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Autore: Ortensia_    12/04/2012    1 recensioni
Dodici, e le lancette scorrono.
Qualcosa li ha condotti al numero 50 di Berkeley Square, e non vuole più lasciarli andare.
Vive nelle fondamenta, nel vuoto. Si nutre della paura e spezza quei sentimenti che riescono a toccarsi con dolcezza nella casa spettrale di Londra.
...
Cos'è? Chi è?
...
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, Altri, Austria/Roderich Edelstein, Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Can you hear the World?'
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VIII - Sospetti



Nel ‘700 fu una giovane di nome Adeline a trovarvi una morte terribile: in fuga dallo zio violento, cercò di mettersi in salvo saltando dalla finestra. Purtroppo la giovano morì nella caduta e in molti testimoniano di aver visto il suo fantasma urlante precipitare da quello stesso punto ogni volta.


«Mi sento come se lo avessi ucciso io, permettendogli di entrare in quella stanza …»
Alle parole del fratello, Ludwig, desiderò quasi di tirargli una manata in testa: per un attimo aveva pensato che fosse proprio Gilbert l’assassino che in sei giorni aveva già fatto tre vittime, e quando lo sentì continuare non poté che lasciarsi sfuggire un sospiro di sollievo.
«No Gilbert, non è colpa tua.»
«Mhn …» il prussiano fece per dire qualcosa, ma la voce dell’altro lo interruppe.
«Senti …» il tedesco esitò giusto appena «sei sicuro di non voler venire a dormire da noi?»
«Pft! Ja! West, cosa pensi? Che il Magnifico Me abbia paura? Kesese!» il prussiano scoppiò in una risata roca, sorridendo divertito e sbattendo appena il palmo della mano contro la spalla del tedesco.
«Gut, andrò a dormire West.»
«Mhn. Buona notte, Gilbert.» Germania sapeva bene quanto sforzato fosse il sorriso del fratello: era preoccupato, turbato, forse anche più di lui.
«Ah, un ultima cosa.»
«Was?» Gilbert inclinò appena il viso, osservando il tedesco da oltre la spalla.
«Stai molto attento a Russia, per favore.»
Il ghigno che si disegnò sulla bocca di Gilbert quasi sorprese il minore, che se ne rimase immerso nei propri pensieri «tranquillo, ormai ci so fare con quello lì. Buona notte!»
E l’albino si avviò a passi lenti verso le scale, salendole tranquillo e sperando nel buio nel giro di pochi attimi, mentre il minore rimaneva fermo nel corridoio, sospirando appena: ci sapeva fare? In che senso?
«Mh …»

Gilbert rimase con le mani aderenti ai fianchi, le dita quasi immerse nelle tasche, camminando a passi lenti e calcolati, a causa del buio pesto, verso la propria stanza quasi senza respirare: di cosa si preoccupava West? Pft, va bene che aveva avuto la sfortuna di capitare al secondo piano insieme a quel russo bastardo, ma se la sapeva cavare Magnificamente!
D’un tratto, però, due morse salde e quasi dolorose sulle spalle, lo bloccarono e lo spinsero, finché la schiena non aderì allo spazio di muro vicino alla porta della camera. Non ebbe tempo di dire nulla, che la bocca fu bloccata da un bacio appassionato, pieno di bramosia.
Inutile dire che subito le mani di Gilbert fecero presa sul petto dell’aguzzino e cercarono di spingerlo lontano con tutta la forza possibile, ma quelle labbra nemica sembravano non voler abbandonare la sua bocca, ed erano così insistenti che ormai lo avevano fatto arrossire di vergogna e sospirare quasi di piacere.
Lo sapeva che quelle labbra appartenevano a lui: le aveva già sentite, un centinaio di volte, probabilmente.
Quando poi le sue mani sembrarono diminuire la forza di spinta, fu il corpo dell’altro a scostarsi e sparire nel buio, a passi irregolari e frettolosi.
Nel buio, ora, si poteva ascoltare solo il respiro affannato del prussiano, in balia di pensieri rabbiosi e ancora costretto contro al muro, con il cuore quasi fuori dal petto.

Quando Ivan rientrò sorridente in camera ci mancò poco che non cacciò un altro urlo acuto e inorridito.
Appostata al centro della stanza, la bielorussa, lo fissò senza dire una parola e lo seguì con gli occhi, fino a quando non si sedette sul letto e si schiarì appena la voce, quasi come ad esortarla a parlare, se avesse avuto mai qualcosa da dire.
«Dove sei stato?»
Ed ecco che la bielorussa si pronunciò quasi nervosamente, senza scostare gli occhi dallo slavo.
Ivan rimase in silenzio, con le gambe piegate, le ginocchia quasi al mento, sulle quali poi lo adagiò delicatamente.
«… Ivan?»
Con tono più nervoso, la donna pronunciò il suo nome, quasi come se avesse voluto attirare a tutti i costi la sua attenzione, ma non ricevendo una risposta per la seconda volta non poté che sbuffare rabbiosa ed andare a sistemarsi frettolosamente sotto le coperte.
«Buona notte.»
«Noch’»

«Direi che per questa notte possiamo anche andare a dormire.» Arthur avrebbe voluto tanto aggiungere “sereni” come ultima parola della sua osservazione, ma non era cosa fattibile, dopo aver macellato un altro corpo ed averlo sistemato nella ghiacciaia.
L’americano alle sue spalle si limitò ad annuire in uno sbadiglio, mentre nel buio, gli ultimi gradini, parvero quasi cigolare sinistramente sotto i loro piedi.
«Che son- oh?» Alfred si bloccò sulla porta, al fianco dell’inglese, ed entrambi osservarono confusi il gesto frettoloso di Francis: seduto sul letto, sembrava essersi affrettato a nascondere qualcosa sotto il letto, ed ora li osservava con un sorriso sorpreso in volto.
«Eccovi!»
«Eh, sì …» Arthur aggrottò appena la fronte, chiudendo la porta senza più pronunciarsi.
“Cosa stava nascondendo lì sotto? Ok! Io, l’eroe, penserò a tenerlo d’occhio, visto che è sempre qui da solo e potrebbe combinare qualsiasi cosa!” e pensandosi già come l’eroe della casa, Alfred, si stava già preoccupando di tirare le coperte fin sopra la testa, subito socchiudendo gli occhi, stanco a causa del lavoraccio affrontato poco prima in compagnia dell’inglese.
Arthur, invece, prima di sistemarsi a letto, si soffermò più volte su entrambi i compagni di stanca, con mille pensieri presenti nel buio.

Subito dopo aver sistemato un vecchio libro sullo scaffale della biblioteca, la sensazione di Arthur di essere osservato si fece molto più presente. Immobilizzatosi deglutì appena, flettendo lentamente il viso.
Dovette ammettere che la vista di quella pelle nivea e vellutata, quei capelli d’argento e quegli occhi affilati, di uno strano e penetrante viola, lo fece sobbalzare: colto di sorpresa si ritrovava oggetto dell’osservazione attenta della bielorussa.
«Natalia … ti serve qualcosa?»
«Da.»
«Cosa?»
«Sapere perché questa casa ha mangiato la lingua a mio fratello.»
«… W-what?!»
«In senso figurato, idiota!»
«Ah … oh … beh, che io sappia i fantasmi e le case infestate non hanno il potere di zittire le persone …»
L’inglese tornò ad osservare i diversi libri disposti sugli ultimi scaffali, mentre la bielorussa annuiva appena dietro di lui.
«Non vuole parlarmi, però …» insistette.
«Mhpf, senti, che c’entro io? Avrà i suoi pensieri per la test-»
«Smettila di blaterare!» ed ecco che un pugnale sfrecciò quasi aderente alla gota pallida dell’inglese, infilzando in un colpo netto la rilegatura di cuoio di un libro antico.
«Are you crazy?!»
«Zitto!»
«Tu sei matta! Avanti, sei innamorata di tuo fratello: non è normale!»
«E che lui sia innamorato di un altro uomo …? Questo è normale, invece?»
Quando Arthur notò che la voce della donna si era fatta più flebile afferrò il pugnale fra le dita e lo estrasse dal libro, dirigendosi lentamente verso di lei per consegnarglielo.
«Questo clima non fa certo bene.
Vedrai: presto usciremo di qui.»
La bielorussa lo osservò per qualche attimo, poi afferrò il manico del pugnale «lo spero bene.» e lo tirò improvvisamente verso di sé, lasciando che la lama affilata tagliasse il palmo della mano del biondo.
Arthur aprì la mano insanguinata in un singulto, e rialzato il viso verso l’altra la vide già scomparire oltre la porta, dove si era lasciata alle spalle solo il fruscio delicato dei suoi abiti cupi.

«Arthur, ma che hai combinato?»
«Niente Alfred. Pensi di andare a dormire o devo leggerti una favola?» sibilò l’inglese, stringendo l’estremità della benda fra i denti e guidando l’altra intorno alla mano ferita.
«Però sembra che tu abbia perso parecchio sangue …» ed anche il francese intervenne.
Sottomesso a tutte quelle attenzioni da parte dei compagni di stanza, Arthur, decise di affrettare la fase di bendaggio e spegnere subito la luce, per dare una buona notte secca e nervosa all’americano ed al francese.

«Feliciano … tutto ciò è difficile per entrambi, credimi …» lo spagnolo sussurrò appena, sospingendo con la mano la tazza di caffè caldo, fino a sistemarla di fronte all’italiano.
«Perché dobbiamo parlarne proprio ora? Sono passati solo tre giorni da quando Roman-»
«Ascolta!» quasi come se non volesse sentir pronunciare quel nome, Antonio, lo interruppe senza troppi complimenti, poi continuò «lo sai anche tu che, appena usciti da qui, lo troveremo a casa, in qualche modo. Lo sai, vero?»
Feliciano annuì appena: Antonio aveva ragione, ma la tristezza e la paura parevano essere più forti di lui.
«E allora inizia piuttosto a preoccuparti di te stesso! Questa casa è pericolosa e ci sei tu qui dentro, Feliciano!
Lui ci sta sicuramente aspettando fuori, da qualche parte, perciò riprendi a mangiare e non arrenderti.» e con un cenno della testa parve quasi indicargli la tazza di caffè ancora piena.
L’italiano rimase in silenzio, stringendo fra le mani la tazza e percependone con piacere il calore impregnato nel coccio bianco, per poi sorridere appena.
«Grazie Antonio!»
«Di nulla, amigo~!»
E Feliciano lasciò il tavolo, portando alle labbra la tazzina e sorseggiandone appena il contenuto, intraprendendo la piccola parte di corridoio che lo avrebbe portato in camera.

«M-ma dove sarà-?» Ivan balbettò appena, inginocchiato a terra e con il viso quasi aderente a terra, cercando con sguardo atterrito il pavimento vuoto, sotto al letto.
Quando rialzò il viso rimase ad osservare, evidentemente a disagio, la sveglia, dove erano quasi segnate le dieci del mattino.
«Non … non è possibile.
Dov’è-?!» quasi disperato si alzò dal pavimento e si osservò intorno, portandosi rapidamente una mano allo stomaco, in seguito ad un brontolio rabbioso che, con tanta ira, reclamava la colazione; il russo era alla ricerca del suo prezioso tesoro da più di un’ora e quindi non era neppure sceso in sala da pranzo come tutti gli altri.
«Non la tolgo mai, non è possibile!» si sentiva strano, senza quella protezione in più, e senza più dire una parola uscì dalla camera, passò davanti alla stanza abbandonata ed attraversò il corridoio, per poi sussultare e bloccarsi in cima alle scale.
Era un’ombra, quella che aveva visto proiettarsi nel frammento di luce presente nella stanza abbandonata.
Rimase in silenzio, arretrando cautamente fino a giungere davanti alla soglia della camera, per poi immobilizzarsi ad occhi sgranati, incredulo.

Le lancette segnarono le dieci.

«Ohi idiota, guarda che la colazione è al piano di sotto!»
Neppure la risata roca di Gilbert, seguita da quella più delicata del francese, riuscirono a distogliere Ivan da ciò che aveva davanti.
«Ivan, tutto bene?» Francis aggrottò appena la fronte, notando l’immobilità quasi irreale del russo.
Quando Gilbert e Francis lo raggiunsero, anche loro non poterono fare a meno di immobilizzarsi sulla porta: i piedi dell’ombra si incontravano con quelli veri, appena sospesi da terra: nel buio penzolava ancora il corpo impiccato della bielorussa.
«M-merd! Vado a chiamare gli altri!»
Gilbert rimase in silenzio, soffermando il proprio sguardo su un particolare agghiacciante: intorno al collo della donna non c’era alcuna corda, bensì la sciarpa del russo, legata ben stretta e salda ad un piolo arrugginito arrangiato in una trave di legno ormai marcio.
Forse sperando di aver visto male, voltò il viso verso lo slavo, e quando notò che al suo collo non c’era alcuna sciarpa non poté che arretrare.

«È ovvio che l’assassino, ormai, voglia ucciderci tutti …» Arthur si pronunciò senza entrare nella stanza.
«Mhpf, sì, e ha appena ucciso sua sorella.» il prussiano sibilò quasi schifato, ed il russo sgranò gli occhi incredulo, subito negando con pesanti scossoni del capo.
«N-no, Gilbert-»
«Sì, invece.»
«Beh, la tua sciarpa … è al suo collo …» Alfred li interruppe e fece da voce all’evidenza, ma il russo continuò a negare energicamente «no! Io stavo cercando la mia sciarpa! Non c’era quando mi sono svegliato, ma non … non ho
Giuro che non ho ucciso mia sorella!»

«Adesso calmati Ivan.» Arthur lo esortò a dare un taglio a quella lagna, poi sospirò appena.
«Che qualcuno si occupi di quel corpo …» l’inglese continuò e, date le spalle a tutti i presenti, scese le scale diretto al piano di sotto.

«Arthur!»
L’inglese non ebbe neppure il tempo di chiudere la porta del bagno che la voce roca del prussiano risuonò alle sue spalle e lo immobilizzò.
«È lui l’assassino! È evidente!»
«Qualcosa mi dice che ci speri, che il cattivo sia lui …»
«Ma è lui!»
«Non abbiamo prove sufficienti …»
«La sua sciarpa che fa da sostituta ad una corda da impiccagione non è una prova già abbastanza indicativa?!»
«No, affatto. Ragiona.»
«Sono la Magnifica Prussia, io! Non devi dirmi tu quando fare qualcosa, tsk!»
«Mhpf, anche se fosse, che facciamo? Hai per caso una pistola per ucciderlo? Io no.»
Gilbert incontrò solo per un attimo gli occhi smeraldini dell’inglese, iniettati d’ansia, poi strinse i denti, soffermando la propria attenzione alle spalle del biondo.
Gilbert rimase in silenzio per qualche attimo, poi aggrottò la fronte confuso «ehi, ma quello cos’è …?»
L’inglese distolse subito lo sguardo dall’albino e rivolse la sua attenzione al lavandino, subito passando un dito sul bordo ed analizzando la polverina scura sul polpastrello.
«Sembra … fard?»
«Fard?»
«Sì, ma non credo che sia stata Natalia ad usarlo.» con un gesto veloce, sfregò l’indice ed il pollice, pulendo i polpastrelli da quella cipria sottile, e tornò a rivolgere il proprio sguardo all’altro, nel silenzio complice di una prova indispensabile.

Quando Gilbert sentì bussare alla porta della sua camera ripose subito il diario e si alzò dalla sedia, sistemandosi quasi con cautela al centro della stanza.
«Chi è?» ma alla sua domanda corrispose il cigolio della porta che gli si aprì proprio di fronte.
Quando vide il russo di fronte a sé aggrottò subito la fronte, quasi arricciando il naso con una smorfia rabbiosa in volto «che diavolo vuoi? Va via.»
«Gilbert …»
«Fosse per il Magnifico Me saresti già legato ad una sedia, adesso. Se non peggio, mhpf.» l’albino gli sputò quasi addosso le parole, avvicinandosi appena quasi in un vano tentativo di allontanarlo, farlo arretrare lentamente verso l’uscita.
«Gilbert, io non ho ucciso Natalia …»
«Ja, ja.»
«G-Gilbert-! Ascoltami!» quasi con le mani congiunte e le ginocchia a terra, il russo alzò la voce come disperato, indeciso sul da farsi.
«Non sono stato io! Credimi!»
«Basta Ivan!»
Ma non appena anche il prussiano ebbe alzato la voce, il resto delle parole gli morirono in gola: un rumore sommesso, eppure acuto e sinistro alle sue spalle, lo aveva immobilizzato, e così aveva fatto con il russo, che alzò appena il viso, cercando con gli occhi il punto dal quale fosse venuto quel suono singolare.
Quando un altro, simile ad un lamento, un urlo flebile, risuonò nella stanza, il prussiano si mosse e passò di fianco al russo, chiudendo la porta della camera alle sue spalle.
Lo slavo si voltò verso l’altro, aggrottando la fronte confuso, per poi sorridere allegro «mi credi, allora?»
«Mhpf. Taci, bastardo.»
Credergli o no, Gilbert non aveva ancora deciso, ma era sicuro che trattenerlo lì, nella sua stanza, sarebbe stata un’ottima idea, per quanto fosse poco Magnifica.

«Non è certo la stessa cosa di sventrare il pesce in cucina …» il francese interruppe il silenzio con un pensiero espresso ad alta voce, osservando con occhi stanchi il soffitto della camera.
«M-ma dai-
Francia-» Arthur giurò di vedere il labbro di Alfred tremare appena, quasi schifato: non che fare a pezzi gli altri Stati fosse un passatempo piacevole e divertente, in effetti.
«Alfred, quello cos’è?» Arthur aggrottò appena la fronte, senza scostare il proprio sguardo da quello dall’americano.
«Eh? Questo?» e lo statunitense si portò la mano alla guancia destra, sfiorando il cerotto con un dito «ahahah! Già! Guardate qui!»
Alfred si alzò dal letto e spostò appena il comodino ed aprendo uno dei due piccoli cassetti per mostrarlo all’inglese ed al francese, che intanto si era messo pigramente a sedere, aspettando che l’americano spiegasse il tutto.
«È tutto disordinato …»
«Lo so. Questo perché oggi, mentre voi eravate al piano di sotto, il comodino mi è arrivato addosso …»
«C-come ti è arrivato addosso?»
«Sì, addosso.
Ma comunque non è niente di grave, è solo un graffietto!»
Il sorriso di Alfred scomparve non appena vide le facce atterrite degli altri due, poi riprese energicamente «non preoccupatevi: l’eroe ha vinto, ahahahah!»
   
 
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