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Autore: BlueCinnamon15    17/04/2012    5 recensioni
“Blaine-“
“Tu non sai più chi sei, Kurt, tu-“
“BLAINE! Credi che sia stato facile non correre indietro? Credi che non abbia pensato mai a come sarebbe stata la mia vita se non avessi fatto quello che ho fatto? Ma non posso, dannazione, non posso!”
“Il problema è che non mi hai mai detto perché! Una spiegazione, Kurt è tutto quello che ti ho sempre chiesto!”
“Era il mio sogno, Blaine, non potevo lasciarlo, tu mi hai sempre detto di inseguire i miei sogni-“
“Beh, sai che ti dico Kurt? Vaffanculo! Perché indovina un po’ qual’era il mio sogno Kurt? Tu.”
E detto questo si girò e corse via, infilandosi velocemente in macchina e lasciando un Kurt tanto distrutto quanto non si era mai sentito in tutta la sua vita.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2
Ok, buongiorno popolo di EFP!

Stare la mattina  casa da scuola è veramente supermegafoxyawesomehot!
Comunque, ieri sera, complice la casa libera perchè i mei non c'erano, ho finito il secondo capitolo (E ne ho sentite su una marea quando sono tornati a casa e si sono accorti che ancora stavo scrivendo, sigh)
Quindi oggi aggiorno, non vedevo l'ora, davvero, non riuscivo ad aspettare e quindi, anche se mi ero ripromessa di aspettare, eccomi qui a pubblicare!
Ringrazio per i consensi ricevuti, davvero, e prometto che non appena pubblico rispondo anche alle recensioni, che ringrazio infinitamente. (Vi amo)
Vi prometto che questo sarà l'ultimo capitolo depresso della storia, dal prossimo in poi le cose si smuoveranno! E ci saranno anche incontri intereressanti.
Sembrerò una mendicante che implora recensioni, e probabilmente è quello che sono quindi, ci prego, fatemi sapere che cosa ne pensate! Anche in negativo, mi farebbe molto piacere.
Un abbraccio
Spero che il capitolo vi piaccia
BluCannella

Capitolo 2

Kurt quella mattina si svegliò più tardi del solito.

Allungò le braccia sopra la testa e si stiracchiò, sentendo tutte le giunture del suo corpo che scricchiolavano.

Decisamente non una bella sensazione.

Si girò lentamente sui fianchi per poi notare che il letto era vuoto. Poco male, non gli importava granché che la ragazza restasse, anzi non gliene importava proprio niente.

Pensò che ancora non se ne ricordava il nome. Aveva smesso di curarsi dei nomi da tempo ormai, rendevano solo più facile il ricordarsi di ciò che era costretto a fare, e lo rendevano più reale. Dannatamente reale.

Svogliatamente uscì dalle lenzuola e posò i piedi sul pavimento del suo appartamento.

Freddo.

Rabbrividì ed istantaneamente contorse i piedi affrettandosi a cercare le sue ciabatte.

Se le infilò in fretta e subito dopo indossò una tuta sgualcita.

Sorrise tra sé pensando a quello che i suoi vecchi amici avrebbero detto riguardo a quell’ inusuale scelta di vestiti. Lui, Kurt Hummel, con una tuta? Non era possibile. O almeno, non per il vecchio Kurt.

Quello nuovo ne aveva maledettamente bisogno, invece, aveva bisogno di riposarsi, di non dover preoccuparsi di come apparisse al mondo, come era costretto a fare ogni volta che aveva un’ intervista o che qualcuno lo fermava per strada.

E Kurt era stanco di fingere. Stanco di fingere che andasse tutto bene, che tutto ciò che stava passando non gli pesasse, che la sua vita non gli pesasse.

Perché era proprio così che andavano le cose.

Kurt non sopportava più se stesso, quello che era stato costretto a diventare.

No, si corresse, quello che aveva scelto, di diventare.

Si trascinò i cucina dopo aver fatto tappa in bagno per sistemare quel disastro che era la sua faccia di prima mattina.

Preparò un caffè caldo fumante e mentre aspettava che si riscaldasse indossò un cappotto per ripararsi dal freddo ed uscì dall’appartamento per prendere la posta della mattina.

Scese di fretta le scale ed aprì la cassetta della posta, trovandoci dentro una copia di Vogue, un’ ossessione che non aveva mai perso, e due lettere a cui non diede molto peso.

Tornato nell’ appartamento si sedette sul divano, la tazza di caffè in una mano ed il giornale poggiato sulle ginocchia, non curandosi delle due buste che erano state poggiate malamente sul tavolo in cucina.

Neanche sperando che una di quelle avrebbe potuto cambiargli la vita.

Semplicemente aveva smesso di sperare che esistesse qualcosa che potesse farlo.

 

 

“Ehi bella ragazza!” Ululò un uomo che camminava in gruppo, in mano una bottiglia di birra di dubbia qualità “Che ne dici di farti un giro con il vecchio Tom, eh?”

Uno scoppio di risate accompagnò quell’ esclamazione, ma la ragazza non volse lo sguardo verso la fonte di quelle urla; aveva ormai imparato ad ignorare i commenti volgari degli ubriachi che affollavano le strade di New York il Sabato sera.

Camminò più svelta stringendo le mani l’una nell’ altra, come gesto istantaneo di protezione, e quando vide l’insegna dell’ Anonymus si lasciò sfuggire un sospiro che la aiutò a scaricare la tensione.

Notò la coda della gente che aspettava davanti all’ entrata e John, il buttafuori, che cercava di contenere le persone che avevano appena giurato di aver visto Anne Hathaway entrare accompagnata da un collega.

Cosa che probabilmente era vera.

Mercedes fece un cenno di saluto a John, che subito la riconobbe e le permise di superare la coda.

“Ciao bellezza” ammiccò lui sorridendo sornione.

Lei in tutta risposta gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia e si diresse verso l’interno dell’ edificio.

Mercedes faceva ancora fatica a credere che quella che stava vivendo fosse davvero la sua vita.

Neanche nelle sue più rosee fantasie si era mai immaginata di avere la possibilità di andare a vivere a New York, la sua amata New York, e di trovare lavoro come cantante in uno dei locali più in della città.

E invece era successo, e lei ne era ancora stordita.

Aveva ormai perso il conto delle volte che si era data dei forti pizzicotti per verificare che non fosse tutto solo un sogno, che tutto ciò che stava vivendo fosse vero.

“Mercedes tra cinque minuti vai in scena, muovi quelle chiappe e sbrigati a prepararti!”

“Ann tranquilla, in cinque minuti faccio in tempo a vestirmi e truccarmi potendomi pure permettere di indugiare sulla scelta del vestito” rispose tranquillamente Mercedes alla ragazza che le si parò di fronte. Le sopracciglia accigliate e la faccia pervasa da preoccupazione.

La prima volta che aveva incontrato Ann e che aveva scoperto che era colei che si occupava di tutto ciò che riguardasse musica ed esibizioni dal vivo nel locale, l’unica cosa che era riuscita a pensare era che quella ragazza fosse la più isterica che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita.

E se superava Rachel Berry allora voleva dire che doveva essere davvero isterica.

Invece, dopo aver superato a fatica i primi giorni, che, a detta di Ann, erano i più difficili, in quanto bisognava organizzare tutto, prepararle i vestiti di scena e permettere che lei prendesse famigliarità col palco, aveva scoperto che passare del tempo con lei non era poi così male, e che fuori dal lavoro riusciva anche ad essere divertente.

Sorridendole si precipitò nel camerino per prepararsi perché, lo doveva ammettere, il tempo era davvero poco e lei non poteva davvero permettersi di sprecarne.

I truccatori si apprestarono a sistemarle il viso mentre lei si infilava nel vestito preparato per quella sera.

Rosso brillante.

Adorava il rosso, la faceva sentire una donna, una donna desiderabile.

Sentì la voce di Ann che saliva sul palco del locale e che annunciava la sua entrata, per poi allontanarsi con un inchino.

Il pianista attaccò la musica e gli archi lo seguirono.

Ecco il vantaggio di suonare in un locale famoso: disponeva di un’ intera orchestra ad accompagnarla.

Mentre sulle travi del palco si diffondeva un sottile strato di vapore, abile trucco degli sceneggiatori per creare un effetto scenico, e le luci diventavano di un blu scuro, Mercedes entrò in scena lentamente, e si posizionò di fronte al microfono, sorridendo al pubblico ed iniziando a cantare.

Lasciò vagare lo sguardo, compiaciuta, sulla folla della gente che era lì solo per ascoltarla, ed era quasi sicura di aver riconosciuto più di un vip di fama internazionale.

Di sicuro quello con lo strano pizzetto non poteva che essere Johnny Deep, e quello che gli sedeva accanto e che rideva animatamente per un battuta aveva l’aria estremamente famigliare. Lo doveva aver visto in un film o in qualche programma televisivo. Sì, sicuramente.

Quando la canzone finì la sala fu riempita dagli applausi e Mercedes si permise di fare un leggero inchino, prima dell’ inizio della canzone che seguiva.

Si stava giusto lasciando trasportare dalla melodia quando notò qualcosa.

O forse è meglio dire qualcuno.

E no, non poteva essere.

Perché ormai non lo considerava neanche più come qualcosa di realizzabile.

Ma vederlo lì, seduto da solo in un angolo della sala, tra le mani un bicchiere di qualche bibita probabilmente scelta accuratamente perché non avesse neanche uno zucchero di troppo, le ricordò che niente era irrealizzabile, che niente era impossibile.

E lei semplicemente non ci credeva, dopo tanto tempo che desiderava vederlo, ascoltare la sua voce mentre si lamentava di un capo di moda che ormai di moda non era più, abbracciarlo e sentirlo vicino, non ci credeva che finalmente lui fosse lì, tanto vicino ed a portata di mano.

Una fitta le trafisse lo stomaco nell’ accorgersi di quanto effettivamente le fosse mancato avere Kurt Hummel al suo fianco.

 

 

Quando l’esibizione terminò ed il locale si approssimava alla chiusura, Mercedes corse letteralmente giù dal palco, talmente velocemente che a momenti sarebbe inciampata nel vestito e caduta irrimediabilmente a terra, rompendolo.

Non poteva lasciarlo andare.

Fiondatasi nel camerino si spogliò il più in fretta che riuscì e si infilò i suoi vestiti non curandosi di sistemarseli bene o di togliersi il trucco.

Uscì dal locale e per un attimo temette di averlo perso.

Si alzò sulle punte dei piedi per vedere oltre la folla e fece scorrere con gli occhi la gente che la circondava

Maledizione, ci aveva messo troppo tempo.

Il cuore le balzò in gola quando però vide, con sua enorme felicità, che il ragazzo era esattamente dall’altro lato della strada, riconoscendolo per la sua chioma sempre e rigorosamente laccata per aria.

“Kurt!” urlò, non pensando sul momento che se si fosse accorto che lei lo stava seguendo magari avrebbe tentato di scappare. D’altronde era lui che se n’era andato dal locale senza neanche fermarsi a parlare, era lui che l’aveva evitata per tutto quel tempo. Era lui che aveva evitato tutti.

Il ragazzo, non appena sentita la voce che chiamava il suo nome si girò. L’espressione rassegnata di chi sapeva che prima o poi ci avrebbe avuto a che fare, con quello da cui fuggiva.

Ma non si mosse. Non un solo passo.

Non diede segni di ripensamento, non si mise a correre né fece finta di non essere se stesso ignorando i richiami della ragazza.

Semplicemente rimase lì.

Gli occhi azzurri fissi nel vuoto.

 

 

Qualcosa si ruppe dentro di Kurt nel momento in cui vide Mercedes cantare sul palco.

E sapeva anche benissimo cosa.

Era ciò che si era impegnato a costruire durante quegli anni.

Ciò che gli aveva costato tanta fatica, e che ogni sue lacrima e sofferenza avevano temprato.

Era la sua corazza, la sua protezione.

E lui non ci credeva, non ci poteva credere che si potesse essere rotta così, in neanche un secondo.

Perché ci aveva messo così tanto, a costruirla, e non poteva bastare una voce, un’immagine del suo passato, ad intaccarla.

Non poteva essere.

Era per quello che non aveva più voluto avere contatti con nessuno, nessuno che gli ricordasse la sua vecchia scuola, o il Glee club.

Se voleva sopravvivere ne aveva bisogno, di quella corazza.

Ma tuttavia non riuscì a muoversi. Non riuscì a compiere un passo per allontanarsi, quando fuori dal locale lei lo chiamò.

Semplicemente perché non lo voleva neanche più.

Era stufo, stanco e spossato.

E forse, se esisteva qualcuno lassù, gli stava dando un’ altra possibilità.

La possibilità di raccogliere i cocci della sua vita ed incollarli insieme. Di fare qualcosa di buono, di riacquistare quella luce negli occhi che sapeva si era spenta.

E Mercedes poteva aiutarlo, ne era sicuro.

“Mercedes…” sussurrò più a se stesso che a qualcun altro.

“Mercedes…” ripeté quasi singhiozzando, mentre le lacrime iniziavano a rigargli le guance.

Quando la ragazza lo raggiunse senza bisogno di parole si strinsero in un abbraccio bisognoso.

“Sono qui Kurt, sono qui”

 

 

Pochi minuti dopo Kurt stava armeggiano con le chiavi di casa con Mercedes dietro di lui, che, non appena aprì la porta, riuscì a stento a trattenere un sospiro di ammirazione, estasiata dal super attico dove Kurt alloggiava, chiedendosi quanto dovesse guadagnare l’amico per potersi permettere un posto del genere.

Non avevano detto una parola dopo l’incontro.

Semplicemente avevano bisogno di stare l’uno vicino all’altro.

Così Kurt aveva iniziato a camminare e Mercedes l’aveva seguito, senza preoccuparsi di quale fosse la meta. Affidandosi completamente a Kurt.

Mentre quest’ ultimo le chiedeva gentilmente il cappotto per appenderlo dietro la porta lei si guardò in giro e, adocchiando il divano, si buttò sopra di esso, terribilmente stanca.

Iniziare il discorso non fu facile. C’erano troppi argomenti tabù, troppe domandi irrisolte sepolte nell’ interno di loro stessi, che non potevano essere fatte, troppa curiosità, troppa paura.

Ma come inizio andava bene. Qualche domanda circostanziale, informazioni sulla loro vita, sul loro lavoro.

Kurt non chiedeva di più, né Mercedes voleva di più, che la vicinanza dell’ altro.

 

 

La mattina dopo Kurt si svegliò meno triste degli altri giorni.

Mercedes era tornata a casa quella notte, ma si erano scambiati gli indirizzi ed i rispettivi numeri di telefono. Si sarebbero rivisti, ne erano certi entrambi.

Dopo aver attuato la sua routine mattutina Kurt si diresse in cucina, notando solo in quel momento le lettere del giorno prima che non aveva degnato di uno sguardo.

Vide che una era la bolletta della luce, e di malavoglia la spostò da parte.

Fu l’altra ad incuriosirlo.

C’era scritto solo Kurt Hummel, nessun indizio che fosse di qualche società, o che fosse la pubblicità di qualche nuovo elettrodomestico di ultima generazione.

Curiosò la aprì, e vide che al suo interno c’era un foglio bianco accecante,  ripiegato in tre.

Si affrettò ad aprirlo, e lesse velocemente la testata.

 

45° edizione del concorso regionale di canto coreografato per Glee Clubs

 

Kurt sbattè un attimo le palpebre, credendo di aver letto male.

Non poteva essere.

Febbrilmente fece scorrere gli occhi saltando tutta l’introduzione che spiegava le regole e che cosa di preciso fosse quell’ evento che Kurt conosceva bene.

Improvvisamente tra le righe scorse il suo nome. Si fermò. Inspirò profondamente. E lesse quello che, che ci credesse o no,  gli avrebbe per sempre cambiato la vita.

 

Con la presente per l’edizione di quest’anno vorremo chiedere al sig, Kurt Hummel, nota star di Broadway con palese conoscenza del mondo del canto e del balletto, di presenziare come giudice alla competizione,che quest’anno si terrà al lice McKinley (Lima - Ohio), sperando che la sua esperienza in campo ci permetta di portare il livello della competizione ad un grado di serietà e credibilità più alto, senza togliere il fatto che una figura di riferimento come la sua potrebbe essere da stimolo per i ragazzi che inseguono il suo stesso sogno.

Le chiediamo conferma della sue presenza, e la preghiamo di prendere seriamente in considerazione la richiesta

Cogliamo l’occasione per porgerLe i più cordiali saluti

 

Mark Smith

Barbara Nott

Michael Gordon

   
 
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