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Autore: shoved2agree    17/04/2012    8 recensioni
[Traduzione][Frerard]traduzione di OhCheshireCat
Gerard Way vede il mondo in modo differente. Solo e segregato in un istituto psichiatrico, afferma di essere braccato, e che la sua mente contenga la chiave dell'esistenza. Davvero Gerard è in possesso di un segreto così potente? O è solo pazzo, come tutti gli altri all'interno dell'ospedale?
Pensavo di potermi nascondere da loro. Pensavo che si sarebbero dimenticati di me. Mi stanno cercando, proveranno a farmi parlare. Ma non posso far loro sapere -perchè sono l'unico che capisce quanto questo potrebbe essere devastante?
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A SPLITTING OF THE MIND
 

***

19.


Not With A Bang But A Whimper







Non avevo mai avuto l'occasione di capire il valore del denaro. Ero stato in un fottuto ospedale psichiatrico per tre anni e non avevo nessun ricordo dei sedici anni prima. Non ci avevano mai dato dei soldi a Bluestone. Non ce n'era bisogno. Non era che ci fosse un negozio all'ingresso che vendeva modellini di siringhe e pillole, o souvenir con su scritto 'Sono sopravvissuto a Bluestone!”, quindi non mi agitai troppo quando Frank mi disse che stavamo per finirli.
Non sembrava molto agitato neanche lui al tempo, quindi non me ne preoccupai. Ma era passata una settimana e ora lo guardavo mentre apriva con agitazione tutte le tasche dei nostri vestiti, cercando disperatamente del denaro.

Alla sua richiesta esplicita, infilai una mano nella tasca dei miei jeans e tirai fuori un paio di banconote spiegazzate. Le lisciai meglio che potessi sul letto, cercando il numero sull'angolo, per vedere quanto valessero. Avevo due banconote da cinquanta dollari, una da venti e una da un dollaro.
Frank prese dal letto i soldi che avevo trovato e li aggiunse agli altri, sul pavimento della camera.
“Come li abbiamo spesi?” chiesi. Ero davvero perplesso su come i cinquemila dollari che avevamo preso da casa sua potessero essere svaniti così velocemente. Non capivo. Cinquemila dollari erano un sacco di soldi.
“Stanze dei motel, cibo, biglietti dei treni, tariffe dei taxi, tutto quanto, Gerard,” disse lui con calma.
Mi stavo sentendo male. Senza denaro non avremmo avuto nessun posto dove dormire. Neanche per sogno avrei dormito per strada. Gli animali ci facevano le loro cose. Terribili, terribili cose. Sarebbe stato troppo difficile proteggere Frank senza una porta chiusa che ci separava dal resto del mondo. “Cosa facciamo?”
Lui non rispose. Era occupato a ricontare il denaro per la terza volta.
Sapevo cosa voleva dire. Pensavo fosse il momento che Markman e tutti gli altri stessero aspettando. Sapevano che avremmo finito i soldi. Sapevano che ci saremmo arresi, prima o poi.
Sospirai e mi sdraiai di nuovo sul letto, distrutto. Frank mi raggiunse un secondo dopo. Appoggiò la testa sulla mia spalle e io gli misi un braccio attorno. Era così bello abbracciarlo e stargli vicino.
“Vuoi...?” chiese a voce bassa, girando il viso per baciare la mia guancia.
Istantaneamente il mio stomaco brontolò. “Non penso,” risposi, cercando di sembrare tranquillo. L'ultima cosa che volevo era che Frank provasse a iniziare qualcosa di fisico. Ogni volta che lo facevamo tutto diventava un casino enorme.
“Cosa c'è che non va?”
Spostai lo sguardo dai suoi occhi grandi e alzai le spalle. “Niente. Solo che non sono dell'umore adatto.”
“Va bene,” disse lui debolmente.
Stavo per finire le scuse. Non era che non volevo fare sesso con Frank; ero solo terrorizzato all'idea di fargli male di nuovo. Avevamo cercato due volte di riprodurre la nostra prima esperienza, e tutte e due le volte erano finite in lacrime. Non avevo nemmeno avuto l'occasione di entrare dentro di lui. La seconda volta ero io il passivo, ma Frank era diventato troppo ansioso e agitato per tutta la situazione, e quindi troppo sconvolto per affrontare le facce di dolore che facevo, cercando di sostenere la sua erezione. Quella volta era finita in lacrime per la sua frustrazione, e per lo sconforto che provava per se stesso.
Era fottutamente sfiancante.
Non capivo davvero perchè lui sentisse come se avessimo bisogno di farlo. Avevo provato a spiegargli che c'erano altri modi di fare sesso che non comprendevano la penetrazione, ma lui si rifiutava di abbandonare l'idea. Era diventato ossessionato da tutta la storia del rimpiazzare i ricordi. Era colpa mia se si comportava così. Se non gli avessi mai spiegato quel concetto, molti mesi prima nell'infermeria di Bluestone, lui non sarebbe mai diventato così.
Il debole suono delle sirene mi riempì le orecchie e istantaneamente mi misi in allerta. Frank fece lo stesso. Sembrava che le sirene si stessero avvicinando e le mie mani cominciarono a sudare, mentre il rumore si faceva sempre più forte. E se fossero arrivati proprio in quel momento al motel, pronti ad arrestarmi e a mandarmi in prigione? Il suono delle sirene aumentò e cercai di convincermi che appartenessero a qualche ambulanza o ai vigili del fuoco. Poi, con mio grande sollievo, il rumore cominciò ad affievolirsi, fino a quando non sparì del tutto.
Frank scese dal letto e guardò attraverso le tende. “Se ne sono andati,” disse, lanciandomi uno sguardo. “Puoi rilassarti.”
Aggrottai la fronte. Ero rilassato. Mi sentivo come se fossi in vacanza, cazzo. Bhè, quel tipo di vacanza dove non puoi restare per più di una notte nello stesso luogo e dove tutto il paese ti sta dando la caccia per poter ottenere una ricompensa da milioni di dollari. Mi misi seduto e strinsi le braccia al petto. Frank mi fissò per un paio di secondi, e poi tornò a sbirciare fuori dalla finestra.
“Cos'è?”
“Cos'è cosa?” domandò lui.
“Quello sguardo?”
“Quale sguardo?” Frank si girò per alzare un sopracciglio.
Analizzai la sua faccia. No, non c'era più. Non sapevo se l'avessi immaginato, ma per un momento avevo visto lo sguardo del 'oh mio dio, sei così bello, ti amo', che io gli avevo fatto innumerevoli volte. Probabilmente mi sbagliavo. Non ero convinto che il sentimento di Frank fosse così forte. Sapevo di piacergli, e lui credeva in me, ma quasi due settimane prima aveva detto di non amarmi...ancora. Ancora non mi amava. C'era una speranza. Anche se c'era una forte speranza che lui potesse iniziare ad amarmi, se gli avessi dato tempo, sapevo che non ci sarebbe stato abbastanza tempo.
Quelle tre settimane erano state le migliori della mia vita. Avevo provato, sentito, fatto esperienza e imparato più di quanto pensassi possibile. Ma tutto questo stava per finire. Deve sempre finire. Sapevo che sarebbe successo. Solo non sapevo che sarebbe finito così presto. Senza soldi non c'era altra possibilità della fine. Ma almeno sarebbe finito a modo nostro.
“Cosa c'è, Gerard?” mi chiese Frank di nuovo.
“Niente, sto bene,” mentii.
Lui strinse gli occhi verso di me. “No, non è vero, Gerard. Dovresti vedere la tua faccia. Sembri terrorizzato. Le sirene se ne sono andate. Nessuno sta venendo a prenderti.”
“Quanto denaro ci è rimasto, Frank?” chiesi.
Sembrava nervoso. “Lasciami controllare,” disse lui fermamente.
“Quanto?”
Sospirò e si arrese. “Intorno ai 400 dollari.”
Era anche meno di quanto pensassi. Porca troia. Frank mi guardò tristemente per un secondo, prima di scivolare di nuovo nel letto, rannicchiandosi accanto a me. Strinse le braccia attorno al mio petto e poggiò la fronte sulla mia schiena. “Mi dispiace,” disse avvilito. “Avrei dovuto prestare più attenzione a quello che spendevamo. E' colpa mia.”
Non risposi. Non perchè credevo che quello che aveva detto Frank fosse vero, ma perchè non sapevo come dirgli che stavamo per dividerci. Sapevo che aveva pensato a questa possibilità ma, come me, voleva evitarla a tutti i cosi. Mi abbracciò più stretto.
Percepii vagamente il suo bacio sul mio collo, ma ero troppo impegnato a pensare ad altre cose per reagire.
Non avevamo nessuna prova che Mikey fosse ricoverato a questo Naval Medical Centre. La notizia era un'inutile informazione su di lui. Invece, era tutto riguardo me. Odiavo quando tutte le cose erano riferite a me. Era la ragione principale per cui avevo sempre vietato a Markman di annunciare il giorno del mio compleanno, a Bluestone. Non mi piaceva essere al centro dell'attenzione. L'attenzione portava solo cose brutte. Cose brutte come Loro.
La mano di Frank scivolò sotto la mia maglietta e le sue dita cominciarono ad accarezzare con provocazione il mio petto. Mi ci volle una grande forza di volontà per ignorare le sue avance. Non aveva bisogno di altro incoraggiamento. Mi ero focalizzato sulla nostra situazione attuale, e la situazione non prevedeva che la mano di Frank scivolasse sotto la mia maglietta.
Non c'era nessuna possibilità che riuscissimo ad entrare nell'ospedale senza essere cacciati fuori. Lo sapevamo. Eravamo arrivati in città da due giorni e da quando ci eravamo trasferiti nel motel più vicino all'ospedale, stavamo cercando di trovare un modo per parlare con Mikey senza essere beccati. Presto divenne chiaro che l'unico modo che avevo per vedere Mikey era essere scoperto. E, ora che avevamo quasi finito i soldi, sembrava essere la decisione più appropriata.
“Ugh,” grugnii di sorpresa, mentre le dita di Frank si sfregavano contro i miei capezzoli. Mai nessuno mi aveva toccato lì. Non ero sicuro che mi piacesse. “Frank,” dissi, in tono di disapprovazione.
“Hmmm?” rispose lui, baciando con insistenza il mio collo.
“Non-.” cominciai, ma mi interruppi con un gemito, quando lui baciò una parte del mio collo particolarmente sensibile.
Staccò le labbra solo per aggrapparsi all'orlo della mia maglietta e per sfilarmela di dosso.
Frank aveva dei grandi problemi col sesso, ma sembrava che non avesse problemi con tutti gli altri preliminari. Cominciò a baciarmi la schiena, le sue mani corsero giù sul mio petto, fermandosi di nuovo per accarezzarmi di nuovo i capezzoli. Mi mantenni immobile, cercando di fargli pensare che non ero interessato a qualsiasi cosa avesse programmato. D'un tratto si fermò, quando raggiunse la cintura dei miei jeans.
Forse ci dovevamo fermare?

Frank si mise a sedere e usò le mani per girare il mio viso, in modo che potessi guardarlo. Sapevo dove questo ci avrebbe portati. Sapevo come sarebbe finita. Fanculo. Un istante dopo stavo già accarezzando il suo volto con le mie mani. Presi un breve secondo per guardarlo, prima di premere le labbra contro le sue. Lui ricambiò quasi immediatamente, e cominciò a stringermi i polsi fra le dita. Lo baciai con più forza, per vedere quanto in là potesse arrivare. Con mia grande sorpresa la sua mano destra si staccò per tirarmi i capelli. Spinse la lingua nella mia bocca, una cosa che non aveva mai fatto con così tanta violenza. Ovviamente si doveva sentire molto più a suo agio, sia con me che con se stesso. Non soddisfatto della nostra posizione, avvinghiai un braccio attorno al suo piccolo polso e velocemente spostai Frank in modo che stesse sdraiato sulla schiena, mentre cavalcavo le sue labbra. Smisi di baciarlo e mi rimisi seduto, prendendo un momento per guardarlo. Anche lui mi guardò, con la faccia arrossata e la bocca bagnata per il breve, violento bacio che avevamo appena provato.
Il bisogno selvaggio e animalesco che avevo avuto giusto un momento prima sembrava che stesse per affievolirsi in modo drammatico, per sostituirsi a un bacio più dolce e leggero sulle sue labbra. Mi staccai da lui per un secondo e gli scostai con affetto i capelli. Gli diedi un altro persistente piccolo bacio sulla bocca, mentre lo stuzzicavo. Lui sorrise senza timore e cercò di riavvicinarmi per farsi baciare di nuovo. Velocemente presi i suoi polsi e per giocare li immobilizzai sulla sua testa.
Fu uno sbaglio. “No,” disse lui timidamente, girando il viso di lato, con gli occhi chiusi.
Cazzo.
Lasciai andare subito le sue braccia e tolsi da sopra il suo corpo. Ero un fottuto idiota. Perchè cazzo avevo pensato che mettersi a cavalcioni e immobilizzare una persona vittima di un trauma potesse andare bene? “Scusa,” sussurrai, accarezzandogli con delicatezza il viso. Il mio stomaco brontolò e mi sentii disgustato. Lo sguardo sulla faccia di Frank mi ruppe il cuore. “Scusa,” ripetei, baciandogli la spalla, tentando di confortarlo. “Scusa.”
“Va tutto bene,” disse lui piano, stringendo forte la mia mano.
Era come se stessi prendendo a pugni un muro. “Non va bene,” dissi in tono miserabile. “Non sono bravo in queste cose. Scusa.” Cercai di staccarmi da Frank. Non pensavo che mi volesse vicino in quel momento. Ma lui non lasciò andare la mia mano ed esitai, mentre mi spingeva più vicino.
“Smettila,” disse bruscamente. Feci come mi aveva detto e mi rimisi seduto accanto a lui.
“Scusa,” dissi di nuovo.
“Va tutto bene.”
Lo guardai miseramente. “Ma non va bene, Frank. Continuo a farti del male. Non importa cosa faccio! Non sono capace in queste cose.”
“Non è così male,” disse lui con aria solenne.
Sospirai esasperato e guardai dall'altra parte.
“Non essere incazzato con me,” disse lui, seccato.
Alzai le mani. “Non sono incazzato. Ti sembro incazzato?” Okay, forse sembravo un po' arrabbiato. Succede, quando capisci di essere un fallimento.
Sembrava perplesso. “Perchè ti comporti sempre così?”
“Hai mai pensato a come mi sento quando compari tutto ciò che faccio a loro? Mi spezza il cuore, Frank.”
“Ti fermi sempre.”
“Cosa?” Questo non rispondeva alla mia domanda. Lasciò andare la mia mano. Improvvisamente realizzai ciò che aveva detto. “Certo che mi fermo. Non ti vorrei mai fare del male.”
Frank sembrava spazientito. “E' questo il punto, coglione! Ti fermi! Ti importa! Non ti ho mai comparato a loro; sei tu che lo fai.”
Pensavo che fosse un complimento. Forse significava che ero una persona migliore e che loro non erano niente in confronto. Almeno, speravo che significasse questo.
Lui si sostenne la fronte e si avvicinò per baciarmi, ma io mi spostai. “Frank,” sibilai. Perchè lo stavamo facendo di nuovo? Non ero bravo. Gli avrei fatto del male.
“Gerard,” disse con stanchezza.
“Non voglio farti di nuovo del male,” mi opposi debolmente, mentre lui prendeva il mio braccio e cercava di avvicinarmi. “Ne' voglio spaventarti.”
Frank abbassò la testa, come se fosse rimasto ferito. “Come altro pensi di imparare? Non posso dirti cos'è che mi fa riaffiorare i ricordo. Nemmeno io so cos'è che li riporta a galla. Non è come un manuale. E non mi importa se fai qualcosa che possa spaventarmi, perchè so che ti fermerai e che non lo farai mai più.” 
“Okay,” dissi. Amavo lui e tutta la sua gloria filosofica.
“Bene. Ora baciami di nuovo.”
“Okay,” dissi di nuovo e velocemente mi avvicinai per baciarlo. Quando lo baciavo mi sentivo diverso. Mi sentivo coraggioso, come se potessi fare qualsiasi cosa. Quando lo baciavo non pensavo alle persone a cui avevo sparato, o a Loro, o alla prigione. Non pensavo nemmeno ai miei segreti.
Tutto ciò a cui pensavo era Frank, e le sue soffici labbra e a quanto fosse liscio il suo viso. Sapevo che non si poteva nemmeno comparare alla mia faccia. Le mie labbra erano più screpolate del solito e non ero sicuro di voler bere l'acqua del rubinetto. Chi sapeva che c'era dentro. Per quello che ne sapevo, Loro potevano avrla avvelenata. Sicuramente nemmeno il mio viso era morbido. Non era che fossi un concorrente del No-Shave November*, ma avevo una specie di barba ispida e incolta.
Frank si spostò da quella posizione e si mise sopra di me, con le gambe sfacciatamente aperte sopra il mio inguine. La sua sfacciatagine di certo non aiutava il rigonfiamento sempre più evidente nei miei pantaloni. Sembrava che Frank avesse una specie di potere magico su di me, perchè mi faceva eccitare almeno dodici volte più veloce del normale. Ovviamente non notò la mia erezione fino a quando sfiorò col ginocchio quell'area, causandomi un gemito che mi fece alzare le anche.
“Oh.” fu tutto ciò che disse. Le mie guance diventarono rosse per l'imbarazzo. Frank abbassò lentamente la mano per toccare i pantaloni che contenevano la mia erezione. Fece un respiro profondo e slacciò il bottone dei jeans, per poi abbassare la zip. Mi lanciò uno sguardo determinato e fece scivolare la mano dentro i miei pantaloni, avvolgendola attorno a me.
Non mi aveva mai toccato in questo modo. Mi morsi il labbro con trepidazione e piacere, mentre lui esitante tirava fuori dai jeans il mio pene, e lo prendeva in mano. Con l'altra mano aprì il tubetto di lubrificante e lo spremette fra le dita. Fece scivolare la mano su e giù per molte volte, e il mio cuore accelerò il battito.
Cazzo. Era meglio di qualsiasi cosa che avessi mai fatto con me stessi. Il mio respiro si bloccò e cominciai a boccheggiare, mentre Frank muoveva più veloce la mano. Chiusi gli occhi e li strinsi per la forza che aumentava sempre di più nella sua mano. Mi accarezzò per un secondo delicatamente i testicoli e gemetti come un ragazzino in preda a una scarica ormonale. Non riuscivo a trattenermi. Sentivo il piacere crescere sempre di più e senza pensarci strattonai le lenzuola.
Mi lasciai scappare un lamento di delusione, quando Frank si fermò improvvisamente. Aprii gli occhi e vidi che stava aprendo un pacchetto di preservativi. Mi lanciò uno sguardo di scusa e srotolare il profilattico sulla mia erezione. Annuì in modo energico e si avvicinò. Ero fottutamente eccitato e mi sentivo come se stessi per esplodere. Lui mi baciò e poi si sdraiò sul letto, aprendo le gambe verso di me.
Mi misi seduto e nonostante la mia frustrazione sessuale, chiusi le sue gambe. I suoi occhi si spalancarono per la confusione. “Gerard,” protestò. “Sto bene. Guarda. Niente lacrime.”
Non dissi una parola. Invece spostai le sue gambe di lato, e poi spostai le sue anche, in modo che si mettesse di fianco, con le gambe a metà strada dal petto. Il suo sguardo divenne sempre più sospettoso mentre mi stendevo dietro di lui, modellando il mio corpo in modo che combaciasse perfettamente col suo. Mi tenni la testa con la mano e Frank si guardò le spalle per vedermi. Baciai con innocenza le sue labbra.
“Va bene?” chiesi preoccupato. Non mi sarei mai rimesso sopra di lui. Ci avevamo provato e avevamo fallito. Era giunto il momento di provare qualcos'altro. Non sapevo perchè non l'avessi capito prima, ma ovviamente Frank aveva dei problemi col fatto di essere immobilizzato. Lo faceva entrare nel panico.
“Sì,” rispose lui, con tono sorpreso. “Non avrei mai pensato...”
Ebbi un lampo di genio e presi la scatola di preservativi dal comodino. Ne aprii uno e lo srotolai sulle mie dita, per poi ricoprire il tutto di lubrificante.
“Frank,” dissi, “Sto per infilare le mie dita... dentro di te... Okay?”
Lui fece un respiro profondo, per prepararsi. “Okay,” disse con voce roca e vidi che si stava mordendo violentemente il labbro inferiore. Feci anch'io un respiro profondo e cominciai a spingere le dita dentro di lui. Non si impaurì. Non si agitò. Restò fermo, guardando davanti a se'. Avevo infilato il dito quasi di un centimetro e mezzo, quindi il peggio stava per arrivare. Mi avvicinai e baciai protettivamente la guancia di Frank. “Ancora un pochino,” sussurrai nel suo orecchio, spingendo il dito più a fondo. Frank spalancò gli occhi, ancora straordinariamente calmo. Dalle rughe che apparvero sulla sua fronte capii che gli dava fastidio, ma che stava cercando di resistere.
Non sapevo quanto mancasse prima che lui si abituasse al primo dito, ma alla fine lo fece. Non sapevo se il peggio dovesse ancora arrivare, o se era già passato. Comunque, soffrii per lui mentre spingevo dentro lentamente il secondo dito. Scosse la testa e abbracciò il cuscino, emettendo un silenzioso lamento con la gola.
Baciai il suo collo esattamente venti volte, cercando di alleviare in qualche modo il supplizio. Sapevo che la maggior parte del dolore era di tipo mentale. Ma lui doveva superarlo, se voleva rimpiazzare il ricordo. L'unico modo per superarlo era soffrire di nuovo. Spinsi lentamente le dita e poi le feci scivolare fuori. Ripetei questo movimento così tante volte che persi il conto.
“Va tutto bene,” gli mormorai all'orecchio, accarezzandogli con conforto i capelli. Con mia sorpresa, lui annuì.
“Credo in te,” disse, aprendo gli occhi per guardarmi. Con lo sguardo ancora fermo sul suo, spinsi dentro il terzo dito. Frank grugnì per il dolore e chiuse gli occhi. “Non mi piace,” farfugliò, con le spalle rigide.
“Vuoi che mi fermo?” chiesi.
Non rispose per quasi un minuto. Tenni le dita ferme, aspettando che lui parlasse. “No,” rispose alla fine, e lo presi come un incoraggiamento a continuare. Frank gemette molte altre volte, ma non mi chiese mai di smettere. Non ero sicuro se fossero gemiti di piacere o di dolore. Probabilmente un misto dei due.
“Dimmi quando sei pronto.” Tirai fuori il terzo dito e continuai con le altre due, fino a quando non mi diede il segnale. Con delicatezza rimossi le dita da dentro di lui e gettai il preservativo di lato. Focalizzai l'attenzione sulla forma del mio corpo contro il suo e posizionai con attenzione il mio pene. Poi alzai lo sguardo per vedere come stesse Frank. Aveva ancora gli occhi chiusi e stava stringendo con forza il cuscino che aveva sotto la testa.
Decisi di procedere. Non c'era motivo di chiedergli se stesse bene, perchè ovviamente non stava bene. Spinsi la punta del pene detro di lui e immediatamente tutto il mio corpo fu invaso da scariche di piacere. Mi ero scordato di quanto fosse stretto. Riuscivo a sentire i suoi muscoli che si contraevano attorno a me, sempre di più. Tolsi lo sguardo dalla mia erezione e feci correre le dita fra i capelli di Frank. “Frank?” dissi.
Lui annuì e notai che le rughe sulla sua fronte si erano fatte ancora più pronunciate. “Sto bene,” rispose. Guardai la sua faccia con attenzione e mi spinsi più dentro. La sua testa rovesciata indietro sul mio petto, con la gola esposta. La sua bocca era spalancata e lui si lasciò sfuggire un breve gemito. Continuai a spingermi, sentendomi in colpa, mentre Frank si contorceva per il dolore. Ma non c'era nessun segno di panico. Pensavo che stesse bene per davvero. Forse sarebbe stato questo il modo per guarirlo.
Poggiai la mano libera sulle sue anche e lo accarezzai per confortarlo, mentre aspettavo che lui si adattasse. Il mio cuore battè all'impazzata quando il suo corpo si avvolse su di me, bollente. Rispettavo Frank e non avrei fatto nulla senza chiedere il suo permesso, ma fantasticai brevemente su come sarebbe stato aggrapparsi alle sue anche e spingersi ancora più dentro. Mi flagellai mentalmente per aver formulato un pensiero così pericoloso.
Frank mosse indietro una mano e accarezzò delicatamente il mio sedere. Mi tirai fuori quel poco che bastava e poi mi spinsi di nuovo dentro con la minor forza possibile. Frank grugnì e seppellì il viso nel soffice cuscino di cotone. Ripetei l'azione dopo essermi tirato un po' più fuori. Non sentii la sua reazione, sovrastata dai miei stessi gemiti. Era la pressione... e il calore... e la resistenza. Tutto questo mi stava per far esplodere. Continuai a spingermi con leggerezza dentro di lui e mi sforzai di vedere come stava, mentre le ondate di piacere mi correvano addosso.
Spostai la mano dalle sue anche, per toccare il suo pene. Lentamente lo tirai per farlo eccitare, e questo gli fece spostare la testa da dove era prima, soffocata sul cuscino. Girò il viso per guardarmi e io lo baciai. Gemette dentro la mia bocca, mentre io continuavo a sollecitarlo. Stava diventando difficile coordinare il fatto di spingermi dentro di lui, mentre lo masturbavo e intanto lo baciavo per rassicurarlo. Nonostante tutto, sapevo che sarei venuto presto.
Ruotai le anche, cominciando a prendere un ritmo semplice e sensuale. Frank reagì positivamente a tutto ciò che stavo facendo, e questo mi diede speranza. Anche di più, ora che stava gemendo di piacere. Mi fermai mentre lui cominciò improvvisamente ad annaspare. “Stai bene?” dissi con urgenza, un po' distratto.
Lui rispose con un gemito e venne nella mia mano. Non avevo capito che fosse così vicino. Ero stato colto alla sprovvista. Come cazzo avevo fatto a non saperlo? I miei pensieri riguardo il suo culmine inaspettato si realizzarono mentre ogni singolo muscolo del suo corpo diventò rigido, contratto attorno alla mia erezione. Cercai di spingermi dentro quella che si poteva descrivere solo come una morsa, ma senza risultato. Arricciai le dita dei piedi, non riuscendo più a sostenermi. Lasciai cadere la testa indietro, sul letto, probabilmente emettendo qualche imbarazzante rumore.
Mentre la mia visuale si schiariva, mi avvicinai per vedere come stesse Frank. Stava ancora respirando affannosamente, con una mano poggiata sul petto. Lo baciai sull'angolo della bocca e cercai di voltarlo perchè mi potesse guardare in faccia. Lui obbedì e si attaccò al mio petto, premendo le labbra sulla mia pelle.
“Non pensavo che potesse fare questo effetto,” mormorò, mentre si grattava la schiena.
“Neanche io,” confessai. “Va tutto bene, comunque?”
“Sì. Ha fatto-ha fatto... meno male... di quanto ricordassi.”
Aggrottai la fronte, anche se non mi poteva vedere. Non ero sicuro a cosa si stesse riferendo. Si riferiva alla prima volta che l'avevo immobilizzato? Davvero gli avevo fatto così male? O stava parlando degli altri uomini? Non lo sapevo, e non ero sicuro di volerlo sapere. “Ne sono felice,” dissi flebilmente.

“Grazie, Gerard,” disse lui, con tono solenne. Notai che si stava tenendo ancora la mano sul petto.
“Non c'è di che,” dissi imbarazzato. Era strano sentirsi ringraziare dal proprio fidanzato per aver appena fatto sesso.
Restammo abbracciati l'uno all'altro nella stanza buia per molto tempo. Morivo dalla voglia di chiedere a Frank se avesse funzionato -se avevamo rimpiazzato con successo il suo ricordo. Non avevo idea se fosse possibile sostituire un ricordo così maligno, quindi ero davvero curioso. Non manifestai il mio interesse, ne' ebbi il coraggio di chiederglielo, quindi la mia curiosità rimase insoddisfatta, con mio grande sgomento.
Lui non disse nulla riguardo ciò nemmeno il mattino dopo. Mi svegliai mentre lui era sul letto, intento a sistemare in piccole pile tutto il denaro che avevamo. Non sapeva che fossi sveglio, quindi lo guardai silenziosamente per qualche minuti. Di tanto in tanto si toccava ancora il petto con la mano destra, come se gli desse fastidio.
“Fa male?” chiesi. Frank si girò per guardarmi, e mentre lo fece tolse la mano dal petto. Avevo paura di avergli fatto male, la notte passata.
Lui sorrise. “No.”
Alzai un sopracciglio, cercando un chiarimento, ma lui scosse la testa e si girò verso la televisione. Mi misi a sedere e lo baciai amorevolmente. Posai la mano sul suo petto. “Allora perchè-.”
Frank bloccò la mia domanda, baciandomi a sua volta. “Te lo dirò un altro giorno. Te lo prometto. Sto solo cercando di abituarmi prima.”
Gli lanciai uno sguardo di incomprensione e mi diressi verso il bagno. Ero quasi da due minuti sotto la doccia, quando Frank bussò alla porta, chiamandomi con urgenza. “Vieni a vedere!” urlò.
In meno di due secondi ero già in piedi al centro della stanza, bagnato fradicio, con l'asciugamano stretto fra le braccia. Frank alzò il volume della televisione, mentre io mi avvolgevo l'asciugamano attorno alla vita. C'era una giornalista nel bel mezzo dell'annuncio delle notizie:”-tornerà alla Casa Bianca in tarda mattinata o nel primo pomeriggio.”
Non sentii più nulla dopo ciò. Non ne avevo bisogno. Sapevo esattamente di cosa stesse parlando. Avevo solo una piccola speranza di vedere Mikey. Tornai velocemente in bagno e mi rivestii. Non avevo un piano, e questo mi spaventava.
“Gerard?” disse preoccupato Frank, quando mi fermai sull'entrata, mentre cercavo di pensare.
“Sto pensando,” dissi, colpendomi la testa con i palmi delle mani. Forse potevo trovare l'entrata del personale ed entrare da lì? No. Forse potevo corrompere qualcuno...? No, non avevamo soldi. Forse potevo travestirmi. Potevo decolorarmi i capelli. Sicuramente questo mi avrebbe dato un grande vantaggio. Sì, avrebbe potuto funzionare.
“Gerard?” chiese Frank di nuovo.
“Devo vederlo prima che se ne vada,” dissi a voce alta, parlando fra me e me.
Vidi con la coda dell'occhio che lui annuì. “Come?” disse. 
Alzai il dito, come se stessi per esporre un piano geniale, ma non ne uscì nulla. Rimasi lì, con aria stupida, deluso dal mio cervello. “Travestimento,” dissi infine.
Frank non sembrava sorpreso. “Gerard, tutti ti stanno cercando.”
“Lo so,” schioccai. Fanculo il mio inutile cervello di merda. Perchè non funzionava quando ne avevo bisogno?
“Potremmo solamente entrare...”
“Ed essere scoperti? Non potrei nemmeno arrivare davanti al bancone che già le spie, o i servizi segreti, o come cazzo si chiamano, mi saranno addosso. Non riuscirò mai a vedere Mikey.”
“Noi,” mi corresse con calma Frank.
“Cosa?”
“Non potremmo nemmeno arrivare davanti al bancone. Non riusciremo mai a vedere Mikey.”
“Non posso chiederti di farlo. Una volta che avranno preso me, smetteranno di cercarti. Sarai libero, Frank.”
Frank sembrava indignato. “Verrò con te.”
“No.”
“Verrò con te,” disse in modo ostinato, spingendo le sue cose nello zaino con forza.
Mi si gonfiò il cuore a vederlo mentre camminava per la stanza, raccogliendo tutti i nostri averi. Avevamo accumulato un sacco di roba nelle ultime tre settimane. “Come se ti lasciassi andare da solo,” bofonchiò fra se'.
Avevo ancora bisogno di un piano. Se fossi entrato nell'ospedale non avrei mai visto Mikey. Dovevo negoziare con qualcuno. Dovevo dire a qualcuno che mi sarei consegnato, ma solo dopo aver visto Mikey.”
Mi ci volle più di un'ora per prendere coraggio e alzare la cornetta. Superato il breve attacco di panico, composi il numero di Markman sulla tastiera del telefono dell' albergo. Il mio dito tremò sull'ultimo numero. Una volta premuto, sarebbe partita la chiamata e sarebbe finito tutto.
Con determinazione premetti il tasto 'due' e posizionai la cornetta accanto al mio orecchio. Frank era appollaiato sul letto di fronte a me, con il viso arrossato. Non sapevo perchè fosse andata così.
“Pronto?”
Cazzo. Aveva a malapena suonato due volte. Markman doveva aver avuto il telefono a portata di mano. Aprii la bocca, ma non ne uscì nessun suono.
“Pronto? Gerard?”
Come cazzo faceva a sapere che ero io?
Frank mi strinse la gamba. “Dì qualcosa,” sibilò. Si avvicinò alla cornetta in modo da sentire cosa stesse dicendo lei.
“Salve,” dissi con voce gracchiante.
“Oh, grazie a Dio,” disse Markman, immaginando che si stesse tenendo la testa per il sollievo. “Stai bene?”
“Sì.”
“E invece-,” cominciò, ma la bloccai.
“Voglio vederlo,” dissi.
“Okay.”
Okay? Gli mi uscirono quasi fuori dalle orbite e Frank sembrava davvero scioccato.
“Voglio vedere Mikey,” ripetei, giusto per assicurarmi che avesse capito bene.
“Va bene,” disse lei e Frank mi strinse di nuovo la gamba, questa volta per la gioia. “Gerard, Frank è con te?”
Non risposi immediatamente. Guardai Frank e lui annuì energicamente. Scossi la testa. Non volevo che avesse a che fare con questa storia. Si allungò per prendermi il telefono dalla mano, per parlare direttamente con Markman, ma io mi spostai. “Sì,” dissi con riluttanza.
Sembrava sollevata. “Sta bene?”
“Sì,” risposi. Frank sorrise compiaciuto. Non mi sarei più liberato di lui.
“Bene,” disse contenta Markman. “Molto bene. Questo mi fa sentire molto meglio. Dove siete?”
“Mi promette che me lo farà incontrare?” dissi con prudenza.
“Te lo prometto. Sapete dove vi trovate?”
Guardai di nuovo Frank. Stavo per consegnare entrami. In tre secondi sarebbe tutto finito. “Al Kennedy Motel. Stanza numero nove.” Era finita.
Ci fu uno strano rumore al telefono, quando Markman finì. Sembrava che si stesse muovendo. Probabilmente era così. Probabilmente stava arrivando al motel in quel momento, con Dio sa quante altre persone.
“Okay, Gerard, veniamo a prenderti. Resta dove sei, okay?”

Mi feci prendere dal panico.
Frank si avvicinò e mi abbracciò stretto. Davvero non credevo a quello che avevo appena fatto. Mi chiedevo quanto ci sarebbe voluto prima che Markman ci raggiungesse. Se era in ospedale come pensavo, probabilmente sarebbe arrivata in meno di cinque minuti.

Mi sbagliavo. Ci vollero sei minuti. Il suono rombante di mezza dozzina di auto nel parcheggio ci informò del suo arrivo. Ovviamente aveva portato una scorta. Frank mi guardò nervosamente e io cominciai a sentirmi male. Non volevo che finisse. Perchè non potevo restare con lui per sempre in un merdoso motel economico?
Le forme di numerose persone apparvero improvvisamente davanti alla finestra e cercai di vederle sbirciando attraverso le tende. Frank sembrava terrorizzato dalll'improvvisa incursione e saltò sul letto, allontanandosi il più possibile dalla finestra. Bussarono alla porta. La guardai, poi guardai Frank. Stava tremando, e strinsi le braccia attorno a lui. Non lo biasimavo. Non sapevo cosa sarebbe successo una volta aperta la porta.
Mi alzai e mi incamminai verso l'entrata. Mi avvicinai. “Chi è?” chiesi.
Dietro di me, Frank fece una risatina e io gli sorrisi. Mi stavo comportando nel classico modo da Gerard.
“Sono io, Gerard,” disse Markman, cercando di aprire la porta.
“Chi è io?”
Sapeva che la stavo prendendo per il culo, ma non capì lo scherzo e si irritò. “La dottoressa Markman,” fece, “Stai trattando davvero male il medico che è stato in pensiero per te nelle ultime tre settimane.”
Sentii una voce maschile dire qualcosa, ma non capii bene cosa avesse detto. Sentii invece la brusca risposta di Markman, “sta zitto e lascia fare a me.” Alzai un sopracciglio, sorpreso. “Mettilo via,” la sentii schioccare.
Cazzo. C'erano degli uomini con delle pistole lì fuori? Questo mi spaventò. Improvvisamente non volevo più aprire la porta. Mi avrebbero sparato? Avrebbero sparato a Frank?
“Gerard, mi fai entrare?”
Pensai di chiederle una parola segreta, ma poi lasciai perdere. Tutta la storia degli uomini con le pistole mi spaventava a morte, e non volevo far arrabbiare nessuno. Sospirai. “Va bene,” dissi, sbloccando la serratura.
La porta si aprì immediatamente e Markman fece un passo in avanti.
“Oh, salve,” dissi con noncuranza, come se non la stessi aspettando.
Lei non sorrise. Ignorò gli uomini con le uniformi scure e rigide, con gli occhiali da sole. Frank fu subito al mio fianco, pronto a stringermi forte il braccio, non appena uno degli uomini ispezionò la stanza per chissà quale motivo.
“Va tutto bene,” mormorai, aggrappando con protezione il mio braccio attorno alla vita di Frank.
Markman si avvicinò cautamente a noi. Spostò lo sguardo da me a lui per parecchie volte. “State tutti e due bene?”
Annuimmo all'unisono e lei sembrò incredibilmente sollevata. I suoi occhi si posarono sul mio braccio attorno alla vita di Frank, ma non commentò.

“Dobbiamo sgomberare la stanza,” disse uno degli uomini con la divisa nera, dando il segnale agli altri quattro. Markman annuì e ci condusse fuori dalla porta.
“Non dimenticatevi le nostre cose,” protestai, indicando gli zaini che avevamo posizionato vicini.
Non riuscii a vedere se si fossero presi la briga di prende gli zaini, perchè fui praticamente gettato dentro una delle auto. Guardai fuori dal finestrino e vidi un mucchio di persone attorno che mi stavano guardando. Alcune avevano il telefono e stavano filmando l'intera scena. Grugnii con disgusto per il modo in cui si stavano comportando. Io non avrei mai filmato la cattura di una persona, e loro avrebbero dovuto mostrarmi lo stesso rispetto.
“Ignorali,” mi sollecitò Markman. Alzai il dito medio verso di loro mentre gli passavamo davanti, ma Markman rovinò il mio divertimento. “Non possono vederti,” disse con indifferenza.
Dannazione. Frank stava tranquillo accanto a me. Stava stringendo forte la mia mano sulla sua pancia, guardandosi le ginocchia. “Va tutto bene,” gli sussurrai.
Lui annuì. “Lo so.” Velocemente lo baciai sulla testa e lui arrossì. Non pensavo che si sentisse a suo agio con tutte quelle persone attorno.
Dieci minuti dopo eravamo dentro l'ospedale, seduti a un grande tavolo insieme a Markman. C'erano due uomini in divisa in piedi accanto al muro della piccola stanza, mi fissavano. Non avevo idea del perchè mi seguissero e mi stessero dietro per tutto il tempo. Potevano lavorare per Loro, per quanto ne sapevo.
Markman scrutò con attenzione me e Frank. “Quello che avete fatto è stato davvero da irresponsabili,” cominciò.
Aggrottai la fronte. Non era lei che ci aveva fatto scappare? Pensai di dirlo, ma poi mi fermai. Non volevo che passasse dei guai, se nessuna sapeva quello che aveva fatto.
“Come avete fatto a sopravvivere? Dove avete dormito?”
“Quando potremo vedere Mikey?”
“Dove avete preso i soldi?”
“Quando potrò vedere Mikey?” ripetei. Ovviamente non mi aveva sentito.
“Più tardi,” rispose, liquidando la mia domanda.
Mi alzai in piedi con rabbia. “Voglio vederlo ora,” dissi con voce pacata. Me l'aveva promesso.
Markman arricciò le labbra e si scambiò uno sguardo con uno degli uomini in nero che si era avvicinato quando io mi ero alzato. “Non è una buona idea, Gerard.”
La furia mi salì dentro. Accanto a me, Frank spalancò la bocca in stato di shock. Non poteva credere che Markman stava per rimangiarsi quello che aveva detto. Me l'aveva promesso! “Me l'ha promessio!” esclamai, dando un pugno sul tavolo. “Voglio vederlo.”
Sembrava turbata. “No.”
Feci un passo verso di lei e alzai il pugno, ma uno degli uomini vicini mi tirò indietro. Inciampai e Frank si alzò per tenermi. “Me l'ha promesso,” dissi, la mia rabbia si trasformò in delusione.
“Mikey se n'è andato, Gerard,” disse pesantemente Markman, e io entrai nel panico.
“E' morto?!” esclamai e Frank mi strinse forte il braccio. Non poteva essere morto. Alla televisione avevano detto che non era morto!”
Markman era agitata. “No! No. Non è morto. E' vivo. E' solo...diverso. Non so cosa ricordi di lui, Gerard, ma se n'è andato. Non è più lo stesso Mikey.”
Non capivo. Come poteva essere vivo, ma essersene andato allo stesso tempo? Dovevo parlargli. Dovevo dirgli che mi dispiaceva. “Io-Io-Io non-ugh,” dissi senza utilità, e mi risedetti.
“Non capisci?” chiese Markman.
“No. Cosa c'è che non va in lui? Perchè non posso vederlo? Gli ha mai chiesto se lui vuole vedere me?
Markman si strofinò gli occhi, afflitta. “Non ti riconoscerà, Gerard. Non sa chi sei.”
“Perchè no?!” Lei mi guardò come se non potesse rispondere. “La smetta di proteggermi,” urlai, stringendo i pugni.
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. “Okay,” disse infine. “Meriti di sapere.”
Non dissi nulla per paura che potesse cambiare idea. Mi sporsi in avanti e ascoltai con attenzione.
“Quando Mikey è stato accidentalmente...” Si fermò e mi lanciò uno sguardo di avvertimento. “...colpito.”
“Quando gli ho sparato,” la interruppi con franchezza.
“Accidentalmente,” disse lei a voce alta.
Aprii la bocca per dire qualcosa, ma Frank mi mise una mano sulla gamba. Scosse la testa. Con riluttanza restai zitto e lasciai che Markman continuasse. 
“Quando Mikey è stato colpito accidentalmente, ha avuto un arresto cardiaco. Vuol dire che il suo cuore ha smesso di battere. Okay?” Io annuii senza dire nulla e lei continuò. “Il suo cuore ha smesso di battere, quindi il cervello non riceveva ossigeno. E' molto importante che il cervello riceva ossigeno. Lo sai questo?”
“Sì.”
Markman fece un respiro profondo. “Alla fine in ambulanza sono riusciti a rianimarlo, ma quando arrivarono in ospedale scoprirono che si era sviluppata un' Encefalopatia ipossico-ischemica. So che non sai cosa vuol dire,” aggiunse, vedendo lo sguardo perplesso sul mio viso. “E' un termine usato per descrivere un danno cerebrale causato dall'assenza di ossigeno e di sangue al cervello e spesso porta a un ritardo mentale.”
La guardai confuso. Non capivo.
“Mikey non è più Mikey, Gerard. Fisicamente è un ragazzo di sedici anni, ma mentalmente non lo è. E' come un bambino. Non è capace di muoversi e parlare e comunicare. Non ricorda molto. Da quello che sappiamo, di te non ricorda nulla. E'...” non riusciva a pensare alla parola adatta.
“Danneggiato,” disse piano Frank.
Era danneggiato. L'avevo danneggiato io. Gli avevo sparato e l'avevo distrutto. Ero un mostro. Mi sentivo meglio al pensiero che fosse morto, piuttosto che intrappolato nella sua mente danneggiata.
“Voglio vederlo,” dissi, incapace di posare gli occhi sul pavimento.
Markman scosse la testa. “E' una cattiva idea, Gerard. Non porterà a nulla. Ti turberà soltanto.”
“Per favore,” avevo bisogno di un qualche tipo di finale.
“No, Gerard.”
Per favore.”
Sospirò. “Aspetta qui,” mi disse, lasciando la stanza.
Non mi sentivo molto speranzoso. “Stai bene?” mi chiese Frank, stringendomi la mano.
“No,” risposi brevemente.
“Andrà tutto bene.” Cercò di confortarmi. Si sbagliava. Non sarebbe andato tutto bene.
Markman non tornò per molto tempo, ma quando lo fece fu accompagnata da una donna bionda che portava un camice. Si presentò come la Dottoressa Gold e si sedette accanto a me. Evitai il suo contatto visivo. Non mi sentivo degno di guardare nessuno in quel momento. Ero un mostro.
“Ciao, Gerard,” disse la Dottoressa Gold, prendendo la mia mano. La strinse energicamente. “La Dottoressa Markman mi ha detto che vuoi salutare Mikey.” Annuii con furore. Anche lei annuì. “Va bene,” disse. “Possiamo farlo. Gli piacciono i visitatori. Ma prima di vederlo, voglio parlare con te di un paio di cose, okay? Voglio prepararti.”
Annuii di nuovo. Preparatemi, ma fate in fretta. Ho un fratello da vedere.
“Ci sono molte cose che rendono Mikey nervoso. Diventa ansioso se qualcuno urla o fa molto rumore. Non gli piacciono le sorprese o i movimenti inaspettati, quindi cerca di restare tranquillo. Puoi farlo, Gerard?”
“Sì.”
“Okay. Un'altra cosa: L' autolesionismo è abbastanza comune nelle persone con un danno cerebrale e a Mikey piace staccarsi le unghie, quindi non ti allarmare per i guanti e il nastro adesivo sulle sue mani. Sono per proteggerlo. Inoltre soffre di spasmi muscolari involontari e tic nervosi, quindi stai attento. La cosa più importante è ricordare che mentalmente ha più meno sei anni, quindi non ti aspettare troppo da lui.”
“Posso vederlo ora?” chiesi. Non riuscivo a credere che Markman stesse facendo tutto quello che aveva detto. Volevo che Mikey mi riconoscesse. Volevo che stesse bene.
“Certo.”
Mi portò via dalla stanza e io guardai Frank mentre me ne andavo. Lui annuì per incoraggiarmi. La dottoressa Gold mi fece passare per diversi corridoi e si fermò di fronte a una porta. “Ricorda quello che ho detto,” mi fece con tono di avvertimento, e aprì la porta.
Era proprio come me l'ero immaginato. Bhè, almeno fisicamente. Mio fratello era seduto a un tavolo di plastica verde brillante, pieno di fogli, pastelli e matite colorate. Indossava una maglietta gialla delle Tartarughe Ninja e un paio di boxer blu con il logo di Superman. Aveva un paio di occhiali posati sul naso. Non mi ricordavo che indossasse gli occhiali. Mi sedetti al tavolo, di fronte a lui.
“Ciao, Mikey,” dissi nervosamente.
Non si accorse nemmeno che mi ero seduto. Invece prese strettamente in pugno una matita rossa e scarabocchiò furiosamente sul foglio. La donna accanto a lui scosse la testa per il suo modo di colorare. “Su, Mikey,” disse pazientemente, prendendo la matita dalla sua mano. “Come si tiene una matita?” cercò di posizionarla nel modo giusto, fra il pollice, l'indice e il medio.
Mikey fece un rumoroso suono di disaccordo e bruscamente spinse via la sua mano.
“Mikey,” disse lei a voce alta. “Non è così che si trattano le persone.”
Non la ascoltò. Scagliò la matita per terra e incrociò le braccia con rabbia. Fece una specie di commento incomprensibile. “Dillo a parole tue,” disse la donna, raccogliendo la matita.
“N-n-no!” farfugliò, buttando giù dal tavolo tutte le matite che riusciva a raggiungere.
Mi sentivo male. Il cuore mi faceva male per lui. Quello non era mio fratello. Mio fratello se n'era andato. L'avevo distrutto io. La donna, che supposi fosse la sua terapista, mi diede uno sguardo di conforto. “Sta avendo un po' una giornataccia,” spiegò, rimettendo di nuovo tutte le matite sul tavolo.
Diedi un'occhiata a Mikey. Stava fissando il soffitto. Alzai la testa per vedere cosa avesse catturato la sua attenzione, ma non c'era nulla. Stava fissando il nulla. Le persone normali non fissano il nulla. Guardai le sue mani e vidi che una delle due stava tremando. Immaginai che fose uno di quegli spasmi muscolari involontari di cui parlava la dottoressa.
“Parlagli,” mi incoraggiò la terapista.
Entrai nel panico. Cosa dovevo dire? “Hey, Mikey,” dissi a voce alta. Con mia sorpresa Mikey mi guardò. “Hey,” ripetei, sorridendo il meglio che potessi.
I suoi occhi si abbassarono e riprese a colorare. Mi avvicinai per vedere cosa stesse facendo. “E' veramente un bel disegno,” commentai, indicando le figure stilizzate che stava disegnando. Improvvisamente notai un tatuaggio ad acqua di Batman sul suo avambraccio. “Sono supereroi?” chiesi. Immaginai che gli piacessero i Supereroi e che li stesse disegnando.
Annuì, dondolandosi avanti e indietro con la sedia. “Sì,” si sforzò di dire.
Una delle figure aveva i capelli neri. “Quello è Batman?” chiesi.
Mikey fece un ringhio rumoroso con la gola. Sembrava arrabbiato. Non sapevo cosa avessi fatto di male. “No, stupido!” esclamò, con parole disarticolate e forzate, come se fosse difficile per lui pronunciarle. “Non è Batman!” disse, con voce più alta. “E' mio fratello. E' Gee-rard.” grugnì di nuovo, contraendo la mano. “Non Batman.”
La terapista si era alzata e mi stava fissando. Il cuore cominciò a battermi veloce. Non ne ero sicuro, ma pensavo che Mikey mi avesse definito indirettamente come un supereroe. Certamente stava disegnando me come uno di quelli. Fui assalito da una strana sensazione.
“Dov'è tuo fratello?” chiesi semplicemente.
Mikey alzò la testa di nuovo, sullo stesso punto del soffitto, e notai che si stava dondolando avanti e indietro. Non riusciva a sedersi fermo. Ripetei la domanda altre due volte, ma lui non rispose. Non riuscivo ad attirare la sua attenzione.
“Mikey,” dissi in modo energico. “Dov'è Gerard?”
Non mi guardò. “Si è perso,” disse con indifferenza, portandosi alla bocca una delle dita coperte. La terapista glielo tolse immediatamente.
Cosa significava? Non capivo cosa stesse cercando di dirmi quel cervello di sei anni. Improvvisamente Mikey si tolse gli occhiali e li gettò sul pavimento. “Bugie!” esclamò. Restai seduto, sbigottito dal suo strano comportamento. Ricominciò di nuovo a dondolarsi avanti e indietro.
Sentivo gli occhi che cominciavano a riempirsi di lacrime. Non volevo piangere di fronte a lui. Volevo chiedergli cosa pensasse di me, ma ero troppo spaventato di quello che avrei dovuto sentire. Improvvisamente Mikey rivolse l'attenzione verso di me e io mi asciugai velocemente gli occhi. “Mi dispiace,” dissi con voce strozzata.
“Perchè?” chiese lui.
“Ho fatto una cosa molto brutta e un sacco di persone sono state ferite.”
Mikey inclinò la testa di lato, con curiosità. “A-anche Gee-rard ha fatto una cosa molto brutta. E' m-mio fratello,” aggiunse, come se l'avessi dimenticato.
“Gerard è molto dispiaciuto,” dissi, combattendo per non piangere.
“Ho fame,” annunciò lui, grattandosi lo stomaco.
Mi seppellii la testa fra le mani e lasciai che le lacrime mi scivolassero sul viso. Sentii qualcuno stringermi le braccia attorno e alzai la testa, sorpreso. Mikey mi stava abbracciando. “Qualunque-qualunque cosa hai fatto, tutti ti p-p-perdonano,” disse, come dato di fatto.
“Tu mi perdoni?” chiesi disperatamente.
Mikey mi diede un colpetto sul braccio. “Um, v-v-vuoi un s-s-sand-wich?”
Scossi la testa. Lui fece spallucce e si sedette di nuovo. Un momento dopo battè furiosamente i pugni sul tavolo, spezzando i pastelli in due.
“Mi dispiace,” urlai, mentre la terapista cercava di placarlo. Lui cercò di scansarla e molte infermiere corsero dentro per aiutarla. “Mikey, mi dispiace!”
Lui si bloccò e mi guardò attraverso le braccia di una delle infermire. I suoi occhi erano spalancati e pensai che forse mi avesse riconosciuto. “Troverai mio f-f-fratello?” chiese, stringendo gli occhi verso di me. “Si è un po' p-perso.”
Annuii silenziosamente. Lui sembrava soddisfatto. “Ciao ciao”
Le infermiere portarono Mikey fuori dalla stanza e io lo guardai allontanarsi, cercando di capire quello che aveva detto. Doveva significare qualcosa. Doveva essere di più di una frase sconclusionata detta da un ragazzo malato.
“Stai bene?” una voce maschile, sconosciuta, parlò dietro di me e io mi girai. Riconobbi vagamente l'uomo. L'avevo già visto a Bluestone una volta, e l'avevo visto in televisione una o due. Supposi che quell'uomo fosse mio padre.
Non risposi. Fissai stupidamente l'uomo, così alto e virile, mentre si sedeva garbatamente al posto di Mikey. Guardò pensieroso i disegnini e gli scarabocchi.
“Stai bene?” chiese di nuovo, senza guardarmi.
“No.”
“Normalmente è più lucido di così,” disse lui, strizzando gli occhi verso il disegno del supereroe. “Mi dispiace che tu l'abbia visto in questo stato. E' doloroso.”
“Non mi ha riconosciuto,” dissi piano.
“Non riconosce nemmeno me e tua madre. Sono sicuro che la Dottoressa Gold ti abbia detto che Mikey non è più qui. E' una persona diversa.”
“E' tutta colpa mia. Se non avessi-,” dissi, digrignando i denti.
“No, non è vero.”
“Invece sì!”
“Non voglio parlare di questo con te,” disse sbrigativo. “E' successo. E' stato un incidente. Io e tua madre l'abbiamo superato, dovresti farlo anche tu.”
Incrociai le braccia e rimasi silenziosamente imbronciato. Certo che lui poteva dimenticare e andare avanti, non aveva ucciso nessuno.
Non era stato rinchiuso senza ricordi per quattro anni in una clinica psichiatrica.

“Ho incontrato Frank,” disse mio padre. “E' un ragazzo adorabile.”
“E' il mio fidanzato,” specificai.
“Lo so. Non ho problemi per il fatto che tu sia gay, Gerard.” Lo guardai sorpreso. Lui sorrise per la mia faccia stupita. “Non sono un mostro,” disse. “Sei mio figlio. Ti voglio bene. Ma sai cosa succederà ora, vero?”
Certo che sapevo cosa sarebbe successo. Mi avrebbero spedito a Greenwood e avrei passato il resto della mia vita in una cella imbottita per quello che avevo fatto. Mi avrebbero separato per sempre da Frank.
“Abbiamo trovato un nuovo posto per te,” disse lui gentilmente. “Si chiama Brock Institute.”
“Perchè non posso restare a Bluestone?” chiesi speranzoso.
“Bluestone non è il posto migliore per te, al momento. Devi stare in un luogo sicuro, dove puoi essere aiutato.”
“Posso avere tutto l'aiuto di cui ho bisogno a Bluestone. Markman mi aiuterà.”
“Ha cercato di aiutarti per tre anni, Gerard, e non è stato abbastanza. Dobbiamo provare qualcos'altro. Brock è un posto nuovo e penso ti piacerà. E' carino. L'ho visto proprio stamattina. E lì sarai al salvo, te lo prometto.”
Lasciai che le mie spalle crollassero per la sconfitta. “Frank può venire con me?”
Mio padre scosse fermamente la testa. “Non è un posto per Frank, lo sai.”
“Cosa succederà a lui?” chiesi.
“Bhè, la Dottoressa Markman ha detto che lo riporterà a Bluestone, per poi decidere cosa fare con lui.”
Mi sentii un po' più confortato. A Bluestone sarebbe stato in salvo. Ray, Bob e Adam probabilmente erano ancora lì. Mi chiesi se sarebbe venuto a trovarmi. Voleva venire a trovarmi? Io non l'avrei mai fatto se fossi stato in lui. Non ero nemmeno sicuro se mi potesse ancora guardare, dopo aver visto ciò che avevo fatto a Mikey. Dovevo trovare un altro modo per mantenerlo al sicuro.
“Puoi fare una cosa per me?” chiesi, frugando nelle tasche per cercare il vecchio ritaglio di giornale.
“Qualunque cosa.”
Tirai fuori il vecchio articolo con la foto degli stupratori di Frank. Indicai gli uomini. “Hanno fatto del male a Frank. Puoi trovarli e arrestarli, per favore? O almeno toglierli dalla strada, in modo che lui non si debba più preoccupare? Non posso più proteggerlo e ho bisogno di sapere e loro non verranno a prenderlo.”
Lui scrutò la pagina per un momento. “Gerard, penso sia qualcosa di cui dobbiamo discutere con Frank.”
“Allora facciamolo,” dissi, iniziando ad alzarmi.
“Più tardi,” disse pazientemente. “Abbiamo un sacco di tempo.”
Con la coda dell'occhio vidi qualcuno muoversi e mi girai per vedere chi fosse: Jasper. Il mio cuore cominciò a battere velocemente. Che cosa ci faceva qui? L'ultima volta mi aveva detto che mi avrebbe guardato morire. Stavo per morire? “Devo andare,” dissi, cominciando a camminare verso la porta. Dovevo andarmene. Dovevo nascondermi.
Mio padre mi seguì. “Non ho ancora finito di parlarti,” disse.
“Un minuto,” dissi distrattamente, mentre Jasper mi faceva segno di voler parlare con me.
“No, Gerard, Ora.” Mi mise una mano sulla spalle e io la tolsi con forza. Mezzo secondo dopo uno degli uomini più vicini mi sbattè la mano sul petto, facendomi crollare sul pavimento. Singhiozzando per respirare, mi abbracciai il petto e guardai mio padre, improvvisamente circondato da sei uomini che si stavano avvicinando a me.
“Basta,” esclamò lui, allontanandoli. Si abbassò accanto a me e cercò di toccarmi, ma io mi scostai. “Stai bene?” chiese.
Il dolore nel petto era incredibile. Quell'uomo doveva avere la super forza, o qualcosa del genere. Mi tirai in avanti, e poi in piedi. Aprii la porta e borbottai vedendo il corridoio pieno di persone. Frank era l'unico che mi guardava preoccupato. Tutti gli altri mi fissavano con diffidenza, come se si aspettassero che potessi sparargli.
“Gerard,” disse mio padre.
Lo ignorai e mi spinsi fra la folla, spostandomi il più lontano possibile da Jasper. Attraversai il corridoio e corsi dentro un bagno il bagno per disabili. Chiusi con forza la porta e la bloccai. Poi mi girai, bloccandomi nel vedere che Jasper era nella stanza con me.
“Non sei reale,” dissi, con voce tremante.
“Sì, come dici tu,” rispose sbrigativo. Si appoggiò al muro e mi ispezionò con uno sguardo compiaciuto sul viso. “Allora, paparino ti vuole mandare a Brock?” mi canzonò. “Devi ringraziarlo da parte mia.”
Mi girai per riaprire la porta, ma Jasper mi afferrò per le spalle e mi spinsi indietro. Era in piedi davanti alla porta, in modo che non potessi andarmene. “Lasciami,” dissi energicamente.
Loro hanno delle spie a Brock. Non riuscirai a superare una settimana.”
Mi si seccò la bocca e la gola mi si riempì di paura. Scossi la testa, incredulo. Mio padre non mi avrebbe mai mandato in un luogo dove Loro avevano delle spie. Dovevo dirglielo. Ci doveva essere un altro posto.
La maniglia della porta si mosse, e Jasper ghignò. “Il tuo paparino ti manderà a Brock, Loro verranno a prenderti e finalmente potrò guardarti morire. Finalmente!” disse gioioso. “Ne ho abbastanza delle tue stronzate.”
“Ma loro prenderanno i miei segreti! Jasper, il mondo finirà!”
Lui alzò le spalle. “Suppongo sia questo il modo in cui debba finire: non con un'esplosione, ma con un fastidioso piagnisteo. Sei sempre stato troppo patetico e debole per essere un custode di segreti.”
La porta si aprì e Jasper fece un passo indietro. Markman si accovacciò accanto a me, mentre io mi strofinavo la gola dolorante.
“Non può lasciare che mi prendano,” dissi, stringendole il braccio. “Non posso andare. La prego,” implorai. “Il mondo finirà!”
Non sapeva cosa fare. Perchè non sapeva cosa fare? Li aveva mandati via molte altre volte. Era l'unica persona di cui avessero paura.
Arrivarono due uomini che mi presero per i piedi. Urlai e scalciai verso di loro. Ero sicuro che mi stavano portando a Brock. Mi avrebbero portato verso la mia stessa morte. La furia che gli scagliai contro aumentò solo il loro desiderio di trattenermi. Mi lasciarono sul pavimento e mi tennero fermo mentre scalciavo e gridavo. Tutte le persone attorno a me stavano gridando e urlando indicazioni.
Sentii uno degli uomini girarmi la testa di lato, poi sentii un ago scivolarmi dentro la pelle.
“No,” dissi debolmente.
Jasper rise soltanto.






*il 'No-Shave November' è un evento annuale in cui i partecipanti sono tenuti a non rasarsi la barba per tutta la durata del mese di Novembre.

  
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