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Autore: Sten__Merry    11/04/2012    6 recensioni
Una mattina qualunque, il sole, lo strepitio della gente e due occhi scuri.
*
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Antony Costa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 10. What doesn't kill you, doesn't kill you.

 

“Buongiorno” una voce alle mie spalle mi salutò improvvisamente, colta di sorpresa lasciai cadere il tabloid a terra e sobbalzai per lo spavento. Mi girai sorridendo

“Buongiorno, Annie” esclamai “ho preparato la colazione” dissi indicando i piatti sul ripiano.

Prima di alzarmi e avvicinarmi al bancone della cucina raccolsi il giornale e lo riappoggiai sul tavolino, ripromettendomi di darvi un'occhiata più tardi per approfondire quella strana sensazione che avevo avuto pochi istanti prima

“Pancakes alle fragole?” mugugnò, la voce ancora impastata dal sonno “Sembrano deliziosi!” continuò avvicinandosi con il naso al piatto che aveva di fronte, versò il succo d'arancia in quattro bicchieri

“Dormito bene?” mi chiese, annuii

“Stranamente sì” replicai, scoprendomi sorpresa di quanto mi sentissi riposata sebbene avessi solo un paio d'ore di sonno alle spalle “una serata con delle facce nuove mi ci voleva” ammisi

“Allora, chi è il misterioso ragazzo su cui Kerry ha posto il veto ieri sera?” scherzò, sorrisi sognante pensando alle sue grosse braccia protettive, ai suoi capelli corti appoggiati alla mia spalla, ai suoi baci caldi, ma prima che potessi iniziare a parlare vidi Kerry e Frank entrare nella stanza, lei fresca e risposata come una rosa, lui con delle profonde occhiaie bluastre a contornargli gli occhi

“Non voglio che 'Andrew' sia la prima cosa di cui sento parlare oggi, ti scongiuro”disse la mia coinquilina ridacchiando sotto i denti, io rivolsi uno sguardo sfuggente ad Annie e, stringendomi nelle spalle, aggiunsi

“Beh, non è proprio destino” lei scoppiò a ridere dando della despota a Kerry.

Ci accomodammo sul divano con i piatti in bilico sulle ginocchia

“Diamine, che fame!” esclamò Frank cercando di mangiare senza sporcarsi la stessa maglietta indossata la sera prima.

Tutti e quattro consumammo la nostra colazione famelicamente cercando di ricordare i momenti più annebbiati della serata che avevamo appena passato insieme, rimanemmo lì quasi un'ora a tergiversare prima di decidere di sistemare la cucina. Kerry insistette per occuparsene così rimasi seduta sul divano raggomitolata in un angolo con una tazza di tè tra le mani, accanto a me Frank e la padrona di casa erano immersi in una fitta conversazione a cui non ero troppo interessata, fu allora che decisi di riprendere in mano il tabloid a cui avevo dedicato la mia attenzione qualche ora prima.

Sorrisi guardando i vip inglesi, pensando a quanto fosse buffo essere famosi in un determinato paese e sconosciuti invece in altri. Molti dei visi noti lì, io non li avevo mai visti, constatai divertita.

Allungai la mano verso la rivista abbandonata poco prima; non appena la sfiorai con i polpastrelli ancora infreddoliti dopo avere tenuto stretto il bicchiere riempito di succo d'arancia fino a poco prima fui scossa da un brivido, che riportò alla mente, vivida, la sensazione provata nelle ore precedenti mentre sfogliavo distrattamente le pagine.

Aprii il tabloid in maniera casuale, una ragazza dagli occhi truccati da un pesante strato di mascara e le labbra leggermente socchiuse prese ad ammiccare nella mia direzione, regalandomi un sorriso un po' troppo perfetto.

Alzai un sopracciglio in segno di disappunto, confrontando i miei denti troppo piccoli e tutt'altro che candidi con la sua dentatura hollywoodiana. Feci schioccare rumorosamente la lingua sotto il palato, sorprendendomi del fatto che dopo solo pochi minuti di osservazione mi sentivo già tediata. Presi un piccolo appunto mentale per ricordare di non avvicinarmi più a certi tipi di letture.

Feci per chiudere la rivista che aveva ormai acquisito il profumo del campioncino di Hypnotic che era stato appiccicato ad una pagina pubblicitaria, quando, invece, ritrovai quella strana sensazione che mi aveva spinta a leggerla poco prima.

I miei occhi furono condotti a posarsi in un angolo della facciata che stavo velocemente scorrendo. Incredula osservai il viso di Andrew intento a rivolgermi uno sguardo intrigante, decorato però di quella goffaggine che tanto gli apparteneva e che in quei pochi giorni ben avevo imparato a conoscere.

Spinta dalla curiosità, avvicinai il viso alla rivista per scrutare con più attenzione la fotografia pubblicata dal tabloid,e accanto a lui riconobbi il ragazzo che mi aveva presentato per strada qualche giorno prima.

Ripresami dalla sorpresa lasciai che un sorriso sottile ma fiero si disegnasse sulle mie labbra. Allora Andrew stava avendo successo con la sua misteriosa carriera!

Presto però mi ritrovai a rispalancare la bocca incapace di credere ai miei occhi, quando il mio sguardo si spostò sulla didascalia. Tra i nomi che indicavano coloro che figuravano nella fotografia non ritrovai alcun Andrew. Accanto a Simon Webbe, secondo la rivista, posava una tal Antony Costa. Pensai subito a un errore della stamperia così tuffai una mano nella borsa ancora appoggiata accanto al divano e scavai in cerca del telefono. Non appena lo trovai cercai con foga l'applicazione per internet sbagliando a selezionarla più di una volta. Imprecai, mentre una strana sensazione iniziava a impadronirsi di me.

Dalla fierezza provata qualche istante prima nel vedere nero su bianco il successo che Andrew stava avendo, ora ero passata a uno stato di particolare inquietudine.

Quando finalmente riuscii a digitare il nome che il giornale aveva riportato sotto la sua foto il viso della persona con cui avevo condiviso il mio tempo mi sorrise dallo schermo. La fotografia che il motore di ricerca mi offriva lo ritraeva immerso in una grande risata.

Osservai i suoi denti, i suoi occhi, il suo naso, osservai ciò che di lui mi aveva mentito fino a quel momento.

Scossi la testa incredula, spinsi il cellulare e la rivista nella borsa e mi alzai quasi in trance. Neppure mi accorsi di avviarmi e prendere la porta senza fermarmi a salutare gli altri, le loro voci che mi chiamavano da dietro erano attutite e il cervello non impiegò molto a ignorarle.

Quella mattina fuori le nubi mi salutarono avvizzite e un forte vento rallentava la mia camminata. Imprecai, rabbrividendo di freddo, accorgendomi di aver lasciato la giacca a casa di Annie.

L'aria era madida e le piccole goccioline di acqua si posavano sulle mie ciglia e sui miei capelli rendendoli crespi.

“Fantastico”, pensai, rendendomi conto che di lì a poco avrei acquisito le parvenze di uno spaventapasseri.

Continuai a camminare, i passi pesanti, i denti superiori che battevano contro quelli inferiori producendo un suono stridulo.

Che diavolo stava succedendo?

Chi era Antony Costa? Perché mi aveva mentito?

Cosa c'era di vero in Andrew?

Le domande vorticavano senza sosta nella mia testa e a nessuna di esse riuscii a trovare risposta. Non riuscivo in alcun modo a capire perché uno sconosciuto avesse deliberatamente scelto di mentire, di vivere una bugia dal primo istante senza permettere al rapporto che si sarebbe andato instaurando di crescere.

Con chi diavolo avevo avuto a che fare? A chi avevo aperto il mio cuore così facilmente?

Improvvisamente, in una sorta di sorprendente agnizione, mi resi conto che non fu solo l'idea di perdere quelle forti emozioni a mortificarmi, ma anche la vergogna per essermi lasciata ingannare dopo che avevo eretto delle difese tanto forti e impenetrabili.

L'orgoglio ferito si fece sentire prepotente, mi morsi con forza il labbro inferiore fino a quando sentii il sapore del sangue. Nonostante il forte istinto a sputarlo mi obbligai a inghiottirlo. Sul mio viso si disegnò una smorfia dispregiativa.

Dio! Com'ero stata stupida!

Non passò molto che la rabbia che stavo provando nei suoi confronti fu trasferita su me stessa, incredula nel constatare come ero riuscita a rimanere scottata subito, già alla prima storia avuta dopo quella con Manuel.

Sbuffando, scesi di corsa i gradini che portavano nella stazione metro più vicina, senza curarmi del gran rumore provocato dai tacchi che picchiavano contro il cemento.
Premetti con forza la Oyster Card sopra all'apposito meccanismo che avrebbe dovuto leggerne la banda magnetica e aprire i tornelli di fronte a me.

Non funzionò, riprovai, una, due, tre volte, poi mi arresi e la scagliai a terra mentre gli occhi venivano lentamente offuscati dalle lacrime. Con un gemito frustrato mi accasciai accanto alla tesserina che giaceva sola al suolo.

In posizione fetale mi schiacciai i palmi delle mani sugli occhi, quasi in un tentativo di ricacciare indietro fisicamente le lacrime, e in quel momento decisi che per un uomo non ne sarebbe valsa la pena.

Avrei dovuto essere forte, superare il momento e ritrovare la felicità di quegli ultimi giorni.

Reagire, bene e presto.

Se avevo imparato una cosa, dopo Manuel, era che per nessuna persona al mondo mi sarei più annullata.

Trassi due profondi respiri e mi rialzai, raddrizzai leggermente la gonna e, finalmente, riuscii a entrare in metropolitana, strisciando il tesserino sull'apposito meccanismo.

Seduta nel treno bianco lasciai che il mio corpo dondolasse al ritmo del movimento del mezzo sui binari, immersa nei miei pensieri.

Un leggero senso di nausea avvolse la bocca dello stomaco, lo ignorai e decisi di rimanere fedele alla scelta che avevo appena fatto; nessuno mi avrebbe più distrutta, svuotata, calpestata.

“Mantieni la calma” mi ripetei a denti stretti, un mantra per convincermi a non demordere “non piangere” continuai in un vago tentativo di rimanere composta.

Fu un fallimento; poco dopo mi sentii avvampare. L'aria aveva iniziato a scivolare con grande fatica giù fino ai polmoni, in quel momento mi alzai di scatto e corsi fuori alla ricerca di brezza naturale di cui nutrirmi famelicamente.

Ironicamente, mi ritrovai a uscire alla fermata di Covent Garden, teatro del nostro primo bacio.

Scossi la testa e ridacchiai isterica e incredula.

L'ambiente attorno a me aveva assunto tinte completamente differenti da quelle di qualche giorno prima; i mattoni rossi sembravano meno carminei; il bianco dell'insegna della metropolitana appariva sporco e sbiadito; i colori, in generale, apparivano tutti più spenti.

L'asfalto bagnato emanava un odore acre che mi spinse a spostarmi da lì, senza neppure accorgermene finii con l'avvicinarmi al muro a cui qualche notte ero stata appoggiata stretta nel suo abbraccio. Ricordai che quel giorno mi era apparso liscio, quasi di marmo levigato, addirittura mi era sembrato profumato. Oggi invece, accarezzandolo con estrema lentezza, prima con il palmo e poi con il dorso della mano, ne percepii immediatamente la ruvidità e ciò che precedentemente mi era sembrato palpitante di vita ora mi risultava freddo e infinitamente inanimato.

Tolsi la mano di scatto e sbuffai contrariata.

Quella non si stava decisamente rivelando la mia giornata, ma avrei fatto qualcosa per prendere il controllo degli eventi.

Sedendomi sui gradini delle scale che portavano al piano inferiore dell'Apple Market decisi che avrei affrontato Antony il prima possibile, così selezionai il suo numero dalla rubrica e, trattenendo il respiro presi ad ascoltare il segnale telefonico che indicava che la linea era libera. Mi permisi una boccata d'aria solo quando, dall'altro lato, la sua voce trillante mi salutò entusiasta

“Cassie! Buongiorno” una smorfia di disapprovazione mi si disegnò in volto mentre cercavo di forzare un tono spensierato

“Ciao Andrew” lo salutai poi, senza lasciarlo parlare ulteriormente, continuai “Posso passare da te tra un'oretta?” chiesi, lui esitò. Lo immaginai mentre si mordicchiava nervosamente l'unghia del pollice della mano sinistra spostando lo sguardo da un lato all'altro della stanza in cui si trovava. Dopo quasi un minuto, finalmente, parlò.

“Sto facendo dei lavori a casa. Sono in hotel per un paio di giorni” spiegò “Ti mando l'indirizzo. Ci vediamo tra un paio d'ore?” tutt'altro che sorpresa dalla sua risposta accettai e riattaccai.

Soddisfatta di me stessa per essere stata in grado di rimanere composta in quella situazione mi premiai con un caffè seduta nel Costa più vicino.

Seduta al tavolino della caffetteria estrassi la rivista che avevo portato via da casa di Annie dalla borsa e presi a sfogliarla una terza volta, fu solo quando rilessi il nome riportato sotto la vignetta che mi accorsi che corrispondeva a quello stampato sulla tazza che stringevo fra le mani. Fu allora che scoppiai in una risata isterica che non mi risparmiò molte occhiate stupite dei miei commensali.

Alzai leggermente una mano in segno di scusa e ritornai a leggere il giornale che mi spiegò che Antony Costa era uno dei quattro membri di una boyband che si chiamava Blue e che il gruppo sarebbe recentemente tornato a calcare le scene dopo anni di latenza in occasione di una gara a livello europeo.

Ne presi nota mentalmente, cercando di prepararmi all'imminente incontro.

Iniziai a immaginare ciò che sarebbe potuto accadere di lì a poco ma già dopo pochi minuti realizzai che non era un confronto, ciò di cui avevo bisogno. Avrei avuto bisogno di un'altro tipo di approccio, pensai mentre cercavo di appiattire i capelli sul capo utilizzando i palmi delle mani.
Osservai il risultato nel riflesso della vetrina e sporsi leggermente il labbro inferiore in segno di insoddisfazione.

Avrebbe dovuto accontentarsi.

*

Quando un paio d'ore più tardi il receptionist mi indicò il numero della stanza a cui sarei dovuta andare avevo ormai le idee chiare.

Schiacciai decisa il pulsante di chiamata dell'ascensore, le mani tremanti per l'agitazione e gli occhi spalancati nel vuoto, quasi spaventata dall'intraprendenza che avrei dovuto dimostrare per riuscire ad andare fino in fondo.

Diedi due colpi alla porta col pugno chiuso, mettendoci forse più forza del necessario.

Il suo viso apparve sorridente di fronte a me quasi d'improvviso, spalancò la bocca per parlare ma immediatamente gli appoggiai il dito indice della mano destra sulle labbra per zittirlo, mentre con l'altra mano afferrai la t-shirt verde che indossava all'altezza del suo petto spingendolo all'interno della stanza per poi chiudere la porta alle mie spalle.

“Che diavolo...?” iniziò lui, scossi la testa e presi a baciarlo.

Dapprima ci lasciammo andare a un bacio lento, quasi romantico, che presto però si trasformò in uno frenetico, movimentato, senza alcun riposo, quasi cercassi di divorarlo.

Mi allontanai leggermente solo per togliergli la maglietta e riprendere fiato.

Senza riuscire a controllarmi mi schiacciai ulteriormente contro di lui tremando leggermente, e passai le mani sul suo petto villoso, accarezzandolo con forza.

Sentii il suo abbraccio farsi più stretto, poco lontano dall'essere doloroso, e stranamente caldo. Per fuggire dalla sensazione di bollore che il suo corpo seminudo mi provocava allungai le braccia dietro la schiena e mi slacciai l'abito lasciandolo cadere a terra, mentre lui prese a percorrere il mio corpo con i polpastrelli guardandomi dritta negli occhi. Entrambi i nostri respiri affannati.

Mi sollevò da terra e lo circondai con le braccia e con le gambe in un disperato tentativo di unirmi a lui per l'ultima volta, eternamente.

Affondai il viso nell'insenatura tra il collo e la clavicola e respirai il suo profumo fruttato cercando di immagazzinarlo e nasconderlo in un cassettino del mio cervello in cui avrei potuto conservarlo conscia che non avrei mai più dovuto permettermi di risentirlo.

Ci liberammo degli ultimi vestiti rimasti addosso in pochi istanti e cademmo sul letto. I nostri corpi nudi si toccavano in ogni centimetro, le sue mani nelle mie, lui sopra di me che sembrava cercare un segno di assenso per portare oltre quel contatto.

Premetti le gambe contro la sua schiena in segno di invito, lui annuì e baciandomi si fece più vicino.

Non ricordo di aver fatto l'amore mai in maniera così vera ed intensa, il suo profumo sembrava solleticarmi, i suoi occhi punzecchiarmi scherzosamente, il suo respiro risvegliare in me ogni piccola sensazione.

Eppure finì, anche quella volta ci dovemmo allontanare. Lo baciai a lungo, assaporandolo per l'ultima volta e stringendolo fino a che le nocche delle mie mani non diventarono bianche. Poi mi vestii velocemente mentre lui si infilò in bagno, quando tornò in camera lo guardai con occhi tristi e mi avventurai verso la porta

“Addio, Antony” lo salutai dandogli le spalle.

Richiusi la porta alle mie spalle, arrivai fino all'ascensore senza alcun problema, poi sulla mia pelle sentii il suo profumo e scoppiai in lacrime.

   
 
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