Quella era una notte di fine settembre, e le luci sterili della sera andavano
a farsi più evidenti, nel buio della notte novembrina, dalle parti di
Godric’s Hollow. Un freddo pungente, che arrivava fino alle ossa. Lily
Evans stava seduta sulla sedia più scomoda della cucina, apparentemente
immersa in un grosso libro, nonostante non girasse pagina da diversi minuti.
I capelli rossi raccolti in una treccia, gli occhi affaticati e le labbra dischiuse
nel ripetere a mezza voce alcuni passaggi
Vicino a lei, nella culla, il respiro regolare e le palpebre chiuse di Harry
davano alla scena un ambiente apparentemente tranquillo e rilassato, una sorta
di confortante intimità casalinga.
La porta di casa trillò lievemente prima di aprirsi con un cigolìo
sinistro, e Lily scattò in piedi, perplessa. Sirius Black le lanciò
un’occhiata veloce prima di togliersi il pesante e logoro capotto e salutarla
beffardo: “buonasera, Madame!”
“Ciao, Sirius.”, rispose lei sospirando.
“Cos’è quell’aria da funerale? E’ morto qualcuno?”
Lily con una nota di insofferenza nei cupi occhi verdi, senza rispondere.
“James p tornato?”
“No. Come puoi vedere non c’é.”, rispose con voce stridula.
“Va tutto bene?”
La ragazza lo guardò con freddezza, prima di sbattere un pugno contro
il tavolo. Harry sussultò sommessamente. “Mi stai chiedendo…
Se va tutto bene? Come ti sembra, Black? Pensaci un attimo, usa la tua prodigiosa
intelligenza e rispondimi: come vanno le cose? E dov’è James? Dov’è,
dannazione, dov’è?!”
“Cosa vuoi che ti risponda?”, mormorò con tono strafottente,
gli occhi grigi che la squadravano con diffidenza. Non gli era mai piaciuta,
e nessuno poteva permettersi di parlare così a lui.
“Non mi aspetto nulla da te, lo sai.”
Sirius non si degnò di rispondere nulla, fissandola senza il minimo segno
di coinvolgimento emotivo. Se quella non fosse stata proprietà di James…
La porta si aprì di scatto, prima che uno dei due potesse dire qualcosa,
interrompendo bruscamente l’atmosfera tesa e rancorosa, che si dissolse
in un attimo. Lily si voltò di velocemente, incontrando il volto contratto
e malinconico di Remus Lupin.
“Lupin! Come… Cosa…”, mormorò, ancora confusa.
Il ragazzo si trascinò prima su una sedia, sbuffando rumorosamente, per
riprendere fiato dopo la lunga corsa.
“Sono venuto… per dirvi… Sta bene… James, dovrebbe arrivare
presto….”
Gli occhi di Lily mutarono, il suo volto contratto si distese leggermente. Chiuse
le palpebre per un lungo secondo, respirando. “Meno male.”, mormorò,
sedendosi di fianco a lui attorno al tavolo. “Sarà qua a momenti.”,
confermò di nuovo Lupin.
“Non dubitavo.”biascicò Sirius, meritandosi un’occhiataccia
che venne ignorata.
Dopo qualche minuto di banale conversazione tipicamente inglese, la ragazza
si alzò, armeggiando con gli scaffali delle stoviglie: “Voi due!
Non statevene con le bacchette in mani, aiutatemi ad apparecchiate, per lo meno!”
“Ma mia cara, e della tua tanto decantata abilità nelle magie domestiche…”,
prima che Sirius potesse finire la frase, un coltello gli passò sibilante
a pochi centimetri dall’orecchio, lasciandolo sbigottito. “Ehi,
se mi vuoi uccidere, mettiti in fila!”, borbottò con tono drammatico,
prima di far levitare le vettovaglie sul tavolo rettangolare della cucina, con
un gesto volutamente svogliato della bacchetta. “Va bene, così?”,
chiese con esasperato sarcasmo. “Benissimo.”, rispose lei, con un
sorrisetto soddisfatto.
Le lancette dell’orologio correvano senza pietà, senza rallentare
un attimo.
Il tempo passava, le parole si esaurivano, le risa sforzate andavano spegnendosi.
Non c’era nulla che potesse fermare l’ansia silenziosa e la sensazione
di aspettativa che si erano instaurate. Perché James non arrivava? Perché
James non arrivava? Perché, James?
Un rintocco annunciò le undici di sera. Nelle case, le luci andavano
affievolendosi. Lily giocherellava distrattamente con una forchetta, curva sulla
sedia. Non c’erano stelle, quella notte. Sirius fissava il vuoto a braccia
conserte, gli occhi foschi e il respiro rumoroso. Dalla strada, si udì
lo strombazzare sgraziato di una macchina. Remus sedeva composto, le braccia
abbandonate in grembo, quieto e senza suono.
La porta si spalancò con un breve cigolio, i rumori della vita esterna
che piombavano rompendo in mille pezzi quella quiete ovattata e claustrofobica,
facendoli alzare tutti e tre con movimenti rigidi e impacciati, come svegliati
dopo un lungo sonno.
James li attendeva all’ingresso, il volto pallido e stravolto, l’espressione
completamente estraniata, distante, quasi li guardasse senza riconoscerli. Ma
quello strano momento, quel fotogramma sfocato, si impresse per sempre nella
mente di Sirius Black, prima che l’immagine dell’amico fosse coperta
da una massa di capelli rossissimi, e bianche braccia nude. Lily lo strinse
a sé senza dire una parola, anche se avrebbe voluto gridarne mille. Ma
non riuscì ad emettere alcun suono, e si staccò dopo pochi secondi,
accompagnandolo nella cucina. La sua pelle aveva ancora quel pallore mortale,
ma gli occhi erano tornati quelli di sempre: vivi, lucidi e dallo sguardo deciso.
Era stato solo un attimo, quasi un’impressione. Eppure…
“Le cose non vanno molto bene.” Le parole di James, pronunciate
al termine di quello strano pasto, lasciarono dietro di loro un vuoto inconsistente,
quasi non fossero mai state pronunciate.
“Cosa ci possiamo fare, noi?”, borbottò Sirius, con noncuranza.
Gli occhi di Lupin saettarono nella sua direzione, per poi tornare a indugiare
sul piatto sporco. Lily si pulì gli angoli della bocca con grazia, senza
dir nulla. “Ehi, ce l’avete un po’ di Idromele?”, domandò
improvvisamente il giovane Black, con tono quasi gioviale. “Quello di
Madama Rosmerta…”, ripose James, con un ghigno. “Ovviamente.”,
fu la conferma dell’amico.
E così, pochi minuti dopo, l’alcool colava dai bicchieri, che cozzavano
fra loro con un rumore tintinnante e quasi musicale, mentre le risate sgraziate
dei malandrini rimbombavano fra le pareti strette, e Lily accennava qualche
sorriso dolce, le guance leggermente arrossate e le labbra lucide.
“Il vecchio Snivellus… Chissà se sente la nostra
mancanza?”, bofonchiò James, portandosi la coppa alle labbra. “Ah,
è molto tempo che facciamo una chiacchierata col nostro amico. Chissà
se si è cambiato le mutande, dall’ultima volta.” –
la risata di Lupin era bassa e rauca, sgraziata rispetto al corpo sempre minuto.
A vederli così, tutti e tre piegati malamente dalle grida represse, i
volti lucidi per il sudore e gli occhi stretti, non sembravano diversi dagli
insopportabili bulli che si aggiravano con boria e malcelata superiorità
per i corridoi di Hogwarts. Cos’era cambiato? Lily osservava, osservava
riflettendo, e non capiva. James parlava a voce alta, senza badare a lei. Improvvisamente,
l’aria della stanza si era fatta troppo calda, l’atmosfera troppo
pesante e satura di vapori, luci e suoni. Alzandosi di scatto, uscì nell’aria
fresca di fine Settembre. Dalla finestra semiaperta, giungevano ancora le loro
voci, smorzate dalle distante.
“A questo punto, amici miei, ci vuole un brindisi! Brindiamo, dannazione.
James, ce la fai ad alzare quel bicchiere?”, tintinnare e battere di mani,
voci concitate e confuse in un mormorio lontano. Lupin parlò, la sua
voce ancora più brumosa e incomprensibile Le mani di Lily si strinsero
attorno alla ringhiera. Harry. Era lì con loro, in quella stanza.
“Non potete essere ancora così idioti… Dev’essere qualcosa
di genetico.”
“Probabile, Moony, amico mio: ma in questo caso ne sei affetto allo stesso
modo.”, proclamò James, con una certa solennità. “Ehmbé?
E ‘sto brindisi?”, continuò allo stesso modo.
Sirius si alzò in piedi sulla sedia, barcollando e sopprimendo le risate,
a fatica. I suoi occhi foschi vagarono sulla stanza, prima che alzasse il bicchiere,
distendendo il braccio verso l’alto.
“E brindiamo, allora, brindiamo adesso: agli gnomi e alle fate, a tutte
le donne che abbiamo amato, a tutte le volte che abbiamo detto la cosa sbagliata
al momento sbagliato, e a tutte le stronzate che abbiamo fatto…”
“E ancora dobbiamo fare…!”, aggiunse James.
“Zitto, non m’interrompere. Ecco, sì, brindiamo a noi, a
domani e a ieri. Brindiamo oggi che siamo giovani, e quando saremo vecchi e
schifosi ce ne ricorderemo: ricorderemo questo giorno, e l’invidia per
ciò che siamo stati ci farà cadere gli occhi e tremare i denti!”
“Sei certo arriverà, quel giorno?”, mormorò quietamente
Lupin.
“Ah, per me, meglio di no. Padfoot, amico di sventura, il tuo brindisi
era proprio pessimo: m’ha lasciato un sapore amaro in bocca, lo sai? E
io ne propongo uno migliore! Alla giovinezza, che adesso abbiamo! E che possa
esserlo per sempre! Per noi tutti, per poter rimanere sempre giovani!”,
concluse caracollando a terra, fra il rauco ridere di Remus e l’ululato
canino di Sirius.
Lily, fuori nella nebbia, osservava il cielo scuro, estranea a quel mondo.
Poco distante, placido nella sua culla, il bambino piangeva.