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Autore: almost_vale    18/04/2012    0 recensioni
Quando la vedevi da lontano, lei si fermava e ti guardava con i suoi grandi occhi ipnotizzanti, occhi che non solo ti guardavano ma che cercavano di toccarti l’anima.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era bella, sia fisicamente sia come persona, aveva qualcosa di diverso dagli altri, un po’ per il modo di vestire: ricercato e fuori moda. Era diversa dalle altre della sua età perché non dimostrava nessun tipo di interesse fisico verso quelli del sesso opposto, voleva un ragazzo perché ne sentiva la mancanza ma ciò che cercava era un amico che le potesse stare sempre vicino, per averlo, magari, sarebbe anche scesa a compromessi e gli avrebbe dato qualche bacio di tanto in tanto, ma niente di più. I suoi occhi erano come quelli di un cerbiatto smarrito, grandi e color del cioccolato, capaci di illuminarsi e di cominciare a piangere da un momento all’altro. Non era in competizione e non odiava nessuno, era una ragazza molto tranquilla vista da fuori ma dentro di lei scoppiava una tempesta implacabile. Aveva bisogno di qualcuno che l’ascoltasse, per questo ascoltava gli altri, con la speranza che prima o poi qualcuno le desse retta. Ma non andava mai così, perché avvicinarsi a lei era molto difficile, teneva con gli altri sempre un certo distacco. Era come un animale selvatico, dovevi farti conoscere pian piano e poi lei sarebbe diventata tua amica, ma una volta diventata tua amica non ti avrebbe più lasciato. Questo suo atteggiamento faceva sì che la gente, nel giro di una settimana o meno, si allontanasse da lei. Non sapeva controllare la sua fragilità, non sapeva come comportarsi con le altre persone, perché respirava ancora l’ingenuità dei bambini. Era fragile e volubile, ma ho sempre pensato in realtà che dentro di lei ci fosse un fuoco che ardeva sempre. Ma non riusciva mai a liberare questa sua forza che aveva dentro di sé, sembrava incatenata dentro di lei, impaziente di uscire ma allo stesso tempo bloccata da qualcosa di superiore, se stessa. Cercava di non giudicare mai gli altri, perché aveva capito che non poteva permetterselo, ma , quando accadeva qualcosa che non le piaceva, le era impossibile non commentare con frasi del tipo: “che schifo” o “fai male”. Forse non giudicava ma quando sentivi queste parole era difficile sopportarla perché lei non si era mai trovata in una situazione del genere e probabilmente non le sarebbe mai capitato. Aveva sempre bisogno di conferme per compensare il vuoto che si sentiva dentro, magari un giorno ti chiedeva:”mi vuoi bene?” oppure “vero che non mi abbandonerai mai?” e tu non sapevi mai come rispondere perché domande del genere spiazzano, soprattutto dette da lei, che un giorno era la tua migliore amica e il giorno dopo non ti parlava neanche. Forse perché si vergognava delle stesse domande che ti aveva posto il giorno prima. Sapeva di essere bella, ma si vestiva di falsa modestia, perché era importante per lei sentirsi dire cose positive sul suo aspetto, che molto spesso venivano dette con scarso interesse, ma a lei non importava, l’unica cosa che contava era sentirselo dire. le sue domande erano sempre dirette, sempre con il suo sorriso che ti spiazzava e non potevi non risponderle e lei voleva sempre sapere tutti i particolari, ma tu da lei non potevi mai sapere niente, era riservata, non si fidava di nessuno. Quando conosceva qualcuno faceva dei grandi sorrisi e molto spesso l’altra persona si sentiva rincuorata da lei, poi la piccola fata si attaccava a questa e se all’inizio era piena di gioia col tempo ricominciava con le solite domande, le sue paranoie diventavano le paranoie dell’altra persona, non si accorgeva che in questo modo condizionava totalmente l’umore dell’altra persona. Pensava a se stessa e basta, gli altri non la capivano. L’unica persona a cui desse davvero importanza era la sua famiglia, il suo branco. Odiava vivere in città, non si sentiva a casa sua, nonostante fosse nata e vivesse lì. Lei cercava la campagna, la libertà della terra dopo la pioggia, i cani e i lupi che abitano le montagne, preferiva i vecchi pastori che parlavano in dialetto piuttosto che le persone colte di Milano, troppo snob per una come lei, che cercava solo la semplicità delle cose. Quando la vedevi da lontano, lei si fermava e ti guardava con i suoi grandi occhi ipnotizzanti, occhi che non solo ti guardavano ma che cercavano di toccarti l’anima. La chiamo piccola fata perché so che lei è capitata qui per sbaglio, il suo posto è da un’altra parte. Fra un po’ di anni, quando le nostre strade si saranno già separate, la vedrò nei boschi, come una piccola fata, che si preoccupa solo di se stessa e degli animali, e i suoi occhi mi toccheranno di nuovo l’anima e finalmente potrò vedere in lei la felicità. Quella che, in un posto come questo, lei non ha potuto trovare.
  
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