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Autore: Artemisia89    10/11/2006    3 recensioni
è una storia surreale, più che sovrannaturale: parla di un ragazzo, un nobile, una persona sola, taciturna. Della sua fuga dal mondo dorato e della sua scoperta di quella figura. Candida, bella, lontana, evanescente.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Okay, lo so, non è veramente niente. Anzi, è proprio una sciocchezza.

Sembra misera ai miei occhi, appena un fiocco di neve che cade e poi non è più, ma dovevo scriverla.

È il frutto di una notte in cui vagavo per casa, la testa che girava per il sonno, il corpo stanco che non trovava riposo.

Mi sono solo seduta e ho lasciato che le mani andassero, senza molto controllo.

Sono sicura che avrei potuto fare di meglio, e molto probabilmente lo farò, ma intanto eccola qui.

 

 

Revôir

 

 

Lui era il rampollo di una famiglia francese aristocratica, ricca e potente.

In quei rari momenti in cui non era attorniato dai paparazzi che tentavano vanamente di sorprenderlo insieme ad una sgualdrinella di passaggio, era solito passeggiare nella tenuta attorno alla villa di famiglia per ore e ore, fino a che non giungeva la notte, e a volte, anche oltre.

Lui era un ragazzo.

Aveva modi gentili e sapeva parlare con educazione e raffinatezza.

Gli occhi blu scuro colmi di intelligenza e i capelli, forse un po’ troppo lunghi – sarà l’età, dicevano i suoi - lo rendevano un ragazzo piacevole, vestito di quella rara bellezza non immediata che avvolgeva le persone particolari.

Lui era solitario.

Scorbutico a volte, e arrogante nei modi che parevano altezzosi agli occhi e all’animo di chi era già colmo di pregiudizi, la voglia di solitudine che restava non capita, il mantello del silenzio che sembrava un obbligo sacro infrangere.

Lui era un nobile, lei era una ragazza normale.

La prima volta che lui la vide, lei indossava un abito bianco, lungo.

La avvolgeva come se fosse fatto di aria, come se fossero le parole di un discorso di un delicato amante e ondeggiava al vento come un abito di piume.

Lei non era nessuno per lui.

Appena una sconosciuta, niente di più di un ombra insolita nei boschi al confine della sua tenuta, niente che una figura pallida dagli occhi di cenere, niente che un fazzoletto lasciato cadere e portato via dal vento, lontano verso altre terre, verso un’alba diversa.

Un sentiero sull’acqua che sparisce sotto altri piedi.

Mi sono persa, disse la prima volta che lui le aveva parlato.

Perditi ancora, allora lui le rispose.

Lei, soleva passeggiare in quel limite di bosco che non era di nessuno.

Come un porto franco, come un terreno neutro, lei raggiungeva la sponda del lago e lì leggeva, cantava sommessamente a volte, abbozzava qualche passo di danza, in solitudine, poi riprendeva il suo capello di vimini e spariva, lentamente, come la nebbia umida che lascia la rugiada del mattino, al sole crescente del mezzogiorno

La prima volta che sentì il profumo di lui, lei stava cadendo in un sonno leggero.

Gelsomino, le sembrò.

E poi, in profondità, un odore di buono, un odore di amore, un odore che le richiamava alla memoria antiche sensazioni.

Lei si alzò, ascoltando i suoi passi, appoggiandosi al tronco di un albero, si volse appena, cercando i suoi occhi, occhi, che già sapeva avrebbe incontrato, per sempre, fino alla fine del mondo, come una condanna.

Quegli occhi che aveva cercato nell’acqua del lago, fra le foglie degli alberi, fra i granelli di sabbia che lasciava scorrere fra le dita.

Indolenti i giorni, ma trepidante quell’attesa.

Quando lui giunse alla luce, quando lui le si avvicinò, lei gli portò la mano alla guancia e chiuse gli occhi, cercando di assaporare attraverso le dita quella pelle pallida, vellutata e soffice che si presentava ai suoi sensi come un dono dopo un lungo viaggio, finalmente meritato.

Ti stavo aspettando, disse lei.

Lui la baciò sulle labbra, sfiorandole appena, anche se gli sembrò solo di baciare l’aria.

Furono tante le volte in cui rimasero insieme, sotto gli alberi, a lanciare sassi nell’acqua, a parlare di cose futili, a non parlare, ad osservare le foglie che cadevano in autunno, ad ascoltare il frinire delle cicale in estate, a commentare versi di poesia.

Il primo giorno d’inverno, lui, sciarpa al collo, guanti, e stivali, raggiunse quello che soleva chiamare il loro posto, noncurante delle intemperie, e lei, era lì.

Vestita di bianco, i capelli sciolti sulle spalle, i piccoli e antichi boccoli che ricadevano morbidi, senza muoversi al soffiare della brezza gelida di tramontana.

Lei non si volse quando lui arrivò.

Aveva una mano ossuta e scarna appoggiata al tronco dell’albero, restava in equilibrio su una grossa radice che spuntava dall’acqua.

Lui non si mosse quando cominciò a palare con voce cupa.

 

 

Il giorno in cui sono morta era il primo giorno d’inverno, e il luogo era questo e come oggi, la neve era poca. Sembrava quasi un soffice manto di zucchero, su dei dolci appena sfornati da una mano rassicurante di donna antica.

Ero fuggita di casa, sai?

Ma non ero sola, con me c’era un ragazzo.

Era uguale a te, sai?

Aveva il tuo stesso profumo, gli stessi occhi, il tuo stesso nome, le tue stesse labbra, le tue stesse movenze.

Mi volevano dare in sposa ad un uomo che non conoscevo e così, io e lui fuggimmo, con le speranza che solo i giovani fuggitivi possano serbare dentro di loro, quella speranza folle colma di una logica la cui leggerezza e fragilità era pari solo ad un castello di carte.

Facemmo l’amore, qui, senza curarci della neve, e per spettatori avemmo questo albero, queste acque, questa terra.

E lui era dolce ed era intenso. Ed esigeva come solo un condannato a morte può fare, prima del baratro, prima dell’ultimo passo, prima dell’ultimo respiro.

Poi, ci trovarono.

Lui me lo strapparono di dosso, lo pugnalò mio fratello, poi ancora vivo, lo gettò nel lago, io mi feci trafiggere, a quest’albero, fui io stessa a guidar la mano di mio padre, la sua lunga spada sottile.

Lo guardai negli occhi, fino alla fine.

Fino alla fine.

Che idiozia questo mondo, non ci è stato nemmeno consentito di amare.

E proprio questa è la mia condanna invece.

Amare per sempre, fino all’eternità, persone che mi ricorderanno lui ma che non lo saranno mai.

 

Il fantasma scomparve dopo aver detto quelle parole con nostalgia ed amarezza, come la nebbia che scompare tagliata dai raggi del sole e lui, con egoismo, pensò che la prima volta che aveva trovato una compagna con cui trascorrere il suo tempo, ebbene si trattava solo di uno spirito rancoroso, rimasto legato a quel luogo per ricordi tanto tragici.

Allora anche lui, come lei, scomparve da quel luogo.

Tornò sulla via di casa, e affondavano pesanti i suoi piedi nella neve che man mano cadeva, e che con il suo manto di gelido zucchero, ricopriva tutto, tutto, in silenzio.

Chiusi gli occhi blu e chiuso il cuore.

Tutto sepolto sotto un soffice manto di neve.

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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