in piedi, la condusse alla toeletta poco più in là e la fece sedere sul piccolo sgabello, senza mai staccare le mani dalle sue spalle. Alla ragazza dava noia che l’altra la toccasse così spontaneamente e così bruscamente: non aveva ancora superato del tutto i tocchi pieni di violenza dei compagni di Andrè, e ad ogni passo che faceva le caviglie le dolevano come se stessero andando in fiamme. Tuttavia rimase in silenzio ed osservò Sarah aprire uno dei cassetti della toeletta e tirarne fuori una spazzola. Spostò il candelabro in modo da poter vedere lo specchio, e sorrise al riflesso dell’altra. “Se ti faccio male o ti tiro i capelli dimmelo, va bene?”
Lei annuì, a disagio. La bionda iniziò a spazzolarle lentamente i capelli, facendo attenzione alle ciocche più nodose e a non passare la spazzola sul suo collo costellato da piccoli lividi. Per fortuna non ne ha nessuno in volto, altrimenti non sarei riuscita a coprirli, pensò sollevata. Mentre proseguiva col suo lavoro non distoglieva mai lo sguardo dallo specchio davanti a lei, e ben presto notò la collana che l’altra ragazza portava al collo. Le risultava difficile credere che fosse veramente sua, e si aspettava già in parte la risposta quando le chiese: “È tua, quella collana?”
Lei rimase interdetta per un attimo, poi abbassò lo sguardo sulla pietra blu e la strinse con forza, come se volesse proteggerla. Sentiva di aver già fatto un gesto del genere, ma quando? “Sì. Credo di sì,” rispose sicura. Quella era l’unica cosa di cui era certa: quella collana le apparteneva ed era importante. Ancora non sapeva perché, ma qualcosa le diceva che non avrebbe mai dovuto perderla.
Sarah annuì, cercando di nascondere la sua sorpresa, diede un ultimo colpo ai lunghi capelli neri della nuova arrivata e posò la spazzola sul piano della toeletta. Diede una veloce occhiata al volto dell’altra ragazza e tirò fuori da un altro cassetto un fazzoletto, con cui iniziò a pulire il sangue raggrumato sul suo mento. Nessuna delle due parlò per lunghi secondi, poi la bionda disse: “Credo di avere qualcosa nella tua misura nell’armadio, ma non ne sono sicura. Ma sono sicura che potrai resistere per qualche giorno con dei vestiti più grandi.” Gli occhi le brillarono maliziosi. “Non che ti serviranno a molto, comunque.”
A quelle parole, sentì l’intero mondo crollarle addosso, e dovette affondare le unghie nel legno dello sgabello per non urlare. Gli occhi le si riempirono di paura senza che Sarah se ne accorgesse, e i pensieri che aveva ricacciato indietro la sera precedente esplosero ancora più potenti nella sua testa, facendole vedere cose che non avrebbe mai immaginato nemmeno nei propri incubi peggiori. Si costrinse a rimanere calma mentre l’altra ragazza continuava: “Vedrai, ti troverai bene qui, siamo come una grande famiglia. Non sei la più piccola, ci sono un paio di ragazze che hanno un anno meno di te e che non si trovano male. I clienti sono quel che sono, ma mi hanno detto che nei bordelli dall’altra parte della città capita la peggiore feccia londinese. Sono fortunata ad essere finita qui, anche per la presenza di Andrè.” Rise, e l’altra tremò sotto la camicia. “È un ragazzo così gentile, nonostante sia francese. Una volta gli ho chiesto com’è finito qui in Inghilterra, penso di non aver mai sentito una storia così strana e avventurosa! Certo, deve averla gonfiata un po’, ma gli si può perdonare questa mancanza. Si può perdonare tutto a uno bravo a letto come lui.” Disse quest’ultima frase con nonchalance, poi posò il fazzoletto sul piano della toeletta e si avviò a grandi passi verso l’armadio dall’altra parte della stanza, trascinando con sé la nuova arrivata. La lasciò andare per aprire le due ante, e iniziò a rovistare tra i vestiti al suo interno mormorando tra sé e sé. Quando ne trovò uno di suo gradimento, lo prese e lo mise tra le braccia dell’altra ragazza, che quasi soffocò sotto gli strati di stoffa pesante. Le fece l’occhiolino, complice. “Ti lascio da sola mentre ti vesti, va bene? Io ho una cosa da fare, ma tornerò tra pochi minuti. Non scappare mentre sono via!”
Lo disse in tono scherzoso, ma non appena ebbe lasciato la camera e chiuso la porta l’altra ragazza si ritrovò a pensare seriamente a quell’alternativa. Lasciò cadere il vestito sul pavimento e si mise a sedere sul letto a testa bassa, dondolando le gambe nude e pensando velocemente. Scappare? Sì, poteva provarci, se voleva uscire da quel posto. Sapeva che era rischioso – non aveva paura di essere catturata nuovamente da Andrè, ne era letteralmente terrorizzata – ma non voleva concedersi come Sarah per il resto dei suoi giorni. La sua perdita di memoria giocava a suo sfavore, ma contava sul fatto che un giorno o l’altro l’avrebbe recuperata in qualche modo. Ma non se la sentiva di aspettare quel momento rinchiusa lì dentro, a toccare e baciare corpi che non conosceva e che avrebbe visto e conosciuto solamente per il tempo di una notte.
Cercando di farsi coraggio, si alzò in piedi e si avvicinò all’armadio, rovistando al suo interno e cercando dei vestiti che non la facessero sembrare scappata da un ‘bordello’, come lo aveva chiamato Sarah. Alla fine, quando ormai aveva abbandonato ogni speranza di trovarli, adocchiò dei pantaloni neri e una camicia bianca, ma quando li indossò scoprì che erano troppo grandi per lei. Forse erano appartenuti a qualche uomo o a una ragazza prosperosa, non lo voleva sapere e non le importava, erano ciò di cui aveva bisogno e tanto le bastava. Cercò anche qualcosa da infilarsi ai piedi, ma non trovò nulla. In compenso, scovò un pesante cappotto nero e un cappello a coppola sporco di polvere nera che sembrava fuliggine. Se li infilò entrambi per coprire il suo volto il più possibile, poi si avvicinò alla finestra. Quando fu sul punto di aprirla dei passi risuonarono nel corridoio, e il suo cuore iniziò a battere più velocemente; sentì il sudore freddo colarle lungo la schiena, ma tirò un sospiro di sollievo quando i passi tirarono a dritto, senza nemmeno fermarsi davanti alla porta. Fece un respiro profondo e, dopo una lunga lotta con la maniglia, riuscì ad aprire la finestra. Si affacciò, dando un’occhiata in basso, e deglutì: l’altezza da cui sarebbe dovuta saltare era di circa tre metri e sotto la finestra non c’era niente che potesse attutire la sua caduta, si sarebbe rotta come minimo una gamba e non avrebbe avuto alcuna speranza di fuggire velocemente come si era immaginata. Doveva rendere più morbido il suo atterraggio.
Le bastò lanciare un’occhiata al letto, e un’idea le balzò subito in mente.
Facendo più in fretta che poteva, afferrò il vestito che le aveva dato Sarah e le lenzuola e trascinò tutto verso la finestra. Si affacciò, controllò che nel vicolo sottostante non stesse passando nessuno e poi lanciò di sotto a fatica tutto quell’ammasso di stoffa. Il terrore che al piano di sotto qualcuno si potesse accorgere di cosa stava succedendo la colse quando vestito e lenzuola erano già a metà del loro viaggio, ma si rese conto che aveva oltrepassato il punto di non ritorno: ora doveva solo saltare, o tutto sarebbe stato inutile. Diede un’ultima occhiata al mucchietto di stoffa nella strada illuminata dalla luna, poi si avvicinò nuovamente all’armadio e afferrò altri tre vestiti, quelli che a occhio le sembrarono i più grandi e morbidi. Sperava che bastassero, e che anche i vestiti che indossava la aiutassero a non farsi troppo male. Gettò anche gli ultimi vestiti sul mucchio in strada, poi salì sul davanzale esterno e guardò in giù con le mani attaccate ai lati della finestra. Cercò di darsi la spinta, ma era paralizzata dalla paura. E se fosse atterrata male? E se si fosse spaccata qualcosa? E se Lady Nancy o, ancora peggio, Andrè l’avessero vista cadere dal primo piano e si fossero precipitati ad inseguirla? Cosa avrebbe potuto fare una volta tornata lì dentro?
Ci pensò un altro rumore di passi a farla saltare. Le bastò lasciare andare la sua presa sulla finestra e mettere un piede nel vuoto, poi le venne quasi istintivo lasciarsi cadere sul mucchio di stoffa nel vicolo. Vi sprofondò dentro e ne venne fuori pochi secondi più tardi, accorgendosi solamente dopo di essere finita sotto una finestra illuminata. Impallidì ed uscì dal mucchio più silenziosamente che poteva, ma ben presto si accorse che gli occupanti della stanza non avrebbero sentito nemmeno l’arrivo di un temporale o di un uragano. Perfino in strada si riuscivano a sentire i cigolii del vecchio materasso, i brevi strilli di piacere di una voce che somigliava troppo a quella di Sarah per non essere la sua e una voce maschile, più profonda, che urlava cose in un’altra lingua, parole che somigliavano a ‘Mon Dieu!’ o qualcosa del genere. Non aveva tempo per accertarsi che l’uomo fosse Andrè, adesso doveva andarsene in silenzio e correre con tutta la velocità che i suoi piedi nudi e le sue gambe le consentivano.
Rimase per qualche istante al centro del vicolo, lontana dalla luce che proveniva dalla finestra, e abbottonò tutti i bottoni del cappotto, sperando che questo potesse aiutarla a nascondere ulteriormente il suo volto. Una volta finito, ci pensò su e infine decise di calcarsi il cappello più che poteva sulla fronte, abbassandolo così tanto che vedeva a malapena davanti a sé. Soddisfatta del risultato, respirò profondamente per darsi coraggio e si voltò per dirigersi verso l’imbocco dello stretto vicolo. Dopo un breve attimo di indecisione decise di lasciare il mucchio di stoffa lì dove lo aveva lanciato: se tutto andava secondo i suoi piani, non avrebbero scoperto la sua fuga prima del mattino successivo, e per allora lei doveva già essere fuori dalla città, il più lontano possibile da tutto e da tutti. Annuì tra sé e sé, soddisfatta del suo piano e fiduciosa nel fatto che tutto sarebbe andato come voleva.
Era così presa dai suoi pensieri che non si accorse del rumore di una porta spalancata al primo piano e di una voce che mormorava qualcosa in tono allarmato. Capì che qualcosa non andava solamente quando sentì uno strillo alle sue spalle, e quando si voltò vide con terrore una familiare figura femminile affacciata alla finestra dalla quale si era gettata da pochi minuti. Fece un passo indietro, cercando di non fare alcun rumore e di sfuggire alla luce lunare, ma la donna si era già accorta di lei e le aveva puntato un dito accusatore contro. I brividi le scesero lungo la schiena e non potè fare altro che seguire l’istinto, voltandosi e iniziando a correre a piedi nudi sul selciato del vicolo, mentre alle sue spalle la voce stridula di Lady Nancy continuava ad urlare nell’aria notturna di Londra.
“Sta scappando! La nuova arrivata sta scappando! Andrè, maledetto francese, lascia stare la tua puttana e inseguila prima che ci sfugga!”













Eccovi il secondo capitolo, in perfetto orario come vi avevo promesso. La nostra smemorata è riuscita a scappare, ma cosa l'attende tra i vicoli di Londra? Quali strani e oscuri personaggi incontrerà? *dan-dan-dan-daaaan*
Fate finta di non aver letto nulla .-.
Ringrazio molto chi ha recensito e messo la mia storia tra le seguite e le preferite, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! ^_^
LudusVenenum: la raygun? E questa da dove l'hai tirata fuori? XD Comunque, bentornata tra i miei recensori! :)
MadLucy: non puoi immaginare il piacere che mi ha fatto ricevere la tua recensione, e soprattutto sono contenta che la trama ti interessi :) Solitamente i personaggi inventati non mi dispiacciono, ma quasi sempre alla fine sono le solite Barbie che dici tu, per questo faccio fatica e ho quasi paura a inserirle nelle mie fanfiction. [Unica nota dolente: dovrai aspettare ancora qualche capitolo per Alois...]
Lulu_Rouges: ehilà, chi si rivede! Da quanto tempo, anche tu mi eri mancata! Il tuo famoso intuito stavolta ha fatto cilecca, perchè nè Andrè nè Lady Nancy sono quello che credi (perchè lui ti ricorda Duncan? Perchè? ç_ç)

xoxo
Eva
  
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