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Autore: Nickcol    14/04/2012    0 recensioni
Un uomo tenta di cambiare il proprio passato sfidando Dio e le leggi della fisica, mettendo a rischio il suo unico amore.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fino alla fine del tempo

Un racconto breve di Nicola Colonna – Liceo Classico “Plinio Seniore”

 

 

Valtiero si guardò indietro prima di rimettere a posto le lancette del suo orologio da tasca così da coordinarle con quello da muro del suo studio. Si assicurò che ogni cosa nel suo studio fosse a posto, poi procedette a configurare la macchina.

“4 anni” pensò mentre inseriva la data nel computer di bordo.

23 Ottobre 1891, era quello il giorno in cui sua moglie morì in un tragico incidente mentre lui era intento ad arrovellarsi su complicati calcoli sulla sua teoria sullo spazio e il tempo all’Istituto di Studii Superiori di Firenze. Fin da piccolo aveva sempre desiderato diventare uno scienziato, come suo padre. Amava sperimentare con ciò che trovava in casa, si isolava quasi dal mondo esterno quando, nella sua infantile innocenza, cercava di dare risposta ai grandi interrogativi del mondo. Perfino quando conobbe sua moglie quasi gli sembrava una variabile trascurabile nella grande equazione della sua vita, per quanto era indaffarato a sperimentare e calcolare. Col tempo però Valtiero capì sempre più che sua moglie aveva ormai preso il posto della scienza nel suo cuore. Si sentì alquanto stupido mentre pensava che se fosse rimasto con lei quella sera probabilmente non sarebbe morta; morire sotto una carrozza spintonata da un folle incappucciato non era una morte degna per qualcuno come lei. Lei era speciale, simpatica, intelligente, una moglie perfetta; il solo pensare che avesse perfino in grembo il loro primogenito gli provocò un sapore acre in bocca e un fastidio alle guance causato dall’immediato susseguirsi delle lacrime. Se fosse rimasto, se non avesse avuto quella negligenza della quale sua moglie tanto si lamentava si sarebbe salvata, ne era certo. Ma ormai nulla di tutto questo aveva più importanza, perché lui avrebbe fatto qualcosa di impossibile, qualcosa che nessuno avrebbe mai fatto: avrebbe cambiato il passato.

 

Si sistemo con cura la giacca gessata, diede un’ultima occhiata al suo studio e i suoi appunti scritti sulla lavagna e infine, esitando solo per un attimo, tirò la leva del motore.

Subito sentì una vibrazione provenire dalle sue spalle, mentre i tubi che si diramavano dal motore e procedevano dinanzi a lui si scaldavano per il vapore.

“Il motore funziona a dovere” pensò.

Il materiale radioattivo posto nella teca sul lato anteriore della macchina iniziò a vibrare, poi brillò di una luce bluastra intensa.

In quell’attimo il cuore di Valtiero ebbe un sussulto. Fu il battito d’ala di un colibrì, un batter d’occhio, un accecamento provocato da un lampo a ciel sereno che lo sciagurato si trovò dinanzi un panorama molto simile a ciò che fino a un attimo fa stava osservando.

Si trovò nel suo studio, molto diverso dal solito, più ordinato. Sulla lavagna non c’erano dei calcoli complessissimi, la scrivania non era più ricoperta di lettere e telegrammi e l’orario del suo orologio da tasca non corrispondeva più a quello dell’orologio da muro. Dalla vetrata della serra si poteva vedere che stava diluviando.

 

Subito scese dalla macchina accorgendosi di essere già in ritardo.

“Via Pucci”  pensò ancora mentre era intento ad affannarsi per raggiungere la strada. Valtiero corse come mai in vita sua aveva fatto, sotto la pioggia e con la scarsa visibilità gli fu difficile riconoscere le strade che percorreva; ogni cosa gli sembrava diversa, dai lampioni ai negozi. Si coprì il capo col cappotto e cominciò a correre ancora più velocemente mentre la gente girava il capo per osservarlo inebetita; a lui però non importava, ciò che contava era solo salvarla.

Raggiunta la strada incriminata, la percorse in lungo e in largo e fu preso da disperazione quando si accorse che lei non c’era. Corse e corse sempre più forte temendo di aver omesso un pezzo di strada, un vicolo, qualsiasi cosa. E fu mentre stava correndo a perdifiato che scivolando su una pozzanghera urtò una povera donna che attendeva al lato della strada. Tempo di girarsi nella caduta e dall’ombra del cappello della donna notò quei boccolo d’oro che avrebbe riconosciuto ovunque.

Era lei.

 

La scena gli passò dinanzi agli occhi al rallentatore mentre il cappello coi merletti bianchi volava via dalla testa della donna. Fu un battito d’ali di un colibrì, un batter d’occhio, un lampo a ciel sereno che una carrozza, il cui cocchiere aveva perso il controllo, la travolse.

Valtiero chiuse gli occhi mentre sentiva lo spezzarsi delle ossa sotto gli zoccoli dei cavalli che si addiceva perfettamente al rumore del suo cuore che ancora una volta si spezzava.

Quando aprì gli occhi, capì cos’era accaduto. Era lì, a pochi passi da lui in un lago di sangue; la carrozza era sparita. Si avvicinò scoprendosi il capo e si inginocchiò sul corpo della donna mentre delle calde lacrime si mischiavano alla pioggia sul suo viso; una piccola folla accorse a vedere l’accaduto. Era ancora viva.

La guardò negli occhi mentre lei cercava di sputare via il sangue per pronunciare il suo nome. Lo sciagurato riuscì a sentire il flebile sibilo della sua iniziale prima di vederla spirare.

“Assassino!” urlava la gente mentre gli puntava il dito contro.

“Omicida!” urlavano gli spettatori di quel macabro evento, ma a lui non importava più nulla. Restò lì per un attimo a guardare il corpo dell’amata, poi con scatto felino iniziò di nuovo a correre.

 

Tornò al suo studio di corsa, cercando di farsi una ragione di ciò che fosse accaduto. Fino a quel momento il dolore era attutito dal fatto di non averla vista morire, ma ora… ora era insopportabile.

Fu solo quando arrivò a sedersi sulla Macchina che finalmente capì che qualsiasi cosa avesse potuto fare, lei sarebbe morta comunque.

“Un paradosso” pensò mentre non riusciva a contenere le lacrime. Se sua moglie non fosse morta, lui non sarebbe mai tornato indietro solo per ucciderla; non poteva sopportare un altro tentativo, non poteva sopportare di vederla morire più e più volte di fronte ai suoi occhi. Era stato lui; tutto questo tempo si era maledetto senza neanche saperlo, si era augurato la morte, si era augurato che la pagasse, e finalmente l’aveva fatto col suo senso di colpa. Era impossibile, inarrivabile, impensabile, incomprensibile. Valtiero ebbe uno scatto nervoso mentre stringendo i braccioli della Macchina urlò contro Dio e contro sé stesso.

Se fosse esistito un Dio, di certo avrebbe sentito quell’urlo carico d’odio e di sofferenza e si sarebbe unito al suo dolore.

Perché? Cosa aveva fatto per meritare questo? Quale astuto scherzo del fato aveva fatto in modo che fosse lui stesso la causa di tale dolore?

La sofferenza era talmente tanta che con le unghie trafisse il velcro che rivestiva i braccioli della Macchina; scalciava, strepitava e si dimenava come un bambino che fa i capricci, mentre il suo orologio da taschino cadde a terra rompendosi in milioni di pezzi e la Macchina si muoveva su e giù come se si stesse verificando un terremoto; poi, d’un tratto, si fermò.

Fu lì che la pazzia lo avvolse.

 

Un dolore tanto grande da sconvolgere Io, Subconscio e Super Io l’aveva travolto. Adesso non sentiva più niente. Gli tornò in mente di quando era bambino e faceva i suoi esperimenti, di quando quella volta scacciò in malo modo sua moglie perché l’aveva disturbato mentre lavorava. Fu forse quella pazzia a salvarlo da suicidio certo, da continuo rimuginare sulla fatalità del tempo e delle sue mistificazioni.

C’era una volta un uomo che sfidò Dio tentando di modificare il proprio fato e quello di un’altra persona, c’era una volta un uomo travolto dalle proprie passioni che vide una donna morire, c’era una volta un uomo che fu salvato dalla sua stessa pazzia, c’era una volta un uomo che cercò la fine della propria vita nella fine dell’esistenza stessa, dello spazio e del tempo.

“Il suicidio della fine dei tempi” pensò Valtiero in preda a una risata isterica.

Prese di mira la console della Macchina e le diede addosso scrivendo numeri a caso e, questa volta senza esitazione, tirò la leva del motore.

 

Fu un battito d’ali di un colibrì.

 

Fu un batter d’occhio.

 

Fu un lampo a ciel sereno.

 

Fu il nulla.

 

FINE

   
 
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