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Autore: Thatswhatiam98    15/04/2012    0 recensioni
Come sopravvivere dopo che la propria migliore amica ti ha abbandonato e ti senti in colpa per la sua morte? Sembrerebbe una delle solite fan fiction, ma non è così, perché qui aggiungiamo una bambina sempre triste, una famiglia poco normale, una chitarra ed una scuola stravagante ... Sempre troppo scontato? Staremo a vedere ...
Questa è la mia prima fan fiction qui, quindi spero siate buoni e scriviate qualcosina-ina-ina, non chiedo molto, solo un piccolo commentino ... ** Arigatou! :D Spero vi piaccia!!
P.S.: La canzone che accompagna la fan fiction è Say You Like Me degli We The Kings **
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And I Say "Hi!"
 
Chi era quel ragazzo, anzi, gigante? E perché le ricordava qualcuno? A quetse domande Kiiro non sapeva rispondere. Decise di lasciar perdere il tutto la sera, prima di stendersi nel letto dalle lenzuola lilla, per via della domanda che una donna dalla maglietta arancione le pose.
«Che succede Kiiro, qualcosa non va?»
«No, no, Marta. Va benissimo, ho solo sonno» disse la bambina abbracciando la trentenne che, di rimando, la baciò sulla fronte per darle la buonanotte.
«'Notte» disse Kiiro nascondendosi sotto le coperte.
«'Notte, piccola Kiiro» le rispose Marta, che uscì subito dopo averle rimboccato le coperte.
Stare lì era comodo: il mondo era fuori portata e, in più, sia il materasso che il cuscino erano comodi. Se solo non si sentissero quelle voci di sottofondo, le voci di chi ancora, nell'orfanotrofio, non è andato a dormire …
«Ah ...» sospirò Marta sopo aver aperto la porta del giardino del retro, il cui unico accesso era permesso da una porta vicino alla camera di Kiiro.
«Che succede?» le chiese una voce maschile che, probabilmente, si era seduta sul dondolo sistemato vicino a diverse margherite.
«Niente, niente, Stephan ...» rispose la donna con voce stanca. «Kiiro ha di nuovo problemi ...»
«Mh? Che tipo di problemi?» chiese Stephan, muovendo il dondolo.
«Credo che riguardino i suoi genitori … o addirittura la sua fantasia troppo vasta! Pensa che stamattina abbiamo incontrato un ragazzo alto e lei urlava “un gigante, un gigante” a squarciagola piangendo! Gli ha persino fatto male ...»
«Diamine, ma cosa le passa per la testa? Fate e orchi che s'inseguono in un castello delle fiabe?!»
«Su, non dire così. Sai perfettamente quanto sia difficile per questi bambini continuare a vivere senza sapere nulla del loro passato … o del loro futuro …»
«Si, però credo sia inutile rifugiarsi nelle fiabe ...»
«Sono solo dei bambini! In cosa si dovrebbero rifugiare, nella droga?! Nel fumo, nell'alcol??!! Non ti accorgi che loro la pensano differentemente rispetto a noi? Sono … decisamente migliori …»
«Su, su, mi dispiace ...» e dopo questo, per qualche secondo calò il silenzio, solcato solo da qualche respiro: un silenzio imbarazzante?
«Non te la caverai con questo» disse Marta con tono di sfida.
«Va bene, va bene! Che ne dici se prendiamo una pizza e guardiamo un film?» disse l'uomo sospirando.
«Magari domani. Ora sono proprio stanca ...» disse Marta e il dondolo cigolò, segno che l'uomo si era alzato.
«Ok, allora … a domani?» chiese.
«Si, notte» disse Marta ed un nuovo silenzio calò prima che la porta si aprì di nuovo, lasciando entrare una fievole striscia di luce donata da un lampione.
I passi si affrettarono per il corridoio, felpati e veloci, mentre la porta veniva richiusa.
Perché? Perché la credevano un caso particolare?
 
Cosa si prova nello sciogliersi lentamente, nel diventare un fluido lucido e scivolare nell'abisso della morte senza nulla a cui aggrapparsi? Mescolandosi con le lacrime, le urla, il dolore e l'amarezza di qualcosa perduto? Perdersi in quei pensieri era solito di Kiiro che, al mattino, si risvegliava ricoperta di sudore e spaventata: certo, vi era abituata, lo sognava da sempre, o almeno da quando aveva memoria, ma sempre e comunque quel sogno la portava sull'orlo delle lacrime. Perché? Perché proprio lei doveva sognare una ragazza che, stretta ad un uomo, piangeva e, lentamente si trasformava in un fluido argentato che colavasul corpo del ragazzo fino a sciogliersi per sempre?? Lei percepiva il dolore della ragazza, anche se lei la osservava e quindi non si trovava nel suo corpo … “Troppo complicato!” pensò Kiiro scostando le coperte e alzandosi, per poi dirigersi in bagno. Lavato il volto e asciugatasi con un asciugamano bianco e soffice, rivolse lo sguardo all'orologio blu a lancette appeso al muro: erano le sei e un quarto e l'alba era sicuramente passata, tenendo conto di alcuni raggi che passavano a fatica attraverso le sottili tende azzurre. “Come al solito ...” pensò Kiiro osservando le leggere tende che si spostavano ad un minimo soffio di vento. Si diresse in cucina: a quell'ora neanche la cuoca era sveglia e doveva arrangiarsi da sola, ma preferiva ciò al parlare con tutti i bambini che, probabilmente, le avrebbero chiesto il motivo dei suoi occhi arrossati. “Chissà se Ciel è già sveglia ...” pensò Kiiro. Ciel era la sua migliore amica, l'unica a sapere del suo sogno ricorrente: era abbastanza bassa per la sua età e, insieme ai lunghi capelli biondi e gli occhi grandi e verdi, sembrava una bambola di porcellana. Ma non una di quelle che fa paura, no: lei era una di quelle gentili, alle quali racconti tutto senza paura e sembrano composte da cose carine. Anche se, dopo averla conosciuta, perdeva sicuramente l'alone angelico che aveva intorno: infatti, era una peste incredibile, la testardaggine era il miglior difetto che avesse, detestava la specie umana, adorava far del male, qualche volta è sclerata mandando a fuoco mezzo orfanotrofio ed a pure tentato di suicidarsi! Diciamocelo: sembra la più piccola ed ingenua, ma in realtà è quella che conosce di più il mondo e sa veramente come stanno le cose. Una volta disse:
«Sapete perché stiamo qui?»
«Perché i nostri parenti sono morti» disse Daisy altezzandosi a saputella come era solita fare.
«Sbagliato! In realtà siamo qui perché i nostri genitori ci hanno abbandonato! Non ci volevano e ci hanno portati qui in veste di zia o zio, mentendo sulla loro stessa morte!!» ribattè Ciel mettendosi in piedi su uno sgabello per farsi ascoltare da tutti.
«Non è possibile» disse Sunflower, la migliore amica di Daisy, con le lacrime agli occhi.
«E invece sì! Dovete imparare che il mondo è cattivo e che le fiabe sono storie e niente più, solo bugie!»
A quel punto intervenne Marta dicendole di non dire certe cose. “Secondo me aveva ragione” pensò Kiiro ricordando l'evento. Aprì il frigo e ne estrasse il cartone bianco e azzurro del latte; successivamente, aprì un mobile bianco e, dopo aver scelto una merendina al cioccolato, lo richiuse, stando attenta al rumore. Aprì la merendina e si versò del latte in un bicchiere di vetro. Quando riaprì il frigo per riporvi il cartone, notò appesovi sopra un foglio, trattenuto da un magnete a forma di Barbapapà. Richiuse il frigo e, facendo attenzione al magnete, prese il foglietto e lo lesse:”Domani compito ragazzi liceo, portare bambini”. “Cosa?”
 
«COSAAAAA???!!!» urlò una bambina dai lunghi capelli biondi saltando sulla sedia verde e sputacchiando cereali qua e là.
«Proprio così bambini: oggi andremo alla scuola dei grandi per un copito speciale che comprende anche voi!! Siete contenti?» disse una donna dai corti capelli marroni a caschetto sui trent'anni.
«SIII!!!» dissero in molti, anche se nessuno poteva negare che la voce più forte apparteneva alla bambina in piedi sulla sedia.
Ormai erano le 8:30 e la mensa, prima vuota e solitaria, ora era gremita di bambini che parlavano, mangiavo e sputacchiavano cereali, si rincorrevano e bevevano succo d'arancia o latte; le badanti, nel frattempo, si davano da fare a cucinare, lavare piatti e catturare i bambini più irrequieti, tentando  inutilmente di calmarli. “Addio giornata di pace ...” pensò Kiiro, anche se, lo ammetteva pure lei, la cosa era abbastanza eccitante: chissà in cosa consisteva il compito …
«Non sei emozionata Kiiro?!»chiese la bionda saltellandole intorno dopo essere scesa dalla sedia.
«Ovvio!!» disse ridendo: non le piaceva mostrarsi troppo pensierosa di fronte agli altri.
«Forza ragazzi, a vestirvi!» disse la solita donna rincorrendo un bambino ricoperto di latte.
 
«... UAO ...»
Questa è l'unica parola che la maggior parte dei bambini, ovvero esclusa la bionda, che parlava a vanvera, riuscì ad estrapolare dai loro cervelli ormai andati in tilt. L'edificio era enorme e di un beije mischiato al rosa carne, che lo rendeva abbastanza calmo, ma allo stesso tempo gli dava un'aria antica e seria. Le finestre “giganti”, come le definirebbe Kiiro, erano abbastanza frequenti ed il principale accesso era costituito da un cancello in ferro con varie decorazioni, tipo foglie e fiori, per tutta la sua altezza; aprendo il cancello, ci si trova di fronte ad uno stupendo giardino ricpoerto di erba verdissima, diversi tipi di fiori e alberi e, qua e là, qualche animale, soprattutto uccelli; era percorso, proprio al centro, da un lungo sentiero che, nei pressi di un portone di legno, sfociava in tre direzioni, ovvero la serra, la biblioteca e la palestra. I bambini entrarono, spinti da dietro dalle badanti e capitanati da una bambina con gli occhi verdi ed un sorriso stampato sulle labbra. Arrivati a metà percorso, scorsero una ragazza dai capelli marroncini e dalle meches rosa(«Anch'io le voglio!» fù il commento della capitana) che annffiava delle rose bianche in un campo di altri fiori dello stesso genere, indossando un cappello di paglia con un nastrino rosa che volava al soffio del vento, costringendo la ragazza dagli occhi nocciola a fermarlo con una mano per trattenerlo. Poco distante, un'altra ragazza dai capelli neri con meches blu elettrico, trasportava un sacco di semi di rose; i capelli erano raccolti in una coda di cavallo e un berretto celeste le donava un'aria sportiva, aumentata dalle scarpe da ginnastica azzurre sporche di terra.
«Scusate,» disse una donna dalla maglia verde e i capelli a caschetto, una delle badanti. «sapreste indicarmi dove si trova la presidenza?»
La ragazza dalle meches rosa si voltò e osservò il gruppetto composto da 50 e più bambini e tre badanti, pose l'annaffiatoio a terra e disse loro:
«Certo, seguitemi» e scese la piccola collinetta sulla quale era situato il campo di rose.
Non appena li raggiunse, s'inchinò alzando leggermente i lembi del suo abito bordeaux, stretto in vita da una cinta in stoffa rosa e si presentò.
«Io sono Anna, piacere di conoscervi.»
«Il piacere è nostro. Sono Marta» disse la donna di prima.
«Bene, seguitemi» disse Anna e fece cenno ai bambini di segurla prendendone uno di loro, dall'aspetto timido e le gote porpora, per mano.
 
Li condusse verso il portone e, arrivati di fronte, lo aprì: l'ingresso aveva, come l'esterno, un'atmosfera antica e austera, ma comunque piacevole. Colonne in stile dorico erano sparse per la stanza, sistemate simmetricamente, e sul muro vi erano appese copie di quadri famosi; il pavimento era lucido ed il soffitto molto alto; qua e là, porte in legno di ciliegio.
«Come mai vi trovate qui, se posso chiedere ...» chiese la ragazza volgendo lo sguardo verso Marta mentre faceva attraversar loro la stanza e li portava di fronte ad una gradinata.
«Oh, loro faranno parte del compito che vi sarà assegnato oggi» disse la donna, osservando la scalinata in marmo.
«Ah, davvero? Chissà in cosa consiste … Il preside ha preferito mantenere il segreto fino all'assemblea di questa mattina, che si sta giusto per tenere tra poco … Comunque, salita questa scala, è l'unica porta del piano» disse Anna e, alla fine, indicò la scala con un ampio gesto della mano.
«Bene, grazie» disse Marta, spingendo delicatamente una bambina dai capelli neri verso la scalinata.
«Di niente» disse la ragazza che, dopo aver dato un bacio sulla guancia al bambino al quale teneva la mano facendolo arrossire, salutò con la mano e se ne andò sorridendo, facendo svolazzare il suo abito. I bambini salirono le scale, seguiti dalle donne, e si trovarono di fronte ad un'enorme porta in legno, con le  maniglie d'oro ed un pannello dello stesso materiale che riportava inciso “PRESIDENZA” in grassetto. Marta, un po' spevantata come i bambini, aprì lentamente la porta, rivelando uno studio colorato con sfumature tra il marrone quercia ed il verde smeraldo. La stanza, osservata da quella prospettiva, sembrava abbastanza grande: la scrivania del preside non si intravedeva, ma si poteva notare la sua ombra stesa sul pavimento, segno che la finestra vi era situata alle spalle; di fronte si riusciva ad intravedere una poltrona in stile ottocentesco, con diverse decorazioni sulla sua sommità, in legno lucido con cuscini verdi, che ne nascondeva un'altra identica; dietro quest'ultima, un'enorme libreria percorreva tutto il lato, lasciando di stucco i bambini per la quantità e l'antichità dei libri al suo interno.
«Accomodatevi» invitò una voce abbastanza calda, ma contemporaneamente abbastanza anziana.
Una delle badanti, quella più nascosta, prese due bambini per mano e li accompagnò dentro, facendosi seguire da tutti gli altri. Marta chiuse la porta ed un uomo anziano invitò due delle donne a sedersi, costringendo l'altra a rimanere in piedi per mancanza di sedie. L'uomo era sulla settantina di anni e portava su un all'insù, un paio di occhiali a forma di mezza luna, che nascondevano un paio di occhi neri molto vispi per l'età; i capelli, ormai bianchi, coronavano il cranio, lasciando la parte superiore praticamente scoperta, se solo non ci fossero stati quei tre o quattro capelli bianchi, prolungamenti provenienti dalla parte destra; magro, indossava un completo composto da una giacca marrone, un gilet dello stesso colore, una camicia verde scuro antico, una cravatta scura e pantaloni dello stesso colore della giacca. La scrivania era ricoperta di documenti, libri, penne, piume e boccette d'inchiostro aperte e chiuse, il tutto reso in un disordine ordinato in cui solo il creatore poteva trovarvi qualcosa; dietro ad essa, un'immensa finestra ricopriva la maggior parte della parete, illuminando molto la stanza e mostrando a chi si affacciava la palestra e parte del giardino, oltre ai palazzi vicini; sul resto del muro, quadri dei precedenti presidi troneggiavano sulla parete, mostrandosi in tutta la loro serietà ed eleganza, ad eccezione di un quadro inquadrante la foto di una donna sorridente con corti capelli marroni e dal taglio sbarazzino coprenti un paio di occhi nocciola.
«Buongiorno. Voi dovete essere i bambini, e le loro badanti, dell'orfanotrofio Maximilian Robespierre, giusto?» chiese l'uomo sorridendo ai bambini impauriti per poi rivolgere lo sguardo a Marta.
«Si, esatto. Io sono Marta Rettura, lei è Nives Lestringi e lei,» rispose indicando prima la donna al suo fianco e poi quella seduta a terra intenta a parlare con un bambino.« è Lidia Teofilo. Piacere di conoscerla, signor ...?»
«Pino Marco Poli, piacere» disse stringendo la mano alla donna. «Tornando al compito, siete pronti?»
«Certo» disse Noemi. «Però, non abbiamo riferito niente ai bambini, volevamo far loro una sorpresa».
«Ah, bene» disse il preside Poli. «Bene, non perdiamo altro tempo, or dunque. Seguitemi».
Detto ciò, si alzò e si diresse verso la porta decorata con quadrati. Scesero le scale ed uscirono dall'edificio: si diressero verso la palestra, un'enorme edificio blu, completamente diverso, per lo stile architettonico, dal resto del liceo, eccetto per la serra. Il preside aprì la porta principale ed entrò, seguito da tutti gli altri: la stanza pullulava di ragazzi che passeggiavano senza una meta o chiacchieravano. Poli li lasciò per qualche secondo sulla porta, giusto il tempo di parlare con una collega, e, nel frattempo, Kiiro scorse Anna: correva nella loro direzione, salutandoli con la mano elevata ed un sorriso stampato sul volto.
«Salve, ci incontriamo di nuovo, eh?» disse raggiante. «Vi voglio presentare la mia gemella, Noemi!»
Detto questo, si spostò, mostrando loro la ragazza dalle meches blu.
«Piacere» disse questa sorridendo e porgendo la mano a Marta, che la afferrò dicendo:
«Piacere, Marta».
«Io sono Ciel!!» urlò una bambina dai lunghi capelli biondi apparendo da chissà dove.
«Piacere Ciel» disse Noemi abbassandosi per salutarla e scompigliandole i capelli con la mano.
«Vedo che i bambini stanno già facendo amicizia».
«Sì, signor preside» disse Noemi alzandosi e sorridendo nella direzione di Poli, che aveva appena finito di chiedere ad una donna dai lunghi capelli marroni se fosse tutto pronto.
«Bene, bene» disse questi sorridendo. «Seguitemi bambini».
Detto questo, li accompagnò sul palco, che impiegarono tutto, anche se era enorme, e prese il microfono. Un silenzio di tomba cadde lentamente sui presenti che, appena si accorsero dei bambini, cominciarono ad osservare straniti il preside. "La tensione è alta ..." pensò Kiiro guardandosi attorno.
«Buongiorno ragazzi» disse il preside sorridendo. «Vedo che alcuni di voi si stanno chiedendo il perché di questi bambini e l'argomento del compito di questo mese, vero? Beh, vi do una buona notizia: anche questi bambini non sanno il motivo della loro presenza qui, e forse, i più intelligenti di voi, avranno già intuito qualcosa. Quindi, bando ai convenevoli, vi spiegherò in cosa consiste il compito: dovrete ... badare a questi bambini orfani per un mese, assicurando loro divertimento, amicizia ed affetto, ma anche studio ... Eh sì, studio, perché sarete voi i loro maestri, contenti?»
Detto questo il preside guardò prima gli alunni, che si guardavano spaventati, preoccupati o emozionati, per poi dare un veloce sguardo ai bambini, felici e sorridenti, e tornare a guardare gli alunni.
«Bene, dopo aver spiegato il tutto, direi di procedere all'assegnazione dei bambini, no? Avanti, appena pronuncerò il vostro nome, dovrete avvicinarvi e prendere il bambino o bambina che vi assegneremo. Per gli alunni delle classi non partecipanti, dirigetevi fuori, dove la vicepreside Barboni vi elencherà le novità del mese» disse il preside, mentre la donna con cui aveva parlato prima egli, gli si avvicinò, trasportando una scatola di cartone con un buco su di un lato.
«Il primo estratto è ...» disse il preside infilando la mano nel buco ed estraendone un pezzo di carta rettangolare. « ... Agnes Wolf!»
Una ragazza dai lunghi capelli neri e dagli occhi rossi si avvicinò, con uno sguardo assassinò diretto verso una donna, probabilmente la sua professoressa.
«Ti prenderai cura di Alois Franke, tedesco come te» disse il preside indicando un bambino di 5 anni con un volto cupo, i capelli neri e gli occhi azzurri.
«Ah, almeno non sembra esuberante» disse la ragazza prendendo il bambino per mano.
«Artemide Greco» disse Poli continuando la lista.
Si avvicinò una ragazza dai corti capelli biondi, gli occhi blu e le sopracciglia aggrottate.
«Su, su, non essere arrabbiata, baderai a Silvia Valentini» disse indicando una bambina di 8 anni con la pelle scura, gli occhi verdi e i capelli marroni.
Piano piano, tutti i bambini se ne andavano. Miriam Robinson, una ragazza dagli occhi viola e i capelli neri con meches bianche, si portò Walter Rinaldi, dai capelli e dagli occhi scuri; Celeste Greco, una ragazza abbastanza contenta dai capelli biondi e gli occhi celesti, si portò Luca Mancini, dai capelli ed occhi simili alla ragazza; Nathan Wolf, un ragazzo dai capelli neri e dagli occhi rossi, forse il gemello di Agnes, si trascinò dietro incazzato Cleo Felicidad, dai capelli biondi e lunghi e dal sorriso appiccicato sul volto; Ruka Takahashi si portò dietro la più pazza tra i bambini, escludendo Ciel, ovvero Giorgia Romano, dai capelli arancioni dalla nascita e gli occhi del medesimo colore. "Ma è una scuola internazionale?" si chiese Kiiro, osservando la sua "nemica" Daisy Wilson essere portata via da un ragazzo molto basso chiamato Len Williams, dagli occhi blu ed i capelli scuri. Osservò per qualche secondo Sunflower, che piangeva preoccupata per l'amica, per poi osservare la prossima dell'elenco: Ginny Cook, una ragazza dai capelli marroni e dall'aspetto stupido. Prese Sunflower Harris per mano e si sistemò vicino al basso di prima. "Deve aver capito che sono amiche ... Dopotutto non è così stupida come sembra ..." pensò Kiiro. Il preside chiamò poi Simone Morelli e Asami Guo, che presero in ordine Camelia Benedetti e Modesto De Santis. Fù poi il turno di un certo David Rap.
«Devi prendere Ciel Hunt» disse il preside indicando la bambina bionda.
«Eeeh??!!» disse la bambina sconvolta.
«Qualcosa non va?» chiese David abbassandosi per guardarla negli occhi.
«Non sei carino!» disse Ciel sicura.
«E quindi ...?» chiese il preside preoccupandosi per il ragazzo.
«E quindi ne voglio uno carino! In più, non me ne andrò finché Kiiro non avrà il suo compagno!» ribatté la ragazza prendendo l'amica per mano.
"Ciel ..." pensò sorridendo Kiiro, lasciando che le stringesse la mano.
«Beh, allora può anche andarsene, perché è la prossima» disse il preside contento della fortuna appena capitatagli. «Nick Broken!»
Un ragazzo dai capelli marroni e dagli occhi d'ugual colore si fece avanti e, senza nascondere la sua preoccupazione, chiese:
«Devo prendere lei?»
«Sì, esatto, Kiiro Murasaki» disse il preside Poli indicando la bambina dai corti capelli neri.
«EEEEHHH??!!» urlò la bambina spaventata. «Il gigante??!!»
«NON-SONO-UN-GIGANTE, sono solo alto!!» ribatté arrabbiandosi Nick.
«Uffa!!!» piagnucolò Kiiro, lasciando la presa di Ciel e avviandosi verso il "gigante".
«Buona fortuna!» si dissero Nick e David l'un l'altro, dandosi contemporaneamente una pacca sulla schiena.
 
Alla fine tutti uscirono dalla palestra, portando con sé i bambini, chi più e chi meno contento: Nick sicuramente non lo era. Aveva rincontrato la bambina pazza e doveva perfino badarle. Sospirò lentamente mentre la bambina le chiedeva un gelato: "Ma sì, un gelato che male può fare!" pensò ed acconsentì, dirigendosi verso il bar della scuola. Probabilmente lì avrebbe pure incontrato qualche suo amico, magari David, ed avrebbe finalmente parlato con qualcuno, dato che la bambina sembrava non voler proferir parola. Arrivati al bar, costituito da un bancone abbastanza lungo, con due baristi biondi dietro, ricoperto da diversi gusti di gelati, e qualche tavolo con sedie annesse.
«Cosa desiderate?» chiese uno dei due baristi sistemandosi il cappello da lavoro bianco a strisce rosa.
«Cosa vuoi?» chiese Nick sorridendo a fatica.
«Mmmh ... cioccolato ...» disse Kiiro, cercando di nascondere un po di timidezza.
«Bene, solo cioccolato?» chiese il barista prendendo un cono.
Kiiro annuì lentamente con la testa ed il barista le preparò un cono al cioccolato; dopo poco glielo porse e lei lo prese tremante. Nick pagò e si sedettero al tavolo più vicino. Kiiro osservò per qualche secondo il suo cono, poi passò all'attacco, cominciando a leccare il cono nei punti in cui si scioglieva. Nick la guardava divertito: sembrava davvero una piccola adulta poco prima, quando era in silenzio, ed anche Ciel, la sua amica, glielo aveva riferito, ma lì, con quel cono più grande della sua mano, mentre lo leccava velocemente, sembrava una bambina come tante. "E' persino felice!" pensò Nick osservandola, "Ora somiglia veramente tanto a lei ...". Il sorriso di Nick si spense, per poi riaccendersi guardando la bambina quasi urlare per una macchia di gelato che le si era andata a posare sul vestito nero. "Però, tu guarda" pensò tornando a sorridere un po, "Kiiro in giapponese vuol dire giallo mentre Murasaki viola. Erano i suoi colori preferiti ...". Kiiro tentò a fatica di togliere la macchia con la saliva, ma il tentativo sembrava non funzionare. Per fortuna, Nick le porse un fazzoletto e le disse sorridendo:
«Tè, pulisciti, piccola Kiiro!»

Saaaaalve^^ Questo è il secondo capitolo di "Can You Save My Smile?"!! Allora, cosa dire ... credo di essermi dilungata troppo, soprattutto nell'ultima parte, ma volevo aggiungerla ... Insomma, se è troppo lungo, scusatemi, ma non sono normale u.u"
Grazie a:
Pyra ** Grazie per aver commentato *W* Spero tu legga anche questo capitolo e spero ti piaccia

Un bacio **
Harry Potter 98 :D
   
 
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