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Autore: Serith    17/04/2012    2 recensioni
Raphael, gli intrighi dell'alta società francese, la fuga in Romania, un unico obiettivo: la Soul Edge. La sua vita è come una parabola: è ascendente... ma anche discendente.
5. Congiure: Doveva restare fedele al piano. Era una donna, non aveva molte possibilità di scelta.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Amy Sorel, Raphael Sorel
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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3. Danze

 

 

Al sentire lo scricchiolio delle assi appena fuori la porta Raphael rizzò immediatamente la schiena, pronto a ricevere chiunque fosse entrato. Era un po’ perplesso: non aveva ancora due ore di studio, prima di cominciare la sua prima lezione di scherma?

Aspettandosi di vedere una serva o la governante il suo stupore –ed il suo scontento – aumentò considerevolmente quando sua madre entrò senza bussare, tutta riccioli neri ed espressione che annuncia nubi temporalesche.

Raphael non conosceva molto bene sua madre, ma quel poco che gli aveva mostrato bastava ed avanzava per evitarla.

Era sempre arrabbiata con lui, innanzitutto. Non ne sapeva il motivo – in effetti, non s’applicava granchè per capirlo -, e ciò lo lasciava con un senso di confusione che non gli piaceva. Non sorrideva mai. Sembrava che quell’espressione perennemente arrabbiata fosse l’unica che avesse per lui, perché Raphael non ne aveva viste altre. Ad eccezione di quando era con le sue amiche, quelle signore belle ed eleganti come lei che venivano alle loro feste; allora il suo volto si sarebbe rilassato, ed avrebbe parlato di argomenti come vestiti, acconciature e cani da compagnia. Avrebbe riso, coprendosi la bocca col ventaglio. Sarebbe stata diversa da com’era in realtà.

Ed ora era entrata nella sua camera, senza motivo apparente. Non sapeva cosa aspettarsi.

Hèloise non era stata quasi mai nella stanza di suo figlio. Conosceva il suo aspetto perché l’aveva visto attraverso lo spiraglio della porta tantissime volte, ma essere nello spazio di quel bambino sconosciuto, con lui ad appena un metro e mezzo di distanza, era un altro discorso. Era più nervosa che mai, e si odiava per essere così debole – ma, Dio, che razza d’impudente era suo figlio.

Non l’aveva salutata.

Non l’aveva salutata.

Era semplicemente lì, in piedi – la sua mente decise volutamente di non registrare questo fatto -, ad osservarla guardingo, ma non troppo. Era persino un po’ annoiato.

Hèloise l’avrebbe volentieri strozzato, ma c’era un’altra emozione che rifiutava con vergogna di vedere in se stessa: la paura. Vedere uno sguardo così sicuro, una così tale mancanza di timore nei suoi confronti… in qualche modo era inquietante. Non era solo il fatto che i suoi occhi erano quelli di Albèric, con quello stesso modo sprezzante di guardare tutto e tutti che istigava il suo lato omicida, no. Era una questione molto più complessa.

Albèric aveva fatto un ottimo lavoro di manipolazione con Raphael, questo era poco ma sicuro.  Si comportava in tutto e per tutto come lui, come se ne fosse una piccola copia. Sentiva lo stesso senso bruciante d’ingiustizia per chi aveva causato il decadimento della loro casata, prima di tutto. Lo stesso modo di guardare, di camminare, la stessa ponderatezza nel cercare parole che non esprimessero troppo, o troppo poco. Persino lo stesso modo di tenere le posate durante l’ora dei pasti, toccandole solo con pollice ed indice.

Eppure, sebbene fosse ancora troppo presto per scoprirlo, Hèloise capì in quel momento che Raphael aveva il potenziale per sviluppare una personalità molto più indipendente e temibile di quel che sembrava.

Erano i suoi occhi che glielo dicevano. L’impudenza espressa che tanto odiava, e qualcos’altro. Qualcosa che le gelava la schiena nel profondo… e le dava i palpiti di gioia.

Era la sua manifestazione d’insensibilità.

Non piangeva mai. Sembrava che nulla potesse davvero colpirlo: aveva solo sette anni e quindi ipoteticamente fragile, eppure in apparenza non c’era nulla a cui tenesse veramente. Il suo giocattolo preferito si rompeva? Se ne faceva comprare un altro! Il suo animale da compagnia si ammalava? Bene, lo scaricava a qualcuno e se ne faceva regalare uno nuovo! Sua madre non lo amava ed ogni volta tentava di ucciderlo con lo sguardo? Nulla di cui preoccuparsi!

L’unica persona nei cui confronti sembrava avesse rispetto e timore era suo padre. Hèloise li aveva visti insieme, qualche volta. Aveva notato la soggezione che provava per lui, mescolata ad una fortissima voglia di mettersi alla prova e di mostrargli… beh, di mostrargli di qualcosa.

Senza riuscire a trattenerlo, sentì un sorrisino cattivo distendersi sulle sue labbra.

Forse, dopotutto, i piani di controllo di Albèric si sarebbero rivoltati contro di lui, un giorno non troppo lontano.

Ma la sensazione d’appagamento durò solo un attimo. Le sembrava nella sua testa che fossero passate molte ore, quando invece tornando con i piedi terra, capì che erano passati solo pochi secondi dal momento in cui era entrata.

Lui era ancora lì, in piedi davanti a lei. In attesa del suo solito commento acido.

Hèloise fremette di rabbia – e ciò, paradossalmente, fece in modo che fosse il suo status emotivamente agitato a parlare.

-Ebbene?- sentì i suoi occhi assottigliarsi, il battito del cuore un tamburo che batteva incessante. Se avesse avuto un ventaglio, avrebbe cominciato ad agitarlo nevroticamente –è questo il modo di salutare di tua madre?

Per un momento Raphael la guardò con quella che sembrava vera e propria confusione. Poi, nel modo insegnato ai piccoli nobili la reguardì con un breve inchino, la testa abbassata in segno di rispetto. Le sue parole non erano venate di timore, ma erano gentili e morbide come s’addice ad un bambino:

-Buon pomeriggio, madre. Scusatemi se non vi ho salutato.

Ora andava già molto meglio.

Non c’era in effetti molto da aggiungere. Un breve silenzio imbarazzato calò nella stanza. Gli occhi di Hèloise indugiarono per un momento sul paesaggio visibile fuori dalla finestra, un bellissimo miscuglio d’azzurro brillante su una distesa di verdi, grandi colline solcate da campi. Era una giornata così bella che le si strinse il cuore. Ma se fosse uscita per prendere una boccata d’aria l’avrebbe odiata, perché nulla sarebbe cambiato e lei sarebbe rimasta ancora lì, a far da schiava a suo marito.

Il suo sguardo si abbassò lentamente sullo scrittoio e sul libro aperto sopra di esso. Era un mobile color marrone chiaro, sobriamente elegante, impreziosito da delicati decori sulle gambe e sui bordi della parte superiore. Su di essa vi era anche un piccolo calamaio di ceramica, dentro cui era intinta una piuma bianca con macchie marroni.

Il libro era semplicemente qualcosa di mostruoso. Era troppo grosso, troppo ben rilegato per essere la lettura di un bambino. Senza pensarci troppo vi s’avvicinò impulsivamente per osservarlo meglio, prendendolo tra le braccia e rigirandolo in diverse angolazioni. Raphael la osservava in silenzio. Soffermandosi sui contenuti, il suo occhio si fece non solo critico, ma severo.

In quanto femmina, da piccola non aveva ricevuto un’educazione matematica. Ma anche per lei, la vista di quei simboli complessi, di quelle definizioni contorte, era decisamente troppo. Che razza d’idea aveva in mente Albèric?! Suo figlio poteva essere promettente e tutto… ma suo padre stava esagerando.

Con un gesto secco richiuse il libro, posandolo di nuovo sullo scrittoio. Rimase per alcuni secondi così, appoggiando con le mani sul bordo, la testa bassa. Percepiva bruciante sulla sua schiena lo sguardo di Raphael, in attesa di una sua mossa. Era ostile… ma non troppo. Sentì le sue labbra tendersi in un piccolo sorriso privo di felicità. Ora aveva compreso uno dei segreti della facile manipolabilità sui bambini: la volubilità emotiva.

Molto, molto in fondo, doveva ammettere che forse si era fatta molte paranoie. Raphael era sicuramente un bambino meno sensibile degli altri e più intelligente della media, ma non aveva ancora un carattere ben definito. Percepiva come un dardo uncinato sulla sua carne l’indifferenza che aveva per lei, ma non le era mai esattamente ostile… non proprio. Non era che l’avesse rifiutata: non si era proprio posto questa scelta. Semplicemente riconosceva la sua esistenza sin dalla nascita, e da allora l’aveva accantonata in un angolo, continuando a passarle davanti come se davvero non gl’interessasse.

Ovviamente grande influenza in tutto questo l’aveva avuta Albèric. Come sempre.

Il sorrise di Hèloise si allargò in modo sinistro, assumendo una sfumatura amara. Non s’illudeva, sapeva che psicologicamente ed affettivamente suo marito le aveva portato via entrambi i suoi figli. Ma forse… forse

-Così oggi hai la tua prima lezione di scherma, uh? – disse senza voltarsi.

Con la coda dell’occhio vide Raphael riflettere, rigirandosi con calma le mani. Infine disse:-Si… madre. Padre dice che è… –s’interruppe, la fronte aggrottò per lo sforzo-, è “fondamentale” per difendermi, ed è anche un esercizio…

Hèloise riflettè brevemente. Quelle parole la fecero pensare ad un momento di alcuni anni prima, poco dopo che aveva sposato Albèric. Lui si stava allenando con il suo stocco nel salone principale, e lei era rimasta a fissarlo di nascosto per ore, incantata dai motivi precisi e leggiadri con cui fendeva l’aria. Sapeva che suo marito nel loro ambiente era considerato un bravissimo schermidore… ma non immaginava che potesse trasformare il combattimento in una forma d’arte.

Era come una danza, si era detta. Una danza bella e letale, pur scevra di sensualità. Oh si, di passione ce n’aveva messa molta, ma non era la stessa cosa.

Si voltò verso di lui, un sopracciglio fine sollevato.

-Un esercizio?- disse con una punta di sarcasmo. Un’idea folle le era venuta in mente. Era forse il fatto che dopo un po’ si era abituata in parte alla sua presenza ravvicinata, o che per una volta non l’aveva guardata così freddamente. Era forse che in fondo attendeva da tempo un’occasione d’avvicinarsi a lui senza il controllo perenne di suo marito… ma finchè non pensava, finchè non si ricordava di odiare, voleva mettere in atto una follia, per una volta non distruttiva.

-Anch’io ti posso insegnare un esercizio.- disse d’impulso. Questa volta fu il turno di Raphael d’inarcare un sopracciglio. Per una volta Hèloise non vi badò. Gli mise decisa le mani sulle piccole spalle, allontanandolo di alcuni passi da se.

-Questa è una danza chiamata Flamenco. Rispetto ad altre danze si basa molto sulla libera interpretazione, sebbene l’uomo e la donna abbiano mosse differenti. Ti devi basare su un gioco di piedi… in questo modo. – La donna si sollevò la gonna vaporosa, mostrando le scarpe costose.

Raphael la osservava, curioso ed un po’ confuso. Da una parte credeva che sua madre in qualche modo lo stesse “distraendo” per punirlo poi successivamente, ma aveva troppo desiderio di vedere quello che avrebbe fatto.

Di primo acchito non aveva capito le sue parole. Non sapeva come i piedi “potessero giocare”… ma poi tutto gli fu subito chiaro.

Hèloise si mosse un po’ sul posto, creando un delizioso, ripetitivo suono con i tacchi sul parquet. A Raphael piacque.

La donna gli mostrò alcuni modi di muoversi sinuosamente, ed un paio di volte fece una piroetta con un ginocchio piegato.

-…queste sono alcune delle mosse più importanti con i piedi, ma ce ne sono molte altre. Queste invece sono le cose che puoi fare con le braccia…-

Sua madre socchiuse gli occhi per la concentrazione; le sue mani si sollevarono lentamente in aria, facendo degli incantevoli movimenti rotatori. Mosse il busto avanti ed indietro, a ritmo con le mani. Poi, battendo a ritmo i piedi, cominciò a danzare.

Raphael era stupito. Non avrebbe mai pensato che sua madre non fosse solo la strana donna perennemente arrabbiata che lo odiava. Adesso… adesso sembrava un cigno. Non era tanto il fatto che fosse lei, a danzare per lui… ciò che lo catturava maggiormente, era la danza in se. Gli piaceva. Gli piaceva molto.

Poco dopo Hèloise smise. Danzare l’aveva messa di buon umore. Quasi. Ma ci era vicina.

Sentì un angolo traditore della sua bocca tirarsi all’insù, secco ed un po’ innaturale. Ma non si ci poteva sbagliare: seppur accennato, quello era un sorriso.

-Avanti, ora prova anche tu.

Più osservava l’incanto accennato sul volto di Raphael, più il suo cuore si contraeva in spasmi dolorosi. Forse, il bambino non era poi così insensibile.

Per risposta, per un momento vide sui suoi occhi  un vago senso d’incertezza, prima che fosse surclassato quello eccitato della sfida. Raphael fece un saltello, in modo da atterrare col tacco per produrre quel suono caratteristico. Ne fece un altro, ed un altro ancora. A poco a poco imitò quasi tutte le mosse che gli aveva insegnato sua madre, mettendoci tutto l’impegno possibile.

Era bellissimo, perché gli piaceva da morire. Forse non era bravissimo perché era la sua prima volta, ma… era bello, punto e basta. Hèloise non poteva trovare termine migliore. Per una volta, guardandolo non pensò ad Albèric; solo a Raphael, che con passione cercava da quella danza la sua interpretazione.

La sua opera d’arte.

Hèloise cominciò a ballare con lui.

I movimenti del piccoli non erano forse aggraziati come i suoi, ma la donna dovette ammettere che aveva una certa grazia naturale. Era un po’ troppo avventato, ma con l’esperienza sarebbe migliorato moltissimo.

All’improvviso Raphael inciampò sui suoi stessi piedi, perdendo l’equilibrio.

Hèloise lo afferrò istintivamente per le spalle, evitandogli una brutta caduta. La sua testa bionda finì a contatto con il suo ventre, senza sapere di essere vicino al piccolo che vi stava crescendo dentro.

La danza si era interrotta bruscamente. La donna lo rimise in piedi, senza dire nulla. Un gran senso di gelo calò sulla stanza, talmente denso da essere tagliato con un coltello. Ed Hèloise realizzò quello che aveva fatto.

Aveva ballato.

Per suo figlio.

Con suo figlio.

Aveva una gran voglia di agitare il suo ventaglio, ma non l’aveva con sé. Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata. Si sentiva spezzata in due, come se le avessero legato le braccia a due cavalli che la trainavano in direzioni opposte. Da una parte sentiva che il suo tentativo d’avvicinarsi a Raphael era stato inutile, perché lui era proprietà ed ombra d’Albèric. Dall’altra…

Dall’altra, anche se non l’avrebbe ammesso mai… si sentiva più leggera.

-Sei… - aveva bisogno di schiarirsi la voce. Lo fece, tornando poi ad assumere un cipiglio un po’ meno altezzoso del solito -sei stato bravo. Sono certa che-,

La sua frase venne improvvisamente interrotta dal bussare di qualcuno sulla porta.

Hèloise trasalì.

-Avanti- sibilò seccata. Raphael la guardò, confuso e forse un po’ deluso. Dov’era finito il cigno che ballava il flamenco? Ne voleva ancora. Aveva la certezza che quell’interruzione l’avesse fatta tornare quella di sempre, la strega fastidiosa che non amava nessuno.

Recependo il messaggio di pericolo, la testa di una cameriera si sporse timidamente oltre lo spiraglio della porta, guardando prima sua madre, poi lui.

-M-madame, vostro marito desidera che il signorino venga nel salone principale. E’ appena arrivato il suo insegnante, direttamente dall’Accademia dei Maestri d’Arme.

 

   
 
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