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Autore: roxy92    11/04/2012    4 recensioni
Chi ha sbirciato la fic che ho cancellato prima avrà una vaga idea di come scrivo. Mi piacciono le cose che non piacciono alla massa, trattate in modo non ordinario. Io lo so che me le cerco, ma ognuno, quando libera la fantasia, produce i risultati più disparati. Il mio è questo.
Dal prologo:
"Quando non ricordi il tuo passato, è come se un macigno fosse sempre in procinto di caderti addosso. Ce l’hai sospeso sopra alla testa, trattenuto da un filo sottile. Il terrore che il presente sfumi come il tempo trascorso è una morsa che attanaglia lo stomaco e a tratti non fa respirare.
Se sei abbastanza forte, ore, giorni, minuti e secondi, ti scivolano addosso come se il tempo non esistesse. Le tue mani sembrano vuote ai sentimenti e ti ritrovi sempre a stringere il niente. Non hai nulla per cui vivere e nulla per cui morire."
Io mi metto alla prova nel disperato tentativo di creare qualcosa che superi almeno le più basse aspettative... Qualcuno di voi mi da una mano e mi dice che ne pensa? Anche sapere se è meglio lasciar stare... Se ne avete il coraggio, buona lettura. :)
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Piccolo, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ammetto che mi sto divertendo a complicare un pò le cose. Se avrete pazienza, spiegherò.

Ad ogni modo, spero che Piccolo non risulti troppo OOC.

Se ci siete, ciao alla prossima! :)

Era la prima volta che al bianco e al nero della sua mente s’aggiungeva un nuovo colore. Il rosso. Fino ad allora, lo aveva visto sgargiante nelle insegne pubblicitarie che si era lasciata alle spalle in fretta o impertinente e caldo, nei fiori estivi e di primavera.

Quello che vedeva lei era una tinta corposa, scura, che si diramava veloce, in un intrico sottile e complesso, come di rami rinsecchiti. Scivolava sottile e sinuoso, simile ad acqua che corre sul letto d’un fiume.

Storse la bocca mentre ne prese coscienza. Quello non era un semplice colore: era sangue.

Sbatté più volte le palpebre, tremante. Il primo ricorda parziale che emergeva dalla nebbia che aveva in testa era orrendo.

Le fu del tutto estraneo il sorriso radioso della donna innanzi a lei che la cingeva la spalla e la invitava ad entrare.

“Non devi aver paura di Piccolo. E’ tutta scena.”

Tutta scena un piffero. Quello s’era arrabbiato sul serio e, a ben riflettere, la sua era una rabbia giustificata.

“Mio marito e mio figlio sono molto più in gamba di lui. Lo terranno a bada, vedrai.”

Non ce n’era bisogno. C’erano belve molto più feroci di quel guerriero dalla pelle verde. Non ricordava quali, ma il sangue che aveva visto ne era la prova.

“Ho fatto un errore a tornare qui.” Si era liberata dall’abbraccio di Chichi dolcemente, per poi inchinarsi.

“Mi scusi ancora, anche con quel guerriero, se è possibile.”

Anche se poco, era più consapevole di sé, c’era una scintilla diversa, nel suo sguardo. Mentre se ne andava, aveva gli occhi stanchi.

Piccolo c’era andato giù subito pesante: niente riscaldamento quella mattina. Per il sayan non era certo un problema, però lo incuriosì quell’atteggiamento. Goku gli bloccò il pugno a mezz’aria.

“Di un po’: stai mica così per quella ragazza di cui mi ha accennato Chichi?”

Il namecciano ritirò subito il braccio e gli diede le spalle. Sì, l’amico aveva fatto centro.

In realtà. Goku sapeva l’accaduto per filo e per segno. Voleva solo la versione dell’altro. L’aveva raggiunto a terra.

“Ma è riuscita davvero a colpirti?”

Sapeva che gli sanguinava il naso, quando aveva lasciato casa sua. Se non si fosse sbrigato ad evitare la sfera energetica, avrebbe fatto una fine simile. Di certo non aveva scelto l’approccio migliore per avere informazioni.

“Mi ha preso di sorpresa. Fine della storia!”

Colpito e affondato. Il sayan, giusto per una frazione di secondo, si cucì la bocca.

“Ad ogni modo, avrebbe voluto chiederti scusa.”

Credeva di essere abbastanza sveglio, ma rispetto al namecciano ne aveva sempre saputa più di una in meno.

“Lo so dove vuoi andare a parare! Non ti passi nemmeno per l’anticamera del cervello di andare a cercarla per farla allenare con noi!

Non è al nostro livello! Non può esserci di nessuna utilità! E’ solo una psicolabile! Una matta!”

Goku aveva alzato le mani in segno di resa. Lo supplicò di calmarsi. Era già chiuso quell’argomento. Si passò la mano dietro la nuca.

“Ti pare normale una che va ad attaccare la gente senza motivo e passa la notte a dipingere invece di dormire?”

Sorrise sornione a quell’affermazione, data di getto.

“Tu che sai di come passa la notte? La spii per caso?”

Rosso come poche volte in vita sua, non in grado di fornire una risposta soddisfacente, Piccolo si era trattenuto a fatica dall’esplodere. Non c’era proprio verso di avere pace per quella giornata.

Agitato, si era comportato come un pivello per tutto l’allenamento e verso l’ora di pranzo decise di battere dignitosamente in ritirata.

Ormai era una questione di principio svelare chi fosse quella matta. Bastava attendere qualche ora, che scendesse la sera. Trasalì, invece, quando la trovò già li, accovacciata, come al solito, con quei fogli sulle ginocchia.

La ragazza non ne aveva ancora buttato nessuno in acqua e pareva affaticata. Quella volta, il guerriero non iniziò a meditare. Volle osservarla e basta.

Anche uno come lui capiva che non c’era bisogno di infierire: stava già male. Prese posto in cima alla cascata. Udì chiaramente lo stomaco della giovane che borbottava, eppure non la vide alzarsi per cercare qualcosa da mangiare.

L’ultima scena che stava dipingendo doveva essere più importante del cibo. Il guerriero aveva strabuzzato gli occhi per cercare di vedere meglio, ma non aveva la vista affinata quanto l’udito.

La controllò attentamente fino a quando, dopo il tramonto, quella chinò il capo all’improvviso e il pennello le scivolò di mano, rotolando per qualche centimetro in terra, subito arrestato da qualche filo d’erba.

Una strana inquietudine si impossessò di lui nel momento in cui accadde. Non si fermò a pensare. Volle solo appurare di persona.

Atterrò con una certa urgenza dietro di lei. Leggero, senza proferire parola, di portò al suo fianco. Non c’era bisogno di essere un genio per capire che s’era addormentata. Alzò in fretta un piede, quando si accorse che calpestava uno dei suoi fogli.

Avendo cura di non svegliarla, si sedette vicino a lei. Era deciso a capire meglio cosa nascondesse. Un moto di disgusto gli arricciò la fronte e le labbra quando distinse quei corpi fatti a pezzi e coperti di sangue.

L’unica persona ancora in vita in quelle scene era una bambina atterrita che non avrebbe avuto neppure il coraggio di chiedere pietà.

Piccolo lasciò cadere quei fogli nel punto esatto in cui li aveva trovati. Si voltò lentamente verso la ragazza, che ancora dormiva, con gli occhi circondati da profonde occhiaie.

Che gli fosse preso un colpo se quella bambina ritratta non era lei! Che razza di passato si portava appresso per essere così strana? Che accidenti le avevano fatto? Il male massacra le persone anche senza toccarle e certe esistenze ne sono la prova.

In quel momento in cui l’aveva così vicina, si chiese come sarebbe stato il loro primo incontro se, qualsiasi cosa le fosse successa, non le fosse accaduta affatto.

Istintivamente si toccò il naso. Si era arrabbiato tanto, proprio perché gli aveva fatto male. Era stata rapida, imprevedibile. Aveva compreso che lei aveva avuto paura e voleva vivere. Di quello, non poteva farle una colpa.

Si era dimostrata abile a colpirlo, ma se fosse stata davvero preparata, si sarebbe accorta di lui giorni prima, si sarebbe svegliata all’improvviso e avrebbe combattuto ancora. Mai gli avrebbe permesso quella vicinanza. Evidentemente, non aveva nessuna conoscenza della percezione delle aure.

In quello stato, era un bersaglio facile. La guardò ancora, mentre ciondolava la testa e, come un velo, i capelli biondi, quasi argentei alla luce della luna, le coprivano il viso pallido.

Bisognava guardarla bene, ma con un po’ d’attenzione, si capiva che non era una umana. Aveva un’aura diversa, più selvaggia, come quella di certi animali.

Aveva lineamenti meno aggraziati di quelli della cyborg 18 che, oggettivamente, quanto a bellezza, nemmeno a lui erano indifferenti. Non era paragonabile neppure alla moglie di Goku o a Bulma. Eppure era piacevole da guardare, se non altro quando dormiva.

Mentre i grilli frinivano e lui si perdeva in certe stupidaggini, c’erano degli strani rumori nella vegetazione. Il namecciano si fingeva ignaro, ma era da tanto che li ascoltava.

Aveva percepito un brivido da subito. Perché non aveva dubbi che erano aure simili a quella della ragazza ed erano ostile. Era qualcuno che cercava vendetta e, appena se ne sarebbe andato, l’avrebbe uccisa.

Ci pensò su solo un altro istante, poi decise.


  
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