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Autore: FabyWinchester94    17/04/2012    6 recensioni
Si posizionarono davanti a loro e con aria soddisfatta e un leggero sorriso sul volto, Lisbon, presentò la rossa ai suoi colleghi, «Buongiorno ragazzi, vi presento il nuovo agente del CBI, Hope Baker. E' laureata in psicologia criminale ed esperta in ingegneria sociale e programmazione neuro linguistica.» Fece una pausa e si guardò in giro, poi posò gli occhi su Cho, «Dov'è Jane?» Chiese imbarazzata. Cho non ebbe neanche il tempo di rispondere perchè fu interrotto da una voce alle spalle di Lisbon. «Salve! Sono qui dietro.» Teresa e Hope si girarono e si trovarono davanti Jane, che sorrideva sornione. «Eri tanto concentrata nelle presentazioni che non ho voluto disturbare...» Jane squadrò la donna affianco al suo superiore e allungò la mano destra. «Piacere, Patrick Jane!» La ragazza sorrise e intimidita rispose alla sua presentazione. «Piacere mio Patrick.» [...]
Genere: Romantico, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Patrick Jane, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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--Good night Johanna.--

 
«Non urlare o sparo... Devi venire con me...» Disse costringendola ad andare avanti e tenendole sempre premuta addosso la pistola. La rossa iniziò a tremare. Quella scena portò a galla vecchi incubi del suo passato. Le sembrava di essere tornata indietro di dieci anni. Appena furono giù nel parcheggio, la costrinse a salire in un'auto nera con i finestrini oscurati. La fece sedere di fianco al posto del guidatore, accese l'auto e tornò con la pistola puntata ai fianchi della ragazza.
Nel furgone del CBI – che seguiva proprio a pochi metri di distanza l'auto – la tensione era alle stelle. I tre colleghi non sapevano che fare, erano in difficoltà, avevano paura che qualcosa andasse storto. Patrick era immobile seduto accanto a Lisbon, con le cuffie alle orecchie e gli occhi fissi sullo schermo che mostrava ciò che riprendeva la telecamera.
Dopo dieci minuti, Hope iniziò ad agitarsi. «D-dove mi stai portando?? C-cosa vuoi da me?!?!» Esclamò con voce tremante. «Sta zitta!!!» Urlò l'uomo girandosi verso la ragazza e spingendo ancor di più la pistola contro la maglietta. Lei iniziò a cercare di fargli dire dove si trovavano le ragazze. «C-calmo... Io so che non vuoi farmi del male...» Sussurrò guardando i grandi occhi neri del ragazzo. «Io ti ammazzo puttana!» Urlò accelerando. «Lo so che non mi farai niente... Adesso lascia la pistola... Tu vuoi lasciare la pistola vero?» Cercò di convincerlo Hope e continuò posando una mano sul sulla sua gamba, «Posa la pistola, io non scapperò... Resto qui... Ma lascia la pistola...». Il ragazzo, come ipnotizzato, lasciò la pistola. «Bravo... Adesso dimmi dove mi stai portando...» Disse cercando di non perdere il contatto con lui. «A casa mia...» Farneticò senza farselo ripetere due volte. «Dov'è casa tua?» Chiese insistente Hope. «St. Andreas numero 21...» Sussurrò. «Bene... Bravissimo!» Esclamò soddisfatta la ragazza.
Nel furgone – sentendo il successo di Hope – Jane sorrise sistemandosi meglio sul sedile. Mentre  Lisbon sussurrò, «Sei grande ragazza!».
Dopo pochi minuti l'uomo tornò in se. «Brutta strega... Cosa mi hai fatto!!» Esclamò tornando a prendere la pistola e puntandola di nuovo verso la ragazza. Continuò a guidare, finché non arrivarono ad una casa. L'uomo entrò in un vialetto e prese una chiave, premette il bottone, e il garage si aprì. Una volta dentro, aspetto che si chiudesse. Poi uscì dall'auto e fece il giro, andando a far uscire Hope. La costrinse ad avanzare verso una porta – con la pistola sempre puntata – e quando la ragazza cercò di svincolarsi – facendo cadere la pistola all'uomo – lui la prese per i capelli e la strattonò, strappandole la camicia. Hope non volle crederci. La stessa violenza, subita dieci anni prima. Poi la spinse giù per le scale di una cantina, «Ti ucciderò strega!!» Urlò e prima di chiudere la porta. Hope si alzò dolorante. Era sicura di essersi rotta qualcosa, ma il dolore proveniva da tutto il corpo e quindi era difficile riuscire a capire cosa di preciso. Era buio, non riusciva a vedere nulla, restò ferma. Poi sentì una voce. «C-chi c'è??» Era una voce femminile, Hope si rincuorò sentendo che forse una delle ragazze era ancora viva. «Mi chiamo Hope Baker... Tu sei Angela O'Connor?» Chiese speranzosa l'agente. «No... Angela è svenuta... E lì per terra... Io mi chiamo Emily... Emily Anderson!!» Si spiegò la ragazza. Hope si riempì di gioia ricordando che quello era il nome dell'altra ragazza. «Io sono un'agente del CBI... Sono venuta a salvarvi... Tra poco i miei colleghi verranno a salvarci!» Disse avvicinandosi alla giovane donna. Poi cercò di parlare con il suo capo, «Lisbon...» Sussurrò. Non ricevendo risposta iniziò a preoccuparsi. Finché non sentì uno sparo provenire dal piano superiore. Emily iniziò a piangere. Hope l'abbracciò. Sapeva cosa voleva dire essere rapita, la paura, il terrore che quell'uomo potesse ritornare. La strinse più forte. Sperava soltanto che le due ragazze non avessero subito tutte le violenze che toccarono a lei dieci anni addietro. Dopo pochi minuti, la porta dello scantinato si aprì. E per loro fortuna entrarono Cho e Rigsby. Lei si alzò, mostrandogli le ragazze. Rigsby prese in braccio Emily, mentre Cho si avvicinò all'altra ragazza, e verificò se fosse viva. «Il cuore batte ancora...» Disse affrettandosi a portarla fuori. Poi entrò Patrick. Andò verso Hope e notando la camicia della collega rotta, si tolse la giacca e la mise sulle piccole spalle. «Tutto bene? Sei ferita?» Chiese spaventato. «Non lo so... Ho un dolore atroce su tutto il corpo...» Sussurrò lei salendo le scale con una sua mano pronta a sorreggerla.
Uscirono fuori, Jane l'accompagnò verso l'ambulanza. Lisbon le si avvicinò. «Baker... Brava... Sei stata grande! Hai salvato la vita a quelle due ragazze... E io so quant'è stato difficile per te!» Si complimentò il capo, posandole una mano sulla spalla. «Lui dov'è?» Chiese ansiosa la ragazza. «Tranquilla... Non penso uscirà più dal carcere... Per lo meno non uscirà vivo! Stai tranquilla!» Poi si allontanò.
«Difficile... per te? In che senso Hope?» Commentò Jane. «N-niente...» Tagliò corto Hope. I ragazzi dell'ambulanza controllarono che non avesse altre ferite oltre al taglio profondo dietro la schiena. Le dissero che l'avrebbero portate in ospedale per fare dei raggi. Hope acconsentì e a stento salutò il collega. Che rimase lì fermo a fissare l'ambulanza allontanarsi per poi tornare dal resto della squadra.
Dopo dieci minuti arrivarono all'ospedale. Le vennero fatti tutti gli esami, le fasciarono tutto il busto compresa la spalla, e poi venne accompagnata in una stanza ad aspettare gli esiti.
Hope si sedette sul letto e dopo qualche minuto decise di andare a trovare le ragazze. Chiese agli infermieri che le indicarono le stanze numero 19-20. Prima di entrare nella camera 19, spiò dalle persianette. Vide la ragazza ch'era svenuta – Angela – era stesa nel lettino, circondata dai suoi famigliari. Probabilmente era in coma, e non volle entrare. Avanzò verso la stanza successiva e vide Emily. Era seduta sul lettino, intenta a parlare con la donna seduta affianco a lei. Sicuramente la madre. Hope bussò, la ragazzina si alzò e corse ad abbracciarla. Poi spiegò alla madre il piano del CBI, per salvarle. La donna scoppiò in lacrime è ringraziò l'agente in tutti i modi possibili. Emily le disse che non avevano subito violenze sessuali. Il bastardo le aveva solo picchiate. Hope le tranquillizzò dicendole che il mostro era in carcere e non sarebbe mai più uscito vivo. Prima di andarsene, la rossa, lasciò il numero ad Emily, pregandola di chiamarla per qualsiasi motivo e soprattutto, quando l'altra ragazza – Angela – si sarebbe svegliata. Abbracciò le due e poi si diresse verso la sua camera.
Quando entrò, vide che – appoggiata alla finestra a piangere – c'era la sorella, che appena la vide le corse incontro stringendola forte a se, senza pensare al male che le avrebbe fatto. Fu la minore a supplicarla di allontanarsi, «Diamine Faith! Così mi uccidi!» Esclamò indietreggiando, mentre Faith continuò a fissarla con gli occhi pieni di lacrime. «Cos'è quella fasciatura?? Cosa ti ha fatto?!?!» Chiese spaventata alla sorella. «Niente, sono caduta dalle scale e mi sono tagliata... Tranquilla...» Si spiegò la rossa sedendosi sul lettino. «Come ti è saltato in mente di fare una cosa del genere?? Potevi subire ciò che... Dieci anni fa... O peggio potevi morire stupida!!» Disse interrompendosi quasi ad ogni parola. Hope non rispose, si concentrò sulla pioggia che cadeva fuori dalla finestra. Ormai si era fatto buio. «Mi stai ascoltando?? Vuoi rispondere per piacere?!?» Insistette Faith. La ragazza si girò e seccata rispose, «Se sei venuta qui per darmi fastidio, e farmi la ramanzina, bene tornatene pure a casa! Non ho bisogno di una seconda madre Faith! Quante volte te lo devo ripetere? Sono grande e vaccinata... Mia madre...» Si corresse, «Nostra madre... E' morta tre anni fa... Da quando ti hanno dato l'incarico di “Seconda mammina”?? E soprattutto... Chi te l'ha dato codesto incarico??» Esclamò gesticolando. La maggiore rimase immobile – di fronte alla sorella – continuando a versare lacrime su lacrime. Poi si girò e senza dire nulla se ne andò, scontrandosi sull'uscio con Jane. «Lite tra sorelle?» Chiese sorridendo. «Che vuoi? Cosa se venuto a fare tu?? Non ho bisogno di nessuno, quindi, ciao!» Disse alzandosi dal letto. Poi gli ridiede indietro la giacca. «Ehi stai calma! Sono solo venuto per vedere come stavi!» Spiegò avvicinandosi a lei. «Prima cosa, allontanati. Seconda, sto bene, non sono morta e terza, potevi aspettare a domani mattina a lavoro, per controllare le mie condizioni.» Disse pregando Patrick di uscire. «Bene, quando ti sarà passata la crisi di nervi, e quando la finirai di prendertela con tutti quelli che si preoccupano per te... Fai un fischio che ti accompagno a casa... Sono qui fuori.» Sussurrò aprendo la porta per poi richiudersela alle sue spalle. Hope iniziò a piangere. Erano quasi dieci anni che non versava più lacrime. Neanche tre anni prima, quando la madre morì. Si avvicinò alla finestra e continuò a piangere. Poi d'un tratto sentì dei rumori provenire da fuori e si asciugò immediatamente gli occhi.
Entrarono due infermiere, dicendole che oltre alla contusione alla spalla e al taglio non c'era nulla di grave. Una delle due le diede una giacca da indossare. Poteva tornare a casa. La salutarono complimentandosi per il caso ed uscirono. Hope si sistemò la giacca che le aveva dato l'infermiera, ed uscì dalla camera. Jane era seduto su una poltrona in sala d'attesa. Appena la vide sorrise, mentre lei rimase impassibile. Si avvicinò al collega e con voce tremante lo supplicò, «Portami a casa per favore...». Il mentalista non rispose. Capì la situazione. Scesero nel parcheggio e salirono sulla Citroen Ds di Patrick. Nei dieci minuti di viaggio, nessuno dei due parlò. Rimasero tutti e due in silenzio cercando di non incontrare gli occhi dell'altro. Quando furono arrivati alla casa di Hope, Patrick ruppe il ghiaccio. «Hope se hai bisogno di qualunque cosa io ci sono...» Sussurrò incerto. La ragazza annuì, «Grazie per il passaggio Jane...» Disse aprendo la portella. Patrick l'afferrò per un braccio, «Ah... Ha detto Lisbon che per te le ferie di natale sono già iniziate...» Lasciò la presa. «In che senso?» Chiese spaventata la ragazza. «Hai bisogno di riposo...» Si spiegò Jane. «Okay... Buonanotte Jane...» Sussurrò uscendo e chiudendo la portella. Jane non se ne andò finché non la vide entrare nel palazzo e chiudere il portone. Hope salì le tre rampe di scale che portavano al suo appartamento. Si fermò sul pianerottolo di casa sua e frugò nella borsa. Prese le chiavi e le infilò nella serratura. Appena varcò la soglia di casa, venne aggredita da una nuvola di fumo. Si tolse la giacca posandola sul divano e seguì la scia. Arrivò in cucina, dove c'era Faith appoggiata all'isola, con una sigaretta in mano. Hope la guardò sbalordita. «Ma... Cosa stai facendo?!?» Esclamò. La maggiore non rispose. Si limitò a far cadere la cenere nel lavandino. La rossa notò il pacchetto vicino a lei e lo aprì. Rimase di sasso quando vide che ne erano rimaste solo due. «Ti sei fumata tutto il pacchetto???» Chiese ancora esasperata. Faith non diede segni di vita. Continuò a fissare il muro davanti a se. «Ma si Faith... Continua a fumare come una ciminiera... Poi ti verrà un cancro ai polmoni e creperai anche tu come nostra madre!!» Esclamò. Mentre la maggiore lasciò cadere la sigarette e fissò la sorella. «Morirà anche la mia “Seconda mammina”!! Che peccato...» Continuò Hope con voce isterica. Faith reagì, tirando uno schiaffo sul volto della sorella. Che rimase – immobile – a bocca aperta per qualche secondo. «Sai Faith... Se tu avessi subito tutto quello che mi è toccato subire dieci anni fa... Penso non saresti così incazzata... Solo perchè ho salvato la vita a quelle povere ragazze... Solo perchè non volevo subissero le mie stesse pene dell'inferno... Nessuno venne a salvare me...» Sussurrò la minore avviandosi verso la porta d'ingresso e poi continuò, «Neanche il tuo amato dio, ha salvato una povera ragazzina, o meglio, bambina... di 14 anni... Subivo violenze non so quante volte al giorno... Ma che perdo tempo a fare a spiegare certe cose ad un'ottusa come te?? Vaffanculo Faith!» Esclamò sbattendo la porta alle sue spalle. Hope scese le scale ed uscì in strada. Si andò a sedere su degli scalini di una casa nelle vicinanze. Prese il cellulare e decise di mandare un messaggio a Grace, “Grace dove sei? Ho bisogno di te...” Dopo dieci minuti, Hope non ricevette nessuna risposta. Sicuramente Van Pelt stava già dormendo. Così, mentre cercava di riscaldarsi abbracciandosi da sola, decise di provare a mandare un messaggio a Jane, “Patrick... Puoi passare a prendermi? Ho bisogno di parlare con qualcuno...”, dopo pochi secondi il collega rispose, “Aspettami lì. Arrivo subito!”.
Dopo dieci minuti Jane parcheggiò davanti al portone di casa sua. Lei lo vide ed entrò nell'auto grigia. «Grazie...» Sussurrò appena finì di sistemarsi sul sedile. «Cos'è successo?» Chiese il mentalista notando le lacrime della ragazza. Lei cambiò discorso. «Jane... Posso restare a casa tua solo per stanotte?» Sussurrò con un filo di voce. «Casa mia? Io... Va bene!» Rispose Patrick sorridendo. «Grazie...» Disse la ragazza girandosi per guardare fuori. «Posso farti una domanda?» Chiese il mentalista. Hope annuì con il volto. «Perchè mi chiami Jane? Io ho anche un nome sai?» Scherzò lui. «Per abitudine... E poi è lungo!» Si spiegò lei sorridendo. «Per abitudine...» Ripeté lui facendo una vocina buffa, e continuò, «Bene, allora io da ora ti chiamerò Baker!» Esclamò tirando una leggera gomitata sul braccio della ragazza, che iniziò a ridere.
Quando arrivarono, Jane parcheggiò l'auto nel vialetto. Hope uscì e Patrick le fece strada fino alla porta. Poi l'aprì, premette l'interruttore della luce e fece entrare la collega, infine chiuse la porta. «Bene... Questa è casa mia!» Esclamò Jane aprendo le braccia e sorridendo. «Accogliente! Moderna...» Si complimentò Hope. «Ne avevo una più grande... Ma da quando... Beh si era troppo vuota...» Si zittì per qualche secondo, mentre la ragazza si girava e rigirava intorno memorizzando ogni particolare di quella casa. Poi continuò «Ti va del tè?» Chiese girandosi per andare in cucina. La rossa annuì e lo seguì in cucina. Appena entrò, restò a bocca aperta. La cucina era bellissima, bianca e grigia, con un'isola al centro. Angolo cottura enorme, come il lavandino. Frigo, lavastoviglie e due forni. «Dimmi la verità... Non l'hai mai usata questa cucina, vero?» Commentò divertita la rossa. «Mai no, ma poche volte si!» Replicò lui. La fece accomodare su una sedia vicino all'isola e poi preparò la teiera. «Hai litigato con tua sorella?» Chiese senza neanche girarsi. «Patrick... Lascia stare...» Sussurrò lei. «Non dovresti farla star male...» Ribatté il mentalista. Hope non rispose. Il tè era pronto. Jane prese due tazze e le posò sull'isola, poi versò il tè, prese zucchero, limone, e cucchiaini e si sedette di fronte alla ragazza. «Stai attenta che scotta!» Si affrettò a dire prima che lei posasse la tazza sulle sue labbra. Sorrise e soffiò nella tazza. Patrick continuava ad osservarla. Era più vulnerabile adesso. La barriera che aveva tenuto fino a pochi giorni prima, era crollata quasi del tutto. Adesso il mentalista poteva frugare nella mente della collega, ma non voleva. Strano a dirsi, ma proprio lui, Patrick Jane, il mentalista, non volle scoprire cosa nascondesse Hope. Lei le piaceva così com'era. Senza sapere nulla del suo passato. Una cosa era certa. C'era qualcosa nel passato della ragazza, che la turbava. «Patrick!!!» La sentì urlare prima di sentire un leggero bruciore sulla gamba sinistra. Era talmente intento ad osservare Hope, che si era dimenticato della tazza che aveva in mano. Lei si alzò e si avvicinò al collega. «Ti sei bruciato??» Chiese spaventata. «No... Tutto okay!» Sfoderò un sorriso incerto e continuò, «Vieni, ti accompagno in sala e poi vado a cambiarmi!». La sala era un'enorme stanza con un divano grigio, librerie e una televisione a schermo piatto. In tutta la casa, dominava il bianco. Spezzato con dei quadri pieni di colore o con degli accessori rossi. «Fai come se fossi a casa tua! Arrivo subito...» Disse dirigendosi verso il corridoio. Hope si alzò dal divano e andò verso le librerie. Osservò tutti i titoli dei libri, poi si girò verso una parete, e notò una scritta, dipinta in rosso, che non aveva visto prima.
“Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l'immortale mano o l'occhio
Ch'ebbe la forza di formare la tua
agghiacciante simmetria?”
Quella frase le suonava famigliare.
«Eccomi, sono tornato!» Esclamò Patrick distogliendo la rossa dalla frase. «Wow!» Sussurrò imbarazzata Hope osservando il collega. Aveva indossato un pantalone di tuta e una felpa sopra. «Wow?» Ammiccò. «Non ti ho mai visto vestito così... C'è... Di solito sei sempre molto elegante...» Si spiegò. «Pensavi che dormissi con la camicia anche a casa?» Scherzò lui. «No no, però...» Fece una pausa e continuò a squadrare il collega, poi continuò, «Riesci ad essere sexy anche vestito così...» Sussurrò incerta mentre le sue guance diventarono rosse come i capelli. Patrick si passò una mano tra i ricci biondi e cambiò discorso, «Guardiamo un po' di TV prima di dormire signorina Baker?» Chiese sorridendo. «Okay signor Jane!» Replicò la rossa prima di sedersi sul divano. «Vado a prendere una coperta... Non ti muovere!» Esclamò prima di tornare nel corridoio che portava alla sua camera da letto. Frugò nell'armadio, ma si rese conto di non avere una coperta. Così sfilò dal letto il piumone, lo piegò e lo portò in sala. Quando entrò in sala, notò che la collega si era stesa sul divano e si era addormentata. Sorrise. Poi le si avvicinò, le tolse le scarpe e la coprì con il piumone. Lui si posizionò sulla poltrona e rimase a fissarla. Era così bella. Qualche ciuffo dei capelli le copriva il viso. Così si alzò e li spostò dal volto. Tornò a sedersi sulla poltrona, «Buonanotte Johanna...» Sussurrò e senza accorgersene, si addormentò anche lui.
Inutile descrivere cosa i due sognarono quella notte. Una cosa è certa... Dovevano affrontare la realtà.   








Scusate il ritardo... Questo capitolo è più brutto rispetto ai due precedenti!! :/
Spero vi piaccia!!! :) Grazie per le recensioniii!! :')
A presto!! :D
-Lux.
   
 
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