Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
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Autore: Ronnie Devour    16/04/2012    3 recensioni
La protagonista della Fan Fiction ha sicuramente un passato da cui cerca sempre di scappare, inutilmente. Ha inseguito il suo sogno di diventare una modella, fino a raggiungerlo, poi si è fidanzata con un ragazzo che la picchia e la violenta quasi tutti i giorni. Chi sarà questo ragazzo che ha portato la protagonista a diventare anoressica? Lei incontrerà Jared, che diventerà un suo grande amico. Sboccerà l'amore tra loro, oppure ci saranno ulteriori intoppi che la porteranno a rimanere chiusa nella ''gabbia'' che è casa sua, assieme al fidanzato? Ma non è tutto; la protagonista conoscerà un altro ragazzo, italiano, che perderà completamente la testa per lei e farà di tutto per cercare di farla star bene. Jared sarà d'accordo dell'amicizia tra lei e questo ragazzo italiano?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Passa qualche secondo e poi eccolo che si fa vedere.
Notando – com'è che si chiama? – il cantante, rallenta il passo fino a fermarsi.
“Oh, Jared, stavo cercando proprio te. Che ci fai qui da solo?” ..che bugiardo.
“Stavo cercando di chiamare mio fratello e qui, a quanto pare, è l'unico posto in cui c'è abbastanza rete. Ti raggiungo tra dieci minuti, tu intanto vai” non mi sono accorta di quando Jared ha tirato fuori il telefono dalla tasca dei suoi pantaloni.
“D'accordo, ti aspetto nel solito posto” così dicendo, torna da dove è venuto, guardandosi intorno.
Jared si volta verso di me, guardandomi con aria triste.
“Lo conosco da un po' e so ciò che fa alle ragazze come te. È stato in prigione un paio di volte, e non abbiamo mai saputo chi gli ha pagato la cauzione per uscire. Purtroppo devo andare, adesso. Vuoi che ti accompagni a casa?”
Rifletto un po' sulle sue parole – non sapevo che lo stronzo fosse stato in prigione per ben due volte –, poi faccio cenno di no con la testa.
“Se hai bisogno, chiama su questo numero. Lo ha solo la mia famiglia e qualche amico, quindi è sicuro che io risponda” così dicendo estrae dalla tasca interna della sua giacca, un foglietto giallo piegato, e me lo porge.
Lentamente allungo una mano verso la sua, e prendo il biglietto. Le nostre dita si sfiorano e sento come una scossa elettrica corrermi lungo la schiena. Abbasso lo sguardo e lo infilo nella tasca dei miei shorts.
Sorride di nuovo, poi si volta per andarsene.
“Grazie”.
La mia voce è un sussurro. Fa uno strano effetto risentirla dopo molto tempo.
Credo che mi abbia sentita, perché prima che svolti l'angolo, si gira verso di me storgendo la testa e facendo un piccolo inchino.
Mi siedo per terra, sfiorando la mia bocca con un dito.

Le immagini della mia infanzia cominciano a scorrermi davanti, come se componessero il trailer di un film.
Vedo la mia famiglia. Mio padre e mia madre che si abbracciano dolcemente, tenendo la mano ad una bambina splendida. Mia sorella Blaize.
La meraviglia comincia a correre verso di me, facendo svolazzare i suoi boccoli castani al vento.
Mi metto in ginocchio, e lascio che le braccia di Blaize mi cingano il collo e che affondi il suo naso nella mia guancia.
Ho circa sedici anni; lo capisco dai capelli, che mi arrivano a malapena sotto al mento.
I miei genitori si avvicinano a noi, sorridendoci. Quando mio padre sta per chinarsi a darmi un bacio, gli si mozza il respiro. Si accascia a terra, agitandosi, per poi fermarsi tutto d'un botto, senza respiro.
Ha avuto un infarto.
Mi madre si getta sul corpo inerme di mio padre e comincia a piangere.
Io e mia sorella veniamo portate via subito dai vicini di casa, che hanno assistito alla scena. Veniamo chiuse in una stanza e dalla finestra vediamo un'ambulanza che arriva e porta via mamma e papà.
Rimaniamo dai vicini per due mesi, forse tre, dopodiché ci dicono che nostro padre è morto e che nostra madre si è suicidata gettandosi sotto ad un treno.
Io e mia sorella veniamo affidate a due famiglie diverse, e non ci siamo più viste.
Aveva solamente tredici anni, ma già sapeva quali erano i suoi gusti in fatto di musica. Era innamorata dei 30 Seconds to Mars; faceva parte di quella che lei definiva ''una famiglia di Echelon'', e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di abbracciare i suoi tre idoli.
Aveva la parete della camera tappezzata con i loro poster, e portava al collo una collana con uno strano ciondolo fatto a forma di triangolo diviso orizzontalmente a metà da una stanghetta. Diceva sempre che loro le davano la forza necessaria per andare avanti. Pensava che avesse bisogno di loro come ha bisogno dell'aria che respira.
Una volta mi disse: “Sai, ogni volta che ascolto una loro canzone è come se mi sentissi avvolta da una coperta. Mi sento al caldo e al sicuro. Mi sento a casa”.

Un rumore improvviso mi fa sussultare, facendomi aprire gli occhi.
È solamente un gatto che sta cercando di acchiappare una lucertola.
Mi alzo da terra e comincio a camminare verso casa, tenendomi una mano sulla bocca.
Mi tolgo le scarpe e comincio a correre.
Dopo trentacinque minuti ecco che vedo quella fottuta casa; apro la porta e mi accascio di nuovo sul pavimento, scoppiando a piangere.
Le immagini della mia famiglia cominciano di nuovo a scorrere nella mia mente, facendomi mancare il respiro a causa dei singhiozzi.
Dopo non so quanto tempo trascorso a piangere, finalmente riesco a calmarmi, ed i miei pensieri ritornano di nuovo al cantante.
Perché vuole aiutarmi? Gli creerei un sacco di problemi e basta se entrassi a far parte della sua vita. O magari è un altro maniaco che vuole torturarmi come sta facendo lo stronzo.
Controllo l'orologio e mi accorgo che è ora di andare al bagno.
Ogni volta ripeto le stesse cose: “Che vuoi che sia? L'hai fatto un sacco di volte”.
Poi comincio a vomitare.

Dopo un'altra mezz'ora, senza rendermene conto mi appisolo sul pavimento del bagno, ma subito dopo sento la porta di casa aprirsi, per poi sbattere. Mi metto seduta e nascondo la testa tra le braccia, cercando di sentire più rumori possibili. Sento delle risatine maliziose e il rumore di due bocche che si baciano. Sento delle scarpe che vengono buttate a terra e dei passi veloci sul pavimento di quella che purtroppo è casa mia. Riconosco il cigolio della porta della camera e poi sento le molle del letto scricchiolare. Dopo pochi secondi sento versi osceni e il rumore di oggetti che cadono.
Mi alzo dal pavimento e, barcollando, vado verso la camera, cercando di non farmi notare.
Lo stronzo sta scopando con una delle due mie conoscenti, quella che non mancava mai ai raduni che facevamo sulla spiaggia d'estate. Di solito lei suonava la chitarra.
Mi viene da vomitare, stavolta però senza l'aiuto delle dita.
Senza far rumore, vado nel salotto e prendo una bottiglia di Vodka. La impugno per il collo, e in punta di piedi vado verso la camera.
Perfetto; sono entrambi voltati di spalle; lei si sta reggendo alla spalliera del letto e lui le sta esattamente dietro.
Mi avvicino a lui e con tutta la forza che mi è rimasta gli spacco la bottiglia nella testa.
Cade dal letto, svenuto.
Annemarie – la mia conoscente – si volta di scatto, e vedendomi cerca di coprirsi con il lenzuolo del letto.
“Ma che hai fatto?!” sembra sbalordita.
Ignoro la sua domanda e comincio a guardare lui, disteso sul pavimento.
Gli do un calcio nelle palle e con un pezzo di vetro gli faccio un taglio simile al mio, proprio sotto all'occhio sinistro.
Adesso la ragazza sembra spaventata da me, e cerca di rannicchiarsi nel letto.
Mi siedo accanto a lei e la guardo dritta negli occhi.
Il suo viso è perfetto; non un livido, non un graffio, e i suoi occhi color nocciola sembrano splendere.
Le accarezzo una guancia; lei sembra sconvolta da quello che sto facendo.
Dopo un po' che ci fissiamo lei si ricompone, e coperta dal lenzuolo, si alza e va verso l'ingresso per prendere i suoi vestiti.
Rimango sul letto, assicurandomi che lo stronzo sia sempre senza sensi, poi ecco che ritorna Annemarie.
“Senti stronzetta, mi hai appena rovinato la serata. Vuoi dirmi che diavolo ti è preso? Hai fatto svenire l'uomo con cui ero ''indaffarata'', lo hai preso a calci nelle palle e gli hai sfregiato il viso. Dovrei denunciarti per questo, sai? Adesso vorrei delle spiegazioni, se non ti dispiace”.
È diventata proprio un'ochetta. Un'ochetta troia, per precisare.
Mi alzo e vado verso l'interruttore. Per adesso l'unica fonte di luce è quella che viene dalla strada.
Schiaccio il pulsante e poi mi giro lentamente verso Annemarie, che rimane sconvolta, vedendomi.
“Annemarie, smettila. L'ho fatto per il tuo bene”
“Vuoi dirmi chi cazzo sei tu? Come fai a sapere il mio nome?” ha gli occhi sgranati.
“Sono Melanie”.

  
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