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Autore: margheritanikolaevna    16/04/2012    3 recensioni
Ecco il seguito di "If the dull substance of my flesh...", la storia della killer Miriam Greenberg e del suo amore impossibile. Non fatevi ingannare dal titolo (che appartiene ad una poesia dell'inglese W.H. Auden, quello della poesia "Funeral blues" del film Quattro matrimoni e un funerale): certo è anche una storia d'amore, ma stavolta ho cercato di scrivere qualcosa di differente. Se la prima voleva essere una specie di legal thriller, questa ha una trama che ricorda un po’ alcuni episodi di NCIS, almeno nelle intenzioni, sarà (spero) più movimentata e più ricca di colpi di scena.
Ci saranno: un cattivo perfido, un valzer, un temporale improvviso, qualcosa di disgustoso e qualcosa di meraviglioso e ... una poesia; chi ha ingannato sarà a sua volta ingannato, un uomo considerato buono si scoprirà cattivo e un altro rischierà seriamente di diventarlo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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 Grazie a coloro che hanno la pazienza di continuare a leggere, a LubyLover e a Parsifal62 per la loro gentilezza; Stella e Miriam/Chantal sembrano profondamente diverse, eppure qualcosa le unisce. O si tratta di qualcuno?
 

 
   
CAPITOLO QUINTO  
 
Nemiche
 
Mac era stato chiamato all’improvviso da Danny Messer perché l’immagine elaborata dal computer delle possibili sembianze del cadavere di Crescent street aveva trovato una corrispondenza nell’archivio dei documenti d’identità esibiti e registrati al momento dell’ingresso nel territorio statunitense: in particolare, si trattava della foto apposta sul passaporto di un uomo di nome Nikanor Ivànovic Bosoj, nato a Rostov nel 1964, entrato negli USA due mesi prima con un visto turistico e del quale si erano, poi, perse le tracce.
L’identificazione confermava l’ipotesi formulata da Sid ed i sospetti nei confronti del console Ponyrev prendevano sempre più corpo; infatti, anche se non avevano prove che quell’uomo avesse frequentato il Consolato, si trattava comunque di una singolare coincidenza - il cadavere sfigurato di un cittadino russo trovato all’interno di un’auto rubata a breve distanza dalla rappresentanza diplomatica di una Repubblica ex Sovietica - sulla quale valeva la pena di continuare ad indagare. 
Ciò che aveva richiesto l’immediato intervento di Mac era stato che, altra circostanza particolare, quando avevano inserito le generalità del morto negli archivi delle forze dell’ordine, era emersa la presenza di alcuni files riservati, ai quali non erano riusciti ad accedere perché privi delle necessarie credenziali di sicurezza.
Evidentemente, aveva pensato il tenente, c’era sotto qualcosa di grosso e la loro indagine, a quel punto, sembrava bloccata da un muro invalicabile. Come se non bastasse, non riusciva a capacitarsi del motivo per cui la donna che aveva conosciuto cinque anni prima con il nome di Miriam Greenberg si  trovasse lì, sotto un’altra identità, anche questa probabilmente fasulla.
Incontrarla in quel luogo era stata una semplice, per quanto assurda, coincidenza, uno scherzo del destino, oppure c’era lei dietro l’omicidio del cittadino russo e la morte del giovane Norman? E, in questo caso, quale sarebbe stata la sua prossima mossa?
C’era persino una parte di lui che temeva che fosse tornata a New York per finire ciò che aveva lasciato in sospeso quella notte di cinque anni prima, quando c’era mancato poco che lo uccidesse; certo, si era convinto che lei allora avesse deliberatamente scelto di risparmiargli la vita ma, in fondo, non poteva esserne sicuro. Non si era mai sicuri di niente con donne come quella.
E, tuttavia, non avrebbe saputo spiegarlo a parole ma la sera prima lei gli era apparsa, in qualche modo, diversa…non pensava al suo aspetto, bensì al suo sguardo, al tono con cui gli aveva parlato, a ciò che gli aveva detto, alla tristezza che aveva visto segnare i suoi lineamenti delicati mentre si allontanava da lui.
All’epoca del loro amore si era illuso di conoscerla, che lei non avesse più nulla da svelargli…anzi, lei era arrivata a lui già svelata, offrendogli tutta la sua vita con quella che gli era sembrata una spontaneità meravigliosa e che, al contrario, era stata probabilmente un astuto calcolo.
Aveva fatto l’amore con lei, a casa sua, la sera stessa in cui erano usciti insieme per la prima volta: era accaduto con estrema naturalezza, come se si conoscessero da sempre, eppure con la seducente curiosità di scoprire il corpo dell’altro per la prima volta, di carpirne i desideri, i bisogni…poi si erano addormentati l’uno accanto all’altra e, quando lui si era svegliato nel cuore della notte come spesso di accadeva, si era accorto che lei gli teneva la mano, stretta al punto che non era riuscito a liberarla se non con un certo sforzo. Da allora, era stato sempre così, ogni notte: lei si addormentava tenendolo per mano e, se gli capitava di svegliarsi, invariabilmente la sorprendeva così, ancora con la mano stretta nella sua ed un’espressione di assoluta tranquillità sul viso.
Quando glielo aveva raccontato, ne aveva riso sorpresa e lo aveva accusato di prenderla in giro; poi, più seria, gli aveva detto che no, non le era mai successo prima.
Aveva ripensato a questo e ad altri mille dettagli della loro storia durante le settimane della sua convalescenza, interrogandosi su come fosse riuscita ad ingannarlo tanto profondamente, a mentire così bene sui propri sentimenti per lui. Tuttavia - dentro di sé lo sapeva - si può mentire su tutto, in ogni momento, ma non nel sonno, quando le nostre difese sono abbassate, la logica cede al sogno ed i nostri desideri più profondi sono finalmente liberi di mostrarsi; era proprio quello il motivo per cui quel gesto, forse di per sé insignificante, non l’aveva mai dimenticato e non cessava di tornargli in mente, anche quando ciò che aveva vissuto con lei era divenuto un ricordo sbiadito, dilavato dal quotidiano e dai nuovi ricordi che aveva costruito con le altre donne che avevano occupato il suo cuore durante gli anni. 
Era stato sempre così, rifletteva il detective, tranne l’ultima notte che avevano trascorso insieme: allora, lui aveva colto nel suo sguardo un’inesprimibile malinconia di cui non era riuscito a capire la ragione (forse, si era chiesto in seguito, se avesse insistito, le cose sarebbero andate diversamente?).
Poi, però, aveva fatto l’amore con lui follemente, selvaggiamente, come non l’aveva fatto mai. Gli occhi chiusi su di lei, ne aveva goduto fino in fondo l’ardente piacere, illudendosi di comprendere ogni cosa: che in quel modo gli stesse dimostrando la sua passione, la sua gioia, il suo desiderio di vivere con lui per sempre.
Non c’era voluto molto, col senno di poi, per capire che, invece, era la consapevolezza che sarebbe stata l’ultima volta.
 
*******
Nel frattempo, Stella Bonasera si trovava da sola in ufficio quando gli agenti in borghese che dal giorno prima sorvegliavano discretamente il Consolato di ******stan le avevano comunicato la notizia che attendeva con ansia da ore.
Finalmente, Chantal Renault aveva varcato la soglia del palazzo di Park Avenue.
Finalmente, l’avrebbe catturata, chiudendo un conto che aveva in sospeso con lei da oltre cinque anni; e voleva essere proprio lei a farlo, per guardarla negli occhi subito prima di stringerle le manette intorno ai polsi e leggervi, finalmente, la paura e la resa.
Perciò, aveva chiesto ai suoi colleghi di seguirla a debita distanza, senza farsi notare, e di aspettare il suo arrivo per procedere all’arresto.
Quella mattina, Chantal Renault, appena oltrepassato il cancello, si era guardata intorno, come faceva sempre, e subito aveva avuto conferma dei suoi sospetti.
I due nella macchina blu, parcheggiata quasi di fronte, non c’era dubbio che si trattasse di poliziotti in borghese. E, dopo ciò che era accaduto la sera precedente, era quasi certa che fossero lì per lei.
Beh - pensò, respirando l’aria fresca del primo mattino, ancora odorosa di fiori - non poteva liberarsi di loro ma, forse, sarebbe riuscita a volgere la cosa a proprio vantaggio!
Tirò giù la lampo della tuta da ginnastica bianca che indossava, si sfilò la felpa e la annodò distrattamente intorno ai fianchi, prendendosi, in tal modo, qualche secondo per osservare da dietro gli occhiali da sole i due uomini che, dall’altra parte della strada, ostentavano di non far caso a lei.
Poi, con l’espressione spensierata di chi, una bella mattina di settembre, sia deciso a farsi una salutare oretta di jogging, iniziò a correre sull’ampio marciapiede alberato.
Dapprima piuttosto piano, poi, man mano che si allontanava dal Consolato, sempre più veloce.
Con la coda dell’occhio, vide che l’agente alla guida, dopo qualche secondo, mise in moto e si accinse a seguirla.
Sorrise appena.
Percorse un isolato, poi due per maggiore prudenza.
Quando ritenne di essersi allontanata abbastanza, all’improvviso si fermò. Bruscamente.
Si piegò in avanti e rimase qualche istante con le mani con le mani sulle ginocchia, il respiro leggermente affannoso, come se volesse riprendere fiato; così facendo, ebbe modo di osservare ancora gli agenti che, subito dopo, avevano fermato l’auto a qualche decina di metri di distanza.
Li vide aprire le portiere, mentre un’altra macchina arrivava a tutta velocità e si fermava proprio davanti a lei, tagliandole un’eventuale via di fuga.
Prima che le intimassero di farlo, e cogliendoli di sorpresa, Chantal Renault alzò le mani sopra la testa e rimase immobile.
In pochi istanti, le furono addosso i due uomini di prima ed una donna, che era scesa precipitosamente dalla seconda auto e che riconobbe all’istante.
Stella Bonasera, troppo ebbra di soddisfazione per notare quello strano comportamento e tacitamente reclamando a sé  - come più alta in grado - il compito (in realtà per lei solo piacevole) di procedere formalmente al suo arresto, le tolse con un gesto secco gli occhiali da sole, le lesse i suoi diritti e, con aria di trionfo, l’ammanettò.  “Scommetto che ora riuscirò a toglierti dalla faccia quell’aria beffarda!” pensò la poliziotta, fissandola per un momento mentre un agente la spingeva senza tante cerimonie sul sedile posteriore dell’auto.
Se l’avesse guardata con più attenzione, se la sua vista, solitamente acuta, non fosse stata offuscata dall’illusione della vittoria, avrebbe capito che sul volto della donna che era stata Miriam Greenberg non c’era alcuna paura. Anzi, avrebbe visto disegnarsi sulla sue labbra un sorriso leggero leggero e pieno di dolcezza.
 
*******
Ormai da quasi un’ora Chantal Renault sedeva, ammanettata, nella stanza degli interrogatori della polizia di New York; il detective Stella Bonasera aveva tentato in ogni modo di farla parlare, senza ottenere altro risultato che quello di innervosirsi sempre di più. Nulla era servito: né offerte, né promesse, ne tanto meno minacce.
L’altra restava chiusa in un ostinato mutismo, squadrando l’agente dalla testa ai piedi con, sulle labbra dipinte, un sorrisetto di scherno che a Stella stava facendo letteralmente saltare i nervi.
Era come se la fissasse per cogliere spietatamente tutti i segni che quei cinque anni avevano impresso sul suo volto e sul suo corpo; forse era solo la sua insicurezza a provocare quell’impressione, ma la cosa la faceva sentire, comunque,  in qualche modo a disagio.
Ad un tratto, Chantal, guardando oltre le spalle della poliziotta che le stava di fronte, si accorse che Mac Taylor si stava dirigendo proprio verso la stanza dove si trovavano in quel momento.
Notò che, avvicinandosi, parlava animatamente con uno degli agenti che l’avevano arrestata e che si era fermato con lui davanti alla porta. Stella non ci aveva fatto caso, né si voltò seguendo il suo sguardo.
Chantal vide l’occasione e la colse. Improvvisamente, ruppe il silenzio che aveva tenuto fino ad allora e, all’ennesima domanda sui suoi rapporti con il console che le rivolgeva l’ignara detective, sbottò: “A giudicare da come mi stai guardando, devo pensare che tu non ci sia ancora riuscita … in tutti questi anni …” Il suo tono era insieme suadente e beffardo, quasi di fasulla commiserazione.
Stella non comprese subito e le rivolse un’occhiata più interrogativa che irritata.
“Non sei ancora riuscita a portartelo a letto, non è così?” fece l’altra, indicando con la testa in direzione della porta e con un sorrisetto ironico stampato sul viso “strano…” aggiunse dopo un istante “ per me è stato facilissimo …”
A quel punto, Stella capì tutto e l’ira la travolse: non ci vide più e, cedendo a quell’aperta provocazione, cadde in trappola. Si avvicinò alla donna ammanettata e, senza dire una parola, la colpì con violenza al viso. Una, due volte, fino a farle sanguinare il naso e la bocca.
Nello stesso istante in cui alzava il braccio contro di lei, si rese conto che stava commettendo un tremendo errore, che avrebbe potuto costarle caro e che andava contro tutto ciò in cui credeva.
Nonostante ciò, tuttavia, non si fermò, consapevole del fatto che in fondo aveva desiderato farlo fin dal momento in cui Mac le aveva detto di averla riconosciuta. Le serviva solo una scusa. E quella scusa ora le era stata fornita su un piatto d’argento.
La guardò ricevere i suoi colpi senza quasi battere ciglio, né lamentarsi.
“Fredda come un serpente …” pensò con un brivido “eppure capace di suscitare passioni ardenti e dannatamente difficili da estinguere”.
“Stella, fermati! Ma che diavolo di prende?” la voce alterata di Mac, che era appena entrato nella stanza, la costrinse a smettere. L’uomo la prese per le spalle e la spinse con energia fuori, chiudendo dietro di sé la porta.
“Sei impazzita?” le chiese, brusco “è una prigioniera in custodia, è sotto la nostra responsabilità, come ti è saltato in mente di picchiarla?”
La poliziotta non rispose, umiliata e consapevole di avere fatto un’enorme sciocchezza; con improvvisa e tardiva lucidità capì anche che, agendo così, aveva fatto il gioco di quella maledetta,  allontanando Mac da lei e, contemporaneamente, facendola apparire come una vittima. Stella dovette anche ammettere, suo malgrado, che l’altra era stata molto abile, riuscendo a sfruttare a suo vantaggio una situazione di debolezza e di inferiorità.
Inutile cercare di rimediare, per ora. Mac era furioso con lei. Del resto, come dargli torto?
Era stato un colpo di testa che avrebbe potuto costarle la carriera - e forse anche la libertà - se a quella donna fosse saltato in mente di denunciarla … aveva messo la sua carriera nelle mani di una sgualdrina, pensò con rabbia e orrore. Per non parlare della delusione che leggeva negli occhi di Mac in quel momento e che le provocò una fitta di dolore in mezzo al petto.
“Fammi un favore” proseguì lui, aspro “ora sta lontana da lei o sarò costretto a toglierti da questo caso!”.
Senza guardarla, rientrò nella stanza e Stella, sbirciando oltre la porta a vetri, notò che Chantal Renault aveva osservato tutta la scena e pensò che, di sicuro, in quel momento stata ridendo mentalmente di lei. Giurò che gliel’avrebbe fatta pagare, a qualunque costo.
Poi, a malincuore, si allontanò.
“Accidenti …” disse Mac, avvicinandosi alla donna che, ancora legata, sedeva davanti a lui.
Teneva il capo leggermente reclinato in avanti e gli occhi chiusi; un filo di sangue rosso vivo colava da una narice e sporcava appena l’angolo sinistro della bocca. Tirò fuori dalla tasca della giacca un fazzoletto bianco e, inginocchiatosi davanti a lei, pulì con delicatezza il sangue, tamponandole piano il naso.
Lei aprì gli occhi e gli sorrise.
“Sei sempre stato un gentiluomo, Mac Taylor …” disse dolcemente.
“Piantala!” ribatté lui, duro.
“Che cos’hai detto a Stella per farla infuriare in quel modo? Non l’ho mai vista così alterata!” le domandò.
“Chiedilo a lei“ rispose Chantal senza smettere di sorridere “sono certa che sarebbe ben lieta di spiegartelo!”
“Non avrebbe dovuto!” fece lui, aggiungendo poi con intenzione “non siamo certo abituati ad usare questi sistemi qui, neanche con i peggiori delinquenti…”
Inaspettatamente, sul volto di lei comparve un’aria divertita. “Ne sono sicura!” ribatté “e comunque me lo meritavo …”
Lui la fissò per un istante, senza parole; era riuscita, una volta di più, a sorprenderlo.
“Non temere” proseguì, raddrizzando la schiena intorpidita per la lunga immobilità “riferisci pure a Stella che non dirò nulla, quello che è accaduto non uscirà da questa stanza”.
Senza rispondere, Mac ripiegò il fazzoletto e lo appoggiò sul tavolo.
Cominciò a camminare avanti e indietro, rimanendo in silenzio.
Poi, si fermò a due passi da lei, con le braccia incrociate e la schiena appoggiata contro la parete.
Il suo volto era del tutto impenetrabile.
“Mi hanno detto che non vuoi collaborare” riprese, infine, con un tono piano che non tradiva alcuna emozione “bene, dove stai per andare avrai tutto il tempo per pensarci su e deciderti a dire finalmente chi sei e cosa ci facevi al Consolato …”
Lei scosse lentamente il capo e alzò lo sguardo sull’uomo che le stava di fronte.
Fissandolo, disse con amarezza: “Evidentemente è destino che io debba sempre deludere le tue aspettative” tacque un istante “perché tra meno di un’ora sarò fuori di qui …”
Questa volta fu Mac a sorridere, beffardo.
“Sei completamente pazza se pensi di cavartela anche stavolta!” esclamò.
“Mi dispiace” continuò lei “credimi, vorrei davvero raccontarti la verità, spiegarti come stanno le cose, ma questo non è il luogo, né il momento adatto”.
Il detective afferrò una delle sedie, la piazzò a meno di un metro da quella cui era ammanettata la giovane donna e vi si sedette, al contrario, con le braccia appoggiate alla sommità dello schienale.
La fissò in volto per qualche istante, tentando di capire cosa si celasse dietro quello sguardo enigmatico, eppure così dannatamente affascinante.
“Si può sapere a che gioco stai giocando?” le chiese.
Chantal Renault tacque un momento, chiuse gli occhi e poi li riaprì, sospirò profondamente e disse, con voce tanto sottile che lui dovette chinarsi verso di lei per udirla: “Io non sto giocando con te…”
Era una voce innamorata, carezzevole, il cui soave mormorio era traboccante di dolcezza.
Sorrise di una lenta, carminia malia. Il suo sorriso era una curva minaccia, diabolicamente seducente, quanto l’amabilità dei suoi delicati, alteri lineamenti; gli occhi trasparenti, dalle lunghe ciglia ricurve, non avevano paura e lo fissavano così intensamente da penetrargli nell’anima.
“Perché stai facendo questo?” gli sfuggì.
“La risposta è che sei anche tu a volerlo…” rispose lei, in un soffio.
“Sei completamente pazza …” ripeté Mac Taylor, ma non si allontanò da lei, né si alzò dalla sedia.
Rimase, invece, immobile, senza riuscire a sottrarsi a quella profonda e improvvisa fascinazione.
I suoi occhi, le sue labbra, erano sempre più vicini …

  
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