Stare la mattina casa da scuola è veramente supermegafoxyawesomehot! Comunque, ieri sera, complice la casa libera perchè i mei non c'erano, ho finito il secondo capitolo (E ne ho sentite su una marea quando sono tornati a casa e si sono accorti che ancora stavo scrivendo, sigh) Quindi oggi aggiorno, non vedevo l'ora, davvero, non riuscivo ad aspettare e quindi, anche se mi ero ripromessa di aspettare, eccomi qui a pubblicare!
Ringrazio per i consensi ricevuti, davvero, e prometto che non appena pubblico rispondo anche alle recensioni, che ringrazio infinitamente. (Vi amo)
Vi prometto che questo sarà l'ultimo capitolo depresso della storia, dal prossimo in poi le cose si smuoveranno! E ci saranno anche incontri intereressanti. Sembrerò una mendicante che implora recensioni, e probabilmente è quello che sono quindi, ci prego, fatemi sapere che cosa ne pensate! Anche in negativo, mi farebbe molto piacere. Un abbraccio Spero che il capitolo vi piaccia BluCannella
Capitolo 2
Kurt quella
mattina si svegliò
più tardi del solito.
Allungò
le braccia sopra la testa
e si stiracchiò, sentendo tutte le giunture del suo corpo
che scricchiolavano.
Decisamente
non una bella
sensazione.
Si
girò lentamente sui fianchi
per poi notare che il letto era vuoto. Poco male, non gli importava
granché che
la ragazza restasse, anzi non gliene importava proprio niente.
Pensò
che ancora non se ne
ricordava il nome. Aveva smesso di curarsi dei nomi da tempo ormai,
rendevano
solo più facile il ricordarsi di ciò che era
costretto a fare, e lo rendevano
più reale. Dannatamente
reale.
Svogliatamente
uscì dalle
lenzuola e posò i piedi sul pavimento del suo appartamento.
Freddo.
Rabbrividì
ed istantaneamente
contorse i piedi affrettandosi a cercare le sue ciabatte.
Se le
infilò in fretta e subito
dopo indossò una tuta sgualcita.
Sorrise tra
sé pensando a quello
che i suoi vecchi amici avrebbero detto riguardo a quell’
inusuale scelta di vestiti.
Lui, Kurt Hummel, con una tuta? Non era possibile. O almeno, non per il
vecchio
Kurt.
Quello nuovo
ne aveva
maledettamente bisogno, invece, aveva bisogno di riposarsi, di non
dover
preoccuparsi di come apparisse al mondo, come era costretto a fare ogni
volta
che aveva un’ intervista o che qualcuno lo fermava per strada.
E Kurt era
stanco di fingere.
Stanco di fingere che andasse tutto bene, che tutto ciò che
stava passando non
gli pesasse, che la sua vita non
gli
pesasse.
Perché
era proprio così che
andavano le cose.
Kurt non
sopportava più se
stesso, quello che era stato costretto a diventare.
No, si
corresse, quello che aveva
scelto, di diventare.
Si
trascinò i cucina dopo aver
fatto tappa in bagno per sistemare quel disastro che era la sua faccia
di prima
mattina.
Preparò
un caffè caldo fumante e
mentre aspettava che si riscaldasse indossò un cappotto per
ripararsi dal
freddo ed uscì dall’appartamento per prendere la
posta della mattina.
Scese di
fretta le scale ed aprì
la cassetta della posta, trovandoci dentro una copia di Vogue,
un’ ossessione
che non aveva mai perso, e due lettere a cui non diede molto peso.
Tornato
nell’ appartamento si
sedette sul divano, la tazza di caffè in una mano ed il
giornale poggiato sulle
ginocchia, non curandosi delle due buste che erano state poggiate
malamente sul
tavolo in cucina.
Neanche
sperando che una di
quelle avrebbe potuto cambiargli la vita.
Semplicemente
aveva smesso di
sperare che esistesse qualcosa che potesse farlo.
“Ehi
bella ragazza!” Ululò un
uomo che camminava in gruppo, in mano una bottiglia di birra di dubbia
qualità
“Che ne dici di farti un giro con il vecchio Tom,
eh?”
Uno scoppio
di risate accompagnò
quell’ esclamazione, ma la ragazza non volse lo sguardo verso
la fonte di
quelle urla; aveva ormai imparato ad ignorare i commenti volgari degli
ubriachi
che affollavano le strade di New York il Sabato sera.
Camminò
più svelta stringendo le
mani l’una nell’ altra, come gesto istantaneo di
protezione, e quando vide l’insegna
dell’ Anonymus si
lasciò sfuggire un
sospiro che la aiutò a scaricare la tensione.
Notò
la coda della gente che
aspettava davanti all’ entrata e John, il buttafuori, che
cercava di contenere
le persone che avevano appena giurato di aver visto Anne Hathaway
entrare
accompagnata da un collega.
Cosa che
probabilmente era vera.
Mercedes
fece un cenno di saluto
a John, che subito la riconobbe e le permise di superare la coda.
“Ciao
bellezza” ammiccò lui sorridendo
sornione.
Lei in tutta
risposta gli
schioccò un sonoro bacio sulla guancia e si diresse verso
l’interno dell’
edificio.
Mercedes
faceva ancora fatica a
credere che quella che stava vivendo fosse davvero la sua vita.
Neanche
nelle sue più rosee
fantasie si era mai immaginata di avere la possibilità di
andare a vivere a New
York, la sua amata New York, e di trovare lavoro come cantante in uno
dei
locali più in della
città.
E invece era
successo, e lei ne
era ancora stordita.
Aveva ormai
perso il conto delle
volte che si era data dei forti pizzicotti per verificare che non fosse
tutto
solo un sogno, che tutto ciò che stava vivendo fosse vero.
“Mercedes
tra cinque minuti vai
in scena, muovi quelle chiappe e sbrigati a prepararti!”
“Ann
tranquilla, in cinque minuti
faccio in tempo a vestirmi e truccarmi potendomi pure permettere di
indugiare
sulla scelta del vestito” rispose tranquillamente Mercedes
alla ragazza che le
si parò di fronte. Le sopracciglia accigliate e la faccia
pervasa da
preoccupazione.
La prima
volta che aveva
incontrato Ann e che aveva scoperto che era colei che si occupava di
tutto ciò
che riguardasse musica ed esibizioni dal vivo nel locale,
l’unica cosa che era
riuscita a pensare era che quella ragazza fosse la più
isterica che avesse mai
conosciuto in tutta la sua vita.
E se
superava Rachel Berry allora
voleva dire che doveva essere davvero
isterica.
Invece, dopo
aver superato a
fatica i primi giorni, che, a detta di Ann, erano i più
difficili, in quanto
bisognava organizzare tutto, prepararle i vestiti di scena e permettere
che lei
prendesse famigliarità col palco, aveva scoperto che passare
del tempo con lei
non era poi così male, e che fuori dal lavoro riusciva anche
ad essere
divertente.
Sorridendole
si precipitò nel
camerino per prepararsi perché, lo doveva ammettere, il
tempo era davvero poco
e lei non poteva davvero permettersi di sprecarne.
I truccatori
si apprestarono a
sistemarle il viso mentre lei si infilava nel vestito preparato per
quella
sera.
Rosso
brillante.
Adorava il
rosso, la faceva
sentire una donna, una donna desiderabile.
Sentì
la voce di Ann che saliva
sul palco del locale e che annunciava la sua entrata, per poi
allontanarsi con
un inchino.
Il pianista
attaccò la musica e
gli archi lo seguirono.
Ecco il
vantaggio di suonare in
un locale famoso: disponeva di un’ intera orchestra ad
accompagnarla.
Mentre sulle
travi del palco si
diffondeva un sottile strato di vapore, abile trucco degli
sceneggiatori per
creare un effetto scenico, e le luci diventavano di un blu scuro,
Mercedes
entrò in scena lentamente, e si posizionò di
fronte al microfono, sorridendo al
pubblico ed iniziando a cantare.
Lasciò
vagare lo sguardo,
compiaciuta, sulla folla della gente che era lì solo per
ascoltarla, ed era
quasi sicura di aver riconosciuto più di un vip di fama
internazionale.
Di sicuro
quello con lo strano
pizzetto non poteva che essere Johnny Deep, e quello che gli sedeva
accanto e
che rideva animatamente per un battuta aveva l’aria
estremamente famigliare. Lo
doveva aver visto in un film o in qualche programma televisivo.
Sì,
sicuramente.
Quando la
canzone finì la sala fu
riempita dagli applausi e Mercedes si permise di fare un leggero
inchino, prima
dell’ inizio della canzone che seguiva.
Si stava
giusto lasciando trasportare
dalla melodia quando notò qualcosa.
O forse
è meglio dire qualcuno.
E no, non
poteva essere.
Perché
ormai non lo considerava neanche
più come qualcosa di realizzabile.
Ma vederlo
lì, seduto da solo in
un angolo della sala, tra le mani un bicchiere di qualche bibita
probabilmente
scelta accuratamente perché non avesse neanche uno zucchero
di troppo, le
ricordò che niente era irrealizzabile, che niente era
impossibile.
E lei
semplicemente non ci
credeva, dopo tanto tempo che desiderava vederlo, ascoltare la sua voce
mentre
si lamentava di un capo di moda che ormai di moda non era
più, abbracciarlo e
sentirlo vicino, non ci credeva che finalmente lui fosse lì,
tanto vicino ed a
portata di mano.
Una fitta le
trafisse lo stomaco
nell’ accorgersi di quanto effettivamente le fosse mancato
avere Kurt Hummel al
suo fianco.
Quando
l’esibizione terminò ed il
locale si approssimava alla chiusura, Mercedes corse letteralmente
giù dal
palco, talmente velocemente che a momenti sarebbe inciampata nel
vestito e
caduta irrimediabilmente a terra, rompendolo.
Non
poteva lasciarlo andare.
Fiondatasi
nel camerino si
spogliò il più in fretta che riuscì e
si infilò i suoi vestiti non curandosi di
sistemarseli bene o di togliersi il trucco.
Uscì
dal locale e per un attimo
temette di averlo perso.
Si
alzò sulle punte dei piedi per
vedere oltre la folla e fece scorrere con gli occhi la gente che la
circondava
Maledizione,
ci aveva messo
troppo tempo.
Il cuore le
balzò in gola quando
però vide, con sua enorme felicità, che il
ragazzo era esattamente dall’altro
lato della strada, riconoscendolo per la sua chioma sempre e
rigorosamente
laccata per aria.
“Kurt!”
urlò, non pensando sul
momento che se si fosse accorto che lei lo stava seguendo magari
avrebbe
tentato di scappare. D’altronde era lui che se
n’era andato dal locale senza
neanche fermarsi a parlare, era lui che l’aveva evitata per
tutto quel tempo.
Era lui che aveva evitato tutti.
Il ragazzo,
non appena sentita la
voce che chiamava il suo nome si girò.
L’espressione rassegnata di chi sapeva
che prima o poi ci avrebbe avuto a che fare, con quello da cui fuggiva.
Ma non si
mosse. Non un solo
passo.
Non diede
segni di ripensamento,
non si mise a correre né fece finta di non essere se stesso
ignorando i
richiami della ragazza.
Semplicemente
rimase lì.
Gli occhi
azzurri fissi nel
vuoto.
Qualcosa si
ruppe dentro di Kurt
nel momento in cui vide Mercedes cantare sul palco.
E sapeva
anche benissimo cosa.
Era
ciò che si era impegnato a
costruire durante quegli anni.
Ciò
che gli aveva costato tanta
fatica, e che ogni sue lacrima e sofferenza avevano temprato.
Era la sua
corazza, la sua
protezione.
E lui non ci
credeva, non ci
poteva credere che si potesse essere rotta così, in neanche
un secondo.
Perché
ci aveva messo così tanto,
a costruirla, e non poteva bastare una voce, un’immagine del
suo passato, ad
intaccarla.
Non poteva
essere.
Era per
quello che non aveva più
voluto avere contatti con nessuno, nessuno che gli ricordasse la sua
vecchia
scuola, o il Glee club.
Se voleva
sopravvivere ne aveva
bisogno, di quella corazza.
Ma tuttavia
non riuscì a
muoversi. Non riuscì a compiere un passo per allontanarsi,
quando fuori dal
locale lei lo chiamò.
Semplicemente
perché non lo
voleva neanche più.
Era stufo,
stanco e spossato.
E forse, se
esisteva qualcuno
lassù, gli stava dando un’ altra
possibilità.
La
possibilità di raccogliere i
cocci della sua vita ed incollarli insieme. Di fare qualcosa di buono,
di
riacquistare quella luce negli occhi che sapeva si era spenta.
E Mercedes
poteva aiutarlo, ne
era sicuro.
“Mercedes…”
sussurrò più a se
stesso che a qualcun altro.
“Mercedes…”
ripeté quasi
singhiozzando, mentre le lacrime iniziavano a rigargli le guance.
Quando la
ragazza lo raggiunse senza
bisogno di parole si strinsero in un abbraccio bisognoso.
“Sono
qui Kurt, sono qui”
Pochi minuti
dopo Kurt stava
armeggiano con le chiavi di casa con Mercedes dietro di lui, che, non
appena
aprì la porta, riuscì a stento a trattenere un
sospiro di ammirazione, estasiata
dal super attico dove Kurt alloggiava, chiedendosi quanto dovesse
guadagnare
l’amico per potersi permettere un posto del genere.
Non avevano
detto una parola dopo
l’incontro.
Semplicemente
avevano bisogno di
stare l’uno vicino all’altro.
Così
Kurt aveva iniziato a
camminare e Mercedes l’aveva seguito, senza preoccuparsi di
quale fosse la
meta. Affidandosi completamente a Kurt.
Mentre
quest’ ultimo le chiedeva
gentilmente il cappotto per appenderlo dietro la porta lei si
guardò in giro e,
adocchiando il divano, si buttò sopra di esso, terribilmente
stanca.
Iniziare il
discorso non fu
facile. C’erano troppi argomenti tabù, troppe
domandi irrisolte sepolte nell’
interno di loro stessi, che non potevano essere fatte, troppa
curiosità, troppa
paura.
Ma come
inizio andava bene.
Qualche domanda circostanziale, informazioni sulla loro vita, sul loro
lavoro.
Kurt non
chiedeva di più, né
Mercedes voleva di più, che la vicinanza dell’
altro.
La mattina
dopo Kurt si svegliò
meno triste degli altri giorni.
Mercedes era
tornata a casa
quella notte, ma si erano scambiati gli indirizzi ed i rispettivi
numeri di
telefono. Si sarebbero rivisti, ne erano certi entrambi.
Dopo aver
attuato la sua routine
mattutina Kurt si diresse in cucina, notando solo in quel momento le
lettere
del giorno prima che non aveva degnato di uno sguardo.
Vide che una
era la bolletta
della luce, e di malavoglia la spostò da parte.
Fu
l’altra ad incuriosirlo.
C’era
scritto solo Kurt Hummel,
nessun indizio che fosse di qualche società, o che fosse la
pubblicità di
qualche nuovo elettrodomestico di ultima generazione.
Curiosò
la aprì, e vide che al
suo interno c’era un foglio bianco accecante,
ripiegato in tre.
Si
affrettò ad aprirlo, e lesse
velocemente la testata.
45°
edizione del concorso regionale di canto coreografato per Glee Clubs
Kurt
sbattè un attimo le
palpebre, credendo di aver letto male.
Non poteva
essere.
Febbrilmente
fece scorrere gli occhi
saltando tutta l’introduzione che spiegava le regole e che
cosa di preciso
fosse quell’ evento che Kurt conosceva bene.
Improvvisamente
tra le righe
scorse il suo nome. Si fermò. Inspirò
profondamente. E lesse quello che, che ci
credesse o no, gli
avrebbe per sempre
cambiato la vita.
Con
la presente per l’edizione di quest’anno vorremo
chiedere al sig, Kurt Hummel,
nota star di Broadway con palese conoscenza del mondo del canto e del
balletto,
di presenziare come giudice alla competizione,che quest’anno
si terrà al lice
McKinley (Lima - Ohio), sperando che la sua esperienza in campo ci
permetta di
portare il livello della competizione ad un grado di serietà
e credibilità più
alto, senza togliere il fatto che una figura di riferimento come la sua
potrebbe
essere da stimolo per i ragazzi che inseguono il suo stesso sogno.
Le
chiediamo conferma della sue presenza, e la preghiamo di prendere
seriamente in
considerazione la richiesta
Cogliamo
l’occasione per porgerLe i più cordiali saluti
Mark
Smith
Barbara
Nott
Michael
Gordon