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Autore: Pendragon of the Elves    14/04/2012    3 recensioni
Kira ha fatto da poco la sua comparsa e qualcuno lo ha notato. L, dall'altra parte del mondo, ha capito che è tempo per lui di agire e, forse, non fare più ritorno. E nel momento della partenza, quando è ancora indeciso su chi designare come suo successore, quali saranno le sue ultime parole a Mello?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Mello
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'L's Heritage'
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Racconto Di Mello


Lui e Matt erano li da giorni. Ascoltavano ininterrottamente le conversazioni di Misa Amane e, intanto, pensavano anche ad un piano d'azione. Si trovavano in un edificio abbandonato pieno di spifferi. Ogni tanto si sentiva lo zampettare di qualche occasionale topo. Mancava meno di una settimana a capo d'anno: dovevano escogitare un modo per rapire Takada entro quel lasso di tempo altrimenti tutti i loro sforzi sarebbero stati vani.
Mello strinse i pugni: non gli andava tanto a genio l'idea di aiutare Near ma collaborare era l'unico modo che avevano per catturare Kira. Kira... quell’assassino! Il primo criminale che L non era riuscito a catturare e dal quale, poi, era anche stato sconfitto. La morte di L era un boccone amaro da buttare giù. Neanche lui era ancora riuscito ad accettare questa mancanza. Dovevano vendicarsi e, per farlo, era necessario lasciar perdere le vecchie rivalità e unire le forze: una persona stata in grado di uccidere L era troppo pericolosa, non potevano riuscire a sconfiggerla da soli. Non si trattava più di una gara a chi arriva primo: era una vera e propria vendetta ma, anche così, Mello non avrebbe rinunciato a mostrare a tutti di che pasta era fatto.
Si, L sarebbe stato orgoglioso di lui, avrebbe fatto in modo di dimostrare al mondo che L non lo aveva scelto a caso come suo possibile successore. Si rilassò diminuendo la stretta attorno ai braccioli della sedia. “L...” Non era suo padre eppure non riusciva a sopportare la sua morte.
Che lui avesse inscenato la sua dipartita per vedere come se la cavavano da soli era escluso: in un primo momento ci aveva pensato ma la vista del cadavere di Watari aveva dissipato tutti i suoi dubbi. Lui era morto davvero: sarebbe un po' difficile essere ancora vivo quando si è distesi, freddi e rigidi, dentro una bara.
Chiuse gli occhi: riusciva ancora a vedere la scena di quando il corpo del benefattore era stato consegnato alla Wammy's. Lui era ritornato apposta: si era appostato fuori dalle sbarre del cortile, attento a non essere visto, per assistere all'ennesima prova del fallimento di L. Riusciva ancora a sentire i singulti e i singhiozzi soffocati, ricordava le facce dei suoi compagni tinte di orrore e i loro occhi spalancati. Nonostante avesse saputo in anticipo della morte di L e Watari, non era rimasto impassibile dinnanzi al corpo senza vita dell'anziano signore. Ricordava di essersi voltato verso Near. Lui lo aveva notato. Non avrebbe fatto la spia: per quanto potesse essere antipatico e insopportabile, Near non era una spia, questo Mello lo sapeva bene. Lo fissava con un espressione di assente abbattimento da sotto le ciocche bianche che gli ricadevano sugli occhi. Solo in quel momento, Mello, aveva percepito veramente il peso che gravava sulle loro teste: la morte di L li aveva legati nello stesso destino. Quella fu la prima volta che lo capì. E cercò di convincersi che così non fosse. Forse Near, con quello sguardo, aveva voluto chiedergli un'altra volta se aveva veramente intenzione di andarsene. Qualunque cosa avesse voluto comunicargli non lo avrebbe fatto restare. Mello aveva dato un ultimo sguardo alla desolazione della scena e se n'era andato. Con la coda dell'occhio, però, gli era parso di vedere Near chinare il capo sconfortato.
In passato, loro due, aveva discusso più volte ed erano diventati quasi amici ma l'indecisione di L su chi dei due dovesse diventare il suo successore li aveva allontanati fino al punto di diventare rivali.
Chiuse gli occhi. Lui ce l'aveva sempre messa tutta, si era sempre impegnato, aveva dato il massimo delle sue capacità ma per quanti sforzi facesse, era sempre stato, anche se per poco, secondo a Near ma, nonostante questo, L non aveva mai smesso di considerare lui come suo possibile successore. Era pietà? Prudenza? Precauzione? Oppure una menzogna? Non gli importava. Era questo che lo spronava, che gli dava la forza di andare avanti: la possibilità di dimostrare il suo valore. Avrebbe fatto di tutto per dimostrare al più grande detective del mondo che non era una nullità, non era un'incompetente e, anche se non gli succedeva, non era uno che si butta via come semplice spazzatura. Lui valeva e voleva farlo capire a tutti ma, soprattutto, al grande L: voleva dimostrargli che la sua stima in lui non era mal riposta.
Mello sospirò e si chinò in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Studiò il disegno delle fibre del legno delle travi del pavimento, la tavoletta di cioccolato appena iniziata tenuta mollemente in mano. Matt alzò lo sguardo dal suo videogioco e lo scrutò per un po' cercando di capire cosa gli passasse per la testa ma Mello sembrò non accorgersi dell'interessamento dell'amico: era perso nei suoi pensieri.
“L...”. Era sempre stato un po' strano ma alla Wammy's era visto come un eroe: tutti i ragazzi attendevano con ansia i giorni delle sue visite o, quando era impegnato in un caso e non poteva venire di persona, le volte in cui poteva mettersi in contratto con loro per mezzo del computer. Nonostante durante le sue visite di più giorni all'orfanotrofio lui stesse per la maggior parte del tempo nella sua stanza, quando ne usciva non veniva assalito dai bambini, che si limitavano a un cordiale saluto o un piccolo abbraccio. Questi sapevano bene che, mentre era impegnato in un caso, non dormiva mai, e, alla Wammy, trovava la pace che gli serviva dopo lunghi mesi di stress. Era solo quando si trovava nella sua vecchia stanza che riusciva a dormire serenamente. Per questo i ragazzi tendevano a non disturbarlo: era un soldato appena tornato dal fronte stanco e aveva bisogno di un po' di riposo.
Lo rispettavano moltissimo e L li ricambiava con una sorta di affetto quasi paterno ma che sembrava assomigliare di più a un rapporto tra fratelli o, a volte, a un'amicizia. Donava ad ognuno il tipo di attenzione di cui aveva bisogno. Era questo il bello di L: lui non era come la maggior parte degli adulti. Non ti prendeva per un moccioso ma sapeva riconoscere la tua intelligenza e trattarti di conseguenza. Sapeva dire sempre la parola giusta al momento giusto e riusciva a dissipare le tenebre della depressione ridando fiducia nel futuro e nelle proprie capacità. Perché era così che si cambiava il mondo: non arrendendosi mai e, lui, non si era mai arreso ed, alla fine, era stato il più grande detective del mondo. Era un tipo in gamba, un padre, un amico e un esempio e un punto di riferimento per tutti gli orfani della Wammy.
"Già", pensò Mello "era ...". La sua morte era una perdita insanabile. Guardò la barretta di cioccolato che teneva in mano. Quello, per lui, era come l'ultimo lascito di L. Lasciò la sua mente vagare tra i ricordi tornando a quel fatidico giorno: il giorno in cui l'aveva visto per l'ultima volta. ...

Era un soleggiato pomeriggio autunnale. Gli alberi si preparavano a spogliarsi del loro vestito infuocato lasciando al vento le loro foglie, ogni tanto nel cielo si scorgevano stormi di uccelli migratori che si dirigevano verso terre più calde, fuggendo all'ostilità dell'inverno sempre più prossimo. Nell'aria aleggiava il caldo di tutta la giornata che il suolo disperdeva nell’atmosfera e l'odore di fumo proveniente dal camino della Wammy's House.
Era una giornata molto bella e, Roger, diede il permesso ai ragazzi di uscire in cortile. Ovviamente c'era chi restava all’interno  dell'edificio. Near stava completando uno dei suoi puzzle: nonostante il sole non battesse forte e fosse già abbastanza basso sull'orizzonte, era comunque poco conveniente, uscire, per un albino come lui.
Mello si era attardato dentro e si stava dirigendo lentamente verso l'uscita quando si sentì chiamare. Si voltò e vide Watari guardarlo dalla porta della piccola cucina.
Non era la cucina ufficiale, era una piccola dove si andava per prepararsi qualcosa di veloce come un panino o una tazza di the. Nel caso di Watari, una tazza di the.
Gli fu fatto cenno di avvicinarsi. Mello entrò nella cucina. L'anziano signore aveva un'aria pensosa. Lo guardò un attimo e poi, con la sua voce calda e bassa, disse:«Oggi non si è ancora fatto vedere...». Si riferiva a L.
Lui e Watari erano arrivati quasi una settimana prima e, L, riposatosi dalle offese del mestiere, aveva cominciato a gironzolare per l'orfanotrofio e parlare con i ragazzi ma, da un paio di giorni, sembrava pensieroso, come disturbato da pensieri funesti, e, quel giorno, non era mai uscito dalla sua stanza, neppure per mangiare. Watari lo guardò e gli fece un piccolo sorriso da sotto i suoi baffi bianchi.
«Non credo che stia dormendo» poi si girò e prese un piatto dal tavolo alle sue spalle e lo porse a Mello: sopra c'era una fetta di torta alla panna con una fragola fresa sopra. «Credo che gli farebbe piacere» continuò il vecchio «se gliela portassi tu: ti dispiacerebbe?». Mello prese il piatto:«Non si preoccupi, signore. Vado io». Detto questo, chinò leggermente il capo e si avviò verso le scale.
Salì fino al terzo piano e svoltò nel corridoio a sinistra. Col cuore in gola, si ritrovò dinnanzi alla porta. Era una porta come tutte le altre, di ciliegio senza decorazioni, ma, oltre questa c'era la camera di L.
L incuteva, per quanto allegro e tranquillo, una sorta di timore referenziale. Mello esitò con la mano destra alzata a mezz'aria nell’atto di bussare. Era già stato mandato una volta a portare qualcosa da mangiare a L e aveva fatto una figuraccia. Nella foga di chiedergli i dettagli del suo ultimo caso, era entrato e lo aveva trovato addormentato su una poltrona, seduto nella sua solita maniera, con un pacco di fogli in grembo. Nel sentirlo entrare si era svegliato e, per un attimo, lo aveva guardato disorientato, poi, capito tutto, gli aveva rivolto un sorriso cordiale e lo aveva ringraziato del pensiero. Mello ricordava di averlo visto molto stanco: aveva due occhiaie terribili ed era anche più bianco del solito. Nel vederlo in quello stato si era veramente dispiaciuto di averlo svegliato: aveva bisogno di riposo. Si era scusato ed era uscito in fretta per non disturbarlo oltre. Non voleva più che accadesse una cosa del genere. Anche perché sarebbe stata una vera figuraccia.
Accostò titubante l'orecchio alla porta. Si sentiva il famigliare rumore della televisione accesa. Diede qualche colpetto leggero al legno. Nessuna risposta. Riprovò con più convinzione ma ottenne il medesimo risultato. Sospirò. Abbassò silenziosamente la maniglia. Dall'interno proveniva soltanto il parlottare del televisore. Si fece coraggio e spinse la porta. L era rannicchiato con le ginocchia al petto, com’era suo solito sedersi, sulla poltrona. Era sveglio e stava guardando con aria corrucciata un telegiornale.
Mello tossicchiò piano. «eh ehm ...». Fu solo allora che L si accorse della sua presenza. Si voltò. «Ah, Mello!». Il detective sorrise. «Ciao, È da un po' che non ci si vede, eh? Sei venuto a chiedermi qualcosa?». Il suo sguardo cadde sul piatto che Mello reggeva in mano. Assunse un’espressione confusa. «Oh...» disse. Si gratto la testa con un indice. «Immagino che me l'abbia fatta mandare Watari». Non era una domanda: era un'affermazione. «Esatto» fece Mello. L stette un attimo in silenzio, pensieroso. «Deduco che non sia più mattina ... », mormorò infine. «Sono le quattro del pomeriggio passate» lo informò Mello.
Era solito di Watari mandargli del cibo in camera quando, impegnato in qualche compito, si dimenticava dello scorrere del tempo e di scendere a mangiare, cosa che succedeva spesso.
Si avvicinò e gli consegnò il dolce. Il detective lo prese e lo poggiò piano su un tavolino vicino. Sospirò e si massaggiò in mezzo alle sopracciglia. Si alzò e si sedette mollemente ai piedi della poltrona. Tornò a prestare attenzione allo schermo. Mello, non sapendo che fare, fece per andarsene ma L picchiettò gentilmente sul pavimento di fianco a se. Il ragazzo gli sedette accanto e si concentrò sul telegiornale.
La presentatrice stava parlando del caso più eclatante della settimana.
«Ancora morti misteriose per arresto cardiaco. Negli ultimi giorni più di cento criminali ricercati o già in carcere sono morti in circostanze misteriose. Le autopsie parlano chiaro: la causa sembra essere arresto cardiaco. La rete sta diffondendo una voce secondo la quale dietro a queste morti si cela il cosiddetto Kira: il giustiziere divino sceso sulla terra per punire i malvagi. Questa notizia è ancora priva di prove concrete. La polizia sta indagando. E, ora, una parola dal commissario...».
«Tutto questo è molto strano...» commentò piano il detective. Mello si voltò a guardare L. Si stava mordicchiando un'unghia soprappensiero. «Interverrai, non è vero?».
L lo guardò. «Per quanto un caso possa essere strano o complicato fino a risultare impossibile, è mio dovere risolverlo, Mello» disse L, serio. «... E, forse, un giorno, sarà anche il tuo».
Mello voltò di scatto la testa e lo fissò con gli occhi spalancati. Poi abbassò lo sguardo:«No», disse, «Near è più bravo di me. Io sono sempre stato secondo a lui. Lui è molto più degno di me di essere il tuo successore».
Aveva il capo chino. Aveva detto finalmente quello che gli pesava sulla coscienza da tempo. L'aveva ammesso al mondo e anche a se stesso. Per quanto desiderasse dimostrare il suo valore, il ruolo di L doveva essere occupato da una persona degna: se c'era qualcuno più bravo di lui, era quel qualcuno che doveva diventare il successore del grande detective. Tuttavia neanche Near poteva eguagliare L e, questo, lo sapevano bene tutti e due.
L sospirò. «Mello...».
«Sì?»
La luce del sole al tramonto entrava dalla finestra svelando il pulviscolo sospeso nell'aria che scendeva lento e inesorabile. Si stava facendo buio. Mello fissava le assi del pavimento quando nel suo campo visivo entrò una metà barretta di cioccolata. Guardò il detective dai capelli neri: i suoi occhi profondi stavano fissando intensamente i suoi. L'altra metà era nelle sue lunghe affusolate dita. Gli era sempre piaciuto il cioccolato: lo sapevano tutti. Il fatto che L glielo stesse porgendo, significava che, probabilmente, lo aveva preso apposta per lui. Che lo stesse aspettando?
Il giovane prese il cioccolato che gli veniva offerto.
«Mello», continuò L, fissandolo con intensità, «Io devo andare a risolvere questo caso».
Mello fissava la cioccolata, ascoltando la sua voce: la stessa voce che l'aveva rassicurato e consolato tante volte e che, ora, sembrava pregarlo con lo stesso tono con cui si parla agli adulti.
«Sembra molto più complicato di quanto avessi pensato e ho paura che questa volta potrei non farcela». Mello spalancò gli occhi ma senza voltarsi: non poteva guardarlo in faccia e mostrargli la sua paura. Stettero un attimo in silenzio.
«Guardami, Mello».
Obbedì.
L lo fissava dritto negli occhi. La luce rossa del tramonto giocava suoi capelli donandogli i riflessi del rubino. Il suo sguardo era profondo e risoluto.
«Io questa volta potrei seriamente non farcela. In questa eventualità ho bisogno di avere la certezza che il caso sarà risolto lo stesso».
Mello lo seguiva attento sostenendo il peso di quelle rivelazioni.
«Qualunque sia la mia decisione, chiunque dei due io scelga come mio successore, promettimi che vi aiuterete a vicenda».
Gli occhi di Mello erano spalancati e colmi di incertezza. Chinò il capo, lentamente.
«Sarebbe il mio ultimo desiderio».
Mello lo guardò sconcertato: quindi pensava veramente alla sua morte? Cosa sarebbe successo se L fosse morto? Il male avrebbe trionfato e lui se ne sarebbe andato invano. Ma se aveva la certezza che, dopo di lui, sarebbe venuto qualcun altro, avrebbe potuto morire tranquillo. Quel caso era tanto complicato da dover rischiare la sua stessa vita come carta da giocare? In ogni caso, era il momento d crescere e pensare a un bene più grande e comune, che andava oltre al proprio tornaconto.
Abbasso nuovamente il capo. I capelli gli ricaddero ai lati del viso. Seguì un silenzio che sembrò durare in eterno mentre il sole compiva il suo ciclo donando al mondo il suo ultimo dono di luce.
«D'accordo» disse infine. La risposta sembrò riecheggiargli nella testa. Ogni parola sembrava schiacciarlo come un macigno: era il peso di quel vincolo. «Non mi piace per niente l'idea ma quel moccioso non riuscirebbe a cavarsela da solo».
L rise di cuore e gli batte una mano sulla spalla. «Grazie, Mello!».
«E poi», continuò Mello, «nessuno può sconfiggerti: tu sei il più grande detective del mondo. Non morirai mai». Si voltò a guardare L che, con gli occhi scintillanti e un sorriso sincero gli disse una cosa che gli sarebbe sempre rimasta nel cuore:«Perché vivrò sempre nell’ideale che tutti voi porterete avanti». Passarono insieme una mezz'ora a sgranocchiare il cioccolato e a parlare e, infine, si separarono.
Il mattino dopo, al risveglio, trovò una busta ad aspettarlo sotto il cuscino. Diceva: "Ricordati di quello che ti ho detto". L era partito durante la notte: era stata l'ultima volta che l'aveva visto.

Quel ricordo gli lasciava sempre un groppo in gola. Diede un morso furioso alla sua tavoletta di cioccolata: quella era tutta per lui. La gettò rumorosamente sul tavolo. Quando aveva fatto quella promessa non si aspettava certo di doverla mantenere.
«Stupida mossa!», disse.
Matt lo guardò da dietro le lenti dei suoi occhiali. «Quale mossa?»
Mello abbassò lo sguardo. «Morire».
Si sentiva un traditore. Quando Roger gli aveva dato la notizia della morte di L lui se n’era andato ignorando la promessa ma, ora, non avrebbe più insultato la memoria di L: avrebbe mantenuto la parola data anche a costo della sua vita.


Fine



Questa è la mia prima fanfic in assoluto. Dedicata alla prima serie manga che mi abbia mai appassionato, Death Note. Spero che questo mio esperimento vi piaccia: leggerò molto volentieri le eventuali recensioni (e le attenderò con trepidazione). Una curiosità: prima di scrivere questa fanfic, Mello mi stava antipatico. ;P
  
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