Anime & Manga > Katekyo Hitman Reborn
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Autore: Belarus    12/04/2012    2 recensioni
#13: " Sorridevano tutti in quella foto, tutti tranne Hibari poggiato al muro della casa accanto. Erano tutti insieme, c’era persino quell’irritante di Squalo con loro, la spada che brillava dietro la testa dell’idiota. La stupida mucca aveva il moccio al naso e un pacco di caramelle tra le braccia, I-pin il suo vestitino cinese, le ragazze abbracciavano i bambini, Ryohei mostrava il suo pugno estremo, Chrome pareva accennare un sorriso entusiasta, sua sorella reggeva Reborn-sama. Il Decimo rideva, rideva, rideva…
« E’ la cosa più bella che mi sia rimasta… »
"
[ Dal cap #07. 15 years later - cap #13. 20 years later ]
Mi avventuro, vediamo che combino!
Sperando che piaccia!
Baci Baci Belarus
Genere: Angst, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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#01. Two Shots - Due lanci



Non li aveva mai fatti i compiti.
Gli erano sempre risultati troppo facili da svolgere e col tempo li aveva presi talmente a noia, da ignorarli del tutto.
Non vedeva l’utilità di certi esercizi, nella sua vita attuale e nel suo futuro.
Quando avrebbero finito la scuola, lui e il Decimo si sarebbero assunti le responsabilità della Famiglia Vongola ed i compiti sarebbero stati soltanto un pensiero sbiadito di cui ridere.
Eppure quel giorno, al suono della campana, aveva mollato tutti ed era rimasto lì. Seduto sulla cattedra, gambe penzoloni, ad osservare i banchi vuoti della classe.
Era nato tutto dall’intenzione di far passare un po’ di tempo, aveva fatto tutti gli esercizi assegnati. A pensarci bene, aveva fatto tutti gli esercizi del programma di quell’anno. Aveva impiegato una mezz’oretta a finire il libro e si era ritrovato poco dopo, senza aver nulla da fare.
Non riusciva ad andarsene ciò nonostante. I ragazzi che pulivano la classe accanto alla sua erano andati via da un pezzo e l’orologio segnava già le sei del pomeriggio.
Considerando l’ora, doveva esser rimasto solo lui lì dentro.
Probabilmente c’era anche Hibari, ma chissà in quale remota zona della scuola stava bazzicando. Non aveva comunque voglia di vederlo, non era dell’umore adatto per sentirsi minacciare.
Voltò lo sguardo alla finestra. Il sole aveva assunto una colorazione rossastra e cominciava a calare fra gli edifici concomitanti la scuola. Le poche nuvole rosate che galleggiavano nel cielo, erano attraversate dalle rondini primaverili.
Tutto quello sarebbe finito. Era solo questione di tempo, lo sapeva. La pace della vita scolastica sarebbe diventata solo un ricordo, come i compiti e l’aggirarsi senza meta fra le strade affollate di Namimori.
Non che gli potessero mancare cose stupide come quelle, ma la vita vera sarebbe stata diversa. Le bombe sarebbero diventate il suo pane quotidiano, le sigarette sarebbero di certo aumentate di numero, come i lividi e le ferite.
Una volta Reborn-san gli disse che il braccio destro del Boss è il corpo del Boss. A lui spettava il compito di pararsi innanzi al Decimo se qualcuno lo avesse minacciato. Si sarebbe beccato pugni, pallottole, avrebbe sputato sangue al posto suo. A lui stava bene, non c’era nulla di cui discutere.
Quello che non gli stava bene era l’ansia. L’ansia che lo attanagliava ogni giorno di più, che gli faceva pesare il respiro, che gli bloccava i passi. Aveva cominciato a sviluppare una sorta di sfiducia in se stesso. Odiava quella sensazione, il sentirsi inutile verso chi lo aveva tirato via dalla solitudine, il non esser capace di fare da scudo a quel Decimo cui tanto era devoto.
Temeva di non poter riuscire nel suo scopo, di essere incapace di fargli da corpo, come Reborn-san gli aveva detto di dover essere.
Non era comunque il tipo da piangersi addosso. Certe scenette le avrebbe lasciate volentieri ad altri, ma aveva bisogno di confrontarsi con la realtà. Di vedere fin dove sarebbe riuscito ad arrivare, fino a dove avrebbe dovuto faticare per diventare ciò che serviva alla Famiglia. Il risultato degli esercizi scolastici gli aveva dimostrato d’esser ancora abbastanza intelligente, per ignorare la fase adolescenziale della vita. Adesso poteva passare al secondo atto, la realtà nuda e cruda.
Distolse lo sguardo dalla finestra sentendo dei passi nel corridoio e un fischiettare fastidioso, che avrebbe riconosciuto all’inferno per quanto lo odiava. Aspirò profondamente una boccata di nicotina, ma non servì a nulla.
Avrebbero dovuto prescrivergli tonnellate di sigarette per via endovenosa, pur di renderlo vagamente rilassato e tollerante in presenza di quello stupido di Yamamoto.
Ed ecco che arrivava, la zazzera mora e quel perenne sorriso stampato sulla faccia. Passò continuando a fischiettare, superando la porta della classe per poi tornare indietro con il volto sorpreso di chi ha visto cadere una scimmia dal cielo.
<< Gokudera! Che fai ancora qua? >> che voce insostenibilmente limpida che si ritrovava.
<< Aspetto Hibari per fare una partita a shogi. >> borbottò sarcastico, mentre l’altro si lasciava andare a una risata entusiasta.
<< Io vado a farmi due tiri al campo! >> spiegò elettrizzato, facendo roteare il cappellino blu che avrebbe dovuto avere in testa.
<< L’avevo intuito… >> osservò.
Aveva la divisa bianca e blu del club di baseball delle medie Namimori. Era talmente pulita da brillare anche nel corridoio arrossato dal tramonto. Gokudera giudicò quella cura, mania da esaltati.
Gli sport servivano a tenere il corpo allenato, ma passava una netta differenza fra il dedicarsi a essi per hobby e farlo costantemente come fossero uno stile di vita.
<< Beh io allora vado, non vorrei disturbare! Salutami Hibari quando arriva e divertitevi! >> fece per salutare con la mano e l’indice di tolleranza di Hayato crollò oltre il limite consentito.
Aspirò tutta la sigaretta in un sol tiro, ma l’effetto fu troppo lento e le sue vene avevano già raggiunto uno stato di pressione tale da farle scoppiare da un momento all’altro. Saltò giù dal tavolo e batté un pugno sul banco più vicino alla cattedra.
<< Ti sembra plausibile che io giochi con Hibari a shogi?! >> urlò esasperato facendo ridere Yamamoto.
<< Pensavo fosse una vostra passione comune! >> si scusò l’altro sorridendo.
<< Tu sei un idiota! >> s’infervorò ancor più, mentre l’altro rideva imboccando nuovamente il corridoio.
<< Su, Gokudera! Non ci vedo nulla di male nel passare un po’ di tempo con Hibari! Se ne sta sempre solo! >>
Corse fuori dalla classe sentendo quelle parole. Il moro era ancora a qualche passo di distanza, il cappello che roteava sull’indice della mano destra. Hayato gli andò dietro meditando di gettarlo giù dalle scale, ma avrebbe potuto rompere qualche gradino con la testa di granito che si ritrovava e allora sì che Hibari avrebbe giocato a shogi, con ciò che restava dei loro denti.
<< Di un po’, ti ha colpito una palla in testa quando eri piccolo?! >> gli domandò, mentre oltrepassavano la porta d’ingresso della scuola.
Lo vide voltarsi serio, il cappellino bloccato nel palmo della mano.
Strofinò i piedi sul terriccio appena fuori la porta, aveva l’aria pensierosa.
Gokudera rise mentalmente, chissà che sforzo stava facendo in quel momento.
<< Non so, dovrei chiedere a mio padre… >> borbottò sicuro, per poi tornare a osservare l’altro.
Passarono alcuni istanti. Istanti in cui Hayato sedimentò la risposta del moro e prese atto di quanto potesse ancora stupirsi nel sentirgli dire certe cose.
<< Allora non hai da fare con Hibari? >> domandò in fine.
<< Ancora?! >> quella era l’occasione adatta per riempirlo di botte.
Avrebbe detto che c’era stata una rissa e che l’idiota si era intromesso per metter pace. Già immaginava la scena, sarebbe stato credibile, tra l’altro non era neanche una bugia da rifilare al Decimo.
Prima o poi ci sarebbe pur stata una rissa in cui il guardiano della pioggia si sarebbe andato a immischiare, era solo questione di tempo e lui avrebbe avuto la coscienza salva.
<< Se non hai niente da fare puoi venire con me! >> propose Yamamoto, il sorriso soddisfatto a increspargli le labbra.
<< Chi ti dice che non abbia niente da fare?! >> quello era davvero il colmo.
Sentirsi dare del nulla facente da qualcuno che impiegava le giornate a dormire e giocare a baseball. Era da raccontare come aneddoto divertente per la prossima sfida indetta da Reborn-san.
<< Dato che te ne stavi in classe senza far niente, ho pensat- >>
<< Tu non devi pensare esaltato! Quello lascialo fare a quelli come me! >> avrebbe dovuto spiegarglielo prima forse, ma sarebbe stato comunque del tutto inutile.
Che aveva poi da ridere e sorridere di continuo, c’era da chiederselo.
<< Gokudera, a meno che tu non abbia niente di meglio da fare… >> cominciò Takeshi, il sorriso ancora sulle labbra.
<< Ti andrebbe di venire con me al campo per fare due tiri? >> domandò in fine, inforcando il berretto blu sulla testa.
Hayato avrebbe potuto trovare centinaia di motivi, validissimi, per dirgli di no e giustificare una sua eventuale sfuriata epocale contro di lui. Pensandoci bene, avrebbe dovuto fare una lista.
Sarebbe stato più semplice metterli in ordine d’importanza e ricordarli tutti nei momenti opportuni.
<< A me non piace il baseball, esaltato! >> affermò sicuro, le mani nelle tasche.
Aveva scelto una buona carta, a suo avviso.
<< Che importa?! Piace a me e tu puoi aiutarmi con i lanci! >> rassegnarsi all’evidenza, a quanto pareva, non era un ‘opzione accettabile per l’idiota.
<< … va bene, ma non pensare che io passi l’intera serata qui al campo con te! >> sbottò minaccioso, superando Yamamoto.
Magari assecondandolo, quella faccenda sarebbe finita prima.
Oltrepassarono la porta del club di boxe, il sole era già calato e il cielo cominciava a scurirsi. Le luci d’ingresso della scuola erano accese, all’interno era distinguibile solo quella della sala del comitato disciplinare.
Le urla delle rondini cominciavano ad affievolirsi e l’aria si faceva leggermente più fresca.
Gokudera batté i piedi sul terreno scuro del campo da baseball, innalzando una piccola nuvola di polvere che gli macchiò le scarpe grigie. Osservò il guantone che Yamamoto gli aveva consegnato, era logoro e per metà strappato. Le cuciture stavano già venendo via e s’intravedeva la stoffa ingiallita all’interno.
Diede una breve occhiata al moro, a qualche metro da lui.
Teneva la mazza stretta fra le mani, controllava la posizione in base da lanciatore e aveva cambiato sguardo.
Non c’era più quell’eterno sorriso ad increspargli le labbra.
Sembrava piuttosto, concentrato.
Hayato afferrò una palla, quando l’altro abbassò il capo in segno di consenso.
Se la rigirò fra le mani un po’ pensieroso.
Pazienza, concluse in fine, lanciando con tutta la forza possibile, avrebbe passato la serata a giocare a baseball con un esaltato di baseball. Sempre meglio delle passeggiate senza meta per le strade affollate di Namimori, si ritrovò a pensare.
Il suono acuto della mazza che colpiva la palla riecheggiò per l’intera scuola e Gokudera si ritrovò con la testa per aria ad osservare la traiettoria del colpo.










  
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