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Autore: _joy    13/04/2012    1 recensioni
E – diciamocelo – cosa sarà mai una mail importante nell’ordine delle priorità dell’universo?
Ordine che ha fatto sì che oggi Ben Barnes – BEN BARNES – sia seduto a pochi metri da me?
Gin/Ben
[Serie "Forever" - Capitolo I]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
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È incredibile quanto il tempo riesca a cambiare velocemente, a fine estate. Gira un attimo il vento e, d’improvviso, sembra un’altra stagione.
Stamattina era soleggiato e caldo e ora il cielo è coperto da nuvoloni grigi. L’aria è pesante, si sente che si prepara un temporale.
O sono passate tante ore e sono io che non me ne rendo conto?
Ho silenziato il telefono e continuo a ignorare il fatto che il display si illumina a intervalli quasi regolari.
Eccolo.
Vedo comparire per la centesima volta “Francesca”. Ignoro la chiamata. È lei che mi ha cercata più di tutti. Ho due chiamate del capo (pardon, ex capo: evidentemente spera in un ravvedimento. Anzi, me lo immagino mentre mi dice con la consueta prosopopea: “Ginevra, voglio darti la possibilità di rimangiarti le sciocchezze che hai detto e tornare a lavorare dodici ore al giorno, per una paga da fame. Certo, dovrai ringraziarmi copiosamente per la mia magnanimità.”, mentre mi guarda dall’alto in basso. Coglione.), sette di mia mamma, tre di Sara. Qualche numero sconosciuto. Niente da Ben, nemmeno un messaggio.
Non voglio sentire nessuno.
Avevo quasi pensato di chiamare il mio migliore amico. Ho scorso la rubrica fino a trovare il nome di Enrico, ma poi mi è mancato il coraggio. So già cosa mi direbbe. Resterebbe zitto e aspetterebbe che io finissi le parole e, poi, le lacrime. Quindi mi direbbe: “Ma come cazzo ti è venuto in mente? Non ci avrai creduto davvero?”
Poi mi consolerebbe, perché mi vuole bene. Un mondo di bene. Ma direbbe che me la sono cercata. Che io non sono una persona capace di avere una storiella senza impegno (che poi, storiella un corno. Quale cazzo di storiella prevede due carezze su un dondolo, un bacio e una pedata nel sedere a tempo di record?) e cos’altro pensavo che sarebbe stato? Una storia vera? L’inizio di qualcosa?
Non ho paura di essere giudicata, perché so che lui non lo farebbe. Ma odio l’idea di essere compatita. Di essere sempre la piccola Gin che fa – ma tu guarda! – ancora gli stessi errori.
“Gin, puoi giocare solo quando conosci e usi le stesse regole di chi gioca con te”
Me lo dice sempre.
Peccato che a me mancano proprio i fondamentali.
Sospiro e allungo le gambe davanti a me.
Sono seduta per terra nel magazzino che serve ai tecnici per riporre le apparecchiature audio per stasera. Stanno montando il palco. Io sono entrata con il badge di addetto stampa che non ho ancora restituito.
Non sapevo dove andare.
Così mi sono messa a camminare e le gambe mi hanno portata … qui.
Mi sono seduta dietro un’enorme cassa e … niente. Ho messo le cuffie e acceso l’i-pod. Stranamente, oggi non sopporto nessuna delle mie canzoni preferite. Mi fanno tutte pensare a lui. Così, continuo ad ascoltare e riascoltare Supermassive black hole. La voce di Matt Bellamy, se non riesce a consolarmi, almeno mi fa compagnia.
Non voglio parlare con nessuno. Non voglio pensare a niente.
È stupido, ma mi sento sola.
Ed è ridicolo, perché non è possibile che mi manchi. Semplicemente, non può. Due giorni fa nemmeno lo conoscevo. Nessuna persona può far breccia così velocemente, nemmeno lui. Sono solo delusa. E amareggiata. E stanca. E incazzata.
È così per forza. Pensavo che fosse un sogno. Insomma, il mio attore preferito, in carne e ossa. Ci ho fantasticato sopra e basta, mi ripeto rabbiosa.
È uno che gira il mondo. Oggi è qui, domani sarà in Australia. Dopodomani in Cina. Il giorno dopo in Nuova Zelanda.
O giù di lì.
Cosa pensavo che sarebbe successo?
Che mi avrebbe chiesto di metterci insieme? Che mi avrebbe detto “teniamoci in contatto”? Che mi avrebbe mandato qualche sms dalla cima del Kilimangiaro?
Non lo so. Non ci avevo pensato. Ma per quanto capisco che sia assurdo … questo no. Non me lo merito.
Nessuno si merita un comportamento del genere.
Poteva dirmelo subito. Poteva mettere le cose in chiaro in partenza.
Mi scende una lacrima, mentre penso che probabilmente non l’ha fatto perché per lui non ne valeva la pena. Non si sarà nemmeno posto il problema. Avrà miliardi di ragazze in tutto il mondo che aspettano solo che lui schiocchi le dita. Si starà rotolando per terra con qualcun’altra, in pineta, già adesso.
Mi scappa un singhiozzo mentre vedo nella mia mente due visi che si sovrappongono, uno delicato come una miniatura, con profondissimi occhi neri e un accenno di barba e l’altro con labbra carnose e ridenti occhi azzurri.
E tutti e due dicono la stessa frase: “Sei davvero una bella ragazza, ma…”
Ma, sempre ma. Solo ma, per me.
Quando Fabio mi ha lasciata, l’ha fatto con le stesse parole. “Sai quanto mi piaci, sei bellissima, sei intelligente, ma io non sono pronto a innamorarmi di nessuna. Nemmeno di te.”
Che cazzo vuol dire? Come si fa a decidere quando sei pronto? Ti suonano al citofono di casa?
Il fatto che Ben abbia detto la stessa cosa mi fa infuriare centomila volte di più. E se la mia parte razionale continua a ripetermi che certe romanticherie succedono solo nei film (la star internazionale che si lega a una ragazza qualsiasi), la mia parte emotiva ribatte che invece non significa proprio un cavolo.
Io sono una persona e ho i miei sentimenti e il mio orgoglio.
E pure lui è una persona. Non è un dio.
Che poi, è assurdo, ma non riesco più a pensare a Ben come a Ben Barnes. Cioè, ora è … solo Ben. Il Ben che ha dormito con me, che ha fatto colazione con me. Che mi ha baciata. Non il principe Caspian, quello irraggiungibile. Quello che vive dall’altra parte del mondo, che vedo solo nelle foto su internet e nei dvd dei suoi film.
Mi rifiuto di farmi mettere in soggezione dall’idea della sua fama. Non me ne frega niente se è famoso. Non mi piace perché è famoso. Sono allergica alla gente famosa. Mi piacerebbe lo stesso, anzi, mi piacerebbe di più, se fosse un ragazzo qualsiasi.
Avrebbe sempre quegli occhi incredibilmente espressivi e quel sorriso meraviglioso. Quella voce suadente e sexy da morire. Quel modo così dolce di fare le smorfie.
Sarà così stronzo perché soffre di un delirio di onnipotenza? Sarà un totale menefreghista? Un bugiardo così convincente? Possibile che io non me ne sia accorta?
Possibile, sì. Ero totalmente, completamente incantata.
Se un qualsiasi ragazzo normale è allergico alle relazioni stabili, figuriamoci lui.
Oh, ma vaffanculo.
Perché non sono capace di dire “Ok, basta, è stato bello. Non poteva durare. Ho baciato Ben Barnes, che è più di quanto avrei mai potuto sognare. Stop. Esci e conosci qualcun altro”?
L’idea mi fa accapponare la pelle. Già io sono difficile di mio, figuriamoci da ora in avanti. Voglio dire… Ben Barnes. Ecco.
Alzo il volume dell’i-pod e Bellamy grida a squarciagola. Vorrei che riuscisse a urlare più forte dei miei pensieri.
 
Passa ancora un po’ di tempo e sento una mano posarsi sulla mia testa.
Francesca.
«Ehi»
«Ehi» si siede per terra, vicina a me «Ero preoccupata»
«Tutto ok»
«Vedo» accenna a un sorriso «Ne vuoi parlare?»
«C’è poco da dire» stringo le labbra «Dice che non vuole impegnarsi al momento. Ah sì. Non è stato “niente di che”, testualmente. E poi cosa? Oh, si è scusato. “Per oggi”»
Francesca boccheggia.
«Ma…ma… ma insomma, cosa vuol dire? Così, dal niente? Un attimo è felice e quello dopo...»
«Non chiederlo a me.»
«Lui sembrava….triste, quando è tornato da noi. Non ha praticamente più detto una parola»
«Sto morendo dal dispiacere per lui, guarda. Io sono triste, altroché»
«Lo so» esita «Cosa pensi di fare?»
«Me ne vado a casa»
«Domani?»
«No. Adesso.»
«Cosa? Ma…pensavo volessi…» le sfuma la voce.
«Volessi cosa? Rivederlo? Perché?» esito e mi abbraccio le ginocchia. «Mi sento così stupida, Fra»
«Non devi nemmeno pensarlo. Come facevi a saperlo?»
«Ma a sapere cosa? Cosa? Io non capisco cosa gli è preso! E poi… Com’è possibile che a 28 anni mi faccio trattare così? Non sono riuscita a dire niente! Niente, assolutamente niente! Almeno potevo tirargli uno schiaffo!»
«Bè, non eri preparata…insomma, un attimo prima faceva il fidanzato perfetto e poi…» ci pensa un po’ su. «Tommaso è mortificato. Dice che non gli sembrava vero vederlo così contento e a suo agio. Dice che Ben è molto timido, che si apre difficilmente…e invece con te… solo che poi non sa cosa gli è preso. Ben non gli ha spiegato nulla.»
Mi odio, ma la domanda che mi ronza in testa la faccio lo stesso.
«Dov’è adesso?»
«Ben? »
Annuisco.
«Non so. A meno che non sia rimasto sulla panchina in pineta. Tu non tornavi, lui non ci diceva niente… insomma, io a un certo punto sono venuta a cercarti. E Tommaso è venuto con me»
«Oddio. Che figura da cretina totale. Con Tommaso, con te, con tutti.» ho dei flash di me e Ben che giochiamo a fare i fidanzati. «Chissà cosa credevo…»
«Ma smettila. Insomma, adesso sarebbe colpa tua?»
«Sì» dico con rabbia. Mi sento così e non ho voglia di spiegarmi o di farmi consolare. Voglio autocommiserarmi da sola, e basta. «Sarà meglio che vada a fare la valigia»
«Gin, dai, ascolta. Non è il caso. Come fai a tornare? A che ora arriveresti? Da qui devi arrivare a Firenze e ci sarà un treno ogni morte di papa. Poi, anche se arrivi a Milano, dove vai?»
Ci penso un attimo.
«Magari non vado a Milano. Torno a casa.»
«Ah. Ma…ma poi torni, è vero?»
«Non lo so Fra. Insomma, nel giro di un giorno ho perso lavoro e casa. Magari è un segno»
«Dici così perché sei triste e arrabbiata. Ma… hai sempre detto che questa era la tua sfida… e che a casa non volevi stare…»
«Vero. Poi ho trovato un lavoro di merda, una casa di merda e poi ho perso tutto. Se faccio un bilancio, non è esattamente positivo, ecco»
Lei prova a dissuadermi, a convincermi, ma io sono irremovibile e, ad un certo punto, Fra scoppia a piangere.
«Fra!!! Ma perché piangi?»
«Perché…perché…» singhiozza disperata «Ho perso il mio lavoro, e ci tenevo tanto. Davvero. E ora tu te ne vuoi andare e io mi sento…sola. Pensavo che avremmo cercato qualcosa insieme, o che…non so… insomma…tu sei sempre così decisa, forte, più forte di me. E se tu molli allora io…»
Ora mi sento pure un mostro.
 Cerco di calmarla ma allo stesso tempo non le prometto niente, perché davvero non riesco a pensare con lucidità e prendere una decisione ora è fuori questione.
Certo, a casa morirei di noia, ma almeno sarei a casa. A Milano troverei qualcosa da fare, in un modo o nell’altro, ma mi sentirei sola come un cane. Belle prospettive entrambe, non c’è che dire.
Pazienza. Domani. Ci penserò domani.
Riesco a convincere Francesca a uscire, dicendole che, tra le altre cose, stiamo intralciando il lavoro dei tecnici. Emergiamo dal magazzino e, subito, vedo Tommaso venirci incontro. Guarda me e poi Francesca, che ha ancora gli occhi rossi, e accelera il passo.
«Ragazze, tutto…ehm…bene?»
«Questa è veramente la cosa più stupida che abbia sentito dire oggi» ma riesco a sorridergli. Lui ricambia.
«Bene, me lo merito. Allora, che si fa?»
«Si torna a casa. Io, almeno» gli sorrido di nuovo. «Fra però resta. Non farmene pentire, se te la affido, ok?»
«Rimani anche tu» mi dice lui.
«Mi dispiace, è escluso» gli rispondo, categorica. «Dobbiamo lasciare il B&B, perché vedrai se Arnaldo non ha già provveduto a disdirci la stanza. E da te… non mi sembra il caso, ecco».
«Gin, senti. Secondo me si sistema tutto. Dovete solo prendervi un attimo e… »
«No» lo interrompo. «Non voglio nemmeno sentirne parlare»
Poi addolcisco il tono, perché mi rendo conto che sono stata davvero odiosa. Non è colpa sua, poveretto.
«Davvero, non voglio. Detesto l’idea che la situazione diventi imbarazzante per tutti. Perché sarebbe così. Anche per te, Livia e Colin. Voi dovete godervi le vacanze, non preoccuparvi per me»
«Ma il punto è che dovremmo goderci le vacanze insieme!» tenta lui «senza di te Francesca sarà infelice! E Luca: come faccio a dirlo a Luca?»
Fa un’espressione comica e io, malgrado tutto, rido. Poi lui aggiunge, dolcemente:
«E comunque, per la cronaca, io mi preoccupo per tutti e due. Per te e per quel testone del mio amico, che non so cos’ha in testa, ma che è un bravo ragazzo. Non giudicarlo male. Forse…»
«Non è questione di giudicare» sono divista tra l’imbarazzo di parlarne con lui, che è suo amico e che io non conosco praticamente per niente, e il bisogno quasi inconscio di avere una parola di conforto da chi lo conosce, da chi potrebbe dirmi che una spiegazione c’è, che si può tornare indietro…
Ma lo so che non si può.
«Solo, penso che si merita un gran calcio nel sedere.» tento di buttarla in scherzo, ma non mi riesce troppo bene.
«Mi pare il minimo» concorda lui. Ma tanto, a che serve?
Malgrado le insistenze combinate di Francesca e Tommaso torno al B&B e loro mi accompagnano. Pensare che quando me ne vado di qui di solito sono felice come una pasqua. La signora che gestisce il B&B ci conosce bene, perché dormiamo da lei tutti gli anni. È stupita perché ce ne andiamo così e borbotta qualcosa di poco lusinghiero su Arnaldo quando le diciamo che le cose non si sono proprio messe bene con lui. Per usare un eufemismo.
«Due ragazze così brave!» ci dice «E quello lì, a trattarvi come le sue schiave!»
Poi guarda Tommaso.
«Tu sei il fidanzato di Francesca?»
Lui, giuro, arrossisce. Lei è cremisi, ma prima che possa negare io annuisco e strizzo l’occhio alla signora.
«Che bella coppia!» dice, contenta. Poi guarda me. «E tu, tesoro? »
Ahi.
«Io, niente» le dico. Lei mi guarda perplessa.
«Ma una ragazza bella come te…»
Sì. Soprattutto fortunata, direi.
«Il suo ragazzo sta facendo un momento lo stupido, ma gli passerà» dice Tommaso, deciso. E resta fermo anche davanti alla mia occhiataccia.
«Se non gli passa, tesoro, peggio per lui! Te ne trovi un più bello! Poi vedrai come torna!»
Fosse così facile, signora…
«Ehm, bene. Vado a fare la valigia» dico, precipitosamente.
Alla fine, sia io che Fra raccogliamo tutte le nostre cose e usciamo.
 
Francesca e Tommaso stanno discutendo da mezz’ora su quale sia la cosa migliore da fare (“Non posso lasciarla andare da sola” , “La porto io in macchina a Firenze” , “La portiamo da te di peso?” , “Ma se vi fermaste entrambe… ” , “In effetti forse un rapimento è la cosa più semplice”) e io ormai faccio finta di non sentirli più, mentre cammino verso la stazione con loro in coda.
Mi guardo attorno per l’ultima volta: non ci tornerò più, qui. Di sicuro non per lavoro; come turista direi che ormai so anche quanti sassi ci sono a terra nella piazza; a livello emotivo … bè, piuttosto andrei a farmi un viaggio di piacere in una discarica.
Ma senti quei due che ancora parlano. Che coppia, ragazzi.
Forse dovrei convincere Francesca a non sprecare questa occasione.
Che buffo, si sono invertite le parti.
Butto un’occhiata distratta al tabellone delle partenze e mi prende un colpo. Niente treni. Ma come niente treni per Firenze fino a domani?
Scherziamo? Io me ne voglio andare! Adesso!!
Mi leggo tutta la lista dei treni in partenza (che sono tipo due, quindi non ci metto molto) e poi litigo con il signore della biglietteria, ma niente. Non c’è niente.
Non c’è un autobus, non c’è mezza possibilità di muovermi di qui fino a domani mattina.
Che giornata di merda.
Lancio un’occhiataccia a Tommaso e Francesca che si stanno sforzando di non apparire compiaciuti, ma con scarso successo. Odio l’idea di darmi per vinta, ma che alternative ho?
Faccio finta di concentrarmi sugli orari degli autobus locali mentre rifletto sulle mie inesistenti opzioni.
B&B? No.
Casa di Tommaso? NO.
Quindi? Dormo sotto il palco?
Meraviglioso.
E non è ancora finita.
Mi volto con un cipiglio minaccioso. E mi vedo davanti Ben, fermo sulla porta della stazione.
 
Il mio cuore fa una capriola. Ho paura di essere sbiancata.
Lui non dice niente mentre guarda me e il mio borsone a tracolla, poi Francesca (incazzatissima, sembra volerlo incenerire) e Tommaso (espressione da giocatore di pocker. Non sarà che parteggia per Ben ma non osa dirlo a Francesca? È meglio se sta attento.)
Restiamo tutti zitti per un attimo. Poi Ben mi guarda di nuovo.
«Dove vai?»
Dove vado? Ma che gli frega?
Ok, Gin. Calma. Non sclerare.
Non si merita una risposta.
Non apro bocca e marcio decisa fuori dalla stazione. Non mi volto a guardare, ma sento dei passi dietro di me. Tanti passi.
Oh, bene. Mi stanno inseguendo come tre anatroccoli? Che bella scena.
Questo maledetto borsone pesa quanto un macigno e mi sta incidendo una spalla: maledetta me e la mia tendenza a riempire ogni bagaglio buttandoci dentro mezzo armadio. Non lo farò mai più, mai più.
Mentre arranco, inizio a sentire qualche goccia di pioggia. Tempo due minuti e arriva il diluvio.
Nemmeno Fantozzi regge il mio confronto.
Stringo le labbra e continuo a camminare in direzione del centro di questo stramaledettissimo paese, finché non sento una mano tirarmi per la tracolla del borsone.
È Ben.
«Dai, dammelo»
Se lo scorda. Il massimo che può avere da me è un calcio nel sedere.
«Lascialo!» gli rispondo affannata.
Ci mettiamo a strattonare la tracolla in mezzo alla strada con tanto impegno che ignoriamo persino Tommaso che cerca di fare da paciere.
«Ben, lascia!»
«Ma si può sapere cosa fai? Dove pensi di andare con questo tempo?»
«Dove vado sono cazzi miei! Lascia!!»
«Non fare la bambina!»
La bambina? Io? Mi ha appena scaricata, lo stronzo.
Molto bene. Lascio la tracolla all’improvviso e Ben si sbilancia.
«Lo vuoi? Tutto tuo, allora»
Mi volto e riprendo a camminare. Non so dove andare, sinceramente, ma non mi sembra il caso di fermarmi a riflettere qui. Non gli darei mai la soddisfazione di fargli capire che non so che fare. E poi, piccolo particolare, tra un po’ per spostarmi mi servirà l’Arca di Noè.
Tommaso mi si affianca, sostenendo Francesca per il braccio.
«Bene, andiamo fino in paese e rifugiamoci da qualche parte. Poi chiamo Livia e…»
Io mi fermo di botto. Non ci siamo capiti.
«Io con voi non ci vengo!» grido, ma nel frastuono della pioggia quasi la mia voce non si sente.
Mi volto e faccio per tornare in stazione, ma Ben mi si para davanti.
«Gin, dai, cammina»
Nemmeno per sogno. Nemmeno se mi trascinate.
Faccio per aggirarlo, ma lui mi prende per il braccio. Io mi divincolo – nemmeno avesse le zecche – ma lui non molla.
I nostri sguardi si incrociano. Lui sembra arrabbiato. Io sono furiosa, ma non so perché mi salgono le lacrime agli occhi.
Sono stanca. Voglio andarmene. Voglio che se ne vada.
 
Voglio che mi chieda scusa adesso e mi dica che possiamo stare insieme e che non succederà mai più.
 
No Gin. Non pensarci. Tommaso mi prende per il gomito.
L’espressione di Ben si ammorbidisce.
«Dai, per favore. Sei fradicia. Siamo tutti bagnati. Andiamo da qualche parte all’asciutto»
Io resto ferma e guardo ostinata a terra, ignoro persino le preghiere di Francesca, finché un fulmine non squarcia il cielo. Il rumore è fragoroso e io sobbalzo, terrorizzata.
So che avere paura dei fulmini è da sfigati, ma io ho paura. Anche di lampi, tuoni e quant’altro, per colmare la misura.
Al secondo fulmine, mi copro le orecchie con le mani.
Sento un braccio attorno alla vita e non ho bisogno di aprire gli occhi per sapere che è Ben.
Lo sento.
Il suo corpo si avvicina al mio e lui cerca di sfruttare la differenza di altezza tra noi per ripararmi dalla pioggia, per quanto possibile. Sento la sua voce e quella di Tommaso mentre l’uno passa il mio borsone all’altro. Poi Ben fa per voltarmi e mi sussurra che dobbiamo muoverci di lì, mentre io mi ostino e punto i piedi, finché Tommaso non minaccia di alzarmi di peso e riportarmi indietro.
Cedo, ma solo perché so che lo farebbe davvero. È alto e ha i muscoli necessari, a occhio e croce.
Mi ci manca solo questa.
Iniziamo a camminare ma fare anche solo un passo è complicato per la violenza della pioggia che ci si rovescia addosso. Vorrei allontanarmi da Ben, ma la faccenda si fa complicata. Lui mi tiene sempre il braccio. Gli lancio un’occhiata di sfuggita e vorrei prendermi a calci da sola, visto che l’unico pensiero coerente che formulo è: ma come fa ad essere così bello anche ora?
Noi tre sembriamo tre pulcini affogati.
Continuo a ripetermi “stupida, stupida, stupida, stupida” mentre torniamo indietro. Per fare poca strada ci mettiamo un tempo incredibile e, quando finalmente approdiamo al bar, potremmo tranquillamente passare per dei profughi.
Mi stringo le braccia attorno al corpo mentre metto una certa distanza tra me e lui, avvicinandomi a Francesca. Tommaso ordina caffè per tutti, poi ci ripensa e chiede the caldo.
Tremo e guardo per terra, quando sento una mano sfiorarmi i capelli per scioglierli.
Incrocio lo sguardo di Francesca e la vedo esitare, ma poi lei si allontana avvicinandosi a Tommaso, che le mette un braccio attorno alle spalle e la stringe piano.
Mi concedo di dare loro un’occhiata malinconica, mentre mi ostino a far finta di non accorgermi che ho Ben accanto, che si sta dando da fare per tentare di districarmi i capelli.
Se me ne importasse qualcosa, gli direi che è una battaglia persa.
Se non me ne importasse niente, del resto, non tremerei.
E non sto tremando per il freddo.
Lui non se ne rende conto, perché mi si avvicina e fa per stringermi. Io mi divincolo e lo fulmino con gli occhi.
«Cosa vuoi?» peccato che il mio tono gelido quasi si perda per il fatto che batto i denti dal freddo.
Lui esita.
«Stai tremando. Pensavo che forse hai freddo…»
È la scusa più idiota del mondo. Certo che ho freddo. Anche lui ha freddo, per forza. Abbiamo i vestiti appicciati addosso (io ho ancora la sua maglietta, per giunta), i capelli che grondano, le scarpe da tennis fradice.
«Non mi toccare» gli dico.
Lui si acciglia, ma si allontana di un passo.
Tommaso ci guarda preoccupato.
Bene, ora potrei sfogarmi. Potrei dirgli tutto quello che prima non gli ho detto. Potrei insultarlo. Perché sono così idiota, invece, da non spiccicare parola?
La porta del bar si apre. Io quasi non me ne accorgo finché una persona non mi urta.
Non ci credo. Il mio ex capo. Meglio di così si muore.
Arnaldo mi lancia un’occhiata sprezzante, ma poi la sua espressione cambia. Perché mi fissa? Abbasso gli occhi e vedo che ho la maglietta completamente appiccicata addosso.
Fortuna che è una maglietta da uomo e non è trasparente, almeno.
Ben mi si mette davanti e Tommaso gli si avvicina subito. C’è un momento di puro confronto maschile, a forza di sguardi. Mi aspetto che tirino fuori le clave, quasi.
Arnaldo però, in svantaggio numerico, si limita a voltarsi e ad andarsene.
Sono imbarazzata. Non guardo Francesca, ma lei mi viene accanto e mi conduce a un tavolino. Si siedono anche i ragazzi.
Che situazione assurda.
Fra versa il the, un cameriere ci porta dei biscotti.
Ma cosa faccio, seduta qui?
Cerco almeno di organizzare le idee, ma da quando ho visto Ben mi si è svuotata la testa. Tommaso mi lancia un’occhiata e sembra decidere che sono tranquilla abbastanza da arrischiarsi a dire:
«Allora. Come dicevo, non vedo altre opzioni. Non avete più la stanza al B&B e non ci sono treni. Gin, devi venire da noi almeno stanotte» esita e poi continua. «L’offerta della mini-vacanza è sempre valida»
«Grazie, no» non lo faccio nemmeno finire di parlare. Non lo guardo, fisso il piano del tavolino. «No per la vacanza e no anche per stanotte. Ma grazie lo stesso.»
«Come no?»
Ben.
«Ma dove vuoi andare stanotte a dormire? Per strada?»
Alzo gli occhi. Vorrei essere capace di incenerire con lo sguardo. Vorrei essere il basilisco che vive nella Camera dei Segreti.
«Preferisco dormire per strada che vedere te anche solo un altro minuto»
Detto questo, non posso che alzarmi e andarmene sbattendo la porta.
 

   
 
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