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Autore: tonksnape    10/11/2006    1 recensioni
Torna Danduly Street. Dalla parte di Fred Weasley e Ninphadora Tonks. Entrambi devono fare i conti con il dolore e la solitudine e poi con la ricerca di una famiglia e di qualcosa che va oltre la loro solidale amicizia. Il racconto inizia nel 2005 circa e termina nuovamente nel 2008. Non è necessario aver letto la storia precedente, con le vicende di Harry e Ron, per poter seguire questa. I personaggi sono di JKR, tranne qualche piccolo nuovo inserimento. Il resto è fantasia. Buona lettura. Ai fedelissimi di Danduly Street e a coloro che vorranno aggiungersi al viaggio.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia, Weasley, George, e, Fred, Weasley, Nimphadora, Tonks
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7.    Trovare il coraggio di dirlo

 

La Tana – giugno

“Io vorrei sapere chi ha deciso che Neville deve arbitrare questa partita,” chiese, mani sui fianchi, Ron. Un Ron decisamente irritato. “Vorrei sottolineare che sua moglie gioca in una delle squadre.”

“Ron, non ci sono alternative,” gli rispose Harry, tranquillo. Per essere solo un mese che avevano ripreso a parlarsi se la cavavano benissimo. Zoppicavano ancora quando si trattava di dirsi chiaramente cosa era successo negli ultimi tre anni, ma sembravano essersi ripresi il loro ruolo di ‘ migliore amico ’ quasi del tutto. Sapevano che non sarebbero riusciti a stare l’uno senza l’altro. “Chi altri potrebbe arbitrare?”

Ron sbuffò poco convinto. “Papà!” esclamò.

“Già perché lui invece di una moglie, ha sette figli in squadra…” obiettò Oliver ironico.

Ron lo guardò con gli occhi socchiusi. Ogni tanto diventava irritante quell’uomo. Gran giocatore, ma irritante.

“Andiamo, Ron. Non rompere.” Bill chiuse velocemente la discussione. “Se Neville fa preferenze faremo intervenire papà come giudice inappellabile.”

“Non ho intenzione di fare preferenze per poi rischiare le ritorsioni di qualche Weasley, moglie o cognato,” annunciò serafico Neville, già a cavallo della scopa e pronto a controllare la composizione delle squadre. “Intendete giocare o preferite passare la prossima mezz’ora a discutere?” chiese indistintamente a tutti i presenti. Seguirono numerosi borbottii e parecchi assensi.

Da bordo campo Molly e la moglie di Charlie guardavano quello che stava accadendo con tutti i nipotini vicino, compresi i più piccoli e Hermione che ormai a fine gravidanza se ne stava seduta su un dondolo all’ombra di un albero insieme a tutti loro.

Arthur si prese la responsabilità di definire i capitani delle squadre di gioco, che poi avrebbero deciso i componenti di ogni singolo gruppo.

“Per evitare problemi il titolo di capitani va ai due giocato più anziani del gruppo: Bill tra gli uomini e Tonks tra le donne. Squadre semplificate con due cacciatori e non tre. Un portiere, un cercatore e due battitori. Ok?”

Il resto della tribù diede segni di assenso.

Bill e Tonks si portarono al centro del prato uno di fronte all’altra, pensierosi. La responsabilità era notevole. Una partita a Quidditch di quella portata non era un avvenimento da sottovalutare.

Arthur dava le regole.

“Portieri. Comincia Bill per anzianità.”

“Oliver. Naturalmente.” Oliver si spostò dietro di lui.

Arthur guardò Tonks.

“Ron, naturalmente.” Ron si mise dietro all’amica, appoggiandosi con noncuranza alla scopa.

“Battitori. A Tonks,” proseguì Arthur

“Charlie e… io.”

Charlie si avvicinò al fratello, mettendo una mano sulla spalla di Tonks.

“Fred e George.” I gemelli lo seguirono dando il cinque ad Oliver.

“Cacciatori, a Bill.”

“Fleur” e le sorrise. “E io.”

“A me Lucinda e Percy” disse felice Tonks. Bill la guardò meravigliato della scelta del fratello.

“Cercatore, a Tonks.”

Tonks si girò a guardare la sua squadra. Tre scattanti e due massicci. Voleva Ginny, ma l’equilibrio ne avrebbe risentito. Ma forse anche far giocare Harry con Ron. Si prese tutto il tempo per decidere. Poi la folgorò l’immagine di Ron che litigava con Ginny.

Harry e Ginny erano rimasti in piedi tra le squadre e aspettavano, tranquilli. A Ginny pareva di vedere i ragionamenti di Tonks che si muovevano nell’aria come delle gran nuvole. Lei si sarebbe messa con Bill. Per un buon equilibrio di forze. Harry aveva un sorriso ironico in faccia. Gli sarebbe piaciuto giocare con Tonks come capitano. Un pizzico di follia.

“Harry,” si decise Tonks, guardandolo. E sorridendo poi a Ginny. Che si avviò verso il fratello maggiore che l’aspettava a braccia aperte.

“Bene, adesso alcune regole generali,” annunciò Arthur. I bambini a bordo campo erano in silenzio adorante. Non era mai successo di vedere una vera partita a Quidditch con i loro genitori impegnati. E con un vero giocatore come Olvier. E con il nonno che dirigeva tutti.

“Volare basso, a parte i Cercatori e l’arbitro che avranno protezione supplementare per non essere visti dai babbani qui intorno. Non superare il punto massimo degli alberi. Neville arbitra. Lo fa anche ad Hogwarts, quindi il fatto che sua moglie giochi in una delle squadre non è decisivo. Si gioca una intera partita a meno che non arrivi prima l’ora di cena. Ma avendo pranzato da poco non dovrebbero esserci problemi. Chiaro a tutti?” e si guardò intorno. Tutti annuirono.

“Posizione,” disse risoluto Neville, aprendo il contenitore dove già si agitavano i Bolidi. Intorno a lui si alzarono dodici scope. Dai ripostigli di casa Wealsey erano usciti anche due intere divise che Molly aveva velocemente adattato a tutti dopo che le avevano indossate. Sei divise rosse e sei nere che si distinguevano bene nel cielo azzurro di giugno.

Neville prese il fischietto e diede inizio alla partita.

Nessuno dei giocatori, tranne Oliver, si allenava con costanza dai tempi di Hogwarts. Ron e i gemelli avevano a loro vantaggio notevoli giocate casuali con gli amici. Harry, a detta di Ron, non avrebbe sollevato un Bolide con la forza che si ritrovava dopo tutti quegli anni di dolce far niente al Ministero. Ginny, Fleur e Lucinda non giocavano da tempi immemorabili. Bill e Charlie da tempi lunghi. Tonks aveva un allenamento costante come Auror. Percy era un mistero per tutti, dato che nessuno lo aveva mai visto giocare seriamente.

E infatti fu Percy il primo ad individuare la Pluffa e spedirla rapido a Lucinda, che resa molto reattiva da quasi sei anni di costante attività con figlia e nipoti, riuscì ad inventarsi un passaggio a Percy che lasciò quasi immobili Fleur e Bill che non si aspettavano tanta agilità.

Percy spedì la Pluffa verso Oliver, mentre più in alto Fred cominciava a lanciare il Bolide contro Charlie che, senza pensarci troppo, lo ributtò, duro, a George.

Oliver riuscì a fermare la Pluffa con una mossa repentina che lo costrinse a rallentare notevolmente per non schiantarsi a terra.

Harry e Ginny si stavano ancora guardando in giro, alla ricerca del Boccino.

Neville, volteggiava nel campo osservando attento tutti i passaggi.

Intanto a bordo campo i bambini avevano tutti la testa rivolta al cielo e la bocca aperta dallo stupore. Mai visto uno spettacolo del genere.

“Ma il papà ha buttato quella palla contro la mamma?” chiese Ernestine, sorpresa.

“No,” la rassicurò Hermione. “Il papà deve vedersela con Ninpha e con lo zio Charlie. La mamma gioca contro lo zio Bill e la zia Fleur.” Esperta di Quidditch. Hermione doveva sottolinearlo a Ron, che ancora la prendeva in giro.

“Guarda dove sta andando zio Harry. E zia Ginny lo ha quasi raggiunto,” urlò il figlio maggiore di Bill puntando il dito verso il cielo e alzandosi in piedi.

L’urlo di Fred riportò tutti con lo sguardo alla mischia centrale. Il Bolide aveva preso in tronco di un albero che aveva deviato, con uno schianto sonoro, la sua traiettoria e stava puntando verso Fleur. Bill la avvicinò, ma Fleur se n’era già accorta e l’aveva evitata, lasciando che fosse Tonks, con rabbia, a rispedirla verso Fred.

Il gioco proseguì per un’altra mezz’ora senza colpi di scena particolari e con un ritmo che diede il tempo ai giocatori di rendersi conto di quanto fossero tutti fuori allenamento cercando di trovare un minimo di memoria delle partite fatte a scuola. Poi cominciarono ad osare anche qualche gioco di formazione, qualche passaggio a schema. Tonks e Bill riuscivano, grazie alla lentezza del gioco, a dare istruzioni alle proprie squadre.

Tonks stava lasciando mano libera a Charlie di distruggere a suo piacimento uno dei gemelli e a Percy e Lucinda di muoversi con passaggi corti e veloci contro Bill e Fleur che, legati agli schemi di gioco più organizzati di Hogwarts, facevano fatica a trovare un ritmo per contrastare quei due. Harry ogni tanto dall’alto guardava Tonks prendere con rabbia un Bolide e buttarlo nella traiettoria dei Cacciatori, per poi passare a parlare con i giocatori e dare istruzioni, che a suo parere, a volte erano contrastanti. Ron aveva molto più lavoro di Oliver in quanto Fred e George riuscivano a fare una barriera più serrata di Tonks e Charlie alle incursioni dei Cacciatori. Ma per ora nessuno aveva segnato. Tranne qualche tiro sbagliato contro i tronchi degli alberi.

I bambini si stavano animando e cominciavano a tifare a voce alta.

Poi arrivò il gol di Percy, tra la sorpresa generale di tutti. In realtà era un gol di Tonks e Charlie, che erano riusciti a mettere in difficoltà i gemelli e quindi a lasciare via libera ai passaggi di Percy e Lucinda. Fino al Bolide lanciato da Tonks contro Oliver che lo aveva sbilanciato a sufficienza da far passare la Pluffa di Percy in un angolino dell’anello centrale. Praticamente pura fortuna. Ma a nessuno interessava puntualizzare la cosa. Neville convalidò il gol e riprese Percy che stava facendo una strana danza della pioggia in aria per autofesteggiarsi. Percy lo accusò di scarsa sensibilità verso lo spirito libero dei topi di biblioteca. Neville gli ricordò che anche lui faceva parte della categoria e quindi aveva poco da raccontargliela, che la partita doveva ricominciare. Dopo la battuta di George che doveva ricredersi su chi comandava a casa, vista la determinazione del cognato, Neville fischiò nuovamente l’inizio del gioco, sotto lo sguardo ammirato della moglie.

Proseguirono per un’altra ora fino ad arrivare ad un pareggio momentaneo che risultò essere il punteggio finale. Infatti, mentre volteggiava in alto, osservando la sua squadra che prendeva posizione, Tonks sentì fischiare il bolide che le si avvicinava a per schivarlo andò a sbattere contro un ramo, più sporgente degli altri, dell’albero vicino a lei. Il primo ad arrivare fu Charlie che la sorresse sulla scopa. Sembrava essere una piccola botta sulla quale lei e Charlie cominciarono a scherzare, ma quando venne il momento di riprendere il gioco, Tonks prima si raddrizzò sulla scopa e subito dopo si piegò in due dal dolore, lanciando un grido. Fred che non l’aveva persa di vista neppure un momento, si allungò volando sulla scopa e si fermò secco al suo fianco, avvolgendole il braccio attorno alla vita per sorreggerla. Tonks gridò di nuovo.

“Le costole,” sentenziò Fred a Charlie che l’aveva di nuovo raggiunta. “Ha qualche costola incrinata o rotta. Aiutami a prenderla.”

“Scendo da sola!” boccheggiò tra il dolore Tonks.

“Tonks…” intervenne secco Fred.

“Aiutami a scendere, ma sulla mia scopa,” rispose altrettanto secca lei, respirando a scatti e a fatica.

Fred si sposò dietro di lei e lentamente la fece scendere a terra mentre Charlie lo seguiva tenendo con una mano la scopa del fratello.

Cercando di controllare respiro e dolore, Tonks si insultò per quella scelta così stupida. Sentire il corpo di Fred incollato al suo, una mano appoggiata delicatamente al suo stomaco, il respiro che le muoveva i capelli non era di certo la soluzione meno rischiosa che poteva trovare. E quella voce leggera e dolce che le ripeteva di non preoccuparsi, che sarebbero scesi e l’avrebbe portata al San Mungo per un controllo, non era un balsamo lenitivo, ma una scossa costante per le sue emozioni.

Messi i piedi a terra, Tonks si ritrovò distesa sul prato con Ginny che la controllava velocemente, muovendole la bacchetta sopra lo sterno. Chiuse gli occhi. Troppo teste rosse.

“Fred,” sussurrò.

“Cosa?” era in ginocchio di fianco a lei. Lo aveva visto sistemarsi a fianco della sorella.

“Le bambine. Avranno paura,”

“Sono con Lucinda, ho già controllato, stai tranquilla,” le rispose con un piccolo sorriso. Quasi fossero sue, pensò tra il divertito, lo scocciato e la speranza.

“Costole rotte direi, Tonks. Un paio almeno. Devi farti controllare al San Mungo perché te le riassestino,” sentenziò Ginny, guardandola con una espressione meno preoccupata di prima. Il grido dell’amica l’aveva messa in serio allarme.

“Allora non so rompermi più come una volta,” disse Tonks riaprendo gli occhi. “Non mi ricordo che facessero così male… me ne sono rotte altre gli anni scorsi.” Respirava veloce e leggera, per sentire meno dolore.

Fred le mise una mano sulla fronte. “Cosa vuoi, è l’età…”

“Stupido!” buttò fuori lei a bassa voce.

“Adesso, ragazza, dobbiamo portarti in ospedale. Preferisci in piedi o distesa?” le chiese Fred, rialzandosi. Maggie e Reggie arrivarono immediatamente a stringersi alla sue gambe.

“Ninpha…” Maggie la guardava con gli occhini spalancati. Reggie aveva un dito in bocca.

“Ehi, ragazze.” Sorrise loro. “A quanto pare, dobbiamo finire qui la partita. Devono risistemarmi un po’.”

“Ma poi torni?” le chiese Maggie. Fred mise ad entrambe una mano sulla spalla e le strinse a sé. Anche se facevano periodici controlli al San Mungo e lo conoscevano bene, il ricordo di Maggie sembrava arrivare ancora all’incidente della mamma.

“Certo! Ho solo un osso rotto. Quello che succede a chi gioca seriamente a Quidditch… Sapeste quante volte è successo ai giocatori veri.”

“Adesso la porto in ospedale per un controllo, poi la metto a letto. E ci vediamo a casa. Voi state con zia Lucinda, zio George e Ernestine, d’accordo? Io passo a prendervi quando Ninpha sarà zitta e addormentata a letto.” Fred si era piegato sulle ginocchia e stava parlando ad entrambe le figlie.

“Ma Ninpha può stare sola di notte, se sta male? Noi non possiamo,” gli fece notare Maggie, un po’ preoccupata.

Fred guardò Tonks, aspettando da lei una risposta.

“Sì, i grandi possono, Maggie.”

“Ma possono anche andare a casa di amici ed essere coccolati,” intervenne Ginny. “Vieni da noi, per questa notte,” le offrì.

Tonks provò a dire di no, ma intervenne anche Neville per chiudere la questione. “Stiamo così vicini, Tonks, che non ci sono motivi per dire di no. Andiamo.”

“Tutto deciso,” disse in fretta Arthur. “Adesso al San Mungo.” E fece cenno a Fred di muoversi. Ginny prese per mano le nipotine. Tonks cercò di alzarsi con evidenti smorfie di dolore, appoggiandosi al braccio e poi al corpo di Fred.

“Potrei portarti distesa, Tonks,” provò a dirle.

“No, non serve. Ma devi Smaterializzarmi tu. Non ce la faccio.

Nessuno degli altri presenti si offrì di seguirli o di aiutarli. Si era creata una involontaria solidarietà tra fratelli nel considerare Tonks una invidiabile futura cognata. E quello era un buon momento per lasciarli da soli.

Fred le mise nuovamente un braccio intorno alla vita e la fece appoggiare contro di sé. Lanciando un’occhiata al fratello e strizzando un occhio alle figlie per salutarle, si Smaterializzo con lei direttamente davanti all’entrata del San Mungo.

 

San Mungo – pochi attimi dopo.

Immediatamente al loro ingresso arrivò un guaritore che fece stendere Tonks e la controllò con la bacchetta come aveva fatto Ginny.

“Cosa è accaduto?” chiese rivolgendosi ad entrambi. Solo allora notò le divise che indossavano. “Ahhh, Quidditch. Professionale?”

“No, tra amici,” disse Fred.

“Sono un Auror,” intervenne Tonks. Subito il guaritore si fermò e le confermò che avrebbe chiamato qualcuno della sezione medica che seguiva specificatamente gli Auror. Qualcuno che avesse sotto stretto controllo, come era richiesto, la loro salute fisica.

Intanto la trasportò attraverso l’ampio corridoio dove c’erano persone in attesa di avere notizie dei feriti o degli ammalati che venivano controllati e curati in ampi spazi delimitati da divisori in metallo. Tonks finì dietro uno di questi e a Fred fu chiesto di aspettare fuori, seduto in una delle poltroncine per l’attesa. Si mise seduto e appoggiò con un sospiro la testa alla parete. Non gli piaceva essere lì, proprio per nulla. Ancora troppi ricordi. Con le bambine frequentava gli spazi del settore pediatrico, ma non si era più avvicinato al reparto dove era morta Angelina.

Sospirò profondamente cercando di non lasciarsi andare troppo ai ricordi. Ma era di nuovo lì, con la donna che amava e che stava male. Una situazione non paragonabile, ma comunque era di nuovo lì. Sentire Tonks gridare l’aveva terrorizzato. Il primo pensiero era stato che doveva dirle che l’amava. Prima ancora di pensare che doveva soccorrerla. Era arrivato prima Charlie solo per quello. Poi vedendo che si trattava solo delle costole, si era tranquillizzato. Ma doveva parlarle, non era più possibile aspettare. Chiuse gli occhi, la testa rivolta al soffitto. Doveva dirle che era innamorato di lei. Anche se aveva paura di perdere quello che avevano costruito in quegli anni, quella amicizia che ormai non gli era più sufficiente. Desiderava quella donna ben oltre il limite dell’amicizia. E non intendeva privarsi del piacere della loro amicizia. Che gran confusione che si era creata. Era partito tutto solo come un aiuto pratico ed era finito per diventare una scelta di vita. Cercò di svuotare la mente e di concentrarsi sul nulla per rilassarsi un po’. Si sfregò le mani sugli occhi per diminuire il turbinio dei pensieri.

Dopo meno di mezz’ora la parete scorrevole si aprì e Tonks uscì, in piedi, sorridente.

“Tutto fatto,” gli disse. “Due costole rotte e riaggiustate. E un po’ di medicine per aiutare le ossa,” gli mostrò il sacchetto trasparente nel quale si intravedevano due contenitori di vetro pieni di liquido colorato.

Dietro di lei uscì la guaritrice che era entrata poco dopo di lei. Le mise una mano sulla spalla per salutarla, poi vide Fred e si fermò interdetta.

Tonks notò lo sguardo e li presentò.

“Elizabeth Gressy, guaritrice e Fred Weasley, un mio amico.”

“Weasley…” ripeté la guaritrice. “Piacere,” e gli diede la mano che Fred strinse deciso. “Parente di Percy Weasley?”

“Sì, sono uno dei fratelli,” confermò Fred.

Alla guaritrice si illuminarono gli occhi. “Oh, non lo vedo da quasi un anno. Me lo può salutare?”

Fred si mantenne serio a fatica. “Certamente.” Se suo fratello Percy riusciva a far illuminare in quel modo una donna c’era qualche cosa che lui non sapeva.

“Grazie,” e si girò per salutare anche Tonks.

Quando furono quasi fuori dal reparto Tonks gli disse, cercando di suonare casuale, “Credevo fosse un colpo di fulmine, da come ti ha guardato.”

“Bah, no. Sembrava che avesse visto un fantasma,” la corresse Fred. Poi le mise una mano sulla spalla. “Nessun dolore?”

Tonks si lasciò scivolare verso di lui, stanca. “No, ho ancora l’effetto dei medicinali.”

“Andiamo direttamente a casa di Neville e Ginny?”

“No devo prendere delle cose a casa mia per la notte.” Non voleva andarci da sola. Era sfinita, puzzolente e sporca, ma per una volta aveva Fred solo per lei. Senza altre persone intorno. E non intendeva rinunciare neppure ad un secondo di quel tempo. Anzi, poteva anche permettersi qualche lusso, per una volta. “Puoi Smaterializzarci tu, ancora? Così non faccio troppi sforzi.”

Fred annuì e stringendola a sé li fece arrivare davanti a casa sua.

 

Casa di Tonks – tardo pomeriggio

 

La casa era chiusa e buia. Una volta entrati e spalancate le finestre Fred si rese conto che era anche piccola. Molto piccola. Non l’aveva mia vista prima in tutti quegli anni. Era sempre stata Tonks ad entrare nella sua vita, non il contrario.

L’ingresso dava direttamente in un’unica stanza con un angolo cottura e in fondo delle scale portavano al piano superiore dove doveva esserci la camera. Arredamento minimo. Molto semplice. Molto colorato. Quasi un arcobaleno di colori. Vide immediatamente le foto delle figlie in tre diversi momenti della loro vita. In una c’era anche lui. E poi una foto di Remus, al centro di un mobile con una quantità spropositata di libri. Tonks si avviò direttamente alle scale e al piano superiore. Senza chiedere il permesso Fred la seguì.

Quello era il mondo personale di Tonks. Tutti quei colori. Gli stessi che aveva insegnato ad usare alle sue figlie. Tanti libri letti e sparsi per la stanza. Vestiti buttati sulla sedia davanti al letto e nella parte del letto matrimoniale ancora intatta. Quella dove dormiva lei era un groviglio di lenzuola.

Fred si fermò a fissare il letto. Desiderava guardarla mentre dormiva. Vedere se i suoi capelli si arruffavano più del solito. Imparare quale fosse la sua posizione preferita. Riconoscere quando stava per svegliarsi. Sentire il suo respiro tranquillo vicino a sé. E desiderava tutto quello che poteva starci prima e dopo.

Tonks aveva preso una piccola sacca dall’armadio e ci stava infilando biancheria, un paio di jeans e una maglietta. Avrebbe fatto la doccia da Ginny e Neville.

Fred la guardò sistemare tutto infilandolo senza cura e sorrise pensando con quale cura piegava a sistemava i vestiti delle bambine. E a volte anche qualche camicia sua. Sentiva l’odore di Tonks che pervadeva la camera. Quel misto di cannella e spezie che sentiva anche sui vestiti delle bambine quando passavano molto tempo vicine a lei, a giocare o a farsi consolare.

Lasciò cadere ogni minima barriera che si era costruito. Non poteva aspettare. Voleva quel profumo solo per sé.

“Ninphadora…” la chiamò, piano, dallo stipite della porta al quale era appoggiato.

“Fred, sai che non lo sopporto quel nome.”

“Ninpha…” le disse di nuovo. Tonks stava cercando un pigiama pulito e non lo guardava. Lui intrecciò nervoso le mani.

“Fred …. Mi chiamo Tonks!”

“Nei miei sogni sei sempre Ninpha.” Lo sussurrò piano, naturale. Era così ovvio adesso, per lui, che poteva esserci solo Ninpha.

Tonks si fermò. Si fermò anche il suo respiro per qualche secondo. Poi accelerò all’improvviso. Chiuse gli occhi.

E si girò a guardarlo.

Oh, Merlino, Merlino, Merlino. Eccolo. Era proprio lì, per lei.

Quel sorriso, appena accennato.

Quel sorriso ironico e sbruffone che avevano sempre avuto tutti i Weasley e che adesso, rivolto a lei, era così sensuale. La stessa divertita sensualità con la quale George sorrideva a Lucinda, con la quale Ron aveva sorriso ad Hermione, con la quale Ginny sorrideva a Neville e Arthur a Molly. Con la quale Fred la stava guardando.

Tutta la stanza attorno a lei sparì. C’era solo lui che la sognava di notte e la chiamava per nome. E c’erano tutti quegli anni di amicizia e di dialogo, di battute e di discussioni che li avevano portati fino a lì. Tonks e Fred.

Tonks provò a parlare due volte, senza trovare la voce. Fred rimase fermo a guardarla, in attesa. Poi anche Tonks gli sorrise. E ritrovò la semplicità nel parlare con lui.

“Anch’io… oh… io ti chiamo sempre Fred.” La voce uscì quasi incerta, ma con il suo tono sornione, attenuato dal sorriso dolce e dalla luce degli occhi.

Il sorriso di Fred divenne ancora più grande. Si infilò le mani nelle tasche posteriori della divisa, come se fosse un po’ intimidito.

“Dato che ho cinque fratelli mi fa piacere sapere che non mi chiami solo Weasley…”

“Quale altro Weasley potrei volere, se non te?” gli chiese piano.

“Non lo so. Non mi interessa nulla adesso, se non te.”

Si guardarono in silenzio.

“Ninpha…” iniziò Fred. Poi si fermò. Fece un profondo respiro e allargò le braccia, con una smorfia. “Non voglio bruciare tutto mentre siamo qui sudati e con queste ridicole divise da gioco. Non dopo aver aspettato mesi.”

Tonks annuì. Mesi, come lei, aveva atteso mesi.

“Non so cosa pensavo di fare. Non avevo progettato nulla, se non che ti desidero. E mi piaci. E…” si fermò.

Tonks gli fece un piccolo sorriso. “E,” gli disse semplicemente.

“Adesso ti porto da Neville e Ginny, e ti lascerò come il solito.” La guardò deciso e stanco. “E faremo come il solito la prossima settimana. Poi venerdì sera George e Lucinda prenderanno le bambine e noi… saremo solo noi due. Puoi aspettare?”

“Fred…” gli sorrise dolce e divertita, in risposta, “mi farà male la costola tra poco. E farò fatica a muovermi. E non voglio preoccuparmi di dovermi svegliare per andare a lavorare il giorno dopo. E anch’io ti desidero da mesi, Fred. E mi piaci. E.”

Si sorrisero, meravigliati di tutta quella calma che li pervadeva, della tranquillità della loro voce.no parlando della loro e

Sentivano il cuore battere all’impazzata e i pensieri in testa sprizzare come scintille. Ma volevano il massimo adesso e non era certo un primo bacio in una stanza da letto disordinata, con una costola appena rimarginata, sudati dopo una partita di Quidditch sotto il sole. Era una serata per loro, lune di candela, del tempo da soli, la sicurezza che Maggie e Reggie fossero tranquille. Tempo per parlare e per baciarsi e toccarsi senza fretta. Venerdì sera. E notte. Di questo erano entrambi sicuri.

A fatica riuscirono a distogliere lo sguardo uno dall’altra e poi Tonks infilò il pigiama nella sacca e seguì Fred lungo le scale.

Arrivarono da Ginny e Neville a piedi, in pochissimi minuti, tenendosi per mano fino al cancello. Poi si separarono e quando Ginny accolse Tonks sulla porta, e Tonks si assicurò che Fred sarebbe andato immediatamente a dire alle bambine che il pomeriggio successivo sarebbe stata con loro, si abbracciarono per qualche secondo e Fred le appoggiò le labbra sulla fronte. Come faceva con Ginny. La quale li osservò in silenzio e senza dire nulla abbracciò Tonks e l’accompagnò in casa per fare una doccia.

 

Se ci sono errori nel Quidditch chiedo scusa....

Grazie, grazie a tutti quelli che hanno recensito.

Per Nonna Minerva: sapessi quanto ho riso per Under the table...

  
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