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Autore: Lue    13/04/2012    3 recensioni
Avevamo quindici anni e lui mi rivolgeva un saluto in cortile, forse Ada ci presentava.
Avevamo sedici anni e parlavamo senza troppa convinzione di politica e manifestazioni.
Avevamo diciassette anni e ci raccontavamo cose di noi che nessun altro sapeva.
Avevamo diciotto anni e la nostra prima volta era una sera, a casa mia, e lui continuava a chiedermi: “Sei sicura? Sei sicura?”.
Avevamo diciannove anni e studiavamo per la maturità, baciandoci tra Greco e Filosofia.
Avevamo vent’anni, una paura folle di fare le scelte sbagliate e una speranza che ci cresceva rigogliosa nel petto.
Adesso di anni ne avevamo ventidue e sembrava che avessimo vissuto una vita insieme, una vita che si concentrava nelle sue mani, nel suo zaino e nel suo borsone, nella sue pelle scottata da un sole straniero, nei suoi occhi che tante volte s’erano specchiati nei miei.
Rimasi a bocca aperta davanti a lui.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parole

- Sesto capitolo -



All’inizio del secondo anno di università io ed Enea cominciammo a pensare di andare a vivere insieme nel piccolo appartamento che era stato di mio nonno materno e che mi era stato lasciato in eredità qualche mese prima.
Intanto non avevamo perso i contatti con gli altri: Ada ci venne a trovare verso ottobre e ci vide durante la sistemazione della casa. La facemmo accomodare tra due scatoloni dell’Ikea e poggiammo le tazze di tè su una pila di libri, un tavolino improvvisato. Ada era rimasta incinta e Charles l’aveva abbandonata, lasciandole in mano duecento euro, che erano bastati giusto per il viaggio di ritorno in Italia. Lei, come sempre, non perdeva la speranza e voleva tenere il bambino, nonostante sua madre non volesse saperne di aiutarla economicamente.
Io ed Enea ci scusammo per qualche secondo e uscimmo sul balcone per parlare della situazione: Ada era da sempre una nostra grande amica, e non potevamo certo abbandonarla anche noi.
“Senti Ada”, Enea cercò il mio sguardo come conferma, io gli strinsi la mano, “Io e Vera pensavamo che puoi stare da noi per un po’, naturalmente dobbiamo ancora sistemare tutto e ci vorrà qualche tempo, però...”.
Ada passò le ore seguenti a ringraziarci e cercare un lavoro su internet, perché su una cosa era irremovibile: voleva contribuire, pagando bollette e affitto.
Così cominciò la nostra vita da coinquilini e il passare delle settimane era scandito dall’ingrossarsi della pancia di Ada. Lei saltellava per casa, mettendo a posto tutto ed entrando all’improvviso nelle stanze, cantando e dando così luogo a situazioni imbarazzanti. Per me non era un problema, ma dopo un po’ Enea cominciò a soffrire della perdita dei suoi spazi, ed era innegabile che la nascita del bambino avrebbe complicato tremendamente le cose.
Poi, un giorno, Ada trovò una casa.
“A quanto ho capito potrò trasferirmi tra un mesetto, finalmente Charles si è dato una svegliata e ha capito che deve contribuire anche lui...”.
Quella sera decidemmo di andare tutti e tre a festeggiare; io li avrei raggiunti al ristorante perché era il mio turno di chiudere la libreria.
Abbassai la saracinesca, mi voltai, e mi trovai davanti Marco.
“Allora mi hanno detto bene, lavori qui”.
Gli rivolsi un debole sorriso, incamminandomi verso la macchina.
“Eh sì, ti hanno detto proprio bene. Ora dovrei andare però, scusa, ho una cena...”.
Lui mi fermò, spingendomi contro la macchina. Non indossava più il berretto rosso di una volta, e premette le labbra screpolate sulle mie.
Lo schiocco della mia mano sulla sua guancia fu udibile per isolati.
“Ma che cazzo fai!?”, lo spinsi indietro, cercando di infilare la chiave nell’automobile, febbrilmente.
“Vera, io non ti ho mai dimenticata”, si avvicinò a me e io lo respinsi di nuovo. Lui alzò le mani in segno di resa: “Me lo dovevi”.
“Io non ti dovevo proprio niente!”, urlai, entrando in macchina, “E sono passati quattro anni! Fatti una cazzo di vita!”.
Guidai fino al ristorante col cuore che mi scoppiava nel petto: avevo avuto paura delle mani di Marco sul mio viso, paura che sfiorasse e così rovinasse la mia felicità che era un foglio di carta velina, così fragile.
Enea mi aspettava fuori dal ristorante, fumando una sigaretta, e quando mi vide così sconvolta corse verso di me.
“Vera, cosa c’è? Cos’è successo?”.
Gli raccontai tutto, “Mi ha baciato lui, ma ti giuro, l’ho respinto”.
Lui si allontanò da me, e io non capivo.
“Perché me lo stai raccontando se tu non hai fatto nulla? Hai la coscienza sporca?”, mormorò cupamente.
“Cosa... No!”, esclamai incredula, “Certo che no, come ti viene anche solo in mente...”.
“Va tutto a puttane, Vera, ci mancava solo questo, viviamo in tre in un buco, io non trovo un lavoro, forse dovresti stare con lui”, mi interruppe Enea, buttando in terra la sigaretta.
Gli afferrai il viso tra le mani.
“Guardami”, lo costrinsi ad alzare gli occhi su di me. “Io sto facendo del mio meglio, abbiamo scelto insieme tutto questo...”.
“Beh, forse non era quello che volevo! Forse mi aspettavo un futuro più... più semplice!”, si scostò lui.
“Questo non ti dà il permesso di prendertela con me! Non è colpa mia se non abbiamo soldi, almeno abbiamo una casa...”.
“Ed è naturalmente merito tuo, giusto?”, sputò amaramente, “Tu ci hai messo la casa, tu hai un lavoro fisso, i tuoi esami stanno andando bene...”.
“È questo il problema, allora!? Odi il fatto di non sentirti all’altezza? Forse se io ho cose che tu non hai è perché io me le merito e tu no!”, sapevo che era una cosa tremenda da dire, che lo avrebbe ferito, ma glielo urlai contro comunque.
“Vaffanculo, Vera, sei la solita egoista. Cresci un po’”, mormorò mentre se ne andava.
SEI TU CHE DEVI CRESCERE!”, gli gridai dietro mentre i passanti mi fissavano e lui si allontanava.
Mi asciugai le lacrime ed entrai nel ristorante. Ada mi aspettava già seduta al tavolo, con un sorriso sulle labbra.
“Enea?”, mi chiese e una parte di me lottò contro l’altra per non correre in strada e inseguirlo e baciarlo.
“Lo ha chiamato sua madre ed è dovuto andare da lei, ci aspetta a casa”.
 
Quando tornammo a casa, Enea era seduto sul bordo del letto in camera nostra. Io mi inginocchiai di fronte a lui e lo guardai negli occhi.
“Mi dispiace”, sussurrai, “Mi dispiace per le cose che ho detto e mi dispiace di non essermi accorta prima di quanto poco tu sopportassi questa situazione. Ma Enea, io ti amo, non ti ho tradito”.
Una lacrima gli scese lungo la guancia.
“È questo il problema”, pianse, “Io l’ho appena fatto”.




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Tadadadaaaa!
Alla prossimaa ;)
Lu

   
 
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