Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: Arisu95    16/04/2012    2 recensioni
Romano ed Antonio si sono lasciati bruscamente, mentre Feliciano sembra vivere un sogno.
... Ma la disperazione di Romano, porterà presto disordine anche nella vita del fratello, fino a stravolgere la sua vita sentimentale e quella di altre persone.
- Il Rating potrebbe alzarsi ad Arancione;
- Alcune coppie sono destinate a sciogliersi;
- Alcuni personaggi muoiono;
- Presenti coppie sia Hinted che Crack;
- Presenti scene sia romantiche che di sesso;
- Le scene di sesso non sono molto esplicite e tendono ad essere tagliate.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE. Quinto capitolo ... Ad essere sincera, non mi piace molto com'è venuto ... Sono stata perplessa su numerosi punti, mentre lo scrivevo, e alcune parti ho deciso di riscriverle ... Cosa che in genere non mi capita nella fanfiction o.o''
... Oh beh, spero comunque che vi piaccia C:'

~ Capitolo 5.

 

Il cellulare di Gilbert vibrava solitario sul tavolo, tra gemiti e respiri affannati.
Il tedesco voltò appena la testa e gli occhi color rubino in quella direzione, senza trovare la forza di dire o pensare nulla.

"..." - Romano emise un verso infastidito, prendendo il mento del tedesco con una mano e girandogli il volto verso di lui, baciandolo passionalmente.

"Romano ..." - Sospirò, la voce appagata seppur piena d'angoscia, gli occhi ancora incollati sul tavolino. - "Credo che ..."

Il telefonino aveva ormai smesso di vibrare.
Probabilmente era Feliciano.
... Se lo avesse scoperto, di sicuro non lo avrebbe perdonato.
Cosa doveva fare ...?
Tutti, lui compreso, avevano finito per discutere con Antonio perché aveva tenuto nascoste le sue tresche.
Tutti avevano concluso che sarebbe stato meglio per lui dire la verità.
Ora era nella sua stessa situazione.

... Era stata una sbandata.
Sì.
Un grosso malinteso.
Romano gli era balzato addosso così, ed era successo.
Non l'aveva certo voluto ... No, era stato un incidente.
Proprio così.
Un piccolo incidente.
Non sarebbe mai più capitato.
Lui per Romano non provava niente, assolutamente niente.

"...!" - L'albino emise un gemito, sentendo i denti dell'italiano chiudersi taglienti sulla pelle sudata del suo collo.

"... Idiota. Ti amo ..." - Ammise Romano, sistemando la testa sul suo petto. - "... Da quando ti sei fidanzato col mio fratellino ... Ho passato notti intere a pensarti"

"..." - Il tedesco non sapeva proprio cosa rispondere.

Non aveva mai notato nulla, nel suo comportamento, che lo lasciasse intendere.
Lui ed Antonio sembravano felici ... Come aveva potuto essere così ingenuo da non accorgersene?
Beh, non che Romano l'avesse mai voluto far trasparire ...

"... Cazzo, non avrei mai pensato che questo giorno sarebbe potuto arrivare." - Proseguì, giocherellando con la croce di ferro al collo dell'albino. - "... Mi dispiace per Feli. Però ... Non potevo proprio andare avanti così. Sarei esploso."

"..."

Non riusciva ad arrabbiarsi con lui.
Aveva sbagliato, certo, ma poteva comprenderlo.
Appena lasciato in un modo così brusco, disperato e sotto l'effetto dell'alcool.
E, a quanto pare, nutriva davvero qualcosa per lui, da molto tempo.
Aveva resistito, perché, in ogni caso, amava Antonio.
Ma di fronte al tradimento di quest'ultimo, l'italiano non aveva potuto fare a meno di fiondarsi, con rabbia e bisogno d'amore, su sentimenti sinceri e repressi.

"... G-Gil ..." - Gli occhi di Romano erano ancora in lacrime, ma la sua voce si faceva via via più seducente - "... Non ce la faccio più. Sono stato davvero un bastardo con te ... Non credo che la punizione sia stata sufficiente. Non ho imparato la lezione."

"... Romano!" - Invocò il tedesco, mentre le labbra dell'italiano scendevano via via lungo il suo corpo, bagnandolo di una scia di caldo velluto.

"... Chi lo fa meglio? Io o mio fratello?" - Sorrise egoisticamente, alzando appena il volto.

"...!" - L'immagine di Feli riempì all'improvviso la sua mente.

Feliciano gli sorrideva.
La pelle chiara e le labbra rosate appena dischiuse, con le braccia dietro la schiena, l'una che stringeva il polso dell'altra.
Le gambe, una davanti all'altra, parevano quasi incrociate.
Dietro di lui, un paesaggio fatto di luce.

Lo guardò meglio.
Benché sorridesse ancora, i suoi occhi erano inondati di lacrime cristalline.
Iniziava a mordersi il labbro, e poteva vedere il suo cuore cadergli dal petto e toccare il terreno frantumandosi in mille pezzi, in un rumore sordo e lancinante, che metteva angoscia e lo incitava a piangere.

"... Smettila." - Gli ordinò flebilmente tra i respiri pieni d'affanno.

"No. Non la smetto. Ora so che anche tu mi ami ..." - Romano sorrise con gli occhi in lacrime e il viso sudato - "... Sì ... Mi ami ..."

"..." - Gilbert si alzò poggiando la schiena sul bracciolo del divano, per poi prendere l'italiano per le spalle incitandolo ad alzarsi al suo livello.

"..." - Romano non capiva, ma obbedì, sentendo un brivido lungo la schiena quando le braccia dell'albino lo strinsero in un abbraccio, distaccato, ma pieno di comprensione.

Certo, distaccato ...
Se non era innamorato di lui prima, ora lo era di sicuro.
Sì ... Lo amava anche lui.
Aveva finito di soffrire, finalmente.
Gilbert lo avrebbe amato, come aveva fatto Antonio.
No ... Molto, molto di più.

Emise un sospiro di sollievo, appoggiando la testa sulla spalla di Gilbert ed abbracciandolo a sua volta, con più forza e volontà.



"... Finalmente abbiamo finito!" - Sospirò Elizaveta ravviandosi i capelli.

"Veh! Non ne potevo più ..." - Ammise Feliciano, prendendo il cellulare. - "... Ho provato a chiamare Gil un po' di volte, ma non mi risponde ..."

"Magari non lo sente ... Riprova!"

"Mmh ..." - L'italiano avviò la chiamata.

Macché ...
Non dava alcun segno di vita.

"Allora ...?" - Chiese la ragazza guardando il sorriso sul suo viso spegnersi lentamente.

"Macché ... Magari sta parlando con Romano e non lo sente ... O magari sono in qualche locale con la musica ..."

"Vuoi che ti accompagni io in auto?" - Gli sorrise Elizaveta, le chiavi della vettura in mano.

"Veh! Se non é troppo disturbo!" - Feliciano annuì. - "... Prima però potresti fare un salto da Romano a vedere se sono lì ...?"

"Non c'é problema, tanto non ho fretta!"

"Grazie ..." - Ringraziò l'italiano.

Salirono in macchina.
Feliciano provò a chiamare di nuovo.
Niente ... Ancora una volta, nessuna risposta.
Scosse la testa.
Non lo sentiva ... Era proprio sbadato, il suo Gil!

O forse era successo loro qualcosa ...?
Magari erano usciti in qualche locale, Romano si era ubriacato ancora, aveva combinato qualche guaio ed erano finiti all'ospedale.
... Ma, se così fosse stato, qualcuno lo avrebbe avvisato.
Magari avevano fatto un incidente, erano balzati fuori dall'auto, ed ora morivano lentamente in un campo vicino alla strada, mentre le auto in corsa scorrevano sull'asfalto senza dar loro alcuna attenzione.

L'italiano rabbrividì al pensiero, mentre il suo sguardo cadde sullo specchietto retrovisore, dove due dadi tintinnavano sbattendo tra loro, ed una rifinita riproduzione di Stradivari oscillava poco più in basso.

"... Un piccolo souvenir che abbiamo preso a Cremona." - Attaccò discorso Elizaveta, notando l'interesse di Feliciano per il piccolo violino.

"Cremona?"

"Sì. C'é un museo dedicato agli Stradivari, visto che Cremona ne é proprio la patria ... E indovina un po' chi ha insistito tanto per andarci?"

"... Ahah, Roderich é davvero appassionato di queste cose, vero? Veh, meglio di niente, no?"

"Mmh ... Massì, dai." - Sospirò la ragazza, continuando a sorridere - "... E' incredibile come un uomo possa stare ore davanti ad un caspita di violino ... Come se Roderich si aspettasse di vederlo parlare! ... Ahah, ti giuro, mi sono fatta un giretto nei dintorni, sono tornata, e lui era ancora lì a guardarlo! ... E mi ha parlato di Stradivari per tutto il viaggio di ritorno, e il giorno seguente!"

"... Ma dov'é ora?"

"Ad un concerto, o qualcosa del genere ... Dopo lo chiamo, per sentire a che punto sono ... Non deve esibirsi, però lo hanno invitato ... Avevano invitato anche me, se solo non avessi dovuto fare gli straordinari ..."

"... Siamo arrivati!" - Esclamò Feliciano, riconoscendo il palazzo dove suo fratello abitava.

"Torno subito ..." - Avvertì l'italiano, aprendo la portiera ed uscendo dall'auto.

Possedeva le chiavi dell'appartamento, quindi decise di non suonare.
Aprì la porta d'ingresso del complesso, camminò fino all'ascensore e salì, fino a trovarsi di fronte alla porta dell'appartamento.
Doveva suonare ...?
Magari Romano si era addormentato ... Non voleva disturbarlo.
... Ammesso che i due fossero in casa, ovviamente.

Aprì lento la porta senza far rumore, finché i suoi occhi non furono travolti dalla luce del lampadario nel soggiorno.
Contrastò così tanto con il buio del pianerottolo, che l'italiano li chiuse istintivamente.
Li riaprì poi poco a poco, iniziando a distinguere ogni cosa.

Il tavolo di legno laccato.
Mille bottiglie di vetro, vuote e piene, a reclamare ogni alcolico con etichette dai colori sgargianti.
Il massiccio posacenere era stracolmo di mozziconi e cenere.
L'accendino era poco distante, affianco ad un pacchetto di sigarette vuoto e aperto.

Il suo sguardo si alzò verso le poltrone.
Alcuni vestiti giacevano su di esse e sul pavimento.
Suo fratello era proprio disordinato ...!
Eppure...
Per un attimo intravide i vestiti di Gilbert.
I suoi occhi si spostarono ancora, ed il suo cuore si fermò.

La vista iniziava ad annebbiarsi di lacrime e sentì le vene congelarsi, mentre rimase immobile come una statua a contemplare la scena, come un quadro.

Romano respirava affannato nel sonno, nudo e a pancia in giù, sul tappeto, ai piedi del divano.
Sul divano, qualcun altro dormiva.
Per un attimo gli era parso Gil.

Era albino, proprio come lui.
Aveva la sua stessa croce di ferro al collo.
Il suo corpo era nudo e assopito, adagiato sulla schiena.
Anche quel corpo gli era tremendamente familiare ...

Ma non aveva senso!
Non poteva essere Gil!
Che ci faceva, il suo Gilbert addormentato sul divano?
E perché Romano dormiva sul pavimento, proprio lì vicino?
E, soprattutto, perché mai lui e suo fratello avrebbero dovuto dormire nudi ?!

"..." - L'albino dischiuse appena gli occhi, scorgendo la figura di Feliciano.

'Dove sono ...?' - Pensò, con una certa angoscia che già iniziava a coprirgli le spalle in un abbraccio gelido.

Sentiva di aver fatto qualcosa di male, e ancora non riusciva a ricordare cosa.
Il suo corpo iniziò ad irrigirsi, a ricordargli che era nudo.
Nudo ...?
Perché mai avrebbe dovuto essere nudo?
Quella casa non pareva quella in cui viveva con Feliciano.
Perché mai dormire nudo a casa di qualcun altro?
E chi era quel qualcuno?
I suoi occhi socchiusi non fecero in tempo a posarsi sul tavolo, che tutto gli torno ala mente ...

Romano!

Il suo corpo prese a rabbrividire, e Gilbert comprese che non era per il freddo.
Ecco, ora ricordava tutto.
Era successo un incidente.
Un terribile incidente.
Lui non avrebbe voluto ... Era stato Romano!
Gli era saltato addosso, lui era stanco per il lavoro e ... E ...
Non aveva potuto fare a meno di pensare al Feliciano che spesso sognava, così ...

"Feli!" - Si trovò ad esclamare allarmato, alzandosi all'improvviso dal divano senza nemmeno accorgersene. - "Non ... Uhm, posso spiegare!"

"..." - Feliciano era rimasto immobile, con le lacrime agli occhi.

Così, quello era davvero il suo Gil ...?
Cos'aveva fatto?
Cos'aveva fatto con Romano?
E soprattutto, cosa aveva fatto a lui, Feliciano Vargas?
Perché mai?
Non lo amava più ...?

"... Uhmm, Gil ..." - Chiamò Romano nel sonno, agitando appena le spalle e riprendendo lentamente i sensi.

"..." - Gilbert si voltò verso Romano, il quale si stava alzando, senza nemmeno accorgersi della presenza del fratello.

"Gil ..." - Chiamò in un filo di voce Feliciano, le iridi annegate dalle lacrime e posate altrove, come a voler scappare dal suo corpo.

"Feli!" - Esclamò ancora l'albino, come a prendere tempo, in attesa di trovare le parole giuste da dire.

"..." - Il ragazzo indietreggiò incredulo, mentre ora anche Romano lo guardava assonnato, fino a voltarsi e correre via in un mare di lacrime, fuori dall'appartamento.

L'albino fece appena in tempo ad indossare i boxer, per tentare di inseguirlo sul pianerottolo.

"Feli! Lasciami spiegare!"

"...!" - L'italiano si voltò, pallido in viso e stretto in un'espressione addolorata, come se il suo cuore stesse letteralmente andando in frantumi. Attese impaziente l'ascensore aggrappato alla porta, sperando di potersene andare presto.

"... N-Non é stata colpa mia! Romano mi ha ..."

"Gil, ti prego, lasciami stare!" - Trovò la forza di gridare, la fronte contro l'acciaio gelido della porta automatica, ancora chiusa.

"Feli ... Lo sai che ti amo." - Gli si avvicinò, abbracciandolo appena e sussurrando nelle sue orecchie, con una voce calma, piena di angoscia.

"... Ho detto di lasciarmi!" - Gridò ancora, rivoltandosi ed allontanandolo, con un rapido movimento del braccio, graffiando l'aria. - "... Scusami. Non voglio proprio parlare con te. Né vederti. Torna da mio fratello ... Se vuoi."

Così dicendo, entrò nell'ascensore, che era finalmente arrivato, voltandosi di spalle, verso il grande specchio all'interno.

Gilbert avrebbe voluto seguirlo, ma si frenò.
L'espressione che vide in quello specchio gli congelò il sangue nelle vene.
Feliciano aveva uno strano sorriso nervoso sulle labbra rosate, e la pelle cadaverica era solcata da lacrime limpide, come mille fili di vetro.
Gli occhi erano quasi chiusi, come a contenere un immenso dolore, incollati dal suo pianto silenzioso.

Dietro, si intravedeva la sua figura.
Il corpo quasi nudo, il petto umido, i segni della sua lotta con Romano ancora visibili sul collo, il torace ed il ventre.
Il suo volto era arrossato, la fronte sudata.
La sua stessa espressione gli mise ancora più angoscia.
Gli occhi scarlatti sbarrati, la bocca asciutta e mezza aperta, quasi si intravedeva la tensione di ogni signolo muscolo.
Aveva la faccia di chi, solo dopo l'errore, comprende cio' a cui sta rinunciando per sempre, pentendosi e sapendo che mai nulla tornerà come prima.

"Feli ..." - Sospirò in un filo di voce, mentre le porte si erano chiuse per sempre, quelle automatiche dell'ascensore come quelle del cuore dell'italiano.

Feliciano rimase di fronte allo specchio, senza guardare né pensare a nulla.
Solo tante immagini confuse.
Solo un profondo vuoto, nel cuore, nel corpo e nell'anima.
Si sentiva svuotato, come un guscio privato della polpa.
Come un gabbiano senza più ali.
Come un delfino senza più pinne.
Una rosa senza petali.
... Come qualcuno privato della persona che ama.

Corse svelto fino all'auto di Elizaveta, e vi entrò.

"Allora? Non c'erano Gil e Romano ...?" - Chiese insospettita, notando qualcosa di strano nell'altro.

"... Eli!!!" - La sua voce era rotta dal pianto, e non riusciva a proseguire.

Si gettò semplicemente tra le braccia della ragazza, e continuò a piangere, senza ulteriori spiegazioni.



Roderich assisteva al concerto come rapito.
Le note di un pianoforte a corda riempivano l'ambiente di pura poesia.
Poteva vederle, quelle note meravigliose, mentre attraversavano dolci ed invisibili la stanza, tra i neon blu di luce soffusa, ed il palco scuro, dove tanti brillantini parevano scoppiettare, come allegre stelle nella pace dell'Universo.

Chiuse per un attimo gli occhi, per godere meglio di quelle note sublimi, istintivamente accompagnando il pianista muovendo le dita sulla poltrona, come se fosse una tastiera.

"... Che ne pensa dell'ambiente? Tutto a posto?"

Una voce lo fece tornare alla realtà.
Aprì di scatto gli occhi, quasi infastidito, voltandosi nella direzione da cui aveva sentito provenire la voce, notando un ragazzo prendere posto affianco a lui.
Si portò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio destro, e lo guardò curioso con gli occhi color smeraldo, in attesa di una risposta.

"... Uhm, sì, devo ammettere che la stanza è stata arredata molto bene per l'occasione. Credo che le luci blu soffuse ed il motivo brillante sul palco e sulle pareti rispecchino bene lo spirito della serata." - Rispose esaustivamente Roderich, con lo sguardo quasi infastidito.

"Suona qualche strumento?" - Chiese ancora l'altro, sorridendo.

"...Sì. Pianoforte, violino, viola, flauto traverso e contrabbasso. Ultimamente mi sto interessando anche al sassofono, alla chitarra classica e all'arpa, però ..." - Spiegò l'austriaco, pieno di orgoglio e di entusiasmo. - "Lei invece ...? Cosa suona?"

"Io ...? Oh! No! Io non sono un musicista!" - Scosse la testa, toccandosi di nuovo i capelli - "... Sono l'Interior Designer ... Ero curioso di vedere questo concerto, comunque, così sono riuscito a prendervi parte!"

"Oh ... Quindi se l'ambiente è così confortevole, lo devo a lei?" - Chiese Roderich, con una nota ironica, giocando con l'evidente stima che l'altro nutriva per sé stesso e per il suo operato.

"Già!" - Confermò soddisfatto il biondino, con un largo sorriso, per poi voltarsi di nuovo verso il palco, dove il pianista continuava a suonare.

Roderich aveva già fatto lo stesso.
Aveva appena finito di suonare una sinfonia di Mozart, ed ora si apprestava a cambiare autore, decisamente non meno illustre.

"... Chopin." - Sospirò estasiato Roderich.

"Le piace?"

"E' uno dei miei preferiti ... Un vero peccato che non sia stato austriaco, sarei stato davvero orgoglioso di condividere la mia patria con lui."

"... Ahah. In effetti sì, sono orgoglioso di essere nato nella sua stessa città!"

"...? E' polacco ...?" - L'austriaco si voltò verso di lui, curioso.

"Sì ... A proposito, mi chiamo Feliks, piacere!"

"Roderich, piacere mio." - Sorrise l'altro.

"... Dunque lei è austriaco, eh? Non l'avrei mai detto, complimenti! Parla molto bene l'italiano! "

"Grazie ... Il punto è che sono qui da molto ... I miei si sono trasferiti in questa città quando avevo undici o dodici anni ..."

"Capisco. Si deve essere parecchio integrato, ormai ... Io ho qui una casa in affitto, ma in realtà non ci sto molto ... Sa, sono spesso in viaggio per lavoro, anche fuori dall'Italia ..."

"... Anche io, ogni tanto. Anche se mia moglie non sembra poi così contrariata, ama molto l'estero ... E' ungherese." - Le labbra dell'austriaco si dischiusero in un dolce sorriso, ed i suoi occhi viola per un momento brillarono, pensando alla sua Elizaveta.

"E' sposato? Eppure sembra ancora molto giovane! Complimenti!" - Si sorprese Feliks, squadrandolo, per poi sospirare, un po' scoraggiato - "... Vorrei poter dire lo stesso ..."

"...? E' fidanzato?"

"Sì ... Ci siamo incontrati a Vilnius, ero lì per lavoro ..." - Sospirò di nuovo - "Ma lui é un tipo piuttosto abitudinario, non ama molto viaggiare ... E sta ancora studiando all'Università. A volte mi sento un po' in colpa, spesso interrompe gli studi per seguirmi nei viaggi di lavoro ..."

"Cosa studia?" - Chiese l'austriaco. Non che gli interessasse molto, ma lasciar cadere la chiacchierata in quel modo non sarebbe stato molto aristocratico.

"Lettere e Filosofia. Ha già ..."

"... Scusi." - Lo interruppe Roderich, prendendo tra le mani il cellulare, che aveva appena vibrato. - "... Mi allontano un attimo, a dopo."

Andò in bagno.
Guardare il cellulare mentre un musicista si stava esibendo, sarebbe stato un oltraggio, un atto deplorevole che avrebbe disonorato secoli di musica e di grandi e irraggiungibili Maestri.

Elizaveta gli aveva inviato un sms.
L'austriaco si apprestò a leggerlo.


Ciao Roddy <3
Sono uscita dal lavoro, sto accompagnando Feli ... E' successo un casino, sai ?! D:
Poi ti racconto ... Ti aspetto a casa. A che ora pensi di arrivare?
Baci, Eli (: <3


Roderich scosse la testa, chiedendosi cosa mai fosse successo.
Diede un'occhiata all'orario, visualizzò mentalmente la scaletta del concerto, e si apprestò a rispondere.


Ciao Amore.
Penso di arrivare tra un'ora o un'ora e mezza.
Vai a letto se sei stanca, le chiavi le ho.
A dopo.




"Courage, Rosbif! Lo so che ti piace!" - La voce di Francis era piena di malizia ed eccitazione, mentre con gli occhi blu e lucenti guardava Arthur, come una gazza ladra ammira un gioiello.

"No che non mi piace! Potresti stare qui così anche tutta la sera, ma stai certo che non cederò! Non solo non mi piace, mi fa schifo!" - Rispose infastidito l'inglese, serrando denti e labbra, e sfuggendo con lo sguardo.

"Non ti piace...? Eppure, l'altro giorno mi era parso il contrario ..." - Lo stuzzicò il francese.

"...?! What the hell ?! Di che parli ?!"

"Credevi di passarla liscia? Pensavi forse che non me ne sarei accorto? ... Me ne sono accorto eccome, di quello che hai fatto qualche notte fa!"

"...! Mi sono dovuto accontentare! Ne avrei fatto volentieri a meno, ma non ce la facevo più, non potevo aspettare la mattina!"

"Bastava chiedere, mon amour ... Se tu mi avessi svegliato, avremmo anche potuto espandere il divertimento ..."

"S-Smettila di parlare così! Questa cosa sta diventando troppo ambigua, pervertito!" - Protestò Arthur, arrossendo e spingendo via la mano di Francis.

Il ragazzo portò la forchetta alla sua bocca, e mangiò il boccone al posto dell'inglese.

"Non c'é nulla di ambiguo. Stavo semplicemente cercando di farti ammettere che il cibo francese è sicuramente meglio del tuo, Rosbif!"

"... E smettila di chiamarmi Rosbif, you frog!"

"..." - Francis gli diede svelto un bacio sulle labbra, per poi guardarlo giocoso negli occhi - "Solo quando tu smetterai di chiamarmi frog~"

"... Ho fame." - Ruggì Arthur, voltandosi, sentendo un certo calore salirgli sulle gote.

"... E' il motivo per cui stavo cercando di farti mangiare quella crèpes..." - Spiegò il francese, alzando un sopracciglio - "... In un modo romantico. Adoro l' espressione che hai quando ti imbocco,"

"Stai zitto! Ora cucino io qualcosa come si deve!"

"Scones? Fish and Chips?" - Gli scappò una risata. - "Lascia la cucina à moi, Sourcils ..." - Si alzò, bloccandolo e tenendolo stretto tra le sue braccia.

"... Giammai ..."

Si sentì cingere i fianchi e la schiena dalle mani e le braccia del francese, rabbrividendo appena ed emettendo un lievissimo suono con la gola.
Appoggiò la testa sulla spalla dell'altro, mentre Francis passava vogliosamente le labbra sul suo collo, accarezzandolo e stampandogli baci umidi e caldi.
Di tutta risposta, Arthur appoggiò a sua volta le labbra sul collo del francese, per poi morderlo, debolmente ma in modo deciso, e spingersi con tutto il corpo verso di lui.
Francis iniziò a spingere di rimando, baciandolo passionalmente sulla bocca ed accarezzandogli la schiena, intromettendosi nella sua maglia.
L'inglese intrecciò le dita tra i capelli lunghi e dorati dell'altro, trattenendolo lì e rendendo il bacio ancor più profondo, passionale ed affamato.

"Francis ..." - Ansimò poi, il fiato grosso per il lungo bacio e le guance in fiamme, con le iridi di un verde più intenso che mai, piene di lussuria.


Una musica spezzò all'improvviso il caldo silenzio.


"..." - Francis si staccò da Arthur, giusto quel poco che bastava per intravedere il suo cellulare sul tavolo.

"Non rispondere." - Gli ordinò l'inglese, facendosi più vicino e baciandolo, con le braccia attorno al suo collo.

"E' mio cugino." - Il francese voltò appena il viso.

"Lascia stare! You fucking frenchman, I want you now!" - Si lamentò Arthur, quasi come un bambino - "... Non ho alcuna intenzione di aspettare."

"..." - Seppur curioso di sapere cosa Feliciano volesse, Francis decise di assecondare le voglie del suo amato - "... Come vuoi. Poi però non lamentarti, l'hai voluto tu, mon amour..."

Così dicendo, allungò le mani sulle sue cosce, prendendolo saldamente e sollevandolo, soffocandolo di baci ed attraversando la casa fino alla camera da letto.


Feliciano rimise il cellulare sul tavolo, con l'espressione ancora più abbattuta.

"Non risponde ...?" - Chiese Elizaveta, di fronte a lui, cercando di interrompere il silenzio.

L'italiano si limitò a scuotere la testa, asciugandosi le lacrime che continuavano scendere dai suoi occhi.

Non aveva alcuna intenzione di tornare a casa.
Probabilmente Gilbert avrebbe fatto lo stesso.
Avrebbe cercato di dargli spiegazioni.
Avrebbe iniziato a dire che non era stata colpa sua.
Che era stato un incidente.
Che era colpa di Romano.
Che lo amava.
Amava lui, e nessun altro.

Menzogne.
Stupide ed inutili menzogne.
Intanto, amore o no, lui con Romano l'aveva fatto.
Ne era sicuro.
Altrimenti, perché mai i due avrebbero dovuto dormire nudi?
E poi, conosceva bene, troppo bene, sia uno che l'altro.
L'espressione che l'albino aveva in volto, assopito, era la stessa che aveva quelle notti.
Quando lo baciava, lo amava e lo faceva suo, per poi addormentarsi, abbracciandolo.

Feliciano amava osservarlo in quei momenti.
Con quell'espressione serena e appagata, e quel lieve sorriso, come a dichiarare che la sua vita poteva dirsi completa.
Conosceva quell'espressione.
La amava.
Mai avrebbe pensato di poterla odiare.

"... Se non trovi Francis, puoi sempre stare qui." - Cercò di rassicurarlo Elizaveta. - "Non credo che Roddy abbia qualcosa in contrario ..."

"Grazie ..." - Si sforzò di sorriderle, ma proprio non ci riusciva - "... Ma non voglio disturbare. Al limite, vado a casa sua, le chiavi le ho ... Gli spiegherò tutto là."

"Feli ..." - Sospirò l'ungherese, guardandolo.

Vedere l'italiano con l'aria così affranta, metteva davvero tristezza.
Proprio lui, che sorrideva sempre.
Proprio lui, quello innocente ed ottimista.
Quello che vedeva sempre il lato buono delle cose.
Quello che amava cantare e guardare il cielo.
Era davvero dolcissimo, non era giusto che soffrisse così ...

"Vuoi che ti prepari qualcosa da mangiare? Sono quasi le dieci, e ancora non abbiamo cenato ..." - Elizaveta cercava disperatamente di distrarlo dai suoi pensieri.

"No, grazie, non ho fame ..." - Disse quasi sottovoce. Mise le braccia conserte sul tavolo, per poi nasconderci dentro la testa, bagnandosi le maniche della camicia di lacrime. - "E' un incubo, vero? Dimmi che é un incubo ..."

L'ungherese si alzò, avvicinandosi a lui ed accarezzandogli la testa.
Non poteva dirgli che era un incubo.
Sarebbe stata solo una menzogna.
Far vivere Feli in un'illusione per tranquillizzarlo avrebbe solo aggravato le cose.

"Devi essere forte Feli ..." - Gli rispose in tono rassicurante. - "Lo so che sembra una frase fatta ... Ma non devi piangere per lui e per ciò che ha fatto. Uno che ti fa piangere così, non ti merita ..."

"Ma sembrava tutto perfetto ... Perché mi ha tradito? Cos'ho che non va ...?" - Il ragazzo continuava a piangere, con il volto nascosto tra le braccia.

"Non hai niente che non ..." - Il cellulare dell'ungherese prese a suonare, e la ragazza rispose.

"Pronto ... Ah ... Ok. No, non potevo. C'é qui ... Sì. Mmh, poi ti racconto. Hai fame? No, io non ho ancora mangiato. Oh, va bene. A dopo. Ciao amore."

Feliciano sbirciava la ragazza, con quell'espressione dipinta in viso.
Ciao amore.
A quelle parole, la bocca le si era stortata in un dolce e lieve sorriso, tipico di coloro il cui cuore é rapito da Amore.
Anche lui si sentiva così.
Anche lui sorrideva in quel modo strano e magico, quando il suo Gil lo chiamava.

Avrebbe mai più ritrovato quel sorriso?
Ora, l'immagine del tedesco gli faceva solo venir voglia di piangere, ed una segreta voglia di morire si faceva largo in lui, impadronendosi della sua mente e del suo cuore.

"... Roderich sarà qui tra dieci minuti." - Lo informò Elizaveta.

"Non so se starò qui ancora molto ..." - Si alzò dal tavolo, nascondendo il volto dietro una tenda, guardando impassibile fuori, il balcone, le cime degli alberi e la strada sottostante. - "... Adesso provo a richiamare Francis ..."

"... Ma come andrai da lui? Vuoi che ti accompagni?"

"No, non preoccuparti! Prenderò l'autobus!" - Si affrettò a rispondere Feliciano, abbozzando con fatica un sorriso.

"Va bene. Comunque, se hai bisogno chiamami pure ... Anche a Roderich. Sai com'è fatto, abbaia ma non morde!"

"Veh, grazie di tutto ... Lo farò." - Si asciugò una lacrima. - "... Spero solo di non dover andare a casa nostra..."

A quel 'nostra', il cuore dell'italiano si strinse in una morsa gelida.
Nostra ...
Sua e di Gil.
In realtà era unicamente sua ... Ma da quando Gilbert vi si era trasferito, Feliciano non aveva mai più trovato il coraggio o la presunzione di definirla solamente di sua proprietà.

"... Se non hai scelta, casa nostra è sempre aperta." - Lo rassicurò, sorridendogli.

Feliciano annuì, per poi prendere il cellulare. - "Ora riprovo ..."

"Allo?"

"Ciao Francis ..."

"Feli! Bonsoir! ... Ti sento giù di corda, cosa c'é?"

"Mmh ... Francis ..." - La sua voce era a tratti rotta dai gemiti. - "N-Niente ... P-Poi ti dico ... Posso venire ... A casa tua? ... Ehm, per stanotte?"

"...!" - Il francese esitò un attimo, come congelato, per poi proseguire - "Certo! La casa del fratellone Francis é sempre disponibile! Dove sei? Vuoi che ti venga a prendere? O ci pensa Gil?"

"..." - A quel nome, Feliciano non ebbe la forza di rispondere. Il fiato gli mancò all'improvviso, mentre lacrime gelide gli rigarono ancora le guance, e il cuore batteva all'impazzata, come una bomba in procinto di esplodere. - "N-No ... Arrivo io, non ti preoccupare ..."

"Va bien ... Stai attento. Ti aspetto ..." - Concluse l'altro, concludendo la chiamata.


L'italiano fece un debole sorriso, guardando in direzione dell'ungherese, con il telefono ancora all'orecchio.

"... Allora io vado. Francis mi sta aspettando." - Prese la giacca, e si avvicinò alla porta, aspettando che Elizaveta l'aprisse.

"Ciao Feli ... Fai attenzione. E non pensarci, ti prego." - Gli raccomandò, aprendo la porta.

"Grazie ... Ciao." - Le diede un bacio sulla guancia, ed uscì.



Dopo una discussione con Romano, Gilbert era tornato a casa.
Non trovò Feliciano, ovviamente.
Si sedette in silenzio su una poltrona, con la testa tra le mani.

Perché lo aveva fatto ...?
Come aveva potuto ?!
... Si era lasciato trasportare dalle sue stupide fantasie.
Perché Romano altri non era, se non il Feliciano che spesso sognava.
Maleducato e prepotente, senza alcun timore di insultarlo e fargli male.

Ma Feli era il suo angelo caduto dal cielo ...
Colui che era sceso tra le fiamme dell'Inferno, solo per tendergli una mano e dargli occasione di salvarsi.
E ci era riuscito.
Se Gilbert aveva chiuso con la sua vita disordinata, era solo merito suo.

Le immagini dei due fratelli si mischiavano nella sua testa.
Ora il viso sereno ed innocente di Feli, ora quello infastidito e prepotente di Romano.
Un angelo bianco, ed un diavolo nero.
Due lati della stessa medaglia.
Due gemelli dalle personalità opposte.

Aveva conosciuto e saputo amare la dolce ingenuità di Feli, i suoi immensi sorrisi, quegli occhi meravigliosi che troppo raramente spalancava.
Aveva imparato a convivere con il suo modo di intendere l'amore, pur non essendo mai riuscito a comprenderlo fino in fondo.

Con Romano, era successo tutto così velocemente che non aveva avuto nemmeno il tempo di rendersi conto di cio' che stava facendo.
Perché quel ragazzo se ne fregava delle nuvole che Feliciano amava osservare.
Si innalzava con le sue ali scure, verso il cielo infinito, per poi trascinarti in picchiata tra le fiamme ed i piaceri dell'Inferno.

Voleva provare a spiegare le sue ragioni a Feli.
Chi lo sa, magari avrebbe potuto perdornarlo ...
Infondo, gli aveva già rivelato i dettagli intimi della sua vita passata.
Sapeva bene con chi amava trascorrere quelle notti, eppure l'aveva accettato.
Quindi, cosa c'era di diverso in quell'incidente con Romano ...?


"Damn you, Francis! You're a big jerk!" - Gridò Arthur, alzandosi dal letto ed iniziando a rivestirsi.

"... E' mio cugino. E aveva una voce davvero funerea ... Ho paura che sia successo qualcosa con Gilbert ..." - Spiegò Francis, facendo lo stesso.

"Hai intenzione di ospitarlo qui ??!! E io ?! Io non conto niente, per caso ?!"

"Cosa dovrei fare ?! Lasciarlo in mezzo ad una strada solo perché tu non hai il coraggio di ammettere che ami un uomo ?!" - Rispose arrabbiato il francese.

Certo, Arthur era per lui la cosa più importante, al momento.
Lo amava, con tutto sé stesso.
Ma non aveva alcuna intenzione di negare il suo aiuto a Feliciano solo per i capricci dell'inglese.
L'altro era rimasto immobile, come congelato.
Lo perforò con lo sguardo, per poi abbassare la testa verso il pavimento, celando il suo viso.

"Non ho alcuna intenzione di conoscere tuo cugino. Così come non voglio conoscere nessuno dei tuoi amici o altri parenti. Ospitalo pure, se proprio non puoi farne a meno." - Parlava serio, senza nemmeno guardarlo in faccia. - "Ma non dirgli nulla di me. Non voglio giocare alla coppietta felice."

"... Come faccio a nascondere la tua esistenza, se quello si aspetta che io lo ospiti qui ...?"

"Non lo so. Mi nasconderò, vedrò di tornare a casa quando lui non c'é ..." - Ormai completamente vestito, camminò verso la porta di casa, mettendosi la giacca.

"Dove stai andando ?!"

"... Fuori. Mandami un messaggio quando il signorino si é addormentato. Tornerò allora ..."

"Fai come ti pare, Arthur. Non ti obbligherò a rimanere qui quando mia cugino arriva, se proprio non ce la fai ... Però, dovresti." - Concluse Francis, con tono rassegnato, vedendo Arthur ormai sul pianerottolo, mentre si apprestava a scendere le scale.

 

~ Continua ...

  
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