7.
Trovare il coraggio di dirlo
“Io vorrei sapere chi ha deciso che Neville deve
arbitrare questa partita,” chiese, mani sui fianchi, Ron. Un Ron decisamente
irritato. “Vorrei sottolineare che sua moglie gioca in una delle
squadre.”
“Ron, non ci sono alternative,” gli rispose Harry,
tranquillo. Per essere solo un mese che avevano ripreso a parlarsi se la
cavavano benissimo. Zoppicavano ancora quando si trattava di dirsi chiaramente
cosa era successo negli ultimi tre anni, ma sembravano essersi ripresi il loro
ruolo di ‘ migliore amico ’ quasi del tutto. Sapevano che non sarebbero riusciti
a stare l’uno senza l’altro. “Chi altri potrebbe
arbitrare?”
Ron sbuffò poco convinto. “Papà!”
esclamò.
“Già perché lui invece di una moglie, ha sette
figli in squadra…” obiettò Oliver ironico.
Ron lo guardò con gli occhi socchiusi. Ogni tanto
diventava irritante quell’uomo. Gran giocatore, ma
irritante.
“Andiamo, Ron. Non rompere.” Bill chiuse
velocemente la discussione. “Se Neville fa preferenze faremo intervenire papà
come giudice inappellabile.”
“Non ho intenzione di fare preferenze per poi
rischiare le ritorsioni di qualche Weasley, moglie o cognato,” annunciò serafico
Neville, già a cavallo della scopa e pronto a controllare la composizione delle
squadre. “Intendete giocare o preferite passare la prossima mezz’ora a
discutere?” chiese indistintamente a tutti i presenti. Seguirono numerosi
borbottii e parecchi assensi.
Da bordo campo Molly e la moglie di Charlie
guardavano quello che stava accadendo con tutti i nipotini vicino, compresi i
più piccoli e Hermione che ormai a fine gravidanza se ne stava seduta su un
dondolo all’ombra di un albero insieme a tutti loro.
Arthur si prese la responsabilità di definire i
capitani delle squadre di gioco, che poi avrebbero deciso i componenti di ogni
singolo gruppo.
“Per evitare problemi il titolo di capitani va ai
due giocato più anziani del gruppo: Bill tra gli uomini e Tonks tra le donne.
Squadre semplificate con due cacciatori e non tre. Un portiere, un cercatore e
due battitori. Ok?”
Il resto della tribù diede segni di
assenso.
Bill e Tonks si portarono al centro del prato uno
di fronte all’altra, pensierosi. La responsabilità era notevole. Una partita a
Quidditch di quella portata non era un avvenimento da
sottovalutare.
Arthur dava le regole.
“Portieri. Comincia Bill per
anzianità.”
“Oliver. Naturalmente.” Oliver si spostò dietro di
lui.
Arthur guardò Tonks.
“Ron, naturalmente.” Ron si mise dietro all’amica,
appoggiandosi con noncuranza alla scopa.
“Battitori. A Tonks,” proseguì
Arthur
“Charlie e… io.”
Charlie si avvicinò al fratello, mettendo una mano
sulla spalla di Tonks.
“Fred e George.” I gemelli lo seguirono dando il
cinque ad Oliver.
“Cacciatori, a Bill.”
“Fleur” e le sorrise. “E io.”
“A me Lucinda e Percy” disse felice Tonks. Bill la
guardò meravigliato della scelta del fratello.
“Cercatore, a Tonks.”
Tonks si girò a guardare la sua squadra. Tre
scattanti e due massicci. Voleva Ginny, ma l’equilibrio ne avrebbe risentito. Ma
forse anche far giocare Harry con Ron. Si prese tutto il tempo per decidere. Poi
la folgorò l’immagine di Ron che litigava con Ginny.
Harry e Ginny erano rimasti in piedi tra le squadre
e aspettavano, tranquilli. A Ginny pareva di vedere i ragionamenti di Tonks che
si muovevano nell’aria come delle gran nuvole. Lei si sarebbe messa con Bill.
Per un buon equilibrio di forze. Harry aveva un sorriso ironico in faccia. Gli
sarebbe piaciuto giocare con Tonks come capitano. Un pizzico di
follia.
“Harry,” si decise Tonks, guardandolo. E sorridendo
poi a Ginny. Che si avviò verso il fratello maggiore che l’aspettava a braccia
aperte.
“Bene, adesso alcune regole generali,” annunciò
Arthur. I bambini a bordo campo erano in silenzio adorante. Non era mai successo
di vedere una vera partita a Quidditch con i loro genitori impegnati. E con un
vero giocatore come Olvier. E con il nonno che dirigeva
tutti.
“Volare basso, a parte i Cercatori e l’arbitro che
avranno protezione supplementare per non essere visti dai babbani qui intorno.
Non superare il punto massimo degli alberi. Neville arbitra. Lo fa anche ad
Hogwarts, quindi il fatto che sua moglie giochi in una delle squadre non è
decisivo. Si gioca una intera partita a meno che non arrivi prima l’ora di cena.
Ma avendo pranzato da poco non dovrebbero esserci problemi. Chiaro a tutti?” e
si guardò intorno. Tutti annuirono.
“Posizione,” disse risoluto Neville, aprendo il
contenitore dove già si agitavano i Bolidi. Intorno a lui si alzarono dodici
scope. Dai ripostigli di casa Wealsey erano usciti anche due intere divise che
Molly aveva velocemente adattato a tutti dopo che le avevano indossate. Sei
divise rosse e sei nere che si distinguevano bene nel cielo azzurro di
giugno.
Neville prese il fischietto e diede inizio alla
partita.
Nessuno dei giocatori, tranne Oliver, si allenava
con costanza dai tempi di Hogwarts. Ron e i gemelli avevano a loro vantaggio
notevoli giocate casuali con gli amici. Harry, a detta di Ron, non avrebbe
sollevato un Bolide con la forza che si ritrovava dopo tutti quegli anni di
dolce far niente al Ministero. Ginny, Fleur e Lucinda non giocavano da tempi
immemorabili. Bill e Charlie da tempi lunghi. Tonks aveva un allenamento
costante come Auror. Percy era un mistero per tutti, dato che nessuno lo aveva
mai visto giocare seriamente.
E infatti fu Percy il primo ad individuare
Percy spedì
Oliver riuscì a fermare
Harry e Ginny si stavano ancora guardando in giro,
alla ricerca del Boccino.
Neville, volteggiava nel campo osservando attento
tutti i passaggi.
Intanto a bordo campo i bambini avevano tutti la
testa rivolta al cielo e la bocca aperta dallo stupore. Mai visto uno spettacolo
del genere.
“Ma il papà ha buttato quella palla contro la
mamma?” chiese Ernestine, sorpresa.
“No,” la rassicurò Hermione. “Il papà deve
vedersela con Ninpha e con lo zio Charlie. La mamma gioca contro lo zio Bill e
la zia Fleur.” Esperta di Quidditch. Hermione doveva sottolinearlo a Ron, che
ancora la prendeva in giro.
“Guarda dove sta andando zio Harry. E zia Ginny lo
ha quasi raggiunto,” urlò il figlio maggiore di Bill puntando il dito verso il
cielo e alzandosi in piedi.
L’urlo di Fred riportò tutti con lo sguardo alla
mischia centrale. Il Bolide aveva preso in tronco di un albero che aveva
deviato, con uno schianto sonoro, la sua traiettoria e stava puntando verso
Fleur. Bill la avvicinò, ma Fleur se n’era già accorta e l’aveva evitata,
lasciando che fosse Tonks, con rabbia, a rispedirla verso
Fred.
Il gioco proseguì per un’altra mezz’ora senza colpi
di scena particolari e con un ritmo che diede il tempo ai giocatori di rendersi
conto di quanto fossero tutti fuori allenamento cercando di trovare un minimo di
memoria delle partite fatte a scuola. Poi cominciarono ad osare anche qualche
gioco di formazione, qualche passaggio a schema. Tonks e Bill riuscivano, grazie
alla lentezza del gioco, a dare istruzioni alle proprie
squadre.
Tonks stava lasciando mano libera a Charlie di
distruggere a suo piacimento uno dei gemelli e a Percy e Lucinda di muoversi con
passaggi corti e veloci contro Bill e Fleur che, legati agli schemi di gioco più
organizzati di Hogwarts, facevano fatica a trovare un ritmo per contrastare quei
due. Harry ogni tanto dall’alto guardava Tonks prendere con rabbia un Bolide e
buttarlo nella traiettoria dei Cacciatori, per poi passare a parlare con i
giocatori e dare istruzioni, che a suo parere, a volte erano contrastanti. Ron
aveva molto più lavoro di Oliver in quanto Fred e George riuscivano a fare una
barriera più serrata di Tonks e Charlie alle incursioni dei Cacciatori. Ma per
ora nessuno aveva segnato. Tranne qualche tiro sbagliato contro i tronchi degli
alberi.
I bambini si stavano animando e cominciavano a
tifare a voce alta.
Poi arrivò il gol di Percy, tra la sorpresa
generale di tutti. In realtà era un gol di Tonks e Charlie, che erano riusciti a
mettere in difficoltà i gemelli e quindi a lasciare via libera ai passaggi di
Percy e Lucinda. Fino al Bolide lanciato da Tonks contro Oliver che lo aveva
sbilanciato a sufficienza da far passare
Proseguirono per un’altra ora fino ad arrivare ad
un pareggio momentaneo che risultò essere il punteggio finale. Infatti, mentre
volteggiava in alto, osservando la sua squadra che prendeva posizione, Tonks
sentì fischiare il bolide che le si avvicinava a per schivarlo andò a sbattere
contro un ramo, più sporgente degli altri, dell’albero vicino a lei. Il primo ad
arrivare fu Charlie che la sorresse sulla scopa. Sembrava essere una piccola
botta sulla quale lei e Charlie cominciarono a scherzare, ma quando venne il
momento di riprendere il gioco, Tonks prima si raddrizzò sulla scopa e subito
dopo si piegò in due dal dolore, lanciando un grido. Fred che non l’aveva persa
di vista neppure un momento, si allungò volando sulla scopa e si fermò secco al
suo fianco, avvolgendole il braccio attorno alla vita per sorreggerla. Tonks
gridò di nuovo.
“Le costole,” sentenziò Fred a Charlie che l’aveva
di nuovo raggiunta. “Ha qualche costola incrinata o rotta. Aiutami a
prenderla.”
“Scendo da sola!” boccheggiò tra il dolore
Tonks.
“Tonks…” intervenne secco
Fred.
“Aiutami a scendere, ma sulla mia scopa,” rispose
altrettanto secca lei, respirando a scatti e a fatica.
Fred si sposò dietro di lei e lentamente la fece
scendere a terra mentre Charlie lo seguiva tenendo con una mano la scopa del
fratello.
Cercando di controllare respiro e dolore, Tonks si
insultò per quella scelta così stupida. Sentire il corpo di Fred incollato al
suo, una mano appoggiata delicatamente al suo stomaco, il respiro che le muoveva
i capelli non era di certo la soluzione meno rischiosa che poteva trovare. E
quella voce leggera e dolce che le ripeteva di non preoccuparsi, che sarebbero
scesi e l’avrebbe portata al San Mungo per un controllo, non era un balsamo
lenitivo, ma una scossa costante per le sue emozioni.
Messi i piedi a terra, Tonks si ritrovò distesa sul
prato con Ginny che la controllava velocemente, muovendole la bacchetta sopra lo
sterno. Chiuse gli occhi. Troppo teste rosse.
“Fred,” sussurrò.
“Cosa?” era in ginocchio di fianco a lei. Lo aveva
visto sistemarsi a fianco della sorella.
“Le bambine. Avranno paura,”
“Sono con Lucinda, ho già controllato, stai
tranquilla,” le rispose con un piccolo sorriso. Quasi fossero sue, pensò tra il
divertito, lo scocciato e la speranza.
“Costole rotte direi, Tonks. Un paio almeno. Devi
farti controllare al San Mungo perché te le riassestino,” sentenziò Ginny,
guardandola con una espressione meno preoccupata di prima. Il grido dell’amica
l’aveva messa in serio allarme.
“Allora non so rompermi più come una volta,” disse
Tonks riaprendo gli occhi. “Non mi ricordo che facessero così male… me ne sono
rotte altre gli anni scorsi.” Respirava veloce e leggera, per sentire meno
dolore.
Fred le mise una mano sulla fronte. “Cosa vuoi, è
l’età…”
“Stupido!” buttò fuori lei a bassa
voce.
“Adesso, ragazza, dobbiamo portarti in ospedale.
Preferisci in piedi o distesa?” le chiese Fred, rialzandosi. Maggie e Reggie
arrivarono immediatamente a stringersi alla sue gambe.
“Ninpha…” Maggie la guardava con gli occhini
spalancati. Reggie aveva un dito in bocca.
“Ehi, ragazze.” Sorrise loro. “A quanto pare,
dobbiamo finire qui la partita. Devono risistemarmi un
po’.”
“Ma poi torni?” le chiese Maggie. Fred mise ad
entrambe una mano sulla spalla e le strinse a sé. Anche se facevano periodici
controlli al San Mungo e lo conoscevano bene, il ricordo di Maggie sembrava
arrivare ancora all’incidente della mamma.
“Certo! Ho solo un osso rotto. Quello che succede a
chi gioca seriamente a Quidditch… Sapeste quante volte è successo ai giocatori
veri.”
“Adesso la porto in ospedale per un controllo, poi
la metto a letto. E ci vediamo a casa. Voi state con zia Lucinda, zio George e
Ernestine, d’accordo? Io passo a prendervi quando Ninpha sarà zitta e
addormentata a letto.” Fred si era piegato sulle ginocchia e stava parlando ad
entrambe le figlie.
“Ma Ninpha può stare sola di notte, se sta male?
Noi non possiamo,” gli fece notare Maggie, un po’
preoccupata.
Fred guardò Tonks, aspettando da lei una
risposta.
“Sì, i grandi possono,
Maggie.”
“Ma possono anche andare a casa di amici ed essere
coccolati,” intervenne Ginny. “Vieni da noi, per questa notte,” le
offrì.
Tonks provò a dire di no, ma intervenne anche
Neville per chiudere la questione. “Stiamo così vicini, Tonks, che non ci sono
motivi per dire di no. Andiamo.”
“Tutto deciso,” disse in fretta Arthur. “Adesso al
San Mungo.” E fece cenno a Fred di muoversi. Ginny prese per mano le nipotine.
Tonks cercò di alzarsi con evidenti smorfie di dolore, appoggiandosi al braccio
e poi al corpo di Fred.
“Potrei portarti distesa, Tonks,” provò a
dirle.
“No, non serve. Ma devi Smaterializzarmi tu. Non ce
la faccio.
Nessuno degli altri presenti si offrì di seguirli o
di aiutarli. Si era creata una involontaria solidarietà tra fratelli nel
considerare Tonks una invidiabile futura cognata. E quello era un buon momento
per lasciarli da soli.
Fred le mise nuovamente un braccio intorno alla
vita e la fece appoggiare contro di sé. Lanciando un’occhiata al fratello e
strizzando un occhio alle figlie per salutarle, si Smaterializzo con lei
direttamente davanti all’entrata del San Mungo.
San Mungo – pochi attimi
dopo.
Immediatamente al loro ingresso arrivò un guaritore
che fece stendere Tonks e la controllò con la bacchetta come aveva fatto
Ginny.
“Cosa è accaduto?” chiese rivolgendosi ad entrambi.
Solo allora notò le divise che indossavano. “Ahhh, Quidditch.
Professionale?”
“No, tra amici,” disse Fred.
“Sono un Auror,” intervenne Tonks. Subito il
guaritore si fermò e le confermò che avrebbe chiamato qualcuno della sezione
medica che seguiva specificatamente gli Auror. Qualcuno che avesse sotto stretto
controllo, come era richiesto, la loro salute fisica.
Intanto la trasportò attraverso l’ampio corridoio
dove c’erano persone in attesa di avere notizie dei feriti o degli ammalati che
venivano controllati e curati in ampi spazi delimitati da divisori in metallo.
Tonks finì dietro uno di questi e a Fred fu chiesto di aspettare fuori, seduto
in una delle poltroncine per l’attesa. Si mise seduto e appoggiò con un sospiro
la testa alla parete. Non gli piaceva essere lì, proprio per nulla. Ancora
troppi ricordi. Con le bambine frequentava gli spazi del settore pediatrico, ma
non si era più avvicinato al reparto dove era morta Angelina.
Sospirò profondamente cercando di non lasciarsi
andare troppo ai ricordi. Ma era di nuovo lì, con la donna che amava e che stava
male. Una situazione non paragonabile, ma comunque era di nuovo lì. Sentire
Tonks gridare l’aveva terrorizzato. Il primo pensiero era stato che doveva dirle
che l’amava. Prima ancora di pensare che doveva soccorrerla. Era arrivato prima
Charlie solo per quello. Poi vedendo che si trattava solo delle costole, si era
tranquillizzato. Ma doveva parlarle, non era più possibile aspettare. Chiuse gli
occhi, la testa rivolta al soffitto. Doveva dirle che era innamorato di lei.
Anche se aveva paura di perdere quello che avevano costruito in quegli anni,
quella amicizia che ormai non gli era più sufficiente. Desiderava quella donna
ben oltre il limite dell’amicizia. E non intendeva privarsi del piacere della
loro amicizia. Che gran confusione che si era creata. Era partito tutto solo
come un aiuto pratico ed era finito per diventare una scelta di vita. Cercò di
svuotare la mente e di concentrarsi sul nulla per rilassarsi un po’. Si sfregò
le mani sugli occhi per diminuire il turbinio dei
pensieri.
Dopo meno di mezz’ora la parete scorrevole si aprì
e Tonks uscì, in piedi, sorridente.
“Tutto fatto,” gli disse. “Due costole rotte e
riaggiustate. E un po’ di medicine per aiutare le ossa,” gli mostrò il sacchetto
trasparente nel quale si intravedevano due contenitori di vetro pieni di liquido
colorato.
Dietro di lei uscì la guaritrice che era entrata
poco dopo di lei. Le mise una mano sulla spalla per salutarla, poi vide Fred e
si fermò interdetta.
Tonks notò lo sguardo e li
presentò.
“Elizabeth Gressy, guaritrice e Fred Weasley, un
mio amico.”
“Weasley…” ripeté la guaritrice. “Piacere,” e gli
diede la mano che Fred strinse deciso. “Parente di Percy
Weasley?”
“Sì, sono uno dei fratelli,” confermò
Fred.
Alla guaritrice si illuminarono gli occhi. “Oh, non
lo vedo da quasi un anno. Me lo può salutare?”
Fred si mantenne serio a fatica. “Certamente.” Se
suo fratello Percy riusciva a far illuminare in quel modo una donna c’era
qualche cosa che lui non sapeva.
“Grazie,” e si girò per salutare anche
Tonks.
Quando furono quasi fuori dal reparto Tonks gli
disse, cercando di suonare casuale, “Credevo fosse un colpo di fulmine, da come
ti ha guardato.”
“Bah, no. Sembrava che avesse visto un fantasma,”
la corresse Fred. Poi le mise una mano sulla spalla. “Nessun
dolore?”
Tonks si lasciò scivolare verso di lui, stanca.
“No, ho ancora l’effetto dei medicinali.”
“Andiamo direttamente a casa di Neville e
Ginny?”
“No devo prendere delle cose a casa mia per la
notte.” Non voleva andarci da sola. Era sfinita, puzzolente e sporca, ma per una
volta aveva Fred solo per lei. Senza altre persone intorno. E non intendeva
rinunciare neppure ad un secondo di quel tempo. Anzi, poteva anche permettersi
qualche lusso, per una volta. “Puoi Smaterializzarci tu, ancora? Così non faccio
troppi sforzi.”
Fred annuì e stringendola a sé li fece arrivare
davanti a casa sua.
Casa di Tonks – tardo
pomeriggio
La casa era chiusa e buia. Una volta entrati e
spalancate le finestre Fred si rese conto che era anche piccola. Molto piccola.
Non l’aveva mia vista prima in tutti quegli anni. Era sempre stata Tonks ad
entrare nella sua vita, non il contrario.
L’ingresso dava direttamente in un’unica stanza con
un angolo cottura e in fondo delle scale portavano al piano superiore dove
doveva esserci la camera. Arredamento minimo. Molto semplice. Molto colorato.
Quasi un arcobaleno di colori. Vide immediatamente le foto delle figlie in tre
diversi momenti della loro vita. In una c’era anche lui. E poi una foto di
Remus, al centro di un mobile con una quantità spropositata di libri. Tonks si
avviò direttamente alle scale e al piano superiore. Senza chiedere il permesso
Fred la seguì.
Quello era il mondo personale di Tonks. Tutti quei
colori. Gli stessi che aveva insegnato ad usare alle sue figlie. Tanti libri
letti e sparsi per la stanza. Vestiti buttati sulla sedia davanti al letto e
nella parte del letto matrimoniale ancora intatta. Quella dove dormiva lei era
un groviglio di lenzuola.
Fred si fermò a fissare il letto. Desiderava
guardarla mentre dormiva. Vedere se i suoi capelli si arruffavano più del
solito. Imparare quale fosse la sua posizione preferita. Riconoscere quando
stava per svegliarsi. Sentire il suo respiro tranquillo vicino a sé. E
desiderava tutto quello che poteva starci prima e dopo.
Tonks aveva preso una piccola sacca dall’armadio e
ci stava infilando biancheria, un paio di jeans e una maglietta. Avrebbe fatto
la doccia da Ginny e Neville.
Fred la guardò sistemare tutto infilandolo senza
cura e sorrise pensando con quale cura piegava a sistemava i vestiti delle
bambine. E a volte anche qualche camicia sua. Sentiva l’odore di Tonks che
pervadeva la camera. Quel misto di cannella e spezie che sentiva anche sui
vestiti delle bambine quando passavano molto tempo vicine a lei, a giocare o a
farsi consolare.
Lasciò cadere ogni minima barriera che si era
costruito. Non poteva aspettare. Voleva quel profumo solo per
sé.
“Ninphadora…” la chiamò, piano, dallo stipite della
porta al quale era appoggiato.
“Fred, sai che non lo sopporto quel
nome.”
“Ninpha…” le disse di nuovo. Tonks stava cercando
un pigiama pulito e non lo guardava. Lui intrecciò nervoso le
mani.
“Fred …. Mi chiamo Tonks!”
“Nei miei sogni sei sempre Ninpha.” Lo sussurrò
piano, naturale. Era così ovvio adesso, per lui, che poteva esserci solo
Ninpha.
Tonks si fermò. Si fermò anche il suo respiro per
qualche secondo. Poi accelerò all’improvviso. Chiuse gli
occhi.
E si girò a guardarlo.
Oh, Merlino, Merlino, Merlino. Eccolo. Era proprio
lì, per lei.
Quel sorriso, appena
accennato.
Quel sorriso ironico e sbruffone che avevano sempre
avuto tutti i Weasley e che adesso, rivolto a lei, era così sensuale. La stessa
divertita sensualità con la quale George sorrideva a Lucinda, con la quale Ron
aveva sorriso ad Hermione, con la quale Ginny sorrideva a Neville e Arthur a
Molly. Con la quale Fred la stava guardando.
Tutta la stanza attorno a lei sparì. C’era solo lui
che la sognava di notte e la chiamava per nome. E c’erano tutti quegli anni di
amicizia e di dialogo, di battute e di discussioni che li avevano portati fino a
lì. Tonks e Fred.
Tonks provò a parlare due volte, senza trovare la
voce. Fred rimase fermo a guardarla, in attesa. Poi anche Tonks gli sorrise. E
ritrovò la semplicità nel parlare con lui.
“Anch’io… oh… io ti chiamo sempre Fred.” La voce
uscì quasi incerta, ma con il suo tono sornione, attenuato dal sorriso dolce e
dalla luce degli occhi.
Il sorriso di Fred divenne ancora più grande. Si
infilò le mani nelle tasche posteriori della divisa, come se fosse un po’
intimidito.
“Dato che ho cinque fratelli mi fa piacere sapere
che non mi chiami solo Weasley…”
“Quale altro Weasley potrei volere, se non te?” gli
chiese piano.
“Non lo so. Non mi interessa nulla adesso, se non
te.”
Si guardarono in silenzio.
“Ninpha…” iniziò Fred. Poi si fermò. Fece un
profondo respiro e allargò le braccia, con una smorfia. “Non voglio bruciare
tutto mentre siamo qui sudati e con queste ridicole divise da gioco. Non dopo
aver aspettato mesi.”
Tonks annuì. Mesi, come lei, aveva atteso
mesi.
“Non so cosa pensavo di fare. Non avevo progettato
nulla, se non che ti desidero. E mi piaci. E…” si fermò.
Tonks gli fece un piccolo sorriso. “E,” gli disse
semplicemente.
“Adesso ti porto da Neville e Ginny, e ti lascerò
come il solito.” La guardò deciso e stanco. “E faremo come il solito la prossima
settimana. Poi venerdì sera George e Lucinda prenderanno le bambine e noi…
saremo solo noi due. Puoi aspettare?”
“Fred…” gli sorrise dolce e divertita, in risposta,
“mi farà male la costola tra poco. E farò fatica a muovermi. E non voglio
preoccuparmi di dovermi svegliare per andare a lavorare il giorno dopo. E
anch’io ti desidero da mesi, Fred. E mi piaci. E.”
Si sorrisero, meravigliati di tutta quella calma
che li pervadeva, della tranquillità della loro voce.no parlando della loro
e
Sentivano il cuore battere all’impazzata e i
pensieri in testa sprizzare come scintille. Ma volevano il massimo adesso e non
era certo un primo bacio in una stanza da letto disordinata, con una costola
appena rimarginata, sudati dopo una partita di Quidditch sotto il sole. Era una
serata per loro, lune di candela, del tempo da soli, la sicurezza che Maggie e
Reggie fossero tranquille. Tempo per parlare e per baciarsi e toccarsi senza
fretta. Venerdì sera. E notte. Di questo erano entrambi
sicuri.
A fatica riuscirono a distogliere lo sguardo uno
dall’altra e poi Tonks infilò il pigiama nella sacca e seguì Fred lungo le
scale.
Arrivarono da Ginny e Neville a piedi, in
pochissimi minuti, tenendosi per mano fino al cancello. Poi si separarono e
quando Ginny accolse Tonks sulla porta, e Tonks si assicurò che Fred sarebbe
andato immediatamente a dire alle bambine che il pomeriggio successivo sarebbe
stata con loro, si abbracciarono per qualche secondo e Fred le appoggiò le
labbra sulla fronte. Come faceva con Ginny. La quale li osservò in silenzio e
senza dire nulla abbracciò Tonks e l’accompagnò in casa per fare una
doccia.
Se ci sono errori nel Quidditch chiedo scusa....
Grazie, grazie a tutti quelli che hanno recensito.
Per Nonna Minerva: sapessi quanto ho riso per Under the table...